martedì 25 giugno 2024

Sospiro di sollievo.


La mamma, qualche tempo prima di quel periodo, aveva accennato a qualcosa su un argomento che forse non avevo bene afferrato: certi discorsi scambiati con mio padre attorno al fatto che lei si sarebbe potuta assentare da casa per un giorno o due, o qualcosa del genere, mi erano sembrati forse ipotesi remote e prive del tutto di consistenza. Poi non ci avevo più neppure pensato, ma la sera di una domenica qualsiasi, trascorsa proprio come tutte le altre, al momento in cui mio padre era già andato a letto perché avrebbe dovuto alzarsi molto presto l’indomani mattina per recarsi all’estero per tutta la settimana con il suo autotreno, la mamma era venuta da me nel mentre mi preparavo a coricarmi, giusto per farmi presente con poche parole che il giorno successivo, tornando da scuola, non l’avrei trovata a casa come al solito, e che dovevo fare tutto da me. Lei naturalmente mi avrebbe lasciato delle cose da mangiare già pronte, facilitandomi i compiti domestici, e poi anche dei soldi dentro una busta, in caso di necessità, e tutto con la raccomandazione finale che se mi fossi trovato nei guai per qualche motivo, avrei dovuto rivolgermi ai vicini del piano superiore al nostro appartamento. Non trovai niente di difficile nell'immaginare alcuni giorni in casa da solo, lei aveva detto tutta la settimana, così annuii alle sue parole e promisi di fare tutto con il migliore buon senso. Avevo quasi intuito che la mamma sarebbe andata in ospedale per un’operazione chirurgica, ma dalla sua espressione rilassata non mi parve che dovesse affrontare niente di particolarmente rischioso o complicato né per lei e né per le sue condizioni di salute.

A scuola, dai comportamenti che immediatamente notai, sia quelli dell’insegnante, sia quelli dell’amico custode, mi accorsi fin dal giorno seguente che loro dovevano essere al corrente di tutto, considerate le proprie attenzioni per me, e la cosa non mi fece neppure troppo piacere perché sembrava quasi che i miei genitori non nutrissero una grande fiducia nella mia possibilità di cavarmela da solo come invece ero sicuro di dimostrare. Al contrario ero quasi contento di poter finalmente avere a disposizione tutto ciò che desideravo, compreso anche il tempo per realizzarlo, ma neppure per un momento pensai di fare qualcosa di diverso dal solito, anzi, il mio impegno, riflettevo, sarebbe stato esattamente quello di fare esattamente tutto ciò che ci si attendeva da me. Nel frigorifero c’erano diverse cose da mangiare già pronte, ed era sufficiente scaldarle sopra al fornello, ma a me venne subito a mente che con i soldi della busta potevo andare dal droghiere ad acquistare anche qualcosa di diverso. Mi sentivo grande e importante nel prendere delle decisioni, ed anche se appariva un po’ triste il mio appartamento così vuoto senza la mamma, decisi di spostare degli oggetti in modo da renderlo più allegro e abitabile, almeno secondo il mio parere. Per nessun motivo avrei mai ricorso all’aiuto degli inquilini del piano superiore, due coniugi antipatici e scostanti che a malapena salutavo incontrandoli lungo le scale, e così cercai di fare il minor rumore possibile in casa, in modo da non stuzzicare la loro curiosità.

Una cosa che mi sarebbe piaciuta terribilmente, però, era quella di invitare il mio compagno di banco a visitare casa mia, e dimostrargli così che oramai ero un ragazzo che sapeva cavarsela da solo, e che il comportamento scostante di tutta la classe nei miei confronti era ormai ampiamente ingiustificato. Quando chiesi a lui di raggiungermi, invece, il mio compagno declinò subito l’invito, spiegando che non aveva molto tempo in quei giorni per via di qualcosa in cui era impegnato e che non poteva rimandare. Pensai subito ad una scusa, ma non mi detti per vinto. Ad uno ad uno invitai tutti i compagni a visitare casa mia, anche coloro che non potevo soffrire, in fondo pensavo che essere in possesso di una invidiabile collezione di figurine dei calciatori da mostrare agli altri, non era da tutti, e qualcuno alla fine accettò, forse anche per la curiosità di vedermi immerso in un altro ambiente. Vennero in tre, nel pomeriggio, con le mani nelle tasche e l’espressione di chi non ha proprio altro da fare; dettero un’occhiata alla casa, alle mie figurine, parlottarono un po' tra di loro, risero non so di che cosa, e poi se n’andarono. Il giorno seguente tutti dicevano che io ero strano, che era giusto tenermi a distanza, che non c’era niente di buono nei miei comportamenti.

