martedì 30 marzo 2021

Significati precisi.

 

            Oggi sono venuti a farmi una visita di cortesia certi parenti, così li ho fatti entrare in casa, ci siamo seduti, ho offerto loro qualcosa, poi abbiamo parlato del più e del meno, finendo immancabilmente per ricordare, con citazioni varie dei modi di dire o di fare, e anche rammentando a turno qualche piccolo aneddoto a loro attribuito, gli altri componenti, naturalmente ora assenti, della nostra grande famiglia, così come dicono loro: lo zio tale, la nonna instancabile, il nonno proverbiale, la biscugina emigrata, insomma tutti coloro che col trascorrere degli anni pare sempre siano stati i migliori e i più incredibili di tutti. Mi fa piacere in fondo mantenere i contatti con questi miei cugini, certamente sono da ritenere delle brave persone, anche se un po' troppo entranti e curiosi, almeno per me. Ad un tratto si sono affacciati al giardinetto sul retro, ed hanno salutato il mio vicino di casa, gesto questo che mi ha subito provocato irritazione, anche se ho trattenuto qualsiasi rimostranza nei loro confronti. Il mio vicino naturalmente non ha perso l'occasione per prodigarsi in sorrisi e discorsi magniloquenti sui suoi fiori e poi anche su di me, cosa che ha portato tutti a discorrere di qualsiasi argomento possibile per un tempo che a me è parso addirittura interminabile, tanto che ho dovuto interrompere tutti, a un certo punto, spiegando che purtroppo dovevo uscire di casa per un appuntamento, così in fretta mi sono liberato, anche se subito dopo ho dovuto dimostrare, se mai fossero rimasti in zona, che avevo da andare veramente in qualche posto.

            Ho preso la mia auto e mi sono fatto un giretto perciò, niente di particolare, giusto qualche strada del quartiere, per poi passare ad acquistare dei generi alimentari che nel momento in cui sono sistemati in dispensa, una volta o l’altra tornano sempre utilissimi. Quando infine sono tornato a parcheggiare la mia macchina nella strada dove abito, il mio vicino di casa, come già immaginavo, con la scusa di spazzare dalle poche foglie secche portate dal vento i due gradini davanti al portone condominiale della nostra palazzina, era lì che mi attendeva, sfoderando con un sorrisone il suo nuovo argomento acquisito: la simpatia manifesta, a suo spassionato parere, di tutti i miei parenti. Quello che temevo di più di fatto si è avverato: dare corda ad una persona insopportabile come lui, che non perde mai l’occasione per intrattenermi con le sue sciocchezze. Ho annuito naturalmente, ho spiegato che non li vedevo da diverso tempo, e che siccome non partecipo quasi mai ai pranzi rituali con la famiglia in occasione dei vari compleanni o per le festività maggiori, tendo in questo modo ad isolarmi da loro, anche se poi me ne dispiaccio. Ma subito ho pensato che il mio vicino non aveva il diritto di farmi parlare a ruota libera in questa maniera, per cui mi sono scusato e a testa bassa sono entrato nell’ingresso ed infine in casa mia.

Un impiccione, ho pensato in seguito con una certa irritazione, un vero ficcanaso che vuole sapere sempre qualcosa in più del dovuto sui fatti degli altri, sciaguratamente memorizzando con estrema rapidità tutto ciò che gli viene confidato, spesso e volentieri chiedendone conto in seguito, con quei suoi modi così untuosi e striscianti. Per cui ho sbattuto le mie compere dentro un armadietto e mi sono seduto sulla mia poltrona, ripensando a tutti i miei guai legati proprio all'avere un dirimpettaio con tale indole. In seguito mi sono dovuto rialzare per il nervosismo accumulato, ed allora sono uscito per un attimo nel giardinetto dietro casa cercando con lo sguardo proprio il mio vicino. Naturalmente lui era là come sempre a perdere del tempo, come fa addirittura troppo spesso. "Sono stanco", ho detto subito a voce alta, senza neppure riflettere alle conseguenze che il mio grido di dolore avrebbe potuto scatenare. Poi sono rimasto immobile e in silenzio. Lui mi ha guardato con stupore, poi lentamente ha lasciato allargare un leggero sorriso sul suo volto, ed a quel punto, in considerazione del mio comportamento sinceramente ambiguo, anch'io gli ho dovuto sorridere, come per togliere valore a quanto di negativo gli avevo appena urlato. Siamo rimasti così, a guardarci, quasi per un minuto o due, poi io ho voltato la faccia ed alla fine sono rientrato in casa. In fondo tutto quello che avevo intenzione di dirgli, lo avevo detto. Stava a lui adesso comprendere il significato più giusto da dare a tutta la faccenda.

 

Bruno Magnolfi

domenica 28 marzo 2021

Sottile parete divisoria.

 

       

            Lui in questo momento si trova dentro casa sua, dall’altra parte della parete che purtroppo abbiamo in comune. Lo immagino, ne sono sicuro proprio come lo avessi di fronte, mentre continua a trafficare intorno alle sue solite sciocchezze, e provo un sentimento quasi di repulsione verso tutto quello che riesce o non riesce a combinare nella sua giornata, rispecchiato con evidenza in questo suo perenne perdere del tempo che solo un pensionato con la sua indole è capace di innalzare a impegno, fino a farne una scienza vera e propria. Non mi decido neppure ad uscire nel giardinetto che si apre sul retro della mia abitazione, perché lui al solo vedermi potrebbe subito chiamarmi dall’altra parte della recinzione, e poi, attraverso la rete, prendere a parlarmi per ore delle medesime cose di sempre, come se a me davvero interessassero. Mi muovo con circospezione persino mentre rimango nascosto tra queste mie stanze di casa, in maniera da non permettergli di scoprire, provocando involontariamente qualche piccolo indesiderato rumore, la mia inequivocabile presenza dentro la mia abitazione, in modo tale da rendergli quasi insospettabili persino i miei comportamenti più ovvi e più abitudinari. Ci tengo alla mia privata solitudine, non vorrei mai che qualcuno tra coloro che mi conoscono fosse capace di inserirsi nella mia raggiunta intimità. Poi mi siedo, apro un libro scelto tra tanti, cerco di concentrarmi su qualcosa che non sia racchiuso tra queste quattro mura, anche se provo qualche fatica nel portare avanti questa operazione.

Anche il mio vicino di casa probabilmente sta leggendo qualcosa penso, o almeno lo presumo, ma sicuramente di una natura molto diversa dal mio libro. Ci possono anche essere delle piccole differenze nei comportamenti, minimi divari che rimangono comunque assolutamente incolmabili per quanto si cerchi di non dare loro troppa importanza, e poi forse lui, a pensarci bene, non possiede neanche sopra gli scaffali dei veri e propri libri, o se li ha non si è neppure mai provato nel leggerne qualcuno. E’ una persona senza pretese, un tizio come molti che si perde in tante piccole minuzie da osservare e di cui tenere conto, così come mi spiega certe volte quando ci incontriamo nell’ingresso condominiale che abbiamo in comune, o mentre passeggiamo nei nostri rispettivi giardinetti sul retro, e non riesce mai a dare la giusta importanza a cose che per me sono senz’altro più meritevoli di una certa attenzione. Peraltro non capisco proprio come si possa impegnarsi come fa lui nell'osservazione attenta del comportamento di una semplice farfalla, oppure nello studiare il percorso labirintico delle formiche sulla terra nuda, mentre si impegnano nel trasporto delle riserve di cibo fino alla loro tana segreta. Mi pare impossibile, ecco tutto. Un gettare al vento delle giornate intere che possono essere dedicate ad attività ben più importanti.

