venerdì 28 novembre 2025

Almeno per adesso.


            Sicuramente lui è un uomo calmo e riflessivo, un tipo di persona di cui è certo che ti potresti fidare ad occhi chiusi, se non fosse magari per la sua indole persino troppo chiusa e taciturna che tende a non rivelare mai a nessuno il proprio vero pensiero. <<Buongiorno>>, gli dicono al mattino i suoi colleghi, quando con puntualità proverbiale arriva sul posto di lavoro, un enorme capannone in periferia adibito alla logistica ed al deposito delle merci; e mentre gli altri scherzano tra loro o si danno delle gran pacche sulle spalle, tutti davanti a lui si fermano sempre un passo indietro, visto che nessuno riesce mai a farlo sorridere, mostrando così di non accettare certe confidenze. In genere avvia per primo il proprio muletto, per iniziare subito dopo a movimentare gli innumerevoli bancali, senza mai stancarsi, senza quasi permettersi una sola sosta, però svolgendo ogni manovra sempre con calma, senza pretendere da sé stesso una fretta pericolosa e fuori luogo. Qualcuno forse pensa che lui esageri, che il suo modo di lavorare sia fuori dal tempo, che le sue invidiabili capacità non siano mai state in grado di rinnovarsi in tutti questi anni. Ma quando un collega si rovescia su di un fianco con il proprio mezzo uscendo con una ruota dal piano di carico, lui è l’unico che sa come rimettere le cose a posto, con metodo, con impegno, con forza, e con l’aiuto del suo fedele muletto.

            Ed è quella mancanza nel relazionare ai superiori su quanto è appena accaduto sia dentro gli uffici che verso i propri caposquadra, nonostante non ci siano state delle gravi conseguenze sia umane che materiali, che immediatamente lo mettono in una posizione piuttosto difficile. Gli viene notificata una lettera con nota di demerito che lui peraltro non accetta strappando il foglio in mille pezzi; perciò, interviene con forza il sindacato che però non sa aiutarlo, come i suoi colleghi che restano praticamente muti di fronte a quei fatti così come si sono svolti. Lui per la prima volta alza la voce, dice che non potrà restare in un luogo di lavoro dove la solidarietà è soltanto una parola a cui non conseguono dei fatti, e così in quel giorno rassegna con stizza le proprie dimissioni, tra la sorpresa generale. Immediatamente presenta richiesta di occupazione in altre imprese dove la sua esperienza può avere un peso determinante, ma quando vengono richieste le relative credenziali, nessun capo del personale può dar seguito alla sua domanda. <<Gino>>, gli dice un amico che lo conosce da tempo immemorabile, <<certe volte bisogna abbassare la testa e riconoscere l’opinione generale. Probabilmente sarebbero pronti a riprenderti subito nel tuo posto di lavoro, ma tu devi fare ammenda, e dichiararti pentito di aver cercato di risolvere le cose per conto tuo, senza avvertire nessuno>>.       

            Gino guarda il suo bicchiere mentre sta seduto davanti al bancone del locale dove va ogni tanto, e rimane in silenzio, pensieroso, riflettendo senza darsi pace su quel divario che forse il caso gli ha messo di fronte per renderlo impotente. Sul posto di lavoro immagina che gli altri abbiano a lungo parlato di lui e di quanto gli è accaduto, ma sa anche perfettamente che le continue attività della logistica copriranno presto tutte le opinioni, e che in poco tempo lui sarà dimenticato, ed il suo modo di comportarsi diverrà solo un grave errore di un bravo mulettista. Lascia trascorrere un’altra intera settimana lottando contro il proprio orgoglio, e infine si presenta alla direzione della vecchia società, chiedendo un colloquio con il capo del personale. Si siede di fronte a quella scrivania, toglie il berretto inseparabile dalla sua testa calva, e dice soltanto che ha necessità di tornare a lavorare. L’impiegato gli pone delle domande, lo incalza, gli chiede i motivi veri che lo hanno portato a comportarsi senza mostrare una vera fiducia verso la propria azienda, e Gino dice soltanto che ha agito d’impulso a difesa di un collega, e che adesso però è pronto a riconoscere le proprie mancanze.