Il custode intanto aveva preso le mie difese, aveva cercato di sostenere che ero un ragazzo come tutti e che nessuno aveva il diritto di parlare male di me, ma alla fine io rimasi contento soltanto quando suonò la campanella e potei raggiungere casa mia, per starmene da solo. La mamma tornò, ma sembrava un’altra persona tanto era pallida e priva di forze. Passerà anche questo periodo, pensai, come tutti gli altri. Tornò anche il babbo, al sabato, ed io tirai un sospiro di sollievo.

 

Bruno Magnolfi

giovedì 20 giugno 2024

Condizione triste.


            Ho pensato con serietà che devo assolutamente liberarmi di questo ragazzetto che prosegue ad angustiare tutte le mie giornate con la propria presenza ingombrante e fastidiosa. Non so esattamente come fare per togliermi dalla mente tutti i ricordi che lo contraddistinguono, ma se da un lato la memoria dettagliata dei tempi della scuola di via delle matite la potrei ancora tollerare in qualche maniera, è la sua presenza intorno a me, come un odioso fantasma che va e che viene a proprio piacere, che non riesco più ad accettare. In ultima analisi, senza neanche averci riflettuto sopra troppo a lungo, credo che io abbia il dovere di ucciderlo, di eliminarlo, di sopprimerlo fisicamente, una volta per tutte. Sto lì, dentro l’albergo, in piena notte, ad osservare con attenzione, come sempre mi capita, il registro degli arrivi e quello delle partenze, e intanto sento, quasi come una minaccia, il suo respiro leggero dietro le spalle. Mi volto, e lui è lì, che mi guarda, come se il suo giudizio su qualsiasi cosa io stessi facendo fosse già stabilito, con la sua evidente portata negativa, il suo risentimento, la propria critica nei miei confronti. Nessuno, più di me, credo possa aver mai dovuto sopportare un tale peso sopra le spalle, almeno mi immagino. Sono giunto ormai al punto di ricusare qualsiasi fatto mi sia accaduto in quegli anni, pur di non aver ancora a che fare con la sua presenza ormai fattasi a dir poco insopportabile. 

            Qualsiasi cosa io mi metta in testa di fare, devo costantemente fare i conti con i suoi giudizi, anche se non mi giungono quasi mai direttamente, limitandosi da parte sua ad un’alzata di spalle, talvolta ad uno sguardo poco lusinghiero, e anche più spesso un repentino voltarsi e andarsene. Ho cercato con tutte le mie forze di restare indifferente ai suoi comportamenti, ma la fatica che ho impiegato anche soltanto per fingere il distacco che vorrei dalle sue prese di posizione, vere o presunte, è sempre stato tale da rendermi incapace di contrastare ogni suo atto. Così mi sento continuamente in balia della sua presenza di soffio, del suo aleggiare intorno a me con quei modi supponenti e critici. Ho provato persino a parlarne con questa signora, la prostituta che qualche volta viene a farmi una visita mentre lascio trascorrere le ore della notte dentro l’albergo dove presto servizio, ma mi sono rapidamente reso conto che neppure lei riesce a dare retta al mio disagio, restando incredula di ogni mia sofferenza, come se ogni afflizione che io provo fosse in dipendenza solamente della mia personalità malata. E poi anche di questo ha avuto da ridire: <<Lei sta troppo da solo>>, mi ha detto con semplicità. <<Questo non sarebbe un male in sé>>, ha proseguito; <<Però bisogna essere capaci di fronteggiare questo stato, di avere una forza interna superiore, e lei ha dimostrato ampiamente di non essere capace di reggersi in piedi così>>.

Ho annuito, come faccio sempre in questi casi, poi le ho preparato il suo solito caffè, lei mi ha ringraziato, ed alla fine si è alzata e mi ha salutato appena con un cenno, dimostrando forse che non meritavo molto di più. Non so neppure a chi rivolgermi per chiedere un consiglio, un’opinione disinteressata, che non metta avanti i soliti pregiudizi verso dei casi come il mio. Durante qualche mattina tra le ultime trascorse, al termine del mio orario di lavoro, mi sono incrociato con Clara mentre stava arrivando in albergo per prendere servizio, ma mi è parsa indifferente nei miei confronti, e poi nervosa, agitata, distante perciò dalle mie preoccupazioni e dai miei pensieri. Per strada poi, mentre me ne tornavo a casa, ho incrociato nuovamente Paolo, il mio piccolo alter ego, mentre, notando il falso atteggiamento di chi sta transitando per la strada quasi per caso, poco è mancato che iniziassi a rincorrerlo per dargli una lezione. La mia amica prostituta forse ha ragione, ho riflettuto: la mia giornata è vuota di personaggi e di individui con i quali scambiare anche delle semplici opinioni, e le poche persone che saluto quando mi trovo ad incrociare qualcuna di loro durante la giornata, mi appaiono ingabbiate dai loro problemi, distanti da chi si muove attorno a loro, ed anche incapaci di occuparsi d’altro che non sia dato dai loro stessi guai. Certe volte penso che i pensieri da cui sono costantemente circondato siano persino troppi per permettermi di avere dei giudizi obiettivi sulle cose. Si attorcigliano, si mescolano, richiedono ognuno troppo tempo per essere presi con calma e analizzati; perciò, mi trovo a subire questo stato, senza nessun’altra possibilità.

