Sicuramente
lui è un uomo calmo e riflessivo, un tipo di persona di cui è certo che ti
potresti fidare ad occhi chiusi, se non fosse magari per la sua indole persino
troppo chiusa e taciturna che tende a non rivelare mai a nessuno il proprio
vero pensiero. <<Buongiorno>>, gli dicono al mattino i suoi
colleghi, quando con puntualità proverbiale arriva sul posto di lavoro, un
enorme capannone in periferia adibito alla logistica ed al deposito delle
merci; e mentre gli altri scherzano tra loro o si danno delle gran pacche sulle
spalle, tutti davanti a lui si fermano sempre un passo indietro, visto che
nessuno riesce mai a farlo sorridere, mostrando così di non accettare certe
confidenze. In genere avvia per primo il proprio muletto, per iniziare subito
dopo a movimentare gli innumerevoli bancali, senza mai stancarsi, senza quasi
permettersi una sola sosta, però svolgendo ogni manovra sempre con calma, senza
pretendere da sé stesso una fretta pericolosa e fuori luogo. Qualcuno forse
pensa che lui esageri, che il suo modo di lavorare sia fuori dal tempo, che le
sue invidiabili capacità non siano mai state in grado di rinnovarsi in tutti
questi anni. Ma quando un collega si rovescia su di un fianco con il proprio
mezzo uscendo con una ruota dal piano di carico, lui è l’unico che sa come
rimettere le cose a posto, con metodo, con impegno, con forza, e con l’aiuto
del suo fedele muletto.
Ed è quella
mancanza nel relazionare ai superiori su quanto è appena accaduto sia dentro gli
uffici che verso i propri caposquadra, nonostante non ci siano state delle gravi
conseguenze sia umane che materiali, che immediatamente lo mettono in una
posizione piuttosto difficile. Gli viene notificata una lettera con nota di
demerito che lui peraltro non accetta strappando il foglio in mille pezzi;
perciò, interviene con forza il sindacato che però non sa aiutarlo, come i suoi
colleghi che restano praticamente muti di fronte a quei fatti così come si sono
svolti. Lui per la prima volta alza la voce, dice che non potrà restare in un
luogo di lavoro dove la solidarietà è soltanto una parola a cui non conseguono
dei fatti, e così in quel giorno rassegna con stizza le proprie dimissioni, tra
la sorpresa generale. Immediatamente presenta richiesta di occupazione in altre
imprese dove la sua esperienza può avere un peso determinante, ma quando
vengono richieste le relative credenziali, nessun capo del personale può dar
seguito alla sua domanda. <<Gino>>, gli dice un amico che lo
conosce da tempo immemorabile, <<certe volte bisogna abbassare la testa e
riconoscere l’opinione generale. Probabilmente sarebbero pronti a riprenderti
subito nel tuo posto di lavoro, ma tu devi fare ammenda, e dichiararti pentito
di aver cercato di risolvere le cose per conto tuo, senza avvertire
nessuno>>.
Gino guarda
il suo bicchiere mentre sta seduto davanti al bancone del locale dove va ogni
tanto, e rimane in silenzio, pensieroso, riflettendo senza darsi pace su quel
divario che forse il caso gli ha messo di fronte per renderlo impotente. Sul
posto di lavoro immagina che gli altri abbiano a lungo parlato di lui e di
quanto gli è accaduto, ma sa anche perfettamente che le continue attività della
logistica copriranno presto tutte le opinioni, e che in poco tempo lui sarà
dimenticato, ed il suo modo di comportarsi diverrà solo un grave errore di un
bravo mulettista. Lascia trascorrere un’altra intera settimana lottando contro
il proprio orgoglio, e infine si presenta alla direzione della vecchia società,
chiedendo un colloquio con il capo del personale. Si siede di fronte a quella
scrivania, toglie il berretto inseparabile dalla sua testa calva, e dice
soltanto che ha necessità di tornare a lavorare. L’impiegato gli pone delle
domande, lo incalza, gli chiede i motivi veri che lo hanno portato a
comportarsi senza mostrare una vera fiducia verso la propria azienda, e Gino
dice soltanto che ha agito d’impulso a difesa di un collega, e che adesso però è
pronto a riconoscere le proprie mancanze.
Gli dicono
che lo contatteranno, la direzione prenderà in esame la sua richiesta, che gli
faranno sapere che cosa verrà deciso, però tra qualche giorno, appena ne
potranno parlare tutti insieme. Gino si alza dalla sedia, si sente ferito, sente
che quella è l’ultima volta in cui è potuto entrare dentro quella azienda, e
che probabilmente nessuno gli darà di nuovo il mestiere che ha esercitato per
tanti anni. Ma il giorno seguente, nella serata, vanno a trovarlo a casa quattro
o cinque dei suoi colleghi, compreso quello che aveva combinato l’incidente del
muletto, e c’è anche un sindacalista, e tutti gli chiedono di sedersi, di
parlare con calma, ora che è trascorso qualche tempo e che le cose sembra
proprio che abbiano assunto un diverso sapore. <<Gino, sono disposti a
coprire questo periodo come ferie>>, gli dicono, <<e tu se vuoi
puoi riprendere da subito il tuo posto di lavoro, dopo che avrai stracciato quella
tua lettera di dimissioni>>. Lui solleva lo sguardo, ringrazia, ma senza
commentare. Forse è una vittoria per qualcuno, pensa; ma non per lui, che resta
comunque della stessa opinione che aveva prima, anche se è la parte più debole del
sistema, e deve adeguarsi, almeno per adesso.
Bruno
Magnolfi