            Gli dicono che lo contatteranno, la direzione prenderà in esame la sua richiesta, che gli faranno sapere che cosa verrà deciso, però tra qualche giorno, appena ne potranno parlare tutti insieme. Gino si alza dalla sedia, si sente ferito, sente che quella è l’ultima volta in cui è potuto entrare dentro quella azienda, e che probabilmente nessuno gli darà di nuovo il mestiere che ha esercitato per tanti anni. Ma il giorno seguente, nella serata, vanno a trovarlo a casa quattro o cinque dei suoi colleghi, compreso quello che aveva combinato l’incidente del muletto, e c’è anche un sindacalista, e tutti gli chiedono di sedersi, di parlare con calma, ora che è trascorso qualche tempo e che le cose sembra proprio che abbiano assunto un diverso sapore. <<Gino, sono disposti a coprire questo periodo come ferie>>, gli dicono, <<e tu se vuoi puoi riprendere da subito il tuo posto di lavoro, dopo che avrai stracciato quella tua lettera di dimissioni>>. Lui solleva lo sguardo, ringrazia, ma senza commentare. Forse è una vittoria per qualcuno, pensa; ma non per lui, che resta comunque della stessa opinione che aveva prima, anche se è la parte più debole del sistema, e deve adeguarsi, almeno per adesso.

 

            Bruno Magnolfi  

mercoledì 12 novembre 2025

Semplice reliquia.


            Lei, Irma Neri, un’età che sfiora il mezzo secolo, orgogliosamente sola dopo che il suo ultimo fidanzato qualche tempo addietro si è rivelato poco per volta una persona quasi inconsistente per personalità, da qualche mese durante le nottate di sonno regolare dentro la camera da letto del piccolo appartamento dove abita, pur decisa e convinta nelle scelte della propria vita, ha iniziato ad avvertire delle voci che non riesce in nessun modo a spiegarsi. Inizialmente sono state quasi un brusio incomprensibile che nel buio del dormiveglia parevano provenire dall’appartamento accanto oppure da quello al piano superiore, ma dopo aver origliato a lungo appoggiando la testa in tutte le pareti della camera, Irma si è resa conto che non era così, e che quei tenui bisbigli provenivano esattamente dalla propria stanza. Così ne ha parlato con il suo medico, un dottorino giovane molto serio e preparato che ha cercato di rassicurarla, anche se lei, senza neppure in seguito parlargliene più, ha iniziato in quello stesso periodo ad acuire la propria attenzione, cominciando a percepire nel buio notturno anche delle parole quasi definite, pur immerse in frasi inconcepibili e confuse. <<Probabile>>, sembra che dica certe volte quella voce; oppure: <<indubbiamente>>, ed anche <<domani>>, e certe volte insiste a dire persino <<è inutile>>. Sembra proprio come se qualcuno tenga un dialogo con qualcun altro, che però non gli risponde, o magari risponde in altro modo, con dei gesti o chi sa come, evitando in certi momenti di emettere il più piccolo suono.

            Così lei ha provato ad amplificare alle sue orecchie quella voce inconcludente e per certi versi monotona, arrotolando un cartoncino in modo da farne un cono piuttosto rigido, di cui applicare ad un suo padiglione auricolare il foro piccolo, lasciando la parte più aperta libera di captare dall’aria della stanza ogni gemito ed ogni sillaba. Si è rapidamente resa conto di come la voce molto probabilmente stia leggendo qualcosa, forse un libro o anche qualche opuscolo, espressi però con una piccola enfasi, tanto da rendere anche indecifrabile a chi desideri riferirsi. Nella stessa giornata lei è passata da una farmacia ed ha acquistato dei tappi in gomma per le orecchie, sostenendo con il farmacista che i vicini di casa erano soliti provocare dei rumori molesti durante il suo sonno. Così ha cercato di disinteressarsi del tutto di quei bisbigli, di quei dialoghi, e di quella voce in gran parte incomprensibile, talmente presente però dentro alla sua camera da risultare quasi frutto di qualche magia. Per alcune notti le cose sono assai migliorate, ma la curiosità di ascoltare ancora quella strana presenza ha indotto Irma ben presto a togliere i tappi per tornare ad ascoltare la voce.

            Lei a questo punto si è resa conto immediatamente che quei suoni, quella forma verbale leggera ma diventata quasi un’abitudine, adesso sembra scomparsa. Perciò si è coricata nel proprio letto con una maggiore rilassatezza rispetto agli ultimi tempi, e in questo modo ha trovato un riposo migliore. Ma una delle sere seguenti, inizialmente quasi senza rendersene conto, ha compreso che la voce di nuovo era lì, da qualche parte, sempre con quel tono sommesso, delicato, quasi un brusio indefinito come si è sempre manifestato. Allora è tornata dal suo medico, giusto per spiegargli in ogni dettaglio di come si fosse convinta che c’era una voce nella sua mente, e che lei stesse perdendo giorno per giorno il proprio riposo e forse anche il senno. Il dottore, pur giovane ma con una certa saggezza, le ha spiegato con calma che tutto poteva dipendere dagli ossicini dentro al suo orecchio, che vibrando in maniera del tutto inconsueta avessero cominciato a proporre dei sottili rumori simili al bisbiglio di una persona. <<Ma io distinguo qua e là delle parole>>, ha detto Irma con fermezza. <<Non può derivare tutto quanto da ossa, cartilagini o flusso del sangue; dei leggerissimi rumori probabilmente è normale avvertirli all’interno della propria testa, ma non delle frasi composte, non delle parole significanti, decifrabili, del tutto simili a quelle di una qualsiasi persona che parla>>.