Devo introdurre in campo un piano ben congegnato, penso con concretezza: devo rompere la mia solitudine e contemporaneamente liberarmi del passato che mi ossessiona sotto forma di questo ragazzino odioso. Poi mi siedo, mi tranquillizzo, socchiudo gli occhi un attimo, e quando li riapro lui è lì, davanti a me, che forse si fa persino beffe della mia triste condizione.

 

Bruno Magnolfi

lunedì 17 giugno 2024

Tutti da soli.


            Nel pomeriggio, dopo aver riposato per l’intera mattinata, finalmente esco da casa, senza neppure avere in testa una meta precisa, ma soltanto per camminare e respirare un po’ d’aria all’aperto. In mente ho soltanto qualcosa di confuso, come se la mia giornata si aprisse meccanicamente verso la ripetizione di quella precedente, una copia esatta delle tante altre giornate proprio come questa, priva com’è di un vero scopo. Percorro alcune strade, salgo sui marciapiedi, osservo le persone che incontro lungo il tragitto. Infine, entro in un locale, mi siedo ad un tavolino ed ordino un caffè. Mi accorgo poco dopo che alle mie spalle c’è la donna che qualche volta viene a farmi visita a notte fonda mentre svolgo il mio lavoro di portiere di notte in albergo. La guardo, le sorrido, vedo che è da sola, che non sta facendo niente di particolare se non sorseggiare una tazza probabilmente di tisana, tranquillamente seduta ad osservare la città fuori dalla vetrina che le rimane di fianco. Mi guarda a sua volta per un momento, e finge subito di non riconoscermi, voltando lo sguardo dalla parte opposta; o magari non finge affatto, penso io; capita spesso che variando la panoramica di una situazione, chiunque di noi faccia fatica a trasporre una fisionomia che conosce anche da tempo, ma in un altro diverso contesto. <<Buonasera>>, le dico allora guardandola direttamente, con voce sufficientemente alta da non permettere così alcun equivoco, e lei mi osserva per un attimo, con espressione seria, quasi severa, rispondendo al mio saluto in maniera forzata, come facesse tutto questo soltanto per educazione. <<Non ricorda l’albergo, il portiere di notte, lei che viene a prendersi un caffè ogni tanto nella saletta al piano terra?>>, chiedo io.

            <<Signore>>, sussurra lei con calma; <<sta sbagliando persona>>, mi spiega in fretta chiudendo così qualsiasi conversazione, ed io resto in un attimo praticamente come un ebete a dover ammettere che forse realmente sto equivocando, e che davvero non è questa la donna che ho già visto tante altre volte. Rifletto: forse durante il giorno questa signora conduce una vita totalmente diversa da quella notturna, e proprio per questo un aspetto di sé riesce a restare del tutto separato dall’altro, forse addirittura a propria completa inconsapevolezza. Osservandola meglio, però, anche se non direttamente, ma quasi di nascosto, mi accorgo che in effetti è vestita in modo molto differente dalle volte in cui ha bussato alla grande porta vetrata dell’albergo dove svolgo le mie mansioni, proprio per salutarmi, per entrare dentro e trascorrere così qualche minuto seduta in mia compagnia a parlare, durante alcune notti vuote e silenziose. Uno sdoppiamento di personalità, immagino adesso, anche se in fondo il fatto che possa accadere una cosa del genere in una persona stravagante come lei non è assolutamente fuori luogo, oppure da escludere. Mi volto, sorseggio il mio caffè, mi disinteresso totalmente di questa donna, come se accanto al mio tavolo fosse seduta una perfetta sconosciuta.

