mercoledì 30 dicembre 2020

Mancanze terribili.

 

          

 

            “Devi inserire tutti i risultati estrapolati dagli elementi che ti abbiamo fornito”, dice LUI già irritato al telefono; “e devi farlo in fretta se vogliamo davvero raggiungere gli obiettivi prefissati”. Il terminale sul tavolo è acceso come sempre, ma LEI oggi non si sente particolarmente in forma, forse avrebbe bisogno di riposarsi, di svagare la mente, di prendersi una pausa da quel lavoro che sta svolgendo al suo domicilio, una trovata che le sembrava così meravigliosa quando le era stata preannunciata, ma che adesso, nel giro di pochi mesi, le è già diventata, per dirlo in una sola parola, semplicemente ossessiva. “Va bene, va bene”, risponde all'apparecchio cercando di dare l'impressione di stare davvero bene, di essere tranquilla, e anche assolutamente d'accordo con il suo capo. Riaggancia la telefonata, riprende la lista dei dati a cui stava già lavorando ed inserisce in fretta qualcosa rimasto ancora insoluto, perché sa benissimo che il suo terminale è sotto controllo, e non può certo permettersi di dire una cosa e poi evitare di farla.

La sua abitazione sembra diventata quasi un luogo di autotortura, pensa ogni tanto, e l'angolo che si è dovuta ritagliare per operare all’elaboratore, accumulando lì attorno i faldoni e tutte le carte che le forniscono per posta elettronica dall’ufficio, quasi un luogo dove soffrire e poi basta, da sola ed anche in silenzio, senza più possibilità di una pausa caffè o di un semplice scambio di qualche parola con i colleghi. Una solitudine massacrante, le viene spesso da pensare, ed un orario da rispettare che scorre lentissimo, quasi un perfetto tormento. Agli inizi aveva pensato che si sarebbe potuta occupare ogni tanto della sua abitazione, prepararsi il pranzo, riassettare le cose, fingere di essere in casa e non al lavoro, ed invece tutte queste si sono dimostrate attività assolutamente impossibili, e dopo pochi minuti durante i quali il suo terminale si ferma, qualcuno dall'ufficio le telefona con voce irritata per chiedere il motivo di quella pausa non richiesta. Quasi dei lavori forzati, pensa LEI assoggettandosi sempre di più a quanto le viene imposto ogni giorno.

Oggi ad esempio, le hanno prefissato delle piccole pause, "tanto per venirti incontro", le hanno detto, soltanto tre minuti ogni due ore, magari per andare in bagno oppure prendersi un sorso d'acqua da bere, e LEI ha iniziato a rendersi conto che è del tutto impossibile sfuggire comunque a quell'occhio remoto e infernale che la guarda, e qualunque cosa le venga in mente di fare, come appuntare un lapis, cambiare posizione sopra la sedia, dare un'occhiata fuori dalla finestra vicino a LEI, è proprio come se LUI lo venisse immediatamente a sapere, certe volte intuendo perfino ciò che è soltanto una sua semplice idea, quasi la tenesse sotto osservazione, la misurasse continuamente. E poi quelle telefonate di richiamo all'ordine che sembrano approntate da un torturatore psicologico, che non manca mai di sottolineare la gran fortuna che ha un’impiegata di terzo livello come può essere LEI, di poter stare a casa e ricevere puntualmente il proprio stipendio.

Naturalmente sono state già decurtate alcune indennità tra le voci che compongono la sua busta paga, come se fosse stata una sua libera scelta quella di lavorare al proprio domicilio, e così niente più buoni pranzo, nessuna ora di straordinario pagata bene, niente scrivania con cassettiera e telefono aziendale, niente di niente, nonostante LEI prosegua spesso ad inserire quei dati maledetti e infiniti anche oltre l'orario pattuito, "per il raggiungimento degli obiettivi", naturalmente, fino ad arrivare al punto, quando infine può chiudere davvero la propria giornata lavorativa, di odiare tutta casa sua, il suo terminale diventato strumento insopportabile, quel telefono a dir poco ossessivo, pronto a squillare per intimarle qualcosa di cui occuparsi immediatamente, e tutto il resto di quel suo stramaledettissimo mestiere. Le cose però dovranno pur cambiare per LEI, pensa qualche volta; si tratta di resistere in questa maniera solamente per periodo di tempo, magari più lungo di quanto era previsto, ma dopo basta. Tornerà come prima dentro al suo ufficio, vestendosi con gusto ogni mattina ed indossando scarpe vere ai suoi piedi, non rimanendo con le pantofole per tutta la giornata come fa adesso. E soprattutto sarà insieme ai suoi colleghi, che qualche volta le erano parsi addirittura insopportabili durante gli anni precedenti, ma che adesso le mancano terribilmente.

 

Bruno Magnolfi

 

domenica 27 dicembre 2020

Qualcuno mi è vicino.

 

 

            “Non sono solo”, dico certe volte allo specchio della mia camera con voce alta, tanto per rendermi conto se lui oggi avesse voglia di rispondermi. E quello, quando lo fa, inizia sempre col parlarmi sottovoce usando delle parole a me sconosciute, costringendomi a cercare di comprendere cosa voglia intendere con quello strano dialetto per me incomprensibile. Gli ho anche chiesto più di una volta di esprimersi in altra maniera, con un linguaggio a me un po’ più chiaro, o se non altro di parlare più lentamente, scandire bene ogni parola e lasciarmi capire che cosa vogliano dire quei fonemi confusi. Ma nulla, non è mai possibile comprendere un accidenti, e la mia stessa immagine, di fronte ai miei occhi, prosegue a parlare come gli pare, ed io sto qui a guardarmi specchiato dentro alla cornice, come se prima o dopo fosse possibile iniziare una vera e propria conversazione.

            Poi, come ogni mattina, arriva una donna che abita poco lontano da qui, e si trattiene come sempre per un paio d’ore, giusto il tempo di aiutarmi nelle faccende domestiche; ma è scorbutica e scostante, ed io con lei non parlo, anzi, quando sento la sua chiave che gira nella porta, vado subito a rinchiudermi nel salottino, ad occuparmi di qualcosa, e lei mi lascia in pace, senza venire a dirmi niente se non lo stretto necessario. Non la reputo neppure una persona con la quale volentieri scambiare delle opinioni, o perlomeno non mi sembra che una donna del genere sia il tipo di compagnia di cui un uomo di una certa età, proprio come sono io, possa avere bisogno. Per cui la mia solitudine, comunque sia, resta invariata, anche se lei è presente nell’altra stanza a sistemare le cose dell’appartamento. Per questo, quando quella donna finalmente se ne va, sbattendo anche la porta alle sue spalle certe volte, torno immediatamente a tentare un dialogo con il mio specchio. E’ l’unico che può realmente darmi il senso di una presenza in casa, ed anche se ancora non ne capisco il linguaggio, ugualmente mi piace il suo modo di esprimersi.