            Il medico si è grattato la testa, ha detto che avrebbe chiesto a degli specialisti se si fosse mai verificato nei loro pazienti un caso del genere, e poi le ha detto di usare i tappi per avere un riposo adeguato, nell’attesa di trovare un luminare della scienza in grado di sciogliere quell’enigma. Ed è stato in quel momento, fermandosi un attimo nel bagno dell’ambulatorio che Irma si è resa conto che in quel piccolo vano ricoperto da piastrelle bianche e molto silenzioso, la voce di sempre non c’era, e che quindi non era nella sua testa, e che quella non era esattamente la strada per scoprire quale fosse il suo inconsueto problema. Rientrata in casa ha spostato dei mobili, li ha allontanati dalle pareti, ed alla fine ha scoperto dietro un armadio che vi era rimasta una radiolina minuscola ancora collegata alla rete elettrica, sintonizzata su un programma di sole notizie, senza né musica né pubblicità. <<Una reliquia del mio fidanzato>>, ha subito pensato, e dopo un attimo naturalmente è scoppiata a ridere.

 

            Bruno Magnolfi


domenica 9 novembre 2025

Maggioranza vincente.


            <<Dobbiamo rassegnarci>>, dicono alcuni; <<osservare le cose con un certo distacco, e poi preoccuparci soltanto di mandare avanti le nostre giornate in maniera individuale, senza mostrare mai alcuna pretesa diversa>>. Poco per volta quindi io mi sono rassegnato, perché credo che comunque non ci sia alcuna possibilità di riscatto per quello che ho cercato di essere con la mia pretenziosa coerenza per certi ideali forse del tutto fuori dal tempo, e con la mia assurda voglia di sentirmi più utile o magari anche attivo in un processo di cambiamento in cui le persone come me sono sempre lontane dal sentirsi capaci di stare all’interno dell’attualità, per quanto tutto possa mostrarsi in una fase di sgretolamento, almeno agli occhi di alcuni. Certe volte dopo il lavoro mi infilo in un caffè per uomini, dove si parla molto di cose leggere, senza mostrare mai troppo impegno, e nelle poche occasioni quando ho provato a dire qualcosa di diverso dagli altri, tutti intorno a me hanno abbassato lo sguardo e la propria voce, come ad evidenziare il grave errore in cui stavo cascando. <<Non pensare in questo modo>>, mi dicono loro; <<così ti metterai sempre al margine delle cose migliori, e sarai trattato come uno che non conta un bel niente>>. Annuisco, in questi casi, poi torno nella mia casa dove vivo da solo, ed accendo la televisione, tanto per distrarre i pensieri e riflettere su altro.

            <<Abbiamo inventato per voi un nuovo gioco stasera>>, dicono sempre dentro lo schermo; <<perché è giusto lasciare le preoccupazioni a coloro che ci dirigono, e concentrare la mente solo su distrazioni ed intrattenimenti>>. Sorrido, anche se non sarei troppo d’accordo. Non capisco però il motivo per cui mi trovo sempre polemico su quanto viene proposto, ed anche se mi impegno ad osservare quei passatempi proposti, non mi diverto poi molto, o almeno non come invece sembra proprio facciano tutti. Lo so, lo capisco benissimo che in questa maniera tendo sempre di più ad isolarmi, che con il mio modo di affrontare anche le cose comuni lascio che chi mi sta attorno prenda le distanze da me, e magari rida alle mie spalle per la mia pretesa di spiegare sempre ogni aspetto delle giornate che scorrono. <<Lascia perdere>>, dicono persino i miei vicini di casa, <<tanto non otterrai mai un bel niente nel proseguire ad incaponirti in codeste riflessioni>>. Alla fine, mi ritrovo a stare in pace con tutti soltanto quando sono da solo, quando posso pensare e mettere a punto anche con una certa intensità ciò che mi sembra maggiormente adeguato, compreso il disaccordo che medito continuamente nei confronti di ciò che sostengono gli altri.