Mi distolgo poco per volta dai pensieri che nella mente mi si formano con spontaneità intorno al mio vicino di casa. Certe volte ho desiderato addirittura che se ne andasse, che cambiasse abitazione, ma alla fine mi è sempre sembrato che il suo esempio, pur negativo, fosse da considerarsi come un tipo di comportamento da cui prendere sempre le distanze, e quindi quasi una spinta per ognuno ad essere differente sia da lui che dai suoi atteggiamenti, lontano dai suoi modi di occupare la giornata, diverso, quasi come quegli elementi chimici che non si mescolano mai, non avendo proprio niente in comune, pur appartenendo di fatto ad una medesima categoria. Lo tollero, gli presto il sale oppure il caffè, quando rimane senza, e la stessa cosa fa anche lui nei miei confronti. Mi presto ad ascoltarlo quando certe volte dimostra di aver voglia di parlare con qualcuno, ma ciò non significa per niente che io ritenga di aver davvero qualcosa in comune con un personaggio di questa specie. E questo è dimostrato anche dal fatto che è quasi sempre lui a cercarmi, e che difficilmente avviene l'esatto contrario. Sono convinto che il mio vicino sia un individuo che poco per volta è stato lasciato solo da tutti quanti coloro che frequentava, ed io al contrario sono uno che ha sempre coltivato come qualcosa di fondamentale la propria solitudine. Il risultato nelle nostre rispettive giornate potrebbe apparire non molto differente a prima vista, ma nella sostanza so per certo che noi due siamo persone talmente distanti da apparire incolmabile la nostra separazione, anche se è soltanto una sottile parete a definirla.

 

Bruno Magnolfi

giovedì 25 marzo 2021

Argomenti futili.

 

            Oggi, naturalmente con tutta la circospezione che ci vuole in questi casi, ho accostato l’orecchio a quel benedetto portoncino interno, perfettamente simmetrico al mio rispetto al pianerottolo, dell’appartamento dove abita il mio vicino di casa, al piano rialzato di questa palazzina condominiale lungo una strada silenziosa, piuttosto fuori mano, ma caratterizzata da tanti piccoli giardinetti recintati, sia di fronte alla via, che dietro alle case di due o tre piani ben allineate tra di loro, dipinte esternamente con diversi colori chiari, e le persiane invece verniciate  tutte di verde. Sono già un paio di giorni che non avverto alcun movimento nelle sue stanze, in considerazione del fatto che abbiamo anche una parete praticamente in comune, e persino scrutando ad orari diversi il retro delle nostre abitazioni gemelle, non sono riuscito mai a vederne nemmeno la sagoma. Silenzio, anche in questo preciso momento, come se lui fosse partito per chissà dove, senza neanche avvertire. Così sono rientrato in casa mia, ma dopo poco, mosso da una forte apprensione per quello che eventualmente possa essergli accaduto, mi sono presentato di nuovo sopra al pianerottolo per bussare leggermente con la mano su quel legno lucido di colore scuro, sotto alla targhetta plastificata che riporta a stampatello il nome appuntato e il suo cognome.

            Nessuna risposta, così sono tornato dentro alle mie stanze lasciando la mente girare attorno a diverse congetture, tutte poco verosimili. Qualcosa di strano sta accadendo, ho riflettuto: un improvviso malore che lo ha portato a presentarsi personalmente ad un pronto soccorso, ad esempio; oppure qualche parente che lo ha richiamato a sé per qualche importante ragione; o ancora il bisogno improvviso ed irrinunciabile di allontanarsi immediatamente da tutto, salvo tornare indietro tra qualche giorno, forse tra una settimana, rinfrancato e magari più soddisfatto di sé. No, non erano queste le ragioni per cui il mio vicino adesso era assente, semplicemente perché lui di una cosa del genere mi avrebbe puntualmente informato, come fa sempre, anche fin troppo. Avrebbe detto il mio nome avvicinandosi alla recinzione divisoria dei nostri giardinetti, ma senza gridare troppo, con le sue maniere calme e pacate, e poi mi avrebbe spiegato tutto quanto, ne ero più che certo, perché sarebbe stato questo il suo stile, il suo modo normale di comportarsi.

   Ho girato dentro casa mia senza riuscire a decidere di fare qualcosa che alleggerisse i miei pensieri. La mia giornata sembra quasi risucchiata interamente da questa piccola preoccupazione, ho riflettuto, non lasciandomi la possibilità di fare altro. Così ho preso un piccolo foglietto di carta su cui scrivere un messaggio da attaccare alla sua porta, ma mi è subito venuto da ridere, soprattutto perché non è il caso che lui si senta troppo controllato con le mie attenzioni. Perciò ho lasciato perdere tutto quanto, ho indossato la giacca rimasta appesa all’attaccapanni e poi sono uscito, quasi a dimostrare la mia indipendenza, sia nei suoi confronti, che di tutte le sue strane faccende. Ho girato per qualche strada del quartiere senza darmi neanche una meta precisa, e non ho incontrato neppure una persona con cui poter scambiare qualche parola, così alla fine sono tornato verso casa. Ho rallentato gli ultimi passi, quasi per dare un po’ di tempo in più al mio vicino di casa per farsi vedere come sempre, ma poi, dopo qualche sguardo lanciato attorno, ho girato la chiave nel portone e sono tornato a sedermi come sempre sopra al mio divano. Ho acceso la televisione, subito di nuovo spenta, ho preso un giornale per leggere, poi un libro, infine sono tornato ad osservare dai vetri il giardino dietro casa mia, ed è stato in questo preciso momento che ho avvertito dei rumori provenire proprio da quella zona. Lui era là, esattamente in giardino, che girellava adesso sul vialetto come se niente fosse, tra le rose fiorite e le altre sue stupide piantine, mostrando, con chiaro distacco da tutto, che non si era mai neppure sognato di muoversi dalla sua abitazione. Ho pensato subito di chiamarlo, di chiedergli qualcosa in più, e dimostrargli anche le mie ormai superate preoccupazioni, ma poi sono tornato con indignazione a sedermi sul divano del salotto: cosa mi interessa di ciò che fa oppure non fa questo mio vicino di casa, ho riflettuto; basta non venga di nuovo da me per imbastire qualche nuovo argomento di conversazione, e ad annoiarmi.

 

            Bruno Magnolfi  

martedì 23 marzo 2021

Dettagli di memoria.

 

  

            Oggi il mio vicino di casa mi ha chiamato per nome, facendo sentire la sua voce leggera dal  giardinetto sul retro della sua abitazione, confinante con il mio. Ho atteso un momento per essere proprio sicuro di aver compreso bene, quindi mi sono appena affacciato sulla soglia socchiudendo la porta vetrata che immette là dietro. Ho detto a voce alta che purtroppo ero impegnato in quel preciso momento, in questo modo prendendomi un po’ di tempo prima di tornare ad uscire per ascoltare sicuramente un altro dei suoi tanti stupidi argomenti con cui ogni tanto mi intrattiene. Non lo sopporto, questo è il punto, specialmente quando attacca con le sue considerazioni generiche sul mondo, oppure attorno alle sue piccole attività casalinghe. Ogni volta che ha da dirmi qualcosa, sembra che intenda mettermi al corrente di chissà quale segreto di stato, abbassando la voce ed usando frasi e parole circostanziate, prendendo anche le distanze da ogni affermazione, e limitandosi a riportare ciò che ha letto o sentito. Sono rientrato nel mio appartamento, ho fatto qualcosa per impegnare almeno un po' di tempo, poi dopo circa dieci minuti sono uscito in giardino. Lui naturalmente era lì che mi aspettava. "Mi dica pure", ho fatto a voce alta come per mostrare una certa determinazione nel mio comportamento. Ma a quel punto il mio vicino, invece di parlare, mi ha mostrato, allungando il braccio per conservare la giusta distanza imposta dalle autorità sanitarie, una piccola fotografia stampata su cartoncino, un’immagine in cui era ripreso lui stesso, molto più giovane di adesso, intento nell’osservazione di qualcosa fuori dal campo visivo dell’obiettivo.