            “Dobbiamo trovare un modo per dirci le cose”, gli fo con un atteggiamento remissivo, come quello di chi sa sopportare una situazione non esattamente favorevole. Lui so che è lì, dentro lo specchio, e probabilmente mi guarda anche quando sono di spalle, e soppesa sicuramente ogni atteggiamento che assumo, ed anche ogni mia espressione, come dovesse quasi prendere delle decisioni importanti che in qualche maniera mi riguardano. Ed io attendo, so essere paziente in casi come questo, e immagino che da un attimo all’altro possa iniziare a sproloquiare in quella sua maniera indecifrabile che in certi momenti mi fa proprio impazzire. Invece stamani niente. Non parla, non fa sentire in nessun modo la sua voce, ed anche se gli pongo delle domande dirette, lui non risponde, come non avesse neppure la facoltà di parlare. In questo modo è chiaro che io improvvisamente mi ritrovi in una condizione oltremodo difficile.

            Certo, non sono propriamente in completa solitudine, so che lui c’è come sempre dentro allo specchio, ma è come se non ci fosse, perché non dice niente, non si fa sentire, non si esprime, e se io guardo nello specchio vedo solamente la mia immagine e nient’altro. Perciò chiamo al telefono la donna che viene tutti i giorni a casa mia, e la prego di tornare un momento per risolvere una questione della massima importanza, e lei infatti si precipita, anche perché abita proprio qua vicino, ed io così le chiedo subito se per caso abbia notato qualcosa di particolare stamattina nel mio specchio che tengo appeso nel corridoio. La donna mi guarda, poi osserva a lungo lo specchio come dovesse risolvere un enigma di difficile soluzione, ed infine dice che secondo il suo parere non è cambiato niente in quello specchio, ma trova qualcosa di diverso nel mio comportamento.

Mi meraviglio, guardo le mie mani, le pantofole che indosso, guardo ancora la mia faccia riflessa nella grande specchiera appesa, e non trovo proprio niente di strano in ciò che vedo, anche se lei sorride, registra facilmente il mio imbarazzo, la mia curiosità nel riuscire a comprendere che cosa ci possa essere in me di differente rispetto ad ogni altra volta. “Si sente solo, ecco tutto”, mi dice all’improvviso. “E non le basta più fingere che ci sia qualcuno dentro allo specchio pronto a risponderle, per immaginare di essere davvero in questa casa insieme ad una vera persona”.

 

Bruno Magnolfi

venerdì 25 dicembre 2020

Superiori alle regole.

 

 

            Non so come meglio dirtelo, però sei tu il vero problema. Tutti si sono presentati con la voglia di stare tranquilli, divertirsi, svagare la mente, magari chiacchierare con gli altri anche per rendere più interessante la festa, instillare l’impressione che i pareri su una cosa o sull’altra abbiano ancora un loro rilievo, e che le parole, pur scambiate nel corso di una serata leggera come può essere questa, abbiano una propria importanza, un valore, anche un peso, se proprio vogliamo essere chiari. E in tutto questo tu sei soltanto stata capace di portare con te quella solita depressione che non fa star bene nessuno, che provoca soltanto irritazione, amarezza, voglia di scansare in qualche maniera le tue opinioni tristi e perlopiù inconcludenti. Certo, tutti abbiamo tentato di fingere che le cose andassero bene lo stesso, c'era da bere, da mangiare, la musica, però qualcosa d'importante strideva, lo si avvertiva benissimo. Quando ti sei messa seduta in silenzio e da sola, per un verso abbiamo tirato un sospiro di sollievo, ma d’altro lato la tua presenza stessa ha proseguito con il suo influsso di grigiore e di tristezza. Nessuno naturalmente ti ha chiesto di andartene via, perché tutti siamo persone educate e rispettose nei confronti degli altri, anche se il tuo continuare a prendere parte ad una serata come la nostra è sembrata a chiunque una cattiveria gratuita.

            “Come va?”, ti ha chiesto qualcuno nel corso della nostra piccola festa, ma più per darti la possibilità di farti sentire tra amici, che per vero interesse alla tua condizione. E tu non hai saputo far altro che attaccare con un sermone infinito, una vera cantilena sui tuoi malesseri e tutte le manie che covi da sempre dentro di te. Ci chiediamo addirittura che cosa mai ti abbiamo fatto di male per costringerci a sopportare il peso snervante della tua vista già di per sé deprimente, con l’aggiunta dei tuoi modi di essere incapaci di calarsi in una situazione che cerca di essere allegra e spensierata come una festa. Ma il tuo egoismo ha proseguito imperterrito a sviluppare il proprio livido disegno negativo, ed anche quando ti si è fatto immaginare che c’è un limite a tutto, e chi ti sta attorno non è chiamato per obbligo di legge a sopportare il tuo disagio manifesto, tu hai proseguito ad inclinare la testa su un lato e ad osservare semplicemente le tue mani, conservando la faccia da funerale che ti è consueta, e mostrando come sempre l’espressione di chi non viene compresa.

La festa ormai è rovinata, hanno pensato in molti, e tanto varrebbe persino prendere e andarsene, se non fosse per la figura meschina di coloro che dimostrerebbero in questa maniera di non riuscire a resistere al fastidio di doverti sopportare per forza; oppure, al contrario, potremmo metterti addirittura al centro dell’attenzione, per imparare proprio da te come si fa a non somigliarti per niente. Chiaramente poi non abbiamo fatto così, però se la serata non è decollata come doveva, sappiamo tutti a chi darne la colpa, e del resto è ormai chiaro che tu sei venuta tra noi proprio per questo, per rendere angosciati anche quelli che prima non lo erano affatto. Così il ritaglio di spensieratezza e divertimento, peraltro meritatissimo, che volevamo dedicare a noi stessi, all’interno di un periodo talmente nero e buio come si è dimostrato questo, almeno fino adesso, si è afflosciato rapidamente tra le tue mani, grazie alla tua incapacità di guardare anche gli altri attorno a te, oltre che vivere rinchiusa in te stessa e circondata soltanto dai tuoi oggetti personali.     

Alla fine, proprio in questo momento, ci stai salutando uno per uno per andartene sicura di lasciare dietro di te una grande mestizia, come se purtroppo, alla fine di questa festa, ti ritrovassi senza ombra di dubbio a riconoscere che queste persone che hai avuto di fronte a te per tutta la sera, non sono quelle che ti si confanno maggiormente, e che a dirla tutta la colpa è un po’ proprio la nostra, che non siamo neppure riusciti a farti divertire, magari facendoti dimenticare che la nostra era un’aggregazione proibita, un ritrovarsi oltre gli schemi, e che proprio per questo motivo avremmo dovuto sentirci tutti felici, leggeri, trasgressivi quanto basta, contenti di essere parte della schiera degli indifferenti alle regole, ben superiori, esattamente in questo, a qualsiasi indicazione.