            <<Sei strano>>, dicono a volte quelli; ed io, anche se in qualche occasione lo reputo quasi un complimento, in altri momenti mi pare che questa sia soltanto una maniera offensiva di trattare ogni mio comportamento, come se i miei argomenti non avessero nessuna ragione per essere espressi, e solo il silenzio fosse l’unico risultato plausibile per il mio modo di avvertire le cose. Allora mi osservo intorno: <<Non hai nessuna possibilità>>, sembra che dicano in molti, <<se non quella di accettare il punto di vista comune, ed infine comportarti nella maniera di tutti, anche se qualcosa prosegue a ruotare nella tua testa in maniera diversa. Con il tempo potrai migliorare, e poi renderti conto che è meglio anche per te non avere delle opinioni diverse dal pensare corrente>>. Mi sto convincendo, dico la verità, perché non posso certo proseguire ancora per molto nel mandare avanti le mie giornate come fossi una persona differente da tutti coloro che incontro, e che apparentemente sono proprio come sono io, anche se non tentano neppure di avere un’opinione più personale, come invece io troppo spesso cerco di fare. Credo che dovrei annullare poco per volta il mio pensiero individuale, ed abbracciare quello comune, anche se non sono per niente sicuro sia migliore del mio.

            In certi momenti mi ritrovo ad osservare le persone che frequentano, proprio come me, questo caffè per soli uomini, e mi pare addirittura di non avere nessun argomento da spartire con loro, tanto da sedermi ad un tavolino da solo ad osservare semplicemente i passanti che camminano sopra il marciapiede di fronte. Molto tempo addietro avevo spesso creduto che ogni opinione avesse la possibilità di essere discussa e riflettuta tra quegli individui che tendono al miglioramento costante della realtà, ma poco per volta mi sono dovuto ricredere, fino al punto di immaginare un mondo sempre più statico, concentrato sull’eliminazione costante dei dubbi e delle incertezze che nascono nella mente di qualcuno quando non riesce ad accettare il proprio percorso assegnato.

            <<Devi andartene>>, mi diranno forse un giorno di questi; <<hai dimostrato di non essere in grado di comprendere come tutto sia già stato deciso, e che la tua opinione adesso non serve proprio a nessuno, se non a confondere le idee di chi ormai ha già scelto, una buona volta, nel dimostrare il bisogno di ognuno di noi di stare dalla parte vincente della maggioranza delle persone>>.

 

            Bruno Magnolfi

giovedì 6 novembre 2025

Forse domenica.


            Vorrei andarmene, penso, anche se in quel caso non avrei la più pallida idea verso dove sarebbe possibile dirigere le mie povere ossa. La sensazione più intensa che provo generalmente è quella di non essere esattamente allineato alle persone che mi circondano, e di non sentimi capace di tirare avanti le giornate come invece vedo fare molte volte da molti altri. Sono un pesce fuor d’acqua, penso spesso, e devo al più presto possibile trovare l’elemento in cui sentirmi maggiormente a mio agio. Mi fermo anche oggi come ogni giorno nel solito circolino a buttar giù qualche birra, e tutti i frequentatori di quel locale sembrano contenti ogni volta di ritrovarsi e di scambiare tra loro i soliti discorsi. Qualcuno poi mi saluta, un paio mi battono una mano sopra la spalla, c’è aria di allegria generalmente, come sempre, eppure io continuo a pensare che non sia il posto giusto dove dovrei fermarmi a perdere del tempo. Mi siedo al bancone e calo la testa tra le mie spalle, osservando qualcosa davanti a me, come a cercare di isolarmi dagli altri, anche se penso non dovrebbe essere il caso di mostrarsi scostante in un posto del genere. Quasi tutti parlano dei fatti propri, raccontando di qualche guaio accaduto, oppure di qualche insolito colpo di fortuna, quasi a voler comunque definire degli aspetti generalmente piuttosto lontani dalla grigia normalità della giornata. Nessuno fortunatamente mi chiede niente, perché in quel caso non saprei proprio che dire.    

            Sorseggio con calma la mia birra e sorrido leggermente quando qualcuno mi lancia un saluto, ma penso fortemente che non dovrei proprio essere qui in mezzo a tutti gli altri. <<Era un pezzo che non ti facevi vedere>>, dice invece Ilio mentre si siede al mio fianco sul proprio sgabello. <<Già>>, dico io mentre penso intensamente di non avere alcuna voglia di avviare una vera conversazione con lui, peraltro come con nessun altro. <<La prossima domenica pensavamo di andare in gruppo a pescare sul fiume>>, fa lui per vedere che cosa ne possa pensare io di quell’idea, ma resto immobile e faccio subito cadere quell’argomento nel silenzio limitandomi ad annuire e a sorridere leggermente. <<Non devi darmi una risposta adesso>>, insiste lui; <<puoi rifletterci con calma, ed anche se non hai l’attrezzatura adatta non ha alcuna importanza: qualcuno di noi può prestarti tranquillamente la canna e tutto il resto che serve>>. Lo guardo un momento mentre finisco il mio bicchiere di birra, poi dico: <<Ci penserò, magari mi prende davvero la voglia di aggiungermi a voi>>, dico con calma mentre penso che quella sia l’ultima cosa a cui mi va di pensare. Invece dentro di me inizia a girare l’idea di prendere un treno, magari proprio domenica, e di andarmene da qualche parte dove non sono mai stato, senza neppure preoccuparmi di spingermi troppo lontano da qui.