            Lascio sprofondare i miei pensieri tra tutti gli argomenti che più di altri mi tornano alla mente quando sono solo, e così riprendo velocemente a riflettere sul mio passato, su quel lungo e strano periodo durante il quale frequentavo la scuola elementare. <<Paolo>>, mi chiamava allora la maestra. <<Sei di nuovo imbambolato, sprofondato dentro ai tuoi pensieri, come se intorno a te non ci fosse un’intera classe di ragazzi scalmanati e confusionari>>, diceva con ironia ma anche grande serietà. Gli altri ridevano, scherzavano su di me, io tornavo improvvisamente ad appoggiare i piedi sulla terra, a riprendere coscienza del luogo dove mi trovavo, e forse di ciò che tutti si attendevano dal mio comportamento. Magari, in quei casi, succedeva spesso che l’insegnante mi ponesse, a seguito del suo richiamo, anche qualche domanda repentina, probabilmente per vedere se la mia attenzione fosse già tornata a dei livelli sufficientemente accettabili. <<Quali sono i paesi confinanti con la nazione in cui viviamo?>>, chiedeva; oppure: <<Quale credi che possa essere il risultato della moltiplicazione del numero sette con il numero otto?>>. Io ci riflettevo in silenzio per qualche attimo, e poi, con scarsa convinzione, davo la risposta, a volte giusta, in altri casi errata, lasciando tutti nella classe, in questi ultimi casi, a ridere di gusto per la mia goffaggine. 

            Improvvisamente, mi sento ancora più solo di quello che sono normalmente: neppure le persone che mi trovo a frequentare ogni tanto riescono a vedere in me qualcosa di riconoscibile, ed io sono rimasto per così tanti anni un imbambolato incapace di relazionarmi con gli altri in modo adeguato. La donna, ancora vicino a me, infine si alza dal suo tavolo, raccoglie la sua borsetta e qualche altro oggetto, muove lentamente qualche passo verso l’uscita del locale, ma ad un tratto si gira, proprio mentre è ancora poco lontana dal mio posto. <<Arrivederci>>, mi dice adesso con voce appena percettibile; <<Non tema, anche se non la conosco affatto verrò ugualmente di nuovo a farle qualche visita>>. Non rispondo niente, trattengo l’espressione che avevo già sul viso, guardo qualcosa fuori dalla vetrina: siamo tutti un po’ soli, rifletto.

 

            Bruno Magnolfi

mercoledì 12 giugno 2024

Senza mai lamentarmi.


            Domenica scorsa mio padre sembrava rilassato, tranquillo, quasi sorridente persino con me, oltre che con la mamma. Ci siamo seduti a tavola per il pranzo, e lui parlava, spiegava, diceva le cose del suo lavoro di autotrasportatore, ci raccontava qualcosa delle città straniere dov’era stato, e si lamentava un po’ delle proprie scarse prospettive, della monotonia delle strade infinite che percorreva ogni giorno, di un mestiere logorante come il suo, ma pareva comunque essere abbastanza fiducioso in qualcosa, come se attendesse prima o dopo un certo miglioramento, magari anche per tutta la nostra situazione familiare. Poi mi ha guardato un attimo, in silenzio. <<Devi coltivare il tuo futuro>>, mi ha detto di colpo. <<Cercare di sapere già adesso cosa dovrai attendere dai tuoi prossimi anni, e così prepararti, darti delle scadenze, mettere a fuoco una direzione da intraprendere, ed anche delle prospettive>>. Non ho risposto niente, mi sono limitato a guardarlo cercando di comprendere meglio a cosa di preciso si riferisse, ma le sue parole mi sono sembrate subito vuote di significato, oppure addirittura piuttosto incomprensibili. Già da qualche tempo un fantasma viene ogni poco a farmi una visita, avrei potuto spiegargli. È un uomo grande, adulto, una figura che non ho mi visto prima, che però sa tutto di me, e certe volte mi rimprovera di non avere fatto abbastanza in questi anni per sviluppare le mie potenzialità. Mi osserva, sembra sempre deluso dei miei comportamenti, però difficilmente mi parla, limitandosi a stendere su di me il suo sguardo rassegnato, di chi conosce già perfettamente come le cose andranno a finire nel proseguo del tempo.

Lo so benissimo che quell’uomo può essere senz’altro la proiezione esatta di me stesso nel futuro, e in ogni caso io cerco di pensare che le cose per me potrebbero cambiare rapidamente, presentare altri risvolti, differenti soluzioni. Mi piacerebbe che il fantasma che mi appare mi spiegasse quali sarebbero secondo lui le tante cose che mi potrebbero accadere, i fatti positivi e negativi che sembrano attendermi in agguato negli angoli del tempo che deve arrivare, ed invece lui si limita sempre a dirmi che le persone da cui sono circondato sono importanti, che devo impegnarmi ad avere dei buoni rapporti con chi mi trovo vicino, che l’amicizia è un valore fondamentale, e che la solidarietà, come la stessa capacità di sentirmi vicino agli altri, è il fondamento di tutto, e per questo devo imparare a rallegrarmi e a soffrire anche per quello che accade alle persone che posso conoscere, specialmente quelle verso cui la mia sensibilità appare maggiormente simile. A me viene sempre la voglia di dirgli che queste cose a me non interessano, ed il mio desiderio maggiore è quello di starmene da solo, perché nessuno tra coloro che incontro a scuola ogni giorno mi comprende, e qualsiasi cosa faccia, secondo il parere di tutti, è sempre stramba, insolita, forse assurda.    