 

Bruno Magnolfi  

 

mercoledì 23 dicembre 2020

Tempi migliori.

 

        

            Passano dei ragazzi che urlano per insoddisfazione forse, così io li osservo da una finestra di casa e mi sembra proprio di stare in mezzo a loro. Prendo la giacca, scendo le scale, mi avvio lungo il marciapiede: devo acquistare qualcosa da mangiare penso, del pane e del formaggio, niente di più, perché devo rientrare in fretta, non oltre quindici minuti, che sono quelli previsti. Mi fermo ad osservare una vetrina dalle luci spente, oltre la serranda a maglie larghe di un negozio chiuso, perciò stempro la mia angoscia tra gli sguardi, naso al vetro, su oggetti nuovi ma di uso abituale. In mezzo c’è anche una grossa pinza di plastica verde, una di quelle per tenere assieme i fogli di carta, magari qualche appunto, qualche nota da gettare là, alcuni pensieri che certe volte sembrano volersi staccare dalle preoccupazioni di ogni giorno, e vengono come fermati così da qualche parte, per un altro momento, per quando magari saremo tutti più sereni. Mi piacerebbe come gli altri trattenere anche per me qualcosa penso, poi vado però, quasi di fretta, e raggiungo casa. Il mio elaboratore naturalmente è rimasto sempre acceso, ed ha proseguito a scaricare varie cose dalla rete: messaggi, documenti, molte sciocchezze, altrettante immagini. Bussa alla porta il mio vicino, parla sottovoce, siamo controllati sottintende, chiede se per caso abbia voglia anche io di parlare un po’ con lui.

Siamo in due, possiamo prenderci un caffè ed intanto lamentarci un po’ di come vanno tutte le cose, che non si può far altro, e lui dice che ha paura, non si sente protetto come dovrebbe essere, ed io intanto sorrido con amarezza, mentre memorizzo la sua evidente depressione. Troppo fragile penso, non durerà molto se continua in questo modo, non si può subire e basta, ed il mio vicino non ha il carattere adeguato per imporsi. Ci sarà una selezione penso, in questo momento siamo chiamati tutti quanti a sforzarsi il più possibile per rimanere a galla. Mi serve quella pinza, devo appuntarmi molte cose, non riuscirò mai a tenerle a mente senza avere perlomeno una qualche traccia scritta penso. Se ne va, lo accompagno, torno al mio elaboratore, così modifico un’immagine e la proietto in faccia a chi sta ancora dietro a queste cose, poi apro un documento e resto lì, senza fare niente. Non posso prendere appunti in modo elettronico, troppo facile scoprire la mia indole, chiunque tra i curiosi sarebbe pronto a far presente alle autorità i miei modi di riflettere le cose.

Lungo la strada adesso c’è silenzio, chi sta in giro può camminare soltanto attorno all’isolato, una volta sola, e di macchine con il permesso valido per marciare sull’asfalto quasi non si sentono, tanto si muovono lentamente, quasi in punta di piedi. Sono convinto che qualcuno ha una gran voglia di fuggire, di ribellarsi a tutto, di strapparsi di dosso questa angoscia che prosegue insinuante a creare solo altro malessere. Prendo un foglio di carta da un quaderno, e scrivo in fretta quello che ho pensato: è almeno un inizio, qualcosa da rammentare in seguito, perché voglio appuntare tutti i miei pensieri di questi tempi oscuri, perciò presto avrò bisogno di tenerli tutti assieme in un cassetto, o su un piano della libreria, non so. La mia calligrafia fa schifo, ma è una fortuna, in pochi riuscirebbero a comprendere tutte le parole, soltanto io.

Mi sollevo dalla scrivania, lo schermo dell’elaboratore lampeggia per segnalare che sono arrivati ancora dei nuovi messaggi, nuove cose da scartare e cancellare penso, che ormai tutto quanto è diventato solo spazzatura, non c’è più niente di salvabile in mezzo a quei materiali colorati che girano sopra gli schermi. Mi serve la pinza, devo appuntare le cose che rifletto, almeno fino a quando riuscirò a farlo, e mi riterrò ancora libero dall’accidia e dalla depressione che viaggiano veloci ormai dentro le nostre case. Posso forse usare una molla per i panni penso, in fondo dobbiamo ingegnarci per riuscire a sopravvivere. Così torno ad alzarmi, a girare ancora dentro la stanza, e sono contento penso, riesco a prendere decisioni, ad avere una coscienza, a darmi dei progetti. Più tardi uscirò ancora forse, e guarderò meglio ciò che offre il mio quartiere: se non si può andare da altre parti, almeno cercherò di sfruttare tutto quello che mi trovo sottomano penso.

 

Bruno Magnolfi 

lunedì 21 dicembre 2020

Senza problemi.

 

          

            Il collegamento è già attivato, LUI come ogni volta si è piazzato seduto al proprio terminale davanti alla scrivania di casa sua, e tutti gli ALTRI poco per volta iniziano ad apparire dentro alle finestrelle dell'ampio schermo che si trova di fronte ai suoi occhi. Non è male incontrare una parte dei propri colleghi almeno un giorno alla settimana, perché lavorare così a lungo da soli nella propria abitazione, con le dita sopra la tastiera per tutto quel tempo previsto dal contratto, fa sentire nel corso del tempo quasi degli estranei al mondo, dei personaggi come avulsi da tutto, come dei pesci che via via si ritrovano senza più l’acqua fresca e trasparente dove poter nuotare. Durante questi collegamenti LEI evita sempre con attenzione di passare davanti all’obiettivo: non le va di mostrarsi, preferisce restare nell’ombra, e lasciare che tutti pensino, com’è sempre stato, che LUI abiti ancora da solo dentro al suo appartamento. Farà una sorpresa, prima o dopo, a tutti quegli impiegati uniti dallo stesso mestiere e che ormai scambiano i loro dati semplicemente su quegli schermi, ma sarà LEI a scegliere il momento opportuno, senza lasciare questo compito al caso.

            LUI certe volte la osserva, mentre LEI si muove in perfetto silenzio sul retro dell’occhio vigile incorporato nell’elaboratore in funzione, e forse avrebbe voglia di dirle qualcosa, o farle un sorriso, però si trattiene, perché conosce i suoi sentimenti e non vuol certo farle una cosa sgradita proprio in quei loro primi mesi di convivenza. Si sono conosciuti tramite uno scambio fortuito di messaggi elettronici, senza avere delle conoscenze comuni, e poco per volta hanno accettato di svelarsi sempre di più certe piccole intimità, fino a desiderare di vedersi dal vivo, ed il resto è avvenuto quasi per un automatismo, considerate le condizioni. In fondo ci si sceglie per affinità, per un comune pensare, per una simpatia innegabile, o anche per una luce improvvisa che siamo sicuri di intravedere dentro allo sguardo dell’altra persona. Così vanno avanti le cose.

