martedì 21 maggio 2024

Accaduto davvero.


            Sono entrato nell’aula scolastica dietro le spalle della maestra, ed ho atteso paziente che lei si sedesse alla cattedra, e che tutti quei ragazzi di fronte si accomodassero nei loro rispettivi banchi. Naturalmente in mezzo a quelle tante espressioni diverse ho cercato subito Paolo con lo sguardo, e l’ho notato intento a sistemare qualcosa tra suoi quaderni e tra le tante matite. In seguito, lui ha alzato gli occhi su di me, come mi vedesse per la prima volta, e d’improvviso ha detto con voce alta: <<Non ho niente da dirti!>>, senza che nulla di particolare ne giustificasse sia quella uscita né tantomeno quelle sue quasi enigmatiche parole. La maestra si è alzata dalla sua sedia con i braccioli, lo ha osservato un momento, poi gli ha chiesto con calma che cosa intendesse dire, e soprattutto a chi si riferisse, rivolgendosi al ragazzo ora intimidito e con la sguardo basso, ma lui si è giustificato con delle parole confuse e comunque chiedendo subito di essere scusato per il suo gesto nervoso. Io sono rimasto quasi immobile accanto alla parete, pur invisibile a tutti, ma mi sono reso conto di aver commesso un imperdonabile errore nello spingere i miei ricordi fino a quel punto.

            Poi la lezione è iniziata, io mi sono mosso lentamente nell’aula, ma senza mai andare troppo vicino al banco di Paolo, nella paura di suscitare in lui qualche altra reazione negativa, pur accorgendomi della forte attenzione con cui seguiva ogni parola della sua insegnante. Infine, approfittando dell’arrivo del custode venuto a consegnare una circolare della direzione, sono uscito dall’aula e poi dalla scuola, ritrovandomi in Via delle Matite esattamente come la ricordavo, con quell’aria di polvere fina in sospensione nei raggi del sole, appena al di sopra dei tetti delle case basse là attorno. I piccoli alberi piantumati da poco ed ancora sorretti da qualche sostegno, sembravano già sofferenti, e le strade asfaltate di fretta mostravano già qualche avvallamento più scuro per via dell’umidità filtrata dalla terra di riporto costipata là sotto. Ho fatto un piccolo giro nei dintorni, ma alla fine ho pensato che il mio proposito di attendere l’uscita scolastica di tutti i ragazzi a fine mattinata fosse solamente una sciocchezza, così mi sono svegliato quasi di soprassalto dentro al mio letto, e sono rimasto sotto alle coperte, nell’attesa di alzarmi definitivamente.

            Ho cercato qualcosa nella mia stanza, ed ho visto alla fine che Paolo mi aveva già raggiunto, adesso restando fermo comunque sulla soglia della mia porta, senza guardarmi, come nell’attesa che fossi io il primo a rivolgergli la parola. Mi sono alzato, ho inforcato delle ciabatte, ho indossato una giacca da camera, e quindi sono andato verso di lui. <<Non devi seguirmi>>, mi ha detto lui con determinazione. <<Nei tuoi ricordi io devo essere solamente una parentesi, una sfumatura lontana, qualcosa che non appare mai definito>>. Sono andato nella piccola cucina del mio appartamento e mi sono preparato del caffè, considerato che avendo coperto il turno di notte in albergo, anche se oramai erano quasi le dodici, in ogni caso per me era ancora soltanto il momento del risveglio. In quell’attimo stesso Paolo è scomparso, come se il corso ordinario della giornata non fosse qualcosa di adatto alla sua personalità. Ho pensato comunque che forse in qualche modo lui avesse ragione: troppo lontani i nostri periodi per cercare ancora delle assonanze tra i nostri differenti scorci di vita, anche se d’altra parte ho sempre continuato ad essere convinto che molte di quelle radici costituite dentro di me derivassero direttamente da lui stesso. Quando sono uscito da casa per andare a mangiare qualcosa in un a rosticceria tavola calda poco lontano da casa, mi sono sentito un po’ più solo, quasi rinnegato dal mio passato di adolescente.

            <<Ravioli panna e prosciutto>>, ho detto alla ragazza dietro al bancone, e lei mi ha sistemato nel solito tavolo minuscolo addossato ad una parete, sistemando sul piano una tovaglietta di carta e qualche stoviglia. Ho osservato il niente che avevo di fronte, ed ho avuto voglia di avere qualcuno per farmi compagnia, e quando ho ripensato a Paolo e alla sua scuola mi è sembrato di provare un senso di nostalgia che non conoscevo, e che appariva del tutto fuori luogo in questo momento. Quando poi il ragazzo si è seduto di fronte a me, gli ho detto che il mio era soltanto un pensiero passeggero, che non doveva sentirsi costretto a restare, se non lo desiderava. Paolo è rimasto in silenzio, ha guardato il mio pasto triste, poi ha detto soltanto: <<mi dispiace certe volte essere duro con te; però non puoi ancora immaginare di poter cambiare qualcosa delle tue giornate solo con delle incursioni inefficaci nella tua adolescenza. Io adesso mi sento grande, libero, capace di decidere ciò che voglio del mio futuro, e tu non puoi far niente per evitare che tutto questo accada davvero>>.

 

            Bruno Magnolfi

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