            L’istantanea mi è parsa subito particolare, insolita, come qualcosa che non si riesce ad afferrare del tutto, e difatti non saprei per nulla spiegare il motivo di quella singolarità, in ogni caso ho subito accennato ad un sorriso di compiacimento, quasi che comprendessi perfettamente che cosa lui intendesse sottolineare nel mostrarmela; ed anche se nell’immediato non ho detto niente, il mio vicino, ritirando verso di sé il braccio con la fotografia, ne è sembrato subito molto soddisfatto. Forse, non avendola più sotto gli occhi, ho immaginato che forse avrei dovuto notare qualcosa sullo sfondo, ma lui ha detto che era stata scattata esattamente l’anno in cui aveva preso in affitto la propria abitazione, ed allora tutto mi è parso più chiaro. All’epoca io abitavo già lì, e così ho immaginato intendesse dirmi che noi due siamo vicini di casa oramai da molto tempo, perciò ho socchiuso gli occhi con espressione ulteriormente compiaciuta, cercando di dare alla faccenda la stessa importanza che sembrava darle lui. Poi però ha detto: “avevo ancora il mio gatto quell’anno”, e così mi sono sentito del tutto fuori luogo, visto che non avevo mai notato che lui avesse avuto un gatto in passato. Mi ha guardato un attimo con gli occhi tristi, ed io ho detto soltanto: "già", sottintendendo che così è la vita, oggi ci siamo e domani non più, riferito però al gatto.

Stavo quasi per rientrare, quando lui ha detto che quel gatto adesso gli manca, e che se fino ad oggi non ne ha preso un altro esemplare, è stato soltanto per evitare di soffrire di nuovo come quella volta. Ho detto che comprendevo i suoi sentimenti, ma subito mi sono sentito ridicolo, e poi avevo voglia di terminare in qualsiasi maniera quella conversazione secondo me assurda, così gli ho spiegato che avevo lasciato a metà delle cose di cui mi stavo occupando, e allontanandomi dalla recinzione divisoria dei nostri giardinetti, sono rientrato nella mia abitazione. Ho visto con la coda dell’occhio che lui è rimasto fermo ancora per un po’, nella stessa esatta posizione di prima, come se io fossi ancora lì di fronte a lui, ma infine si è deciso a girarsi e probabilmente ad occuparsi di altro. Ognuno ha i propri problemi, ho pensato. E nel corso degli anni certe volte si resta colpiti da qualche ricordo che appare incancellabile. Ma questo tipo di memoria non è condivisibile, tutti lo sanno, tanto che non capita mai di dovere far fronte a situazioni del genere. E comunque, anche se ci ripenso, rimango convinto di non averlo proprio mai visto, quel gatto.

 

Bruno Magnolfi

lunedì 22 marzo 2021

Sarà tutto perso e inutile.

 

Spesso mi fermo ad osservarlo, il mio vicino di casa, naturalmente senza che lui possa accorgersi minimamente della mia presenza, nascondendomi con attenzione dietro la persiana di casa mia, oppure immobilizzandomi all'angolo del muro tra i nostri giardinetti confinanti, divisi per il resto da qualche metro di rete metallica, sul retro delle rispettive abitazioni dove mandiamo avanti le nostre esistenze parallele da una quantità di tempo quasi immemorabile. Lo scruto, lo studio, cerco di afferrare il senso dei suoi pensieri decodificando quei gesti consueti che gli vedo compiere più per abitudine che per necessità, almeno secondo me. Adesso che abbiamo tutti molto più tempo per starsene tra le mura domestiche, anche i particolari una volta irrilevanti appaiono improvvisamente, almeno per conto mio, un sicuro oggetto di curiosità e di interesse. Io cerco di scoprire soprattutto quali siano i motivi che spingono il mio dirimpettaio a mostrarsi quasi sempre così allegro, tranquillo, soddisfatto di sé, contento forse di quelle minime cose di cui si interessa. Ci deve essere un segreto dietro al suo comportamento immagino, così lo spio, proprio per riuscire a comprendere meglio e appieno, cosa io debba pensare di lui e quale giudizio darne. Perché alla fine, nonostante lo veda e lo conosca da parecchio tempo, mi pare tutto sommato un individuo sfuggente, estraneo, forse sconosciuto. Certe volte mi accorgo che riesce a trascorrere delle ore intere gironzolando nel suo giardinetto, e tutto questo soltanto per osservare, con minuziosità ed una lentezza quasi estenuante, i germogli delle poche piante che lascia crescere in un fazzoletto di terra circondato da uno stretto cordolo di pietre piane. Naturalmente a me pare impossibile perdere del tempo dietro a certe sciocchezze, però so quasi per certo che qualcosa mi sta ancora sfuggendo.

Quando mi vede lui naturalmente mi saluta, anche per dieci volte in una stessa giornata, aggiungendo subito quelle sue piccole frasi consuete: "come va?"; oppure: "oggi c'è il sole"; o ancora: "ormai è già venerdì", come se attendesse da me chissà quali risposte o inizi di conversazione. Io invece mi limito in tutti questi casi a fare verso il suo indirizzo una smorfia sorridente, senza poi neppure tornare a guardarlo, e lui fortunatamente non insiste con le sue osservazioni che per lo più ritengo persino insulse. Quindi riprende imperterrito ad occuparsi delle sue cose. Lo sento certe volte che sbatte qualcosa per terra oppure su qualche parete, ed è forse una propria maniera per mostrare che lui c’è, è presente, sta lì tra le sue stanze a perdere del tempo e ad inventarsi qualcosa che magari ritiene persino utile. Lo tollero, questo è il punto, perché so bene che con tutte le trovate che riesce ad adottare in qualsiasi momento, non riuscirà mai a mostrarsi agli altri come una persona completa e interessante. Certe volte ascolta della musica, ma lo fa senza esserne orgoglioso, anzi, tenendo il volume del suo impianto quasi al minimo, come si vergognasse delle proprie scelte, ed il fatto che quelle che ascolta appaiono tutte registrazioni ormai datate, ne fa un cultore di materiali vecchi, privi di freschezza e di originalità.

Infine incontro il mio vicino qualche rara volta anche mentre esce di casa, ed allora lo inquadro subito nei suoi modi particolarmente attenti ad ogni comportamento da adottare in mezzo agli altri, ad iniziare da quel vestiario che, si vede, ci tiene molto ad indossare, come avesse un profilo pubblico ben diverso e separato da quello privato. Mi sembra quasi ridicolo, devo dirlo con sincerità, in quella sua pretesa piccola eleganza, ridotta a dei termini discreti, senza sfacciataggine, come se il suo aspetto rispondesse perfettamente ad un canone preciso, secondo il quale i colori dell’abbigliamento, ad esempio, si devono accostare sempre con gusto, ed ogni dettaglio non appaia mai legato al caso. Vorrei quasi evitare di salutarlo, quando lo incontro dal droghiere  oppure presso qualche altro negozio della zona, mentre naturalmente ci teniamo a debita distanza, ma è più forte di me l'abitudine, così rispondo come sempre con il mio solito saluto al suo cenno composto, fingendo quella cortesia che sembra del tutto naturale, proprio come se fossimo due vecchi conoscenti.

 

Bruno Magnolfi


venerdì 19 marzo 2021

Disperso chissà dove.