Comunque resta necessario in tutto quanto una buona dose di tolleranza, LUI lo comprende benissimo, ed anche riuscire a restare in silenzio tutte quelle volte che non è richiesta una propria opinione, specialmente se non appare in accordo con il parere di chi ci è vicino. Per cui, se anche rimane un suo forte desiderio quello di parlare con gli ALTRI di LEI, e riuscire a presentare almeno il suo bel viso davanti a quello schermo, alla fine è disposto a farne anche a meno, se non altro fino a quando le cose non sapranno mostrarsi mature e possibili anche per la sua donna. Comunque è chiaro che si parla naturalmente e soprattutto di lavoro in quei collegamenti virtuali, e forse non ci sarebbe neanche il tempo per lasciarsi andare a troppe incursioni nella vita privata, tanto che LUI anche oggi presenta i suoi dati, ciò che ha elaborato, e dice qualcosa degli aspetti su cui ha esercitato fino ad oggi le proprie competenze, limitandosi in margine ad osservarla ogni tanto con la coda degli occhi, sollevando con malcelato interesse la vista dal video, mentre LEI prosegue a muoversi leggermente dentro la stanza, mentre guarda qualcosa fuori dai vetri della finestra, o resta lì a rimirare qualcosa, quasi con un pizzico di indifferenza, tanto che forse una gran parte della propria attenzione, invece che dai problemi del suo mestiere, è proprio assorbita dal comportamento che ha LEI, da quel suo non fare, quel lento non occuparsi di nulla, tanto da doversi sforzare ogni poco per riprendere il filo di quello che viene detto e discusso tra tutti i colleghi.

Forse qualcuno di loro però nota qualcosa, magari la sua scarsa attenzione, oppure quel suo sguardo attirato su un lato, perché ad un certo punto gli chiedono in due o tre se abita sempre da solo, oppure se adesso abbia compagnia  dentro alla sua dimora; LUI arrossisce, non riesce a trovare una risposta pronta e adeguata, così si limita a cambiare immediatamente discorso, confermando qualcosa che sta girando immediatamente nella testa di tutti. Un attimo, ed è al centro di ogni interesse quanto non si riesce a vedere nella stanza da dove LUI è collegato, e non ci vuol molto a comprendere che la sua vita privata in questo momento stia come traboccando dai propri confini. “Sto qui da solo”, dice infine LUI con poca credibilità, “non sono neppure più abituato a stare con qualcuno”; e gli ALTRI immediatamente annuiscono, assolutamente senza problemi.

 

Bruno Magnolfi   

venerdì 18 dicembre 2020

Indignazione giustificata.

 

          

            Le scarpe dell’uomo seduto sul legno ben stagionato di una panchina dei giardinetti cittadini, appaiono immediatamente di buona qualità, praticamente quasi nuove, di sicuro ben pulite, e soprattutto indossate con la stessa indifferenza tipica di chi potrebbe riuscire a camminare a piedi nudi su di una levigata spiaggia marina dimenticandosi di avere delle gambe e dei piedi sotto al proprio corpo deambulante. Che poi lo stesso tenga tra le mani un quotidiano di grande formato che continua a sfogliare leggiucchiando qualcosa tra i titoli e gli articoli, è un elemento quasi secondario, così come il fatto che la sua giacca piuttosto elegante sia di un colore assolutamente appropriato al luogo, alla luce solare oggi assolutamente calda in questa tarda mattinata, alla pettinatura dei capelli ampiamente brizzolati, ed ai calzini che occhieggiano oltre l’orlo dei pantaloni ben stirati, sembra quasi superfluo, perché la cosa essenziale che si nota di lui è che le sue calzature sono assolutamente adeguate a tutto l’insieme. Certo è che sentirsi un buon paio di scarpe ai piedi è anche quasi sinonimo di voglia di camminare, ma l'uomo invece resta lì, quasi fermo sopra quella panchina, indifferente al fatto che in tutta la zona ci siano dei larghi marciapiedi, ed anche circondati da tanti bei negozi con le loro vetrine assolutamente da ammirare.

Quando poi giunge la signora col suo cagnolino, con ogni probabilità una vedova, o una separata brillante e ancora in forze, naturalmente non sembra che le cose siano capaci con facilità di escogitare un rapido accordo interpersonale, considerato soprattutto che questo tipo di animaletto con cui lei al momento si accompagna, tende per sua natura ad annusare immediatamente le scarpe di chi si trova vicino, se non addirittura usarle come angolo da prendere di mira per qualcosa di peggio. Ma fortunatamente non è questo il caso in questione, e la signora, una volta debolmente ricambiato il saluto dell'uomo che fa riemergere come dall’acqua lo sguardo da sopra quella sua carta stampata, mostra di volersi accomodare senza tentennamenti dalla parte più libera proprio di quella panchina, tralasciando ogni indugio riguardante l'indole della sua bestia al guinzaglio, ma registrando, senza assolutamente mostrare alcuna curiosità, da persona sicuramente sensibile ed attenta a certi dettagli, la buona presenza della persona accanto a cui sta per sedersi.

Il volpino color miele dal pelo lucido, in fondo ad una sottile cinghia di pelle rossa, pare in questo momento esatto del tutto indifferente alla compagnia scelta per trascorrere la prossima mezz’ora, ma con un piccolo guaito incoraggiante verso chi ne osserva le intenzioni, si lascia subito prendere in collo dalla sua padrona, preferendo di gran lunga il suo caldo abbraccio alla ghiaia spigolosa del vialetto. “Buongiorno”, replica infine l’uomo indirizzando adesso scherzosamente il proprio saluto proprio all’animale, e la signora, con un sorriso breve e assolutamente compiacente, dice subito, a giustificazione del proprio comportamento, che è piuttosto stanco il suo Duffy, in quanto “ha già ormai trotterellato persino troppo per questa passeggiata giornaliera”. “Deve essere giovane, però”, dice allora l’uomo tanto per allungare i complimenti all’animale pur dandogli implicitamente del viziato. “Non creda”, fa invece la donna; “ha già passato ormai i sei anni”, tirando un sospiro come se tutte le colpe del mondo fossero da addebitare al tempo che passa, il quale probabilmente trascorre troppo in fretta, secondo il suo parere. 