Ho pensato addirittura che mio padre e questo insolito fantasma che mi appare, siano dei soci tra loro, degli alleati che tentano di rendermi la giornata ancora più complicata di quello che è già. Ritengo, al contrario di loro, di non dover seguire delle regole date, ma di poter comportarmi, a scuola, in famiglia, con le persone che conosco, ed anche con i vicini di casa, esattamente come credo meglio, così come mi ispira il mio carattere, il mio modo di essere, la mia personalità. Ma ogni volta che apro la bocca per spiegare a qualcuno il mio punto di vista, subito mi trovo ad essere rimbrottato, come se non avessi compreso nulla di quello che secondo tutti devo sapere e tenere a mente. Poi il pranzo domenicale è finito, mio padre ha dato una mano alla mamma a sistemare le cose della cucina, ed ambedue mi hanno subito permesso di uscire per prendere una boccata d’aria, così come hanno detto, anche se io come al solito non avevo nessun posto preciso dove andare, né alcun compagno della mia età da incontrare. Così, con le mani sprofondate dentro le tasche, ho girato a caso per il paese, andando a sedermi su dei vecchi mattoni nei pressi del campetto dove a volte i ragazzi giocano col pallone.

Non c’era nessuno, quel pomeriggio, ed io mi sono immaginato che d’improvviso sopraggiungesse una squadra al completo per iniziare una partita di calcio. Ed è successo esattamente in questa maniera, tanto che a me hanno subito chiesto di fare l’arbitro, e quella decina di ragazzi, alcuni di mia conoscenza, altri meno, sembravano entusiasti del loro appuntamento che avevano stabilito. Ho fatto del mio meglio cercando di far rispettare in maniera grossolana le regole che conoscevo, ma dopo poco qualcuno ha cominciato a criticarmi, a dire che non capivo niente di calcio, che era meglio se me ne andavo, tanto che alla fine mi sono allontanato davvero da quel prato terroso. Da solo mi sono sentito subito meglio, e quando alla fine sono stato affiancato nei miei passi dal solito fantasma, avrei voluto spiegargli che ci stavo provando ad essere come diceva lui, ma che le cose non erano facili, anche se poi non gli ho detto più niente, ed ho tollerato semplicemente la sua presenza vicina, senza mai lamentarmi.  

 

Bruno Magnolfi 

domenica 9 giugno 2024

Incomprensioni.


            Nonostante siano trascorsi quasi quarant’anni, ricordo con precisione quel giorno in cui, percorrendo a passo lento la strada principale del paese in cui abitavo per recarmi come ogni giorno alla Scuola Elementare di Via delle matite, decisi su due piedi che sarei salito sulla prima corriera che transitava dalla fermata, per andarmene in qualsiasi possibile luogo quel mezzo poteva trasportarmi, forte di alcuni soldi che avevo in tasca e con i quali potevo pagare il biglietto necessario. Feci così, difatti, e quel mezzo pubblico pieno di gente, come avevo ben previsto, mi traghettò rapidamente fino nella città più vicina. Questo è il mio mondo, pensai, la ricordo bene questa riflessione; girare per delle strade dove nessuno ti conosce, frequentare luoghi in cui nessuno ti chiede di comportarti in un modo oppure in un altro, scegliere qualsiasi cosa tu abbia in mente di fare, senza dover rendere conto a chicchessia. Nella grande stazione ferroviaria di fronte a dove mi ritrovai, salii subito sopra un treno in partenza, uno qualsiasi, e riuscii ad imbrogliare il controllore e a non pagare alcun biglietto. Mi ritrovai, dopo circa due ore, in un’altra città di cui non sapevo neppure il nome, ancora più grande, ancora più estraniante della prima, e girai a caso per le strade fino a quando non mi sentii stanco e spossato. Avrei potuto telefonare a mia madre a quel punto, dirle di non preoccuparsi troppo per me, ma il senso di libertà che riuscivo a provare in quei momenti era tale da non permettermi alcun gesto.