 

           

            La terra è dappertutto. La sento scorrere tra le dita della mano: è scura, morbida, composta di tanti minuti frammenti vegetali e minerali. Mi muovo sulla scarpata accanto al torrente, dove cresce qualche ciuffo d’erba qua e là, ed osservo tutta la zona più vicina, estesa sul piano di campagna allontanandosi da me a perdita d’occhio, fino ad una striscia dove una nebbiolina impalpabile riesce come a sfumare e a confondere i colori della valle con l’aria e il cielo terso. E poi immagino subito la battaglia ingaggiata proprio là, sopra quel piano; lo scontro tra una moltitudine di uomini robusti, sicuramente decisi ed anche energici, protetti però un poco alla meglio, con gli occhi ben sgranati, con le mani ingombre di qualsiasi cosa in uso per offendere, ed i piedi piantati con forza proprio in quella terra, come se fosse quella tutta la loro possibile salvezza, il sostegno ed anche il riparo ad ogni loro immutabile destino. Tutte sciocchezze quelle della storia: ciò che conta è ora, si dice spesso; il resto è un deposito omogeneo di resti indifferenziati, penso anch’io. Però c'è qualcosa che mi chiama in questo vasto pianoro senza gli alberi, come una voce grave che scaturisca fuori direttamente dal composto umido sotto ai miei piedi. Resto in ascolto, come aspettandomi di sentire ancora un piccolo richiamo, un qualche lamento, un grido di dolore. Disperso in guerra, recita la dicitura messa a punto dai vari governi ad indicare chi è sparito dentro un vortice violento, forse morto ammazzato, ucciso dal nemico, forse nascosto sotto falso nome, magari rifugiato chissà dove, come un eremita, a vivere alla pari di un qualsiasi animale di boscaglia, pur di non essere parte di una cosa inaccettabile.

            Mi muovo leggermente nella mia silenziosa solitudine, poi vado a sdraiarmi sul campo più vicino, ad ascoltare come fosse un suono reale quel probabile miscuglio indistinto di grida e di voci confuse tra di loro, e a saggiare meglio e di nuovo il contatto con la terra, la sua solidità fissata da sempre in infinite superfici ricoperte dal tempo con altre e nuove superfici, e mi immagino alla fine anche la polvere millenaria accumulata, adagiata dalle stagioni poco per volta sopra tutto quanto, come una coperta calda. Rifletto su quegli uomini ormai vinti, insieme anche a qualcuno tra quelli vittoriosi, feriti a morte e finiti inesorabilmente a terra, per andare ad abbracciarsi là sopra e a confondersi infine tra di loro, per ritrovarsi poi, poveri corpi martoriati, affondati nella terra poco per volta, come navi sbattute dai marosi, con le loro armi, tutte le energie disperse, e gli ultimi pensieri dell’esistenza che d'improvviso sfugge loro in quell’ultimo attimo di presenza in questa vita, senza alcuna possibilità diversa. Disperso: infruttuose le ricerche, se davvero sono state fatte, nel ritrovare un giorno i poveri resti, pur avendoli cercati in mezzo a tutto quanto come si fa generalmente per un oggetto senza un vero valore e di rapido degrado, e poi abbandonato così, forse nel luogo più adeguato a diventare semplicemente terra per l’agricoltura, penso.

Ecco, questo è quello che adesso vedo proprio qui davanti a me, quello che sento con le dita in mezzo ai fini frammenti di tutto il materiale che compone questo terreno della campagna abbracciata dal mio sguardo. Poi riprendo il sentiero che senza fretta si inoltra fino alle prime case del paese, dove i vivi mandano avanti le loro attività con la consapevolezza dell’importanza del presente, spesso superiore ad ogni tipo di memoria. Per strada incontro una donna sorridente che volentieri mi saluta, ed io naturalmente rispondo subito al suo cenno, chiedendole se fosse a conoscenza, in mezzo a tutte quelle dolci colline, di quale vallata avesse visto trucidati quei poveri partigiani che in tempo di guerra si dice tentarono una sortita contro un gruppo di tedeschi acquartierati in quelle case poco lontano. “Non saprei”, dice questa donna soffermandosi un momento; “però ha ben poca importanza, tanto la terra li ha inghiottiti tutti, come non fossero neppure mai esistiti”. Scuoto la testa come per annuire alle sue parole, anche se non credo molto a quella conclusione. Quindi la saluto e poi proseguo. Questo è il caduto vero, penso adesso; colui che è stato dato per disperso, che è morto proprio anche per gli altri, e che noi tutti non siamo stati neppure capaci di immaginare veramente, neppure nel suo attimo finale.

 

Bruno Magnolfi  

mercoledì 17 marzo 2021

Abitudine al silenzio.


"Eccoci qua nuovamente", fa Umberto nel tentativo di mostrarsi simpatico ai suoi amici di sempre, anche se sembra che in questo momento non ci sia proprio niente nell'aria che incoraggi la voglia di essere allegri. In ogni caso gli altri due, al solo vederlo, gli fanno un piccolo cenno di saluto, come sempre peraltro, e poi in silenzio riprendono a camminare insieme a lui lungo la strada che scende lentamente dal caseggiato e porta verso il fiumiciattolo che scorre tra due file di alberi. Sono ormai molto anziani, hanno tutt'e tre quasi la medesima età, ed ogni giorno, durante le ore del primo pomeriggio di ogni bella giornata, si ritrovano in piazza per concedersi una passeggiata tranquilla un po’ fuori dal loro paese, giusto per tenere in forma le gambe e scambiare quattro parole. Si conoscono da sempre, un tempo si vedevano spesso anche al circolino, ma adesso che quello è stato chiuso, purtroppo devono arrangiarsi così. “Ho fatto un sogno”, dice per ridere Umberto, che è quello normalmente più arzillo dei tre; “eravamo molto più giovani di adesso, e si andava tutti sul prato oltre il fiume, insieme alle nostre donne, e là ad aspettarci c’era già mezzo paese coi vestiti da festa, e qualcuno in mezzo a quelle persone suonava la chitarra, e un altro anche la fisarmonica, mentre gli altri cantavano, e allora si ballava e ci si divertiva parecchio, meno voi due che restavi in disparte col muso lungo come vi avessero fatto un dispetto”.

Gli altri due vecchi sorridono leggermente a queste storielle che spesso racconta Umberto soltanto per prenderli in giro, ma il fatto è che loro non hanno mai troppa voglia di essere allegri, e anche quando si mettono a parlare di qualcosa, scelgono sempre degli argomenti di grande serietà, come se tutto dovesse mostrare sempre e soltanto un aspetto buio e privo di gioia. Umberto sa benissimo che certe volte le condizioni e gli acciacchi dati dall’età portano tutti ad essere più tristi e scontrosi, ma secondo lui è proprio questo il male da curare ogni giorno: scacciare dalla mente i pensieri peggiori per sostituirli con altri decisamente più leggeri e sereni. Il loro stesso vedersi ogni giorno, secondo il proprio modesto parere, dovrebbe essere qualcosa di spensierato, di piacevole, privo di malinconia, ed è questo che lo incoraggia con i suoi due amici a parlare sempre di cose frivole capaci di spingere il morale più in alto. “Ci sarà tutto il tempo più avanti per essere tristi”, dice loro certe volte. Poi ricomincia a raccontare qualche storiella che inventa di sana pianta, giusto per vedere gli altri due ombrosi almeno sorridere un po’.

Hanno fatto il servizio militare da ragazzi, tutt’e tre, ed ogni tanto si sentono presi dalla voglia di ripensare a qualche particolare che nei loro ricordi sembra sempre successo appena ieri. Poi arrivano al fiume, dove c’è un ponticello e un paio di panchine dove ci si può riposare un momento. Si piazzano lì e parlano di tutto, anche se rimangono sempre tra loro ad una certa distanza, proprio come vogliono le regole imposte dalle autorità che guidano la nazione. Ma Umberto ad un tratto si tocca la fronte, dice che non sta tanto bene, ed è meglio se tornano indietro. Gli altri due non lo prendono molto sul serio agli inizi, ma dopo poco si mostrano più preoccupati, ed anche se non si potrebbe, prendono l’amico sottobraccio per cercare di sorreggerlo, come facevano una volta quando qualcuno beveva un po’ troppo. Tornano indietro naturalmente, con calma e attenzione, ed in questo breve viaggio Umberto sembra peggiorare rapidamente, tanto che giunti alle prime case del loro paese, sembra quasi non farcela più, fino al punto di fermarsi continuamente a prendere aria e a far riposare le gambe. Infine giungono alla sua casa, e c’è sua figlia che subito si prodiga, sia per farlo sdraiare sul letto, che per chiamare il dottore. Loro due restano in attesa fuori dall’abitazione, e si grattano la testa dalla preoccupazione che provano per il loro amico, ma dopo poco viene fuori la donna a dire che Umberto si sente già meglio, e quel malessere di poco fa gli è quasi passato. “Ci ha voluto fare un altro scherzo dei suoi”, dicono allora quei due; ma mentre tornano anch’essi alle loro abitazioni, pur tranquillizzati come si sentono adesso, meno che mai provano la voglia di ridere, ed anzi una volta tanto forse piacerebbe a tutt’e due persino abbracciarsi e piangere un po’, e dire ad Umberto che hanno avuto davvero paura, e che gli vogliono bene, tanto che è meglio divertirsi davvero, come dice lui, finché ce n’è il tempo; ma infine anche loro si salutano con il solito cenno, restando come sempre in silenzio.