Infine l’uomo si alza, forse addirittura con un sottile dispiacere, considerato tutto, anche se certo non vorrebbe adesso vedersi costretto ad intavolare un vero dialogo sul tempo, sui cani, o sui giovani d’oggi, e poi con una signora dello stampo di quella che si è ritrovato vicino stamattina. Per lasciare un saluto, con un dito tocca per un attimo la fronte del cagnolino, lasciandosi rapidamente leccare dall’animale, poi dice che deve proprio sbrigare qualche commissione, ma quando ripiega il giornale e lo ripone in una tasca della giacca impeccabile, si accorge all’improvviso che la stringa della sua scarpa sinistra è indubbiamente slegata, e questo forse gli provoca un forte risentimento, anche se subito, con completa indifferenza, porge un saluto appropriato anche alla signora, e quindi si incammina, serio ma senza apparire indignato, anche se risoluto, nonostante tutto.

 

Bruno Magnolfi

giovedì 17 dicembre 2020

Matite colorate.

 

         

            “Aprire nuovo documento”, dice LUI dentro al microfono portatile che gli pende da un orecchio mentre cammina nervosamente in casa sua osservando appena l’elaboratore acceso. Tutto funziona perfettamente, anche se non avere sottomano le lettere da digitare sopra la tastiera non è particolarmente stimolante. Poi riflette un attimo su quale possa essere l’attacco migliore per la relazione da leggere ai colleghi fra non molto, quando sarà in video conferenza insieme a tutti gli altri, ma nessuna frase per il momento gli sembra la più adatta. Si sofferma a toccare la sua collezione di matite colorate disposte in un capiente astuccio, ne muove un paio che adesso gli sembrano quasi fuori posto, poi dice con decisione: “dovremmo essere degli sciocchi per non renderci conto di quanto sia importante questa fase per la nostra azienda”, ma subito si interrompe riflettendo che un attacco diretto del genere possa venire giocato tutto sul timbro particolare che si dà alla voce, naturalmente insieme all’espressione decisa della faccia con cui ci si starà mostrando agli altri sullo schermo. Ci vuole uno sguardo fisso, pensa, e poi senza indugiare puntare diritti verso l’obiettivo senza mai sbattere le ciglia neanche per una volta. Riascolta subito le parole che ha appena registrato e la macchina le riproduce con estrema fedeltà, anche se gli appaiono adesso persino troppo teatrali. Però il senso va bene, forse deve soltanto ammorbidire la dizione.

            “Si può immaginare diverse soluzioni per superare questa fase”, dice ancora LUI al suo elaboratore; “però si può anche essere certi che sarà impossibile non definire esattamente da quale parte stare”. Un’affermazione del genere, con lo sventolio della doppia negazione in primo piano, è proprio la maniera per far venire allo scoperto anche i più recalcitranti, e se poi tutto questo è servito con delle maniere calme e anche piuttosto garbate, pur presentandosi come assolutamente ferme, il risultato può essere soltanto positivo. L’elaboratore prosegue a registrare in modo neutro, senza sollevare obiezioni, e già questo indica che la strada intrapresa può essere davvero quella giusta. Gira ancora avanti e indietro intorno alla sua scrivania, ed alla fine LUI solleva tra l’indice ed il pollice la matita del colore rosa geranio, osservandone la punta perfettamente conica e fresata. poi va a riporla tra il rosa flou e il rosa carne, nella stessa posizione dove era sempre stata.

            Non ci sono dubbi che le difficoltà del periodo portino tutti quanti i suoi interlocutori su posizioni più solidaristiche, ed è proprio per questo che il momento appare particolarmente adatto a forzare la mano anche dei più riottosi per accompagnarli verso un cambiamento vero ma nascosto, di misura storica per tutta la loro azienda, quella rappresentata da una serie di personaggi di cui quasi la metà sembra ogni giorno meno adeguata ai compiti assegnati. “Le modifiche ai nominativi dell’intero gruppo direzionale e la defenestrazione di almeno una parte di quello arriveranno soltanto in un secondo tempo, quando ormai non sarà possibile tornare indietro”, dice ancora LUI a voce alta, riproponendosi immediatamente di cancellare qualsiasi traccia della registrazione che sta proseguendo ad elaborare. Sullo schermo le sue parole vocali appaiono già decifrate e riprodotte a stampatello in maniera chiara e con caratteri di ampia leggibilità, e l’impostazione dell’intervento che LUI dovrà effettuare tra pochi minuti ormai sembra definito. Così si siede davanti alla tastiera dell’elaboratore e cancella ciò che non è utile, lasciando solamente la traccia effettiva da cui intende muovere. Poi si rilassa per un attimo, osserva di nuovo le matite, ed infine si collega.

“Ci sono già arrivate le tracce del tuo discorso”, gli dicono in due o tre che stanno già davanti ai propri terminali; “ci deve essere uno scherzo dietro a tutto questo”, gli dicono senza calcare troppo la mano, almeno per il momento. LUI si scusa, balbetta qualcosa di insignificante, appare a video estremamente imbarazzato anche nello sguardo, poi cerca di spegnere e riaccendere rapidamente qualcosa delle sue macchine per simulare una poco credibile intromissione piratesca. Infine resta in silenzio, rinunciando ovviamente al suo intervento, mentre adesso gli appare assolutamente certo che la matita di colore rosa geranio non stia proprio al posto giusto.

 

Bruno Magnolfi    

martedì 15 dicembre 2020

Riscatto contemporaneo.

 

 

            Sono qui da solo davanti allo schermo del mio elaboratore, e penso che dovrei assolutamente essere stipendiato per tutta la pazienza che dimostro nel sopportare una situazione così al limite come sembra ormai sia diventata questa. Sono i soldi che proprio non ci sono tutto il mio problema, ma non trovo la maniera per farmene scucire almeno un po’ da quei chiacchieroni che ingombrano ad ogni ora i programmi politici della televisione. Mi sono collegato, ho fatto tutte le domande che mi sono state presentate, ho riempito con i miei dati ogni modulo elettronico che mi è stato sottoposto, e poi invece niente, qualcosa alla fine dei sistemi dice sempre che non ho diritto ad avere né un sussidio, né un mantenimento, né una paga, e neppure un gesto qualsiasi di carità, lanciato verso un cittadino come tutti gli altri, uno proprio come mi sento io, né più né meno, forse soltanto più sfortunato di tutti. Mi pare quasi impossibile che vicino a me, da persone più smaliziate di quanto posso essere io, vengano manipolate e spartite montagne intere di quattrini alla velocità della luce, e che ci siano qui accanto anche degli individui che si permettono, con grande semplicità, qualsiasi cosa gli possa venire alla mente, in ogni attimo qualsiasi della loro giornata, mentre io che ho sempre fatto il mio dovere verso lo Stato, senza dare mai problemi proprio a nessuno, non abbia nemmeno la possibilità di un mensile, tanto per tirare avanti.