            Mi fermai davanti ad una scuola elementare con i grandi finestroni vetrati, da dove si vedevano i ragazzi mentre stavano tutti immobili e seduti ai propri banchi, ed io mi sentivo attirato dalla voglia di ridere di loro, di prenderli in giro, di mostrare a tutti il risultato di ciò che facilmente ognuno di loro avrebbe potuto ottenere, proprio come me, con un impegno minimo. Poi suonò la campanella e quei bambini uscirono rapidamente dall’istituto scolastico, andando incontro ai loro genitori che si erano accalcati nell’attesa subito fuori dall’edificio. Quello forse fu il momento più difficile della mia gita. Mi sentii solo, all’improvviso, e pensai di aver tradito qualcosa nella fiducia che forse mia madre e mio padre mi accordavano ogni giorno. Allora cercai un poliziotto, un uomo in divisa, insomma, e gli raccontai di fretta che per sbaglio o per gioco ero salito su di un treno, e che adesso non sapevo come fare per tornare indietro. Forse le guardie mi chiesero qualcosa in più, anzi, sono sicuro che mi posero qualche domanda a cui non seppi rispondere, ma poi mi fecero salire su di una macchina e mi riportarono rapidamente a casa dalla mia mamma. Mostravo la faccia triste, di chi ha creato un problema quasi senza desiderarlo, ma dentro di me sentivo di essere felice, dimostrando a tutti che ero capace di fare quello che volevo, se soltanto me lo mettevo in testa.

Il giorno seguente tornai a scuola, in via delle matite, e immaginavo che nessuno dei compagni della mia classe si fosse preoccupato della mia assenza. Invece si era sparsa la notizia, qualcuno probabilmente era anche stato in ansia per me, ed io sul momento non seppi neppure comprendere del tutto in quale maniera, ma tutti i ragazzi ora sapevano che io avevo deciso di imboccare quella che si chiama la via di fuga. Quando la maestra fece l’appello e disse ad alta voce il mio nome, poco ci mancò che i compagni mi battessero le mani, probabilmente per il coraggio e la determinazione che avevo dimostrato a tutti. Mio padre in quei giorni era chissà dove come sempre, a trasportare delle merci con il suo autocarro, e mia madre la sera non mi disse quasi niente; però, mentre preparava la nostra solita cena, sentii che singhiozzava, forse perché era stata molto in pena per me, e magari aveva immaginato addirittura che non sarei tornato più dopo la mia sparizione. Ricordo ancora tutti i particolari di quella giornata, come quelle cose che non ti si tolgono più dalla memoria. Forse su una cosa oggi mi è rimasto però ancora qualche dubbio: non mi so spiegare in nessun modo il motivo esatto per cui portai a compimento una cosa di quel genere. Soprattutto perché sapevo esattamente che nonostante provassi delle difficoltà in famiglia, verso mia mamma soprattutto, e poi anche verso i miei compagni di scuola, e se non ero riuscito mai ad imbastire un’amicizia con nessuno, non era certo quella la maniera per trovare la giusta soluzione a questi miei problemi.

Per qualche giorno in parte mi sentii addirittura orgoglioso di quanto avevo fatto, ma subito dopo le cose ripresero esattamente ad andare come sempre, ed anche il mio compagno di banco, che a volte nei mesi precedenti mi aveva rivolto la parola per spiegarmi certe cose, e in qualche caso mi aveva posto anche qualche domanda, adesso sembrava come adirato verso me, come se mi incolpasse di qualcosa, di qualcosa che in fondo io non riuscivo neppure a comprendere del tutto.

 

Bruno Magnolfi

mercoledì 5 giugno 2024

Nessuna preoccupazione.


Nel mio borsellino, in finta pelle, sono riuscito a racimolare nell’arco di poco tempo parecchi soldi spiccioli, considerato che mio padre quando torna dai suoi viaggi con l’autocarro ha sempre le tasche piene di monete, e che spesso, quasi per un gioco tra me e lui, me ne regala volentieri una buona parte. Così, durante un giorno qualsiasi, mentre cammino casualmente lungo la strada principale del paese, vedo giungere una corriera di colore azzurro, che si viene a fermare proprio davanti al marciapiede dove mi trovo, e subito apre le sue porte con un forte sbuffo pneumatico. Salgo sul mezzo pubblico all’istante, senza domandarmi assolutamente nulla, attratto da un richiamo irresistibile, e pago in fretta, proprio come un viaggiatore consumato, il prezzo del biglietto stampato che mi allunga l’autista senza neppure guardarmi in faccia. Poco dopo, ascoltando le persone che parlano restando sedute dietro di me, mi rendo conto che quel mezzo va direttamente fino alla città più vicina, arrestando la sua corsa nei pressi della stazione ferroviaria. Mi metto comodo, osservo la campagna che fugge fuori dai finestrini, e mi sento improvvisamente contento della mia scelta. La corriera si ferma varie volte lungo la strada, e scendono e salgono diverse persone, ma nessuno mi conosce, e a nessuno viene in mente di chiedermi qualcosa, anche se dimostro un’età da ragazzetto.