 

Bruno Magnolfi      


lunedì 15 marzo 2021

Subire gli eventi.

 

Dicono tutti che non c'è da fidarsi. Lei ascolta sempre la poca gente che incontra per strada, o quando si mette in fila alle casse del piccolo supermercato vicino casa sua. Spesso scuotono la testa, quelle persone che in generale conosce soltanto di vista, e che in fondo scambiano poche parole tra di loro, come se avessero ormai pochi argomenti e non sapessero più di cosa parlare, se non fare i medesimi discorsi di sempre; quindi annuiscono, condividono, e poi soprattutto aspettano. Già, perché ci vuole tanta pazienza, pensa lei; perché dovrà pur passare prima o dopo questo tempo così privo di tutto, che nessuno credeva neppure possibile, e che invece ha mostrato con evidenza le nostre profonde debolezze. Anche lei aspetta, proprio come gli altri, perché è certo che ne ha di pazienza, che ne ha sempre avuta, fin da quando era piccola. Forse non è servito a molto essere così: sempre pacata, anche timida, del tutto rispettosa dei rapporti con i suoi familiari e con le poche persone che ha frequentato per tutto questo tempo fino ad oggi; però questa è la sua natura, e poi ha sempre sentito come un freno dentro di sé, qualcosa pronto a trattenere qualsiasi diverso stato d'animo. Qualche volta le è sembrato persino di essere senza caratteristiche, una donna qualsiasi, addirittura soltanto una sempliciotta, però ogni cosa da fare ha sempre cercato di meditarla a lungo per non sbagliare, e quando ogni volta ha preso una decisione, si è comunque mostrata subito pronta a cambiarla, al solo accorgersi che non era quella giusta. Adesso raccoglie le piccole informazioni che circolano nel suo quartiere, e intanto attende, come tutti.

La sua vicina sottovoce le dice dalla finestra che tutto sembra incerto, si può soltanto vivere alla giornata, perché non c'è rimasta alcuna sicurezza su cui contare, e lei annuisce: "ha ragione, dobbiamo sopportare", le risponde per dare sostegno alle parole dell'altra. Poi rientra nel suo appartamento per impegnarsi come sempre nelle cose che le piacciono: riassettare le stanze, occuparsi della cucina, mettere ordine negli armadi e sopra ai mobili, ma non sente di avere più lo spirito giusto per far fronte a queste semplici attività, perché quel poco di entusiasmo che ha quasi sempre avuto fino ad oggi, utile peraltro a far scorrere bene ogni giornata, in questi ultimi tempi si è come esaurito, dissolto, svanito. Tutto adesso sembra improvvisamente un po’ ostico, poco lineare, come qualcosa che non si lasci più addomesticare facilmente, e che spesso si mette di traverso, generando in chiunque un senso continuo di fatica ed anche di oppressione, senza lasciare a chi si impegna, il piacere di fare le cose, per semplici e persino ordinarie che possono essere. Viene voglia di non fare più niente, pensa lei qualche volta negli ultimi giorni, riflettendoci sempre più spesso.

In fondo la sensazione è quella di un tempo sospeso, come se fosse possibile, alla fine di tutto, riprendere ogni cosa precedente e d’improvviso portarla in avanti, annullando tutto un periodo, azzerando in questo modo ogni aspetto negativo di un momento come quello finalmente lasciato alle spalle, ed è proprio questo che sembra emergere sempre più spesso nei sentimenti di tutti in questo preciso intervallo di tempo. "Signora mia", le dice ancora la vicina di casa; "dobbiamo pur vivere"; come se anche questa non fosse vita, quasi che per davvero le cose si fossero fermate sul serio. "Si aspetta", risponde lei allargando le braccia e senza aggiungere altro, come se l'opinione imperante fosse quella descritta da tutti, e nessuno si potesse permettere di metterla minimamente in discussione. Poi lei riprende con le proprie faccende, dopo aver chiuso la finestra dopo tutti i commenti che non servono a niente. L’attesa comunque fa parte della nostra natura, pensa adesso, dopo averci pensato un momento. Però dovremmo cercare la forza di cambiare le cose, invece di subirle.

 

Bruno Magnolfi 


venerdì 12 marzo 2021

Nessun disturbo.

 

         

            Mi sono ficcato in un angolo. Mi tengo le ginocchia e sto rannicchiato. Cosa m’importa di tutto il resto, sto qui da solo con le mie ossa, tanto non c’è nessuno che mi cerchi, che mi voglia, che abbia bisogno di uno come me. Non sono ubriaco, il fatto è che in questo momento non riesco neanche più a fare un ragionamento che abbia un minimo di logica, tanto vale che mi lasci andare, già sono dimagrito parecchio per i pasti saltati, e poi questa febbre che sento rialzare ogni volta che soltanto ci penso, sono certo sarà di sicuro proprio quella che mi porterà via. Nel mio rifugio di animale braccato oramai non c’è niente, soltanto delle scatole di cartone e qualche coperta, come servissero delle cose del genere a tenere lontano questo malessere che non accenna ad allentare la morsa. Però, anche se stessi bene, in fondo sarebbe la medesima cosa. Se vai in giro le persone per strada neppure ti vedono. Perché tu sei soltanto il niente, un elemento di qualche sondaggio, un fastidio per tutti, diciamolo chiaro, anche per coloro che lo negherebbero con forza se soltanto ne avessero voglia. Non mi va di andare in un ospedale, lì sarei di nuovo soltanto un numero, un corpo sdraiato su un letto in cui infilare degli aghi e su cui tentare cure che in seguito potrebbero soltanto servire a qualcun altro. Voglio starmene qui, con la mia febbre sudata, ad aspettare la fine che mi farà sfuggire a tutti i pronostici, a ciò che qualcuno sicuramente ha già deciso per me.

            Ho una bottiglia di riserva da qualche parte, ma ne ho preso soltanto un paio di piccoli sorsi, il resto lo tengo per i momenti difficili, perché tanto lo so che le cose non potranno altro che peggiorare per me. Potrei mettermi qui a ripensare al passato, convincermi persino che non ho alcun rimpianto, e se è andata così è perché non c’era nessun’altra possibilità per uno come me, e questo che sono diventato rappresenta semplicemente il meglio di tutto quello che avrei mai potuto fare. Però evito certi ragionamenti, non portano mai a niente di buono, perché tutto quello che conta davvero è soltanto il presente, il resto è soltanto un mescolo di nostalgie e sentimentalismi senza uno scopo. La mia febbre sale, la sento, ho la fronte sudata, ho voglia di chiudere gli occhi senza pensare più a nulla, anche se un minimo di me avrebbe ancora voglia di reagire, di scuotersi di dosso la malattia, di lottare, perché tutte le cose per me sono sempre state una terra di conquista, qualcosa da guadagnarsi a morsi di fame, come fossi un bastardo disperato giunto dalle steppe di chissà dove per accaparrarsi almeno qualcosa, un pezzo di pane, un cucchiaio di minestra, a giustificazione di tutto lo sforzo compiuto, della strada percorsa, di questa fatica infernale impiegata ogni giorno senza mai riposarsi, fino all’estremo, fino a ritrovarmi spossato, senza più forze, sfinito.