            Certo, è indiscutibile affermare che c’è la pensione dei miei genitori che riesce a coprire tutte le spese relative alla casa dove noi abitiamo, e che sopperisce anche alla mia situazione cronica di disoccupato, però io che ormai ho già passato i quarant’anni d’età, adesso non sono proprio capace di immaginare come potrà mai essere il mio futuro, una volta che i miei punti d’appoggio venissero a mancare. Mi pare impossibile continuare così, come altri fanno peraltro, nell’adattarsi a percorrere una stessa strada senza riuscire ad osservarne un semplice dettaglio evidente, una particolarità, uno scorcio che è lì, davanti agli occhi di chiunque, mentre loro invece camminano e non lo notano, e non si rendono neppure conto della sua presenza, come non esistesse, non ci fosse mai stato. Voglio capire cosa sia meglio fare, voglio intraprendere una via che mi porti finalmente da qualche parte, senza farmi perdere la testa. Perciò uso l'elaboratore, e mi collego ad ogni ora in ogni sito che trovo, capace di fornirmi qualche informazione, passando per delle pagine elettroniche che spiegano in dettaglio in che modo sia meglio comportarsi per una persona come sono io.

Mio padre oramai è una persona anziana, non la comprende per niente la mia maniera di comportamento, diciamo che si limita soltanto a sopportarla, e certe rare volte dice a voce alta senza riferirsi direttamente a me, che sto perdendo solamente il mio tempo in questo modo, anche se poi tutti e tre insieme ci mettiamo a sedere al tavolo di cucina e consumiamo i nostri pasti in silenzio, senza scambiare mai troppi discorsi, forse anche per non rovinarci troppo l’appetito. Mia madre invece ogni tanto mi guarda per un attimo e poi si limita a scuotere leggermente la sua testa mentre chissà che cosa pensa, e a me forse fa più male quel gesto lì che tutto il resto dei suoi comportamenti, tanto che la ignoro, faccio finta di nulla, mi disinteresso completamente dei suoi giudizi. Non sono disperato, mi pare quasi inevitabile ritrovarmi in questa situazione; chiedo soltanto che qualcuno si metta una mano sopra la coscienza e scovi la maniera per farmi avere un vitalizio, un reddito qualsiasi che mi permetta di sopravvivere, esattamente come tutti. Perché sono sicuro che io ne abbia diritto, e che ci debba essere anche per me una piccolissima fetta della torta che tutti si spartiscono. Sono un cittadino, uno che è nato in questa terra, uno che può vantare delle origini assolutamente oneste, frutto di brave persone che hanno masticato per generazioni lavoro duro e sofferenza, e senza mai neppure lamentarsi. Perciò adesso resto qui, dietro a questo elaboratore sempre acceso, perché è soltanto da qui, come è stato spiegato già da altri prima e meglio di come posso fare io, che può uscire fuori, per me e per coloro che vivono una situazione simile alla mia, quel riscatto che sento doveroso verso me e verso la mia persona.

 

Bruno Magnolfi   

sabato 12 dicembre 2020

Notizia bomba.

 

 

            In sede oggi non c'è nessuno, esclusa LEI dentro all'ufficio piccolo, china sulla scrivania ingombra di carte, mentre sta leggendo dei ritagli di giornale e degli appunti che si è preparata con cura nei giorni precedenti. La rivista di quartiere per cui lavora da più di un paio d’anni, un giornaletto in edicola una volta al mese con degli articoli senza tante pretese, che attraverso le pubblicità capace di inserire è in grado soltanto di procurarle qualche rimborso di spesa e niente di più, poco per volta è diventato comunque per LEI l’impegno di ogni giorno, in cui si applica sempre al massimo, tentando ogni volta di scrivere in qualsiasi numero che venga messo in distribuzione, qualcosa di interessante e anche di arguto, un po’ per amore verso la sua città, e un po’ anche per cercare di essere notata nell’ambiente, con la speranza di fare carriera in qualche modo, insomma. Perché le piace modellare le parole e le frasi attorno alle scarse notizie che secondo il suo parere potrebbero forse andare ad incuriosire qualcuno che conta, una volta pubblicate, tra quei concittadini che abitano là attorno e che leggono le storie del rione, ed è proprio per questo, anche quando sembra abbia ormai finito di buttare giù uno qualsiasi dei suoi pezzi, che torna sempre a rileggerlo e a valutare con distacco professionale quelle informazioni e quei discorsi, in modo da poter correggere il più possibile ogni errore, e migliorare sempre tutto il risultato.

Quel paio di stanze fronte strada che la parrocchia di zona ha concesso di utilizzare a LEI insieme a quei quattro o cinque redattori della rivista, sia per la preparazione degli articoli, sia per impaginare il materiale, ed infine anche per dare alle stampe la pubblicazione terminata, sono senz'altro buie e fredde, ma secondo il suo parere è esattamente quella la gavetta che si deve fare in certi ambienti per sperare di assurgere ad una migliore vita lavorativa. Così è la persona che più di tutte frequenta quelle scrivanie, e quando c’è da fare una riunione per decidere una cosa o l’altra del giornale, LEI è sempre la prima a farsi vedere là dentro. Poi arriva il direttore. Dice svelto, dopo averla salutata: “dobbiamo ancora trovare l’argomento principale per questo mese”, senza neppure soffermarsi troppo a guardare il materiale su cui LEI sta lavorando. “Ci vuole qualcosa di forte”, prosegue, “pensavo ai lavori che devono iniziare quelli del Comune, però mi hanno detto che ancora non sono stati finanziati in Consiglio, perciò avranno tempi più lunghi del previsto”. A un certo punto si siede all’altra scrivania e tira fuori anche LUI qualche documento dalla sua cartella, tanto per far vedere che non è del tutto impreparato. Infine si volta a guardarla.

LEI sta digitando adesso qualcosa sul suo elaboratore portatile, ed ogni tanto si interrompe per guardare qualcosa tra i fogli sul suo tavolo, ma all’improvviso si ferma, volta la faccia verso la parte dove si è messo seduto l’altro, ed infine fa: “potremmo inventarci noi qualcosa di nuovo”, con una voce calma e impersonale, che quasi non chiede commenti. LUI non sembra darle retta, non riesce minimamente a comprendere a che cosa voglia alludere, ma gli sembra qualcosa buttata lì quasi per scherzare. “E’ facile”, continua lei; “potremmo inventarci una cosa che non esiste, ma che magari potrebbe piacere a tutti”. “Non capisco”, fa LUI dandole finalmente retta. “Forse intendi una notizia falsa che si capisca come scritta soltanto per attirare l’attenzione”. “Esatto”, dice LEI. “Come dire, per esempio, che i lavori del Comune che questo quartiere aspetta da vent’anni, adesso sono già iniziati, anzi, sono addirittura ad un buon punto, quasi terminati, via”. L’altro resta immobile. “Una provocazione”, fa adesso, guardando qualcosa di imprecisato sopra la parete.