            <<A te non piace pescare, mi immagino>>, insiste ancora Ilio; <<però non è male se pensi che tutto quello che c’è da fare è starsene in silenzio ognuno per conto proprio ad osservare un filo che sbuca dall’acqua>>. Annuisco, penso che in un vuoto del genere probabilmente si possa aprire lo spazio per qualche scherzo, giusto per ridere un po’, ed io in quel caso non mi sentirei per niente a mio agio. In fondo quello che mi piace di più nel fermarmi in questa birreria è pensare che da domani in avanti posso non tornarci più neppure una volta, ed evitare accuratamente persino di passare ancora da queste parti. Ritengo di essere un tipo solitario, uno che se ne sta volentieri per conto proprio, e poi penso di non essere mai stato capace di spiegare il mio vero stato d’animo neppure a chi mi gira attorno. <<D’accordo>>, gli dico; <<ci rifletterò su>>, mentre penso che domenica potrei davvero salire su un treno e farmi portare dove i binari desiderano. Mi basta andarmene lontano da qui, penso, e non preoccuparmi per niente di ritornare indietro e di sentirmi legato ad un posto come questo.

            Non mi interessa per niente che Ilio si renda conto o meno di quello che possa girarmi dentro la testa: lui è il tipo di persona che cerca di fare qualche risata coi suoi amici, e magari inventare qualche scherzetto per poter ridere anche di più, e poi non si preoccupa certo di cosa possa passare dentro la testa di chi si trova di fronte. Me ne vado, penso, non trovo niente che mi trattenga davvero da queste parti, ed anche se non so immaginare un posto verso cui andare, un posto che possa piacermi, dove possa stare bene e a mio agio, è andarmene quello che mi tira più di ogni altra cosa, e sparire dalla vista di Ilio e degli altri, senza lasciare dietro di me alcuna spiegazione. Dovrei farlo davvero, penso, perché non c’è niente che mi leghi a questi paraggi, che mi trattenga dal fare quello che mi passa da un attimo all’altro dentro la testa. Poi pago la birra e mi alzo dallo sgabello. <<Potrei venire con voi>>, dico improvvisamente a Ilio. <<Magari, se non riesco a fare una certa cosa che ho in mente da un po’. In fondo, non ci trovo niente di male nel trascorrere una domenica a pesca>>.

 

            Bruno Magnolfi

sabato 1 novembre 2025

Una volta per tutte


            Sto fermo, osservo intorno a me le macchine e le persone che si muovono come ogni giorno in modo caotico dentro a questa città, e ritengo che tutti siano attirati da qualcosa che forse a me sfugge in questo momento, ma che vorrei prendere seriamente in considerazione una volta o l’altra. Ci sono i soldi che attraggono più di ogni altra cosa, sicuramente, ed anche se a me non sembrano un grande argomento per correre come dei pazzi attorno a qualcosa che resta comunque al disopra di chiunque e che purtroppo definisce per ciascuno gli aspetti più salienti di ogni giornata, ritengo che probabilmente sia addirittura giustificato comportarsi così. Adesso poi, mi muovo leggermente, appena di un passo in avanti, e lo faccio soltanto per osservare il tronco di un albero a bordo strada, sicuramente identico a tutti gli altri che tengono le radici affondate sotto all’asfalto, ma che insolitamente sembra abbia scelto di piegare il fusto e la chioma verso una direzione precisa. Non vorrei apparire uno sciocco, però sembra quasi che questa pianta avesse voluto indicare qualcosa durante la propria crescita, un interesse specifico, una necessità inspiegabile, una voglia poco comprensibile nel volgere sé stessa verso un punto preciso della zona urbana da cui è circondata.