            C’è l’infermiera adesso che dice forte il mio nome nell’aria tiepida di questa camera, che cerca in qualche modo di scuotermi, di liberarmi almeno in parte da questa nebbia che è rimasta attaccata ai miei occhi, mentre a me verrebbe soltanto da ridere: non ci sarà alcuna salvezza sotto alle bianche lenzuola  di questo letto, non c’è futuro per me, perché non ho più voglia neppure di pensare a me stesso, di convincermi che sono persona, uno come tutti, e che posso ancora dire: sono qua, un individuo che possiede una personalità, una volontà, un proprio ragionare, perché non è vero. Sono soltanto quello che volete che sia, ma non è colpa vostra, sono le cose che stanno in questa maniera, e tutto è capitato senza un disegno preciso, come se il caso avesse voluto giocare con noi. “E’ ancora alta la febbre”, dice il dottore, “dobbiamo far questo, e poi anche quest’altro, e ancora provare”. Lasciate perdere, penso ancora io rannicchiato come sto dentro al mio corpo; non serve a niente darsi tutto questo disturbo, le cose si sono messe in questa maniera, non avverrà alcun miracolo, sarà molto meglio per tutti che io mi tolga dai piedi e lasci a coloro che restano un ricordo almeno positivo; oppure niente, perché tanto quello che è stato fino adesso è soltanto qualcosa da dimenticare, e il mio presente non riscatta nemmeno una parte del mio essere stato. Perciò arrivederci, penso con ironia, la mia febbre è la più forte di tutti, e sicuramente avrebbe vinto lo stesso, anche se non le avessi dato il mio aiuto per trovare la strada migliore e più facile.

 

            Bruno Magnolfi

giovedì 11 marzo 2021

Non condivisibile.


"La sola cosa positiva che riesco ad avvertire ultimamente è il tempo che trascorre, e fa  comunque sentire più vicini anche i miglioramenti che sono sicura dovranno per forza arrivare prima o dopo. Quando una giornata volge al termine ad esempio, è come se immaginassi ormai prossimo lo scopo finale di tutto quanto, lasciando scendere dentro di me la sensazione di completezza che in fondo sembra sempre spaziare sopra tutto. Mi perdo certe volte nelle riflessioni che faccio da sola attorno a quello che avrei potuto scegliere di diverso in tutti questi anni, ed adesso che le cose sembrano indirizzate proprio verso il peggio, ecco che diventano ogni volta più brucianti le mie possibilità mancate, ed anche le tante occasioni perse, spesso perfino per ragioni insulse". Camminano, loro due, tenendosi sempre a distanza di sicurezza, scambiandosi i pensieri e definendo in qualche modo i diversi punti di arrivo delle differenti giornate, poi si salutano come sempre ad un certo incrocio tra due strade, dandosi appuntamento per l’indomani alla medesima ora, proprio per compiere insieme e di nuovo quell’identico percorso, sia pedonale che riflessivo. Un'abitudine, oramai, niente di più. Eppure anche una delle poche possibilità che hanno loro due per scambiare una parola pacata e giudiziosa con qualcuno. Lei quasi non si rassegna ad aver deciso tanto tempo fa di abitare da sola, e lo pensa certe volte, con la consapevolezza chiara che almeno in altri momenti avrebbe potuto fare senz’altro delle scelte differenti. Ma questo non lo dice alla sua amica, è un altro cruccio tra molti che ritiene però del tutto intimo, non condivisibile.

L’altra invece abita con la sorella, con cui peraltro non va neppure troppo d’accordo, ed infatti la maggior parte delle volte tende a parlare e a sfogarsi con l’amica di quel cattivo rapporto di cui soffre, sostenendo sempre alla fine, forse anche per riuscire a sopportare meglio quella situazione, di essersi formata negli anni con una personalità e delle idee completamente diverse da quelle di sua sorella, tanto da essere indotta costantemente a comportamenti differenti da lei, anche e soprattutto a riguardo delle ordinarie sciocchezze casalinghe. “Stare chiuse in casa poi, anche per intere settimane, è diventato spesso complicatissimo”, conferma qualche volta cercando una spiegazione al suo nervosismo piuttosto evidente. Comunque le due donne si impegnano a camminare ogni volta con costanza, anche nella convinzione che questo muoversi nell’aria pomeridiana del quartiere sia per ambedue di grande beneficio, oltre che al fisico, anche e soprattutto al proprio morale. Perciò non ci rinunciano, e nonostante qualche acciacco dato dalla loro età di ultra cinquantenni, proseguono ad incontrarsi tutti i giorni.

  “Anche io ho l’impressione, al termine di ogni giornata, che l’unica cosa positiva da salvare sia soltanto la consapevolezza che tra poche ore stia comunque per sopraggiungere una pagina completamente nuova, forse anche migliore di quella precedente, ed in questa convinzione trovo conforto, con la coscienza cioè di riuscire ancora ad essere ottimista”. Hanno preso a scambiarsi un bacio loro due, quando si salutano per tornarsene alle rispettive abitazioni; non uno vero, naturalmente, soltanto un piccolo schiocco lanciato con la mano, come se da quel gesto si potesse così trasferire tutto l’affetto che provano l’una verso l’altra. Forse hanno anche avuto dei pensieri reciproci più intimi qualche volta, ma ormai non c’è più neppure l’età a rendere tutto facile e possibile. Va bene così, sembrano dirsi con quel bacio figurato, nella speranza che il loro arrivederci al giorno che segue, sia portatore di buone novità, che nel loro caso forse vuol dire almeno una maggiore vicinanza, magari uno stringersi a braccetto mentre proseguono come sempre a camminare, forse uno sfiorare il viso dell’amica con le mani, fino a parlare tenendo ognuna la bocca vicina all’altra, quasi a respirare così una stessa aria, come per provare le medesime sensazioni, come a scambiare qualcosa che sta dentro, in fondo a loro stesse; quel qualcosa che non si sono dette mai, e forse non potranno dirsi.

 

Bruno Magnolfi


martedì 9 marzo 2021

Divisioni inevitabili.


 

"Ci sono delle cose da bere, se ti va", le fa lui entrando in casa e proseguendo a fumare. La musica casuale a basso volume nella stanza, subito messa in funzione, riempie come può i silenzi e la carenza di argomenti, e lo sguardo sfuggente con cui lui ogni tanto sembra osservare la sua ospite, tende a sottolineare il palpabile leggero imbarazzo dato dalla situazione. Lei si accomoda con titubanza su una poltrona logora e mezza sfondata, ed ancora non sa neanche comprendere cosa ci sia venuta a fare nell'appartamento di un tizio spiantato come questo che si sta trovando davanti, anche se i tempi sono quelli che sono, e per quanto riguarda la compagnia non c'è molto da scegliere. "D'accordo", gli fa con indifferenza, "quello che bevi tu per me va bene". Per strada non circola molta gente in questi periodi, e lei stessa era uscita poco prima giusto per fare due passi da sola attorno all’isolato. Svagarsi dai problemi che assillano tutti non è propriamente semplice, ed anche soltanto mettersi ad ascoltare i guai degli altri certe volte può sembrare momentaneamente liberatorio dai propri. Lui va nell'altra stanza un momento, poi torna con due lattine di birra, e va a sedersi di getto sul divano, cercando di assumere una posizione comoda e studiata.