Così cominciano a lavorare sopra quell’idea, come se da ora in avanti la loro piccola rivista, a corto sempre di notizie, inaugurasse con la notizia principale del mese una rubrica che potrebbe essere letta come -il mondo dei sogni-, dove infilare quello che molti cittadini vorrebbero vedere realizzato per davvero, anche se astruso o anche impossibile da essere compiuto. “Certo”, fa LEI, “un articolo in cui si parla in termini seri e precisi di qualcosa che se anche non vedrà mai la luce, in tutti i casi può sollevare molte curiosità e tanto interesse”.  “Mi piace”, fa allora LUI; “però dobbiamo lavorarci bene, e così il prossimo numero sarà una vera bomba”.

 

Bruno Magnolfi

giovedì 10 dicembre 2020

Immagine inadatta.

 

      

            “Avevo un amico”, fa LUI mentre sistema delle carte nella libreria; “ma ci siamo persi”. Anche oggi fuori dai vetri la giornata appare grigia, con un cielo carico di nuvole e di pioggia, ma nell’appartamento all’ultimo piano di quel palazzo enorme dove  loro due sono andati ad abitare da circa un anno, adesso non giunge quasi niente delle voci e delle espressioni dei passanti lungo i marciapiedi cittadini, e neppure qualcosa di quegli evidenti rumori del traffico lungo la strada principale sempre congestionata. LEI sta seduta davanti al proprio elaboratore, digitando qualcosa ogni tanto e confrontando le informazioni che le servono per il suo lavoro. Poi dice: “mi spiace non averlo conosciuto”, con un moto di indifferenza ma anche con naturalezza. “Tutto risale a parecchi anni addietro”, aggiunge LUI tenendo in mano qualcosa che probabilmente gli ha riportato alla mente dei particolari proprio di quel periodo; “quando ancora io e te non ci conoscevamo neppure”. Poi ripone quanto si trova nelle mani, si volta e dice a voce bassa, come tra sé: “non so perché mi è accaduto questo: forse è colpa mia, ma da qualche anno a questa parte è come se poco per volta abbia continuato a perdere per strada tutti quelli che precedentemente avevo conosciuto”.  

            LEI sorride, come per aver ascoltato una spiritosaggine, e intanto continua a digitare qualcosa sulla tastiera davanti a sé. LUI alla fine si siede sulla poltrona con una specie di rivista, la sfoglia come per curiosità, ed infine: “mi piacerebbe adesso sapere qualcosa di tutte quelle vecchie conoscenze”, dice quasi di fretta; “però avrei anche paura nel ritrovarle, proprio per il confronto inevitabile delle cose tra il prima ed il dopo, e soprattutto per il dover ripensare alle belle aspirazioni che avevamo un tempo, quando eravamo tutti più giovani e migliori”. C’è anche un effetto nostalgia che va scansato in ogni maniera, pensa senza dire altro; soprattutto per la tristezza che inevitabilmente genera. Loro due si sono messi assieme soltanto dopo essersi lasciati alle spalle diverse altre relazioni reciproche, tutte naufragate male in un modo o nell’altro, senza alcuna possibilità di recupero, ed alla fine le cose sembrano aver trovato adesso un equilibrio un po’ più duraturo soltanto perché basato su quella maggiore tolleranza di coppia che hanno imparato ad avere. “Ho ancora qui alcuni suoi appunti del periodo universitario”, conclude poi quasi divertito.

  La stampante collegata all’elaboratore edita rapidamente alcuni fogli, mentre LEI si alza dalla scrivania, prende le carte pronte, poi si volta verso di LUI, come chiedendosi improvvisamente il motivo per cui non le stia dicendo altro di quel periodo a cui sembra tanto affezionato. “Peccato non essersi conosciuti in quel momento”, gli dice poi con noncuranza, forse per compiacerlo, ma quasi con ironia, mentre infila i quattro o cinque fogli di carta dentro una cartella. “Questo è vero”, fa LUI rimettendo nella libreria quell’inserto, come a voler chiudere in fretta l’argomento, o dispiacendosi addirittura di aver evocato in qualche modo quel passato, cercando così di recuperare in fretta l’impegno doveroso nel loro fondamentale presente. “Va bene”, fa LEI, però ora basta con questi discorsi, vado in cucina a prepararmi un caffè, se vuoi te ne porto una tazza”. LUI così, una volta da solo nella stanza, riprende in mano quegli appunti, tira fuori in fretta di nuovo quella foto che aveva notato prima ma che non voleva far vedere a LEI, e dà un’occhiata esauriente a tutta quanta l’immagine, per ricostruire bene il periodo in cui era stata fatta. Poi la mette via, dove era rimasta prima, per tutto quel lungo periodo.

Quando LEI torna ha un vassoio con i due caffè, e l’espressione sulla faccia di chi ha compreso perfettamente cosa sia successo in quei pochi minuti in cui non c’era. LUI la guarda, prende la sua tazza, cerca rapidamente un argomento tanto per parlare di qualcosa, ma poi resta in silenzio, senza neppure una parola adatta; mentre LEI, con un leggero sorriso apparso all’improvviso agli angoli della bocca, torna a sedersi al suo elaboratore.

 

Bruno Magnolfi

    

martedì 8 dicembre 2020

Tutto a posto, o quasi.

 

 

            Sento male ad una gamba. Se provo a camminare la strascico, faccio buffe smorfie di sofferenza e poi provo un dolore tale che alla fine zoppico anche se non vorrei. Mi siedo, non posso fare altro. Appoggio a terra il piede soltanto sul tallone e stendo l'arto in maniera da dargli un po' di sollievo, poi rifletto che potrei prendere un antidolorifico e smetterla di preoccuparmi troppo. Può essere un tendine, un muscolo, una sciocchezza momentanea che tra non molto la finirà con il suo fastidio, e mi farà ritrovare la pace che merito. Mi muovo, ingoio una pillola e poi vado a sdraiarmi sul mio letto. Sto meglio in questa posizione, sento un leggero caldo alla gamba dolorante, ed adesso che sta a riposo tutto quanto mi sembra soltanto poco più di un fastidio. Potrei quasi addormentarmi, magari immaginando di migliorare ancora, e così ritrovarmi in sogno a correre ed a muovermi su un prato in pieno sole. Invece mi giro su un fianco ed il dolore è ancora lì, esattamente come prima, senza alcuna tregua.