            Seguo con lo sguardo il percorso tortuoso dei suoi rami e mi rendo conto che forse il suo protendersi è teso verso un albero simile a lei, non uguale però, e che rimane ad una distanza di quasi una quindicina di metri. Forse è un’attrazione naturale, rifletto, un bisogno anche del mondo vegetale di allontanare da sé la solitudine e l’isolamento, come se queste, pur essendo delle incapacità innate per avere dei veri rapporti coi propri simili, in fondo possono essere combattute in qualche maniera. Magari nell’aria le due piante riescono addirittura a trasmettersi delle essenze inavvertibili da chiunque altro, però efficaci tra loro, oppure a lanciarsi dei fiori nel periodo primaverile, magari affidandoli al vento favorevole. Forse le loro radici, sotto la crosta di asfalto di questo viale, non sono poi così distanti tra loro e col tempo sono riuscite ad allungarsi fino al punto di toccarsi a vicenda, ed intrecciare qualche sottile rizoma come per un gesto di amicizia e di fratellanza. Certo, sono uno sciocco, mi perdo in fantasie che sicuramente non hanno alcun senso, però è come se queste piante cercassero di fornire a chi le osserva un certo insegnamento, come se con la loro presenza mostrassero qualcosa a quelle persone sempre di corsa, qualcosa che di certo non riescono più a provare.

            Poi mi stringo nella mia giacca e riprendo a camminare. Non c’è una direzione precisa verso cui dirigermi, però vorrei tanto seguire l’insegnamento dell’albero e trovare un luogo dove possa fermarmi a parlare con qualcuno, scambiare delle opinioni, ascoltare le storie personali di individui con esperienze differenti dalle mie, e magari confrontarle senza fornire mai alcun giudizio. Entro in un locale dove ci sono dei tavolini ed è possibile sedersi davanti ad un caffè o a qualcosa da bere, e mi guardo attorno, cercando qualcuno che abbia le mie stesse intenzioni. Un anziano mi dice, guardandomi negli occhi per un momento, che oggi tutti hanno fretta, e che l’età alla fine dimostra invece che quella fretta è soltanto una sciocchezza incapace di produrre del bene. Annuisco, però poi cerco di spiegare che non è una questione di età, e che tutti quanti siamo circondati da una realtà talmente densa di spunti che non c’è bisogno di raggiungere la saggezza della vecchiaia per rendersene conto, e che basta soltanto imparare a soffermarsi sulle cose semplici che ci stanno attorno.

            L’anziano sembra quasi offeso, forse gli pareva più importante ciò che sosteneva lui, e alla fine si alza, mi dice buona giornata e quindi se ne va, come se non avesse travato in me una persona capace di comprendere ciò che desiderava affermare. Lo saluto a mia volta, poi mi rendo conto che è difficile trovare degli argomenti su cui si può essere tutti d’accordo, a meno che non si dimostri una superficialità che naturalmente non aiuta nessuno. Quando torno ad uscire da questo caffè mi pare di poter definire giusto il comportamento di tutti: bisogna correre, rifletto, è necessario evitare di pensare troppo agli elementi che costituiscono ogni porzione di una semplice giornata; va bene così, come se scivolare rapidamente sopra a qualsiasi argomento eviti di trattenere troppo a lungo il nostro pensiero divergente. La realtà, penso ancora, è fatta spesso in questo modo, e credo che soltanto alcune persone tra tante abbiano davvero interesse a coltivare la propria sensibilità nei confronti di ciò che è sotto agli occhi di tutti. Ma questo alla fine non ha alcuna importanza, visto che non saranno alcune tra queste persone che potranno cambiare davvero le cose. Tutto andrà avanti per proprio conto, penso infine con una certa tristezza, e gli sforzi che qualcuno farà per mostrare che esiste anche una strada diversa, probabilmente rimarranno incompresi, e forse saranno addirittura osteggiati, fino a convincere tutti quanti che la giusta direzione è quella già ormai stabilita, una volta per tutte.

 

            Bruno Magnolfi  

lunedì 20 ottobre 2025

Solidarietà a portata di mano


Sto scappando, a gambe levate e con le braccia scomposte, mentre la mia testa brulica di pensieri ricolmi di paura per ciò che forse potrà ancora accadermi in questi pochi metri che ancora non mi separano del tutto da quell’incrocio urbano luogo di gravi e pretestuosi disordini ai danni nostri, manifestanti incolpevoli. Alle mie spalle lascio una strada piena di fumo e di rumori forti e incomprensibili, colma di risentimenti e forse anche di assurde vendette che alla fine neppure comprendo bene, intasata com’è apparsa da alcune scelte di potere che mostrano semplicemente il desiderio di annullare tutti coloro che hanno mostrato la voglia di dare una lettura diversa delle cose, cercando di trovare e mostrare di fronte all’opinione pubblica un vero responsabile tangibile di un qualcosa che non si sa neppure definire cosa possa essere. Però, la cosa essenziale, almeno per me che per la prima volta vivo un’esperienza del genere, è quella di allontanarmi da quel luogo, trovare rapidamente la maniera per essere distante da tutto quanto, come se in fondo quello che è appena successo non mi riguardasse del tutto direttamente, limitandosi a sfiorare appena le mie blande convinzioni, evitando di incidere davvero su quanto oggi mi ha portato svogliatamente fino lì.