"Non abito da molto in questa casa", le fa tra due sorsi. "Non posso proprio permettermi di meglio in questo momento". Lei lo guarda con espressione comprensiva, senza neanche chiedergli se ha perso il lavoro o cose del genere, anche perché le sue difficoltà sono tutte piuttosto evidenti. Lui tace su questo argomento, ma dopo un attimo le chiede come si chiama. "Sonni", fa lei, senza aggiungere altro. Lui annuisce, guarda qualcosa senza interesse davanti a sé, poi dice che aveva una ragazza fissa fino a qualche tempo prima, ma che adesso è da solo, non ha più nessuno. Sonni beve a sua volta un po' della propria birra, vorrebbe quasi dirgli di colpo che lei non è assolutamente disponibile per una relazione, se è proprio questo l’argomento che lui sta cercando di portare avanti, e che è venuta fin lì soltanto perché lui ha parecchio insistito, e lei naturalmente  non voleva mostrarsi sgarbata. Lui dice, come spesso succede in questi casi, che vorrebbe ancora credere nel futuro, ma purtroppo la realtà da cui è circondato lo costringe ad un quotidiano pessimismo.

Lei annuisce, non è assolutamente il caso di fare delle domande immagina, e dentro di sé pensa subito che forse se non si mostra curiosa magari lui la smette con questi discorsi. Invece lui inizia a dire che le cose hanno cominciato a girargli proprio per il verso sbagliato nel momento in cui questa ragazza, tutta in una volta, ha preso la sua roba nella casa dove abitavano assieme, ed è tornata a stare dai suoi, intimandogli pure di non cercarla neppure per un buon motivo, e che le cose tra loro erano finite per sempre. “Insomma ha sbattuto la porta”, spiega alla fine con foga, “ed io mi sono sentito perduto, tanto che sono andato ad infilarmi in un periodo nerissimo, da cui sono uscito solo dopo aver messo in mano gli ultimi soldi che avevo ad un centro di disintossicazione, dove sono stato rinchiuso per qualche mese”. Poi lui si ferma, forse gli pare di aver detto anche troppo sulle sue cose, oppure sente il bisogno adesso almeno di una parola da parte di Sonni.

Sonni invece si alza, non dice neppure che le dispiace per tutto quello che gli è capitato, ma solo che adesso lei deve proprio andarsene via, e che magari si potrebbero incontrare di nuovo lungo la strada principale del loro quartiere, senza specificare niente di più preciso. Ma quando è già vicina alla porta di uscita da quelle due stanze così malridotte però, si volta un momento verso di lui, giusto per dirgli: “le cose stanno peggiorando rapidamente per tutti; forse dovremmo cominciare già da adesso ad accontentarci di quello che abbiamo. Perché anche i guai personali in questo momento sembrano fatti soltanto per creare divisioni”.

 

Bruno Magnolfi     



sabato 6 marzo 2021

Verrà da solo.

 

 

"Sto bene", dico al telefono. "Davvero; ho qui tutto quello che mi serve, in questo mio appartamento; c'è il frigo pieno ed anche qualsiasi altra cosa mi possa permettere di tirare ancora avanti molto tempo, soprattutto per dedicarmi interamente alle cose che mi piacciono di più: leggere, studiare, lavorare, prendermi cura di me stesso, seguire in piena calma i miei interessi; e in questo modo posso anche lasciare queste giornate, in apparenza piuttosto vuote, trascorrere tranquillamente come sempre, senza provare dentro di me alcuna nevrosi, muovendomi avanti e indietro in queste tre semplici stanze in cui comunque non manca proprio nulla, e dove riesco persino a sentirmi soddisfatto, almeno certe volte". Poi passo ai saluti e chiudo la telefonata, quindi riprendo il mio lavoro di progettista sul grande elaboratore grafico a due schermi, senza alcuna angoscia, anzi con leggerezza. In fondo cosa m’importa di stare in uno studio pieno di persone che vanno e che vengono, quando ognuna di loro poi è pronta a gettare più di uno sguardo indagatore su ciò che stai facendo, magari senza dire neppure una parola, né in bene né in male, forse anche per evitare malintesi qualche volta. Non serve a nulla comunque avere a disposizione l'opinione degli altri se questa resta muta, e non è utile che tutti abbiano gli occhi per scrutare ciò su cui stai lavorando se poi non ti è possibile assolutamente fidarti del loro parere, almeno quando viene manifestato. Meglio da soli, e magari sbagliare inconsapevolmente.

Accendo la radio, e qualcuno da là dentro dice subito che il futuro in questo momento resta molto incerto, le cose non sembrano andare troppo bene, e molte persone ogni giorno stanno rimanendo indietro, sempre più indietro, inevitabilmente. Lo capisco ciò che viene spiegato così bene, non è un momento facile, e quando si verificano accadimenti di questo genere sono sempre i più deboli a rimetterci, e poi anche chi non è capace di cambiare, di modificare il proprio pensiero, di stare al passo con gli avvenimenti insomma. Lo studio di progettazione di cui faccio parte mi invia regolarmente i lavori di cui occuparmi, e salvo qualche telefonata di chiarimento, il resto scorre bene e senza grandi intoppi. Certo, rifletto, le cose potrebbero ingarbugliarsi da un momento all'altro, gli affidamenti e le gare farsi più rarefatte, il flusso di richieste venire meno poco per volta. Potrei restare senza commesse anche da un attimo a quello seguente, ed allora sarei costretto a mendicare il lavoro, spedire richieste, raccomandarmi a chi conosco, umiliarmi nell’accettare impegni inferiori, proprio come già stanno facendo in molti anche nel mio settore.

Non posso pensare però a tutti gli inconvenienti possibili, potrei perdere la serenità che mi serve per portare avanti ciò a cui sto lavorando, e quindi mi sento subito spinto a spegnere la radio, anche se poi mi limito a sintonizzarla su un diverso canale che in questo momento trasmette della musica. Devo stare tranquillo, mi ripeto ogni volta che qualcosa mi innervosisce; cercare la maniera migliore per sentirmi a mio agio, anche se non posso certo uscire dal mio appartamento. Cosa importa, continuo a ripetermi, ho delle vetrate luminose che mi permettono una vista stupenda su tutta questa città, mi ritrovo continuamente immerso in mezzo alla gente, alle case, alla fretta del traffico, alle attività che ciascun individuo si trova ad intraprendere in ogni momento, anche se non posso realmente vederle. Immagino però tutti quanti di corsa, come è sempre stato peraltro, alla ricerca continua di soluzioni possibili per i propri bisogni, come è giusto che sia.  

Poi vado a sedermi sulla mia poltrona preferita, e resto lì a lungo ad immaginare i prossimi mesi e gli anni: silenzio, rarefazione, la città che sempre più diviene semplicemente un contenitore di individualità, senza quasi permettere più alcuno scambio, mentre le persone deboli vagano per strada cercando di ritrovare le abitudini di un tempo, i luoghi ora deserti deputati una volta ad incontrarsi. Suona il telefono, mi alzo di colpo, corro a rispondere: non c’è nessuno dall’altra parte, forse è stato un errore, rifletto, probabilmente avvengono ogni tanto dei falsi contatti nella rete che gestisce le comunicazioni. Devo progettare penso, è il mio mestiere. Devo avere fiducia, spingermi in avanti, immaginare la mia città ancora viva, capace di raccogliere ogni stimolo per provare a migliorarsi. Il resto verrà da solo, poco per volta, ne sono certo.

 

Bruno Magnolfi


 


giovedì 4 marzo 2021

Visione apocalittica.


 

Lei si muove lentamente nella stanza. Lui sembra osservare con un certo interesse alcune nuvole basse, in quello spicchio di cielo che si può vedere oltre i vetri della finestra che ha di fronte. Fuori, in questo momento, sembra spiri una brezza avvelenata lungo i tetti delle case, come una massa d'aria che si muova con pigrizia, e che indugi a tratti sopra la città, trasportando con sé il sapore inaccettabile di una lenta tragedia. Anche se dalla propria posizione lui non può vedere la strada più in basso, seduto com’è su una poltrona di stoffa del salone, ugualmente la immagina deserta, quasi abbandonata, proprio come le abitazioni tutt’attorno, ed anche i marciapiedi, i giardinetti, e persino i negozi del quartiere. “Dobbiamo purtroppo prepararci ad affrontare dei tempi lunghi di isolamento e di carenza di libertà”, fa lei appoggiando il calice, da cui ha appena bevuto un sorso di vino rosso, sopra al ripiano dello scrittoio parzialmente ingombro con foglietti di appunti e da altre carte. Lui non commenta, conservando anche in questo momento la sua caratteristica principale di persona silenziosa, come spesso viene definito, ma volge ugualmente per un attimo lo sguardo su di lei, come a mostrarle l’allineamento del proprio pensiero alla sua idea.