Credo che potrei trascorrere qualche giorno in città, bighellonando in giro e studiando i comportamenti degli abitanti di quel posto, senza preoccuparmi troppo di mia madre e della scuola. Ma quando infine giungo nella piazza della stazione ferroviaria, mi prende la voglia di proseguire il mio viaggio, e così, senza neppure munirmi del biglietto, salgo su un trano passeggeri che sta partendo verso qualche altra destinazione a me completamente sconosciuta. Resto in piedi nella parte finale di un vagone, e quando vedo arrivare il controllore, mi sposto in fretta, e senza farmi troppo notare mentre lui visiona i biglietti dentro uno scompartimento, io attraverso il corridoio fino ad andare nella zona dove i documenti di viaggio sono già stati controllati, e mi metto seduto vicino ad un signore e ad una donna. Lei dice che è il lavoro il suo più forte cruccio, e che le tocca ogni giorno perdere un sacco di tempo per andarsene da casa fino al luogo dove svolge il suo mestiere. L’uomo annuisce, ma dalla faccia non sembra che la faccenda lo interessi neanche molto. Mi piacerebbe rivolgere ai due passeggeri delle domande dirette, sapere da loro come dovrei fare per trovare una sistemazione per le mie immediate esigenze, ma non posso certo raccontare di essere un fuggitivo, così resto in silenzio. Quando il treno poi rallenta, dopo aver sostato diverse volte in qualche altra piccola stazione, comprendo dal fatto che tutti si preparano a scendere mettendosi in fila lungo il corridoio, che probabilmente siamo giunti al termine finale della corsa, così subito imito gli altri.

La città intorno, ancora prima che il convoglio sia del tutto fermo, mi appare immensa, piena anche di fabbriche e di capannoni, e poi pure di palazzi alti e con le finestre tutte uguali, e di strade asfaltate che costeggiano la ferrovia, e con diverse corsie di marcia piene di macchine e di mezzi pubblici. Anche la stazione appare enorme, ed è piena zeppa di centinaia di individui indifferenti l’uno all’altro, ognuno in cerca di qualcosa, qualcuno anche con un’estrema fretta. Esco nella piazza antistante, e tutto mi sembra fuori scala, come se ogni dettaglio di tutto l’insieme fosse progettato per un numero straordinario di persone. Prendo per la prima strada che ho di fronte, e poi giro in una via più piccola, cercando qualche elemento riconoscibile, che mi dia il senso di qualcosa a me maggiormente familiare. Scuola Elementare, trovo scritto sopra la facciata di una casa gialla, un po' appartata, con un cortiletto antistante e delle finestre senza caratteristiche. Mi avvicino, e vedo che all’interno ci sono i ragazzi che stanno nelle aule, proprio come nella mia scuola. Il mondo è tutto identico, penso, inutile cercare tanto intorno a noi. Quando mi volto c’è una guardia che mi chiede il motivo per cui non sono entrato in classe. Potrei fuggire, forse, ma non avrebbe senso.

Avvertono immediatamente la mia mamma, mi affidano ad una persona titolata che mi riporta con una macchina ed un autista verso il mio paese e la mia casa, mentre mi viene chiesto quale sia la mia giornata, che cosa si dicono i miei genitori in mia presenza, quali sono le attività che mi divertono di più, e anche altre cose. Rispondo a monosillabi, cerco di raccontare il meno possibile, ma intanto tutto viene annotato sopra un taccuino. Ho fatto una stupidaggine, penso, ma credo fosse quasi inevitabile, considerato che mi ritengo un fuggitivo, un isolato, forse un estraneo a tutto, ed alla fine comunque sono quasi contento che qualcuno adesso manifesti interesse per la mia persona.

 

Bruno Magnolfi

lunedì 3 giugno 2024

Orari e turni.