Un minuto, forse due, il tempo esatto in cui avvengono tante cose diverse, quando improvvisamente si tocca con mano qualcosa che non si credeva neppure possibile, ed invece lui è qui, ad un passo da noi, come il risultato di un destino capriccioso, che varia i percorsi di tutti i pensieri e le giornate. Di colpo sono stanco, sfinito, e soprattutto sono da solo a decidere in quale maniera assorbire dentro di me questa brutta esperienza, e come far risultare questa possibilità di violenza contro me stesso come una concreta consapevolezza, una crescita, un tassello di discernimento che rimarrà per chissà quanto tempo in mezzo ai miei pensieri. Sembra quasi che la mia fantasia non sia stata capace da sola nel farmi intraprendere questo percorso, ed invece è stato sufficiente lo scoppio della realtà per farmi comprendere che cosa a volte ci sia dietro alle cose vissute come un gioco, come uno scherzo, come qualcosa da non prendere mai troppo sul serio. Non mi guardo indietro, non ho bisogno di vedere con i miei occhi ciò che è accaduto, ho tutto quanto ciò che mi serve già dentro la testa, meditato e riflettuto quanto basta per farmi fare quel salto di consapevolezza che forse mi mancava completamente fino ad oggi.

Non ho bisogno di spiegazioni, nessuno dovrà dirmi che cosa realmente è accaduto e per quale assurdo motivo si è verificato quello che insieme agli altri ho dovuto subire: so per certo adesso che esiste l’ingiustizia, e che questa si manifesta certe volte nei modi più strani e imprevedibili possibile, e devo averne coscienza da ora in avanti, perché nessuno mi chiarirà mai l’irrazionalità che sta dietro all’improvviso turbinare illogico di ogni aggressione. Mi fermo dietro ad un angolo di una casa qualsiasi, col cuore in gola ed il fiato che ormai non ho più, e penso proprio in questo momento di essere rimasto da solo, con tutti i pensieri che continuano a brulicarmi dentro la testa, mentre invece mi accorgo voltandomi di scatto che c’è Niocke dietro di me, che mi ha seguito fin qui, forse riconoscendo la mia pur debole saggezza nel trovare certe scappatoie, o magari fidandosi del mio semplice portare me stesso verso la salvezza, e in questo modo indicare anche a tutti gli altri la strada più giusta per mettersi al sicuro. Mi volto, lo guardo, e d’impulso lo abbraccio. È contro di lui che si cerca di portare avanti tutta questa aggressione, ed adesso lo so con certezza, ne sono assolutamente consapevole, ed io allora voglio stare appieno dalla sua parte, desidero proteggerlo da questa realtà sporca, da questo mondo così assurdo, perché provo la volontà di essergli fratello, e contemporaneamente di marginalizzare quella stessa volontà cruenta misurata da noi appena pochi minuti indietro, quella che non accetta alcuna variazione possibile lungo la propria strada segnata.

Niocke si lascia abbracciare tremando, quasi con timidezza, e poi dice soltanto: <<Siamo davvero amici adesso, caro Marco; lo sapevo fin dall’inizio che tu eri così, che avevi la sensibilità giusta, anche se la nascondevi per non farla apparire come una semplice debolezza>>. Annuisco, ha ragione, al momento non ho niente da aggiungere, resto in silenzio, però gli sorrido, perché sono contento delle parole che sta usando, sono le stesse che in questo momento vengono in mente anche a me, e sono felice di poter stare con lui, di mostrare senza alcuna remora che la vera salvezza sta esattamente nel nostro aiutarci a vicenda. <<Essere delle belle persone è la cosa che conta più di ogni altra>>, dico alla fine, mentre al limite del mio campo visivo noto che tutto intorno a noi adesso è calmo, come se nulla fosse successo, e la violenza scagliata contro un gruppo di studenti senza nessuna colpa fosse ora diventata la molla per far trovare a tutti quella solidarietà che forse mancava.  

 

Bruno Magnolfi

martedì 14 ottobre 2025

Limite invalicabile.


