lunedì 8 dicembre 2025

Passerò da qui.


            All’interno della bottega piuttosto vasta ma notevolmente disordinata, lei sta ascoltando suo padre, l’anziano titolare di quello strano e antico negozio adibito soprattutto alla vendita di pregiati colori per pittori e naturalmente di pennelli, ma anche al commercio di quadri d’autore già incorniciati e diversissimi tra loro, tutti esposti alle pareti e sui variegati cavalletti, e poi persino nell’attività di restauro di qualche vecchia tela adesso sistemata su di un lungo e pesante tavolo imbrattato di pennellate ad olio ormai secche e disposto un po’ in disparte, mentre le parla pur continuando apparentemente a preoccuparsi soltanto delle proprie attività, magro com’è, vestito con uno spolverino grigio e sporco di parecchi schizzi e ditate dei tanti pigmenti. <<Devi andare a Praga, te l’ho già detto>>, le fa, mentre proprio in quel momento entro io dentro al negozio con la curiosità di chi non acquisterà mai un bel niente, però è disposto ad annusare a lungo e con soddisfazione il profumo dei quadri e degli attrezzi da pittura. Il vecchio non mi guarda neppure, probabilmente è abituato a veder gironzolare nel suo esercizio persone come me, ed anche sua figlia, una donna di circa quarant’anni con una bisaccia di pelle che le pende da una spalla, sembra preoccuparsi soltanto di ciò che le dice suo padre. <<Ma non ci sono mai stata, non parlo la lingua, e devo andare a cercare qualcuno che neppure conosco. Non ti sembra un po’ troppo?>>. Suo padre non sembra neppure disposto ad ascoltarla, ed io intanto mi muovo verso di lei, con il modo di fare di un indifferente.

            <<Devi soltanto incontrare una persona che produce degli ottimi colori ad olio, e definire il contratto con il quale la sua impresa artigiana si impegna a fornire in esclusiva, almeno per questa nostra città, i suoi materiali, che io ritengo ovviamente migliori di tutti. È semplice, e sarà sufficiente per te restare a Praga per un paio di giorni, tre al massimo, e poi riprendere il treno e tornartene qua>>. Lei va verso la vetrina del negozio come attratta da qualcosa che adesso si muove da qualche parte sopra al marciapiede. Probabilmente la faccenda è già stabilita, e lei non può fare niente per evitarla, anche se non ritiene troppo giusto far passare tutto in maniera così semplice; perciò, è disposta a battagliare quanto le è possibile con suo padre, pur di non dargli una vittoria così facile e scontata.

            <<Posso venire con te>>, le dico improvvisamente sottovoce avvicinandomi a lei, in maniera che suo padre non mi senta. Lei mi guarda con occhi increduli, come se stessero succedendo contemporaneamente tutte le cose più improbabili possibile, tanto da esserne incredula. Mi muovo, lei naturalmente segue il mio ciondolare mentre osservo una tela oppure l’altra, come potesse comprendere qualcosa di più di quelle semplici parole, e tutto comunque fosse apparentemente tranquillo, come se si svolgesse un normale dialogo tra persone perbene. Poi, le vado vicino di nuovo: <<Sono già stato a Praga, e poi non ho niente di meglio da fare in questi giorni>>, le dico per confermare ciò che le ho già riferito, e intanto mi muovo lentamente, e senza dire altro aziono la maniglia della porta di quella bottega, ed infine esco, come se lei al momento non avesse neppure troppo tempo per prendere le sue decisioni, almeno prima che io sparisca. <<Va bene>>, sento che dice a suo padre prima che io chiuda la porta alle mie spalle; <<ti darò una risposta stasera, prima devo soltanto pensarci>>. Poi attende un attimo, raccoglie qualcosa che aveva con sé, e mi raggiunge sul marciapiede, dove io mi sono fermato tre o quattro metri più in là, appoggiato al muro che costeggia la strada del centro. Lei si avvicina con sguardo interrogativo, si ferma, e non dice niente, così io mi stacco con calma dalla parete, e visto che abbiamo la medesima altezza, sfioro il suo naso con il mio, quasi a dimostrare che è possibile con me avere facilmente delle piccole intimità.

            Lei mi lascia fare, prosegue a guardarmi fisso come preparandosi a scagliarmi contro chissà quali interrogativi, ma io la prevengo, dicendo: <<Che male c’è: ci facciamo un viaggetto, possiamo parlare, cenare assieme, visitare la città senza problemi>>. Lei adesso sembra confusa, forse il mio progetto inizia a girarle nella testa come non avrebbe mai immaginato, ed alla fine dice ciò che attendevo fin dall’inizio. <<Ma io non ti conosco>>, mi dice finalmente con fermezza, parlando però sottovoce, come ci fosse ancora suo padre lì accanto, pronto ad ascoltarla. <<Questo non ha alcuna importanza>>, ribatto io, <<ed anzi, come ti ho già detto avremo così un po’ di tempo per fare una certa conoscenza tra di noi>>. Lei cerca qualcosa nella sua borsa d’altra epoca, poi tira fuori una sigaretta, anche se non l’accende, ed in questo daffare si appoggia a sua volta alla parete, come se dovessimo sbrigare quella faccenda e prendere una decisione definitiva prima di salutarci. Perciò io muovo un passo verso di lei, come a sfiorare di nuovo il mio naso contro il suo, ma stavolta la bacio, senza insistenza, solo sfiorando le sue labbra con le mie, e lei mi lascia fare, come se le tornasse naturale comportarsi così. <<Dammi una risposta tra un’ora>>, le dico tranquillo, <<quando mi troverò a passare ancora da qui, davanti a questa bottega di tuo padre>>, e lei annuisce.

 

            Bruno Magnolfi