Ci siamo seduti ad un tavolo libero, una volta entrati dentro al locale. Mi sentivo nervoso, all’improvviso mi pareva che quell’appuntamento non mi avrebbe mai portato a niente di buono, e tutto quello che avevo avuto in mente di essere, quando le avevo chiesto di vederci fuori dall’orario di lavoro, fosse ormai quasi svanito, lasciando soltanto un mucchio di perplessità. Naturalmente era scontato parlare di tutto quanto ciò che desideravamo, a meno che non riguardasse il nostro reciproco lavoro, considerato che stavamo cercando tra noi un collante ben diverso da quello degli orari, delle esigenze degli ospiti dell’albergo, dei turni da coprire e dei ruoli da svolgere, ed anche di tutte le altre cose di quel genere. Clara pareva a proprio agio, ci eravamo fatti servire due aperitivi, e lei aveva sorriso, ma con un’espressione leggermente enigmatica. <<Con mio marito le cose non vanno molto bene>>, aveva detto quasi subito come per confessare qualcosa da cui si sentiva oppressa, forse per sgombrare il campo anche da qualche equivoco. <<Stiamo assieme da tre anni, ma il nostro rapporto si sta spegnendo poco per volta, come la fiamma d'una candela che non ha più ossigeno>>. Mi concentravo su qualcosa che mi restava di lato, anche perché non volevo dare importanza a quelle confessioni: non mi riguardavano, ed anche se non avevo alcuna opinione in merito, non mi pareva comunque il tema migliore per una serata a due come la nostra. Tagliai corto: <<La mia solitudine da un lato mi piace>>, le dissi; <<Dall’altro però mi preoccupa>>. Mi pareva che offrire uno spaccato dei miei pensieri da confrontare ai suoi, fosse un ottimo inizio per uno scambio sincero di opinioni. Lei mi guardava con una specie di espressione ironica, come se quello che le stavo dicendo fosse qualcosa di cui ridere, oppure al limite da non prendere troppo sul serio.

Mentre stavamo ancora parlando, giunse Paolo, del tutto inatteso. Cercai di dare una spiegazione: <<Mi sono quasi fissato sul ricordo della mia adolescenza, su quei giorni in cui andavo a scuola, sui momenti durante i quali le scelte erano ancora da compiere, e le idee giravano rapidamente dentro la mente, tanto che gli amici e i compagni del quartiere erano il semplice specchio di ciò che apparivi. Adesso, quel mio ricordo, viene spesso a trovarmi, si manifesta, mi giudica, a volte addirittura si permette di criticare le mie scelte, anche per ciò che sono diventato, ed io gli oppongo i suoi comportamenti dell’epoca, quando tutto sarebbe stato possibile scegliere>>. Lui ora mi osservava senza espressione, restando vicino al bancone dove venivano servite le birre e i caffè. Clara si volse, ad un tratto, scosse la testa come per mostrare la sua incomprensione, mi guardava con la faccia di chi non sa cosa pensare. <<Non preoccuparti>>, le dicevo intanto con calma; <<Non sono impazzito. Sto soltanto facendo i conti con la mia adolescenza, e cerco di comprendere cosa sia stato a farmi perdere spesso la bussola, ad iniziare da quel periodo scolastico>>.

Lei allora cercava di cambiare argomento, di riprendere dalle parole con cui si era interrotta, e diceva che suo marito era diventato quasi indifferente nei suoi confronti, come se non avesse mai avuto una moglie, una casa, il dovere di un comportamento da coniuge, e la presenza di una donna come lei nella sua giornata fosse diventata quasi un fastidio. <<Forse mi tollera,>>, aggiungeva Clara, <<ma niente di più>>. Ed allora io dicevo subito che in quelle condizioni probabilmente tutto doveva diventare insopportabile, e gli stessi gesti consueti qualcosa di stanco e di antipatico, fino al desiderio di andarsene, di smetterla con quel comportamento trito e ordinario, di chi resta sempre in attesa che avvenga qualcosa di diverso. <<Certo>>, diceva lei; <<è proprio così; la voglia continua di trovare quel punto di svolta che non arriva, che non giunge mai, mentre le cose si ripetono, e le espressioni, e le poche parole da dire, sono sempre le stesse>>. Mi guardavo attorno allora, osservavo per un attimo Paolo ancora in piedi, con il suo zaino scolastico sopra le spalle, e annuivo: <<Mi giravano in testa sempre gli stessi identici pensieri>>, dicevo; <<E le mie giornate erano sempre le stesse, impalpabili, composte soltanto da quelli>>.

<<Vivere vuol dire anche accettare e comprendere ciò che si è stati nei periodi precedenti>>, interveniva allora Paolo; <<Le scelte sono il presente, il resto no>>. Clara mi guardava, forse voleva aggiungere qualcosa, ma infine beveva un sorso dal suo bicchiere e restava in silenzio. Mi sentivo imbarazzato, probabilmente sarebbe stato meglio non averla invitata in quel locale, e d’improvviso tutto pareva riprendere la stessa forma di tutti gli altri errori commessi. Quando infine ci alzavamo dal tavolo per andarcene, senza più alcuna voglia di sorridere, probabilmente pensavamo reciprocamente alla maniera migliore e indolore per chiudere quella nostra parentesi: niente, come non fosse mai accaduto, come se non avessi detto nulla di noi, come se dovessimo soltanto rientrare rapidamente nel ruolo di colleghi di lavoro, buoni soltanto a parlare di turni e di orari.

 

Bruno Magnolfi