Sono trascorse diverse settimane a seguito della piccola manifestazione interrotta brutalmente già durante il suo inizio in Pian dei Fossi, ed Antonio gira da solo come sempre per le strade del paese senza che il suo interesse sia minimamente attirato da qualcosa o da qualcuno. Si è trincerato nel silenzio più totale da quando ha visto con i propri occhi che le Forze dell’Ordine attaccavano in modo inspiegabile e violento quei ragazzi in piazza, e da quel momento non prova più alcun desiderio di scambiare anche solamente un gesto, oppure un saluto, se non un’opinione, con tutti coloro che si trova ad incontrare per strada e che lo chiamano Toni Boi, come sempre hanno fatto in molti. Ha maturato in queto periodo una specie di rancore contro tutti, ed adesso si mostra del tutto indifferente verso coloro che lo sfiorano o che cercano di attirare in qualche modo la sua attenzione. Il paese di Pian dei Fossi invece è ritornato velocemente alla normalità, e da nessuna parte si parla più del ragazzo senegalese, della manifestazione studentesca, della famiglia dei Tornassi, oppure dei loro guai giudiziari che comunque sembrano ancora fermi alla fase delle indagini preliminari, mostrando scarse possibilità di produrre un vero seguito. E a nessuno sembra comunque interessare troppo tutto quello che è accaduto nel periodo appena trascorso, e gli argomenti delle chiacchiere da affrontare in piazza o nell’osteria sono tornati ad essere rapidamente quelli di sempre. Antonio è sicuro di non sentirsi bene, e di non provare più alcuna voglia di aprirsi agli altri e di mostrare quella normalità che oramai sembra essergli sfuggita, tanto che sua sorella ha già telefonato al medico che lo ha sempre curato, prendendo un appuntamento preciso per analizzare a fondo questa situazione.

Lui non parla più neppure in casa, né con sua sorella, né con Carlo, e non ha più mostrato alcuna voglia di recarsi in biblioteca e neppure all’officina dove lavora Niocke; non riesce più a provare il bisogno degli altri come sembrava avesse manifestato da qualche tempo a questa parte, ed anche l’espressione della sua faccia si è fatta in poco tempo sempre più corrucciata, nervosa, sfuggente, come se provasse un segreto risentimento verso chiunque. Qualcuno per strada ancora cerca di fermarlo, chiamandolo come sempre col suo nomignolo, ma lui è indifferente agli altri, e tira diritto senza preoccuparsi di chi gli rimane attorno o che tenta di parlargli e di attirare in qualche maniera l’attenzione di quel depresso cronico che per fortuna non ha mai fatto mai del male a nessuna anima viva. Antonio cammina con lo sguardo basso, il passo deciso, i gesti di chi appare come assente, e si muove tra le case, lungo le strade, percorrendo i marciapiedi, senza mai cercare una vera meta, ma come se provasse la necessità di cercare qualcosa fuori da sé che invece probabilmente è soltanto al suo interno. Quando rientra in casa si chiude nella sua stanzetta e si piazza seduto ad osservare la parete che ha di fronte, come se niente lo potesse distogliere da quel suo strano bisogno di sentirsi assente, neppure i suoi amati libri ormai lasciati negli scaffali a prendere la polvere. Sua sorella Teresa gli porta qualcosa da mangiare, considerato che non vuole più neppure mettersi a sedere al tavolo con lei e con suo marito, e quindi mastica lentamente ma senza appetito ciò che si ritrova dentro al piatto, ma con indifferenza, quasi rispondendo ad una semplice abitudine, oppure cercando di dare solo un seguito agli sforzi che compie la sua famiglia nei propri confronti.

Nel silenzio ha già iniziato a prepararsi per quella visita medica a cui dovrà sottoporsi già tra pochi giorni, e quando il dottore della clinica psichiatrica, che lo conosce e lo segue ormai da molti anni, gli porrà le solite domande per comprendere qualcosa in più dei suoi disturbi attuali, come peraltro ha fatto già ogni volta che ci sono state delle ricadute, lui probabilmente neppure si preoccuperà di dargli delle risposte, e resterà chiuso e irremovibile nel suo mutismo, incapace, inadatto, oppure semplicemente riottoso come sembra a dare delle risposte a quei quesiti infidi e a quelle parole che forse non riescono più neppure a giungere alle proprie orecchie. È ripiombato in poco tempo nella sua inespugnabile e assoluta solitudine, ed adesso si dimostra assente con chiunque possa incontrare, sia che si trovi nelle sue vicinanze, o che in un modo o nell’altro tenti di riferirsi direttamente a lui, e con ogni probabilità non gli importa neanche più niente di sapere ciò che accade in quella realtà da cui forse potrebbe sentirsi ancora circondato, ma che non sembra essere più di sua concreta appartenenza. C’è una chiusura, senza alcun dubbio, una definitiva separazione tanto netta quanto incomprensibile per tutto ciò che dovrebbe interessare tanto a tutti coloro che vivono e si muovono attorno a Toni Boi, quasi che tutto il mondo fosse relegato all’interno di un’atmosfera che non è più la sua, ed ogni stimolo giunto dal di fuori si infrangesse contro una corazza tirata su di colpo, all’improvviso, come un limite invalicabile oltre il quale niente ha la capacità di essere minimamente recepito.

 

Bruno Magnolfi