Lei gli va vicino e gli sfiora una spalla con la mano, con un gesto che appare del tutto consueto e familiare tra loro due, anche se infine, con uno scatto che appare leggermente nervoso, si sposta verso la finestra, e con un gesto deciso ne chiude parzialmente la tenda, come per sottolineare gli aspetti ben più importanti che dovrebbero essere semplicemente ricercati dentro al loro appartamento, secondo il suo parere, piuttosto che permetterne l’offuscamento inevitabile, stando dietro al desiderio di qualcosa che resta solo esterno a ciò che conta. Lui abbassa lo sguardo senza espressione, restando comunque immobile, poi però muove una mano come per cercare qualcosa che probabilmente ha dimenticato in un’altra stanza, oppure sopra qualche mobile. Lei gli porge una rivista ancora aperta, lui la prende, ma si limita ad appoggiarla sopra le gambe. "Il tempo pare dilatarsi", fa lei; "eppure a tratti le giornate sembrano ridursi a poche abitudini".

Lui allora si alza, ripone la rivista sopra al tavolo spazioso, ed ancora senza dire niente torna ad avvicinarsi a quella finestra, scostando leggermente la tenda, come forse per scoprire qualche dettaglio in più, lungo la fila degli alberi che indubbiamente conosce da sempre, sul tratto di viale poco lontano da lì. Una signora, con il suo cane al guinzaglio, si guarda attorno sul largo marciapiede. L'animale la segue, ma appare svogliato, come non ci fosse quasi niente di interessante in quei paraggi, ed il suo impegno fosse volto solamente a fare contenta la sua padrona accanto a sé. Transita un’auto scura, sembra un veliero mentre affronta il mare aperto, e percorrendo la larga curva poco più avanti, potrebbe forse inclinarsi sotto la spinta dell'aria sulla velatura. Lei, semplicemente sfiorando un tasto, rende di nuovo disponibile il suo piccolo elaboratore rimasto acceso sopra al tavolo, quindi si siede con calma e digita qualcosa, disinteressandosi del resto.  

"Dovremo cercare una maniera seria per proteggerci", dice però dopo un momento, senza distogliere lo sguardo dallo schermo. Lui non risponde, prosegue ad osservare il panorama che bene o male si riesce comunque a vedere da quella finestra, come si sentisse già proiettato là, verso la strada più vicina, tra quei giardinetti a fianco, sotto ai lampioni spenti, altrove insomma. Qualche gemma sui rami degli alberi mostra evidente la stagione che avanza, e le foglie sempreverdi paiono occupate a togliersi di dosso la polvere accumulata fino a pochi giorni fa, mentre il colore brillante dei primi fili d'erba sottolinea una rinascita perenne. La signora con il suo cane ora sembra sparita, ma un uomo di mezza età percorre lentamente il camminamento al margine della strada.

 

Bruno Magnolfi

 


martedì 2 marzo 2021

Confronto.

      

            "Ci sarà circa un metro e mezzo tra la mia scarpa con stringhe in fondo alla gamba che tengo accavallata sopra l'altra, e la sua calzatura elegante, devo anche dire con un tacco poco vistoso, proprio come piace a me", pensa lui con leggerezza mentre rimane seduto e quasi immobile nella spaziosa sala d'attesa degli uffici per i tributi. Lei, accomodata compostamente proprio di fronte alla sua seggiola, praticamente senza mai alzare gli occhi, continua a spulciare con grande interesse le carte che tiene nelle mani, estratte ogni volta da una cartella di pelle rossiccia, come cercando di comprendere qualcosa di più in ciò che probabilmente dovrà presentare allo sportello, appena verrà il turno scandito dal suo numero di prenotazione. Qualcuno poco fa ha alzato la voce da qualche parte imprecisabile dietro alle grandi pareti mobili dove gli impiegati ricevono il pubblico, ma tutto è durato solo qualche secondo, il tempo giusto per far voltare appena dietro di sé la testa di quella donna, quando poi, nonostante le diverse persone presenti, è tornata la solita calma sonnacchiosa, riempita vagamente da un leggero ronzio, forse prodotto dall'impianto di aerazione dell'edificio. "Avrà giusto qualche anno in meno della mia stessa età", pensa lui adesso. "Potremmo addirittura esserci già conosciuti in precedenza, in un ambiente magari meno noioso di questo".

            Il tabellone elettronico in alto domina l’ampia sala, ed adesso segnala che ci sono ancora diversi utenti numerati da chiamare, prima che arrivi il suo turno, mentre il codice della donna, stampato su un foglietto appoggiato con indifferenza insieme ad alcune altre cose sulla seduta della poltroncina imbottita al suo fianco, indica addirittura un numero di poco superiore. Lui tossisce, si muove, appoggia tutt’e due i piedi a terra mostrando come una certa impazienza, ma lei sembra del tutto indifferente a quel suo armeggiare. Così lui estrae alcuni fogli, piegati più volte, dalla tasca della sua giacca, e ne osserva distrattamente qualcosa che mostrano nella loro scrittura stampata. Prosegue a muoversi, a stendere e a ripiegare la carta, fino a quando ne fa cadere proprio un foglio, vicino alla scarpa di lei. Lui si china in avanti a raccoglierla, e lei a quel punto non può fare a meno di notare quel gesto e di volgere lo sguardo verso la sua direzione. “Buongiorno”, fa subito lui; “mi scusi”. Lei sorride e saluta a sua volta, ma sottovoce, come tra sé. Infine appoggia di fianco tutte le sue cose, come a voler liberarsi per parlare proprio con lui, che intanto si è nuovamente seduto guardandola direttamente, ma dopo un secondo invece si alza, osserva il contatore elettronico, consulta l’orologio, ed infine torna a sedersi, riprendendo nelle mani tutte le sue carte.   

Lui vorrebbe dire: "ma non ci siamo già visti?", dando fiato alla sua prima impressione, ma la frase è talmente scontata da non concedergli alcuna possibilità di pronunciarla. I minuti intanto procedono, e l'effetto positivo che ci poteva esser stato un attimo prima sembra ormai svanire senza rimedio poco alla volta. Lui vorrebbe adesso essere già lontano da lì, sgombro da quelle insopportabili incombenze, ma cerca di resistere ancora pensando qualcosa che magari gli possa venire in aiuto. Si concentra su ciò che dovrà chiedere tra poco agli impiegati in quegli uffici, e poi ad esempio, se sarà ricevuto da una donna oppure da un uomo, se sarà giovane o magari già con una forte esperienza, se con gli occhiali oppure senza, ma questo gioco in pochi attimi lo riporta a misurare di nuovo la distanza che improvvisamente gli appare infinita tra la sua scarpa e quella di lei. Adesso però non si perde neppure a contare un’altra volta i centimetri di separazione, e in ogni caso si rende conto soltanto in questo momento di non aver fatto caso a nessun altro tra coloro che si sono seduti o si sono alzati dalla fila di poltroncine dove si trova, come se questa presenza femminile di fronte gli avesse attratto ogni interesse. Trascorrono altri minuti, e d'improvviso è proprio il suo turno, lo schermo elettronico lo dimostra con chiarezza. Allora si alza, guarda attorno per sincerarsi di non aver perduto qualcosa, e proprio in quell'attimo lei gli fa: "arrivederci signor Bertani", mostrandogli di colpo che l’impressione iniziale che aveva avuto forse era fondata.

 

Bruno Magnolfi