            Va bene, penso, si tratta soltanto di fare tutto quello che avevo già deciso con la più forte indifferenza verso questo contrattempo. Mi alzo, vago per casa cercando quello che mi serve, storco la faccia in nuove espressioni di dolore, e poi, indossata la giacca e prese le chiavi per uscire, mi rendo conto all’improvviso che forse non sarò capace di scendere tutti e tre i piani delle scale condominiali. Chiudo la porta alle mie spalle ed inizio comunque a muovermi, un gradino dopo l’altro, sperando di non cadere e non incontrare nessuno che conosco, soprattutto per non dover giustificare le mie smorfie ed il mio comportamento, abbracciato come sto a questo corrimano. Infine arrivo giù e sono sulla strada, trafficata e indifferente a tutti i miei guai.

            Devo arrivare fino all’officina dove dovrebbe essere ormai pronta la mia auto, in riparazione da ieri per alcuni problemi alla carburazione. Mi pareva vicino il posto dove lavora il meccanico, giusto in una traversa di questa strada principale, ma adesso che il dolore non mi concede più alcuna tregua sembra tutto lontanissimo, ed i passi da coprire un numero addirittura sterminato. Una volta a bordo della macchina sono sicuro di poter guidare agevolmente e di non avere più problemi con gli spostamenti, ma arrivare fino là è un’incombenza che forse avevo del tutto sottovalutato. Mi fermo al caffè più vicino per sedermi un attimo, ormai tirando dietro la mia gamba come un fardello fastidioso, però mi sforzo di camminare il più possibile in maniera naturale per evitare di farmi porre delle domande curiose da qualcuno a cui non ho alcuna intenzione di rispondere. Entro e mi siedo, nessuno mi ha notato, neppure il barista dietro al bancone. Aspetto un attimo ed infine dico qualcosa con voce sufficientemente alta da farmi sentire.

Il ragazzo poi mi porta un caffè al tavolo, io mi sento la fronte imperlata di sudore per lo sforzo che ho compiuto per arrivare fino lì, e all’improvviso mi viene a mente che una volta percorsa tutta la strada fino all’officina, la mia auto potrebbe essere non ancora pronta. E’ chiaro che non ce la potrei fare a tornare indietro a piedi fino a casa, per cui dovrei escogitare qualcosa per farmi trasbordare: magari chiamare un’auto pubblica, oppure farmi dare un passaggio dal meccanico. All’improvviso mi gira la testa. Sorseggio il caffè, ma ho quasi paura che la tazzina possa sfuggirmi dalle mani, o che io stesso di colpo possa cadere dalla sedia. Infine mi alzo, ma è evidente che non riesco neppure a stare in piedi. Lascio dei soldi sul tavolo ed esco, quasi di fretta, prima che qualcuno possa avere un moto di pena che non riterrei assolutamente sopportabile. Decido di tornare verso casa, non ce la posso fare ad arrivare fino all’officina, così attraverso la strada lentamente sul passaggio pedonale, ma in quel preciso momento ecco il meccanico con la mia auto che si ferma accanto a me, spiegandomi che stava provando il motore lungo le strade del quartiere dopo la riparazione. Salgo immediatamente al posto di guida che lui mi lascia, ed improvvisamente mi sento bene, tranquillo, così riaccompagno il mio salvatore alla sua officina e poi me ne vado per i fatti miei. Anche il dolore adesso sembra quasi scomparso, ed alla fine tutte le cose adesso sembrano proprio filare per il verso giusto.

 

Bruno Magnolfi

domenica 6 dicembre 2020

Normali abitudini.

 

      

            “Le restrizioni non mi spaventano, non lo hanno mai fatto”, dice LEI al telefono sorridendo, mentre contemporaneamente scorre sul suo elaboratore l’elenco dei messaggi di posta ricevuta durante le ultime ore. “E poi si tratta soltanto di fare l’abitudine a certi comportamenti”, conclude, dicendo questo come per rendere semplici e quasi naturali le cose che non si possono evitare. Quindi riattacca, con la solita frase fatta: “ci sentiamo dopo”, che indica il permanere attivo di un collegamento rassicurante, anche se poi di fatto ognuno sta da solo. “Dovrei sentirmi forte con me stessa, nella stessa maniera come riesco ad esserlo con gli altri”, pensa mentre cancella qualche pubblicità e qualche documento inutile. La solitudine non allevia di certo la sua depressione cronica e nascosta, ed occuparsi di qualcosa è soltanto un espediente tramite il quale allontanare il pensiero principale che la martella certe volte dentro la testa. “Aprire la finestra e buttarmi giù, ad occhi chiusi, senza guardare niente”, pensa in certi giorni quasi per ridere tra sé. “Come se questo palazzo fosse andato a fuoco, e non mi restasse nessun’altra possibilità per evitare da dietro di me le fiamme divoratrici”. Si alza dalla scrivania e come sempre va ad osservare la strada laggiù in basso. “Soltanto un altro problema per le autoambulanze e il personale di soccorso”, riflette nel silenzio del tardo pomeriggio. Il resto della giornata certe volte a LEI mette paura, come se il tempo nella sua scansione inesorabile scavasse un solco tra le sue cose. Poi torna  a sedersi.

            “In fondo che importanza può mai avere il mio riflettere continuamente su ciò che ruota attorno a questi pomeriggi insignificanti; la cosa giusta sta nel lasciarsi prendere dal ritmo lento del tempo, senza cercare di cambiarlo, ma anzi, accomodandosi sopra di lui come fa un gatto di casa sulla sua poltrona preferita”. Ecco, forse quello che le manca di più in giornate come questa è esattamente un esempio da seguire, un modello abbastanza preciso verso cui rifarsi; ed anche se spesso si convince come non le manchi nulla nelle due stanze dove abita, qualche volta si gira indietro all’improvviso, come avvertisse la presenza di qualcuno proprio lì accanto, quasi che la sua fantasia le ponesse vicino la materializzazione dei suoi desideri inespressi. “Forse più tardi qualcuno mi telefona”, pensa guardando l’apparecchio e scorrendo contemporaneamente sullo schermo del suo elaboratore la rubrica completa sincronizzata con il cellulare.

Silenzio. Un senso di vuoto permea la stanza dove LEI si trova, e di nuovo la prende quella voglia di scagliarsi fuori di colpo come uno sputo dalla bocca di un avvinazzato, ma in quel momento suona di nuovo il telefono, e così subito risponde, con voce improvvisamente allegra. L’amica di prima si scusa con un groviglio di parole, ma soltanto per dire in fretta, ricollegandosi ai discorsi precedenti, che non le piacciono le abitudini, e tutto quello che ha ascoltato poco prima adesso le sembra poco adatto alle circostanze. “Hai ragione”, fa LEI sentendosi sollevata da quella voce che adesso la fa sentire bene, lontana dai pensieri che la prendono quando sta da sola e non può neppure scambiare un’opinione con qualcuno. “Però talvolta anche le abitudini aiutano a sopravvivere”. L’altra non è d’accordo, dice che bisogna lottare per non abbandonarsi a quello che ora chiama “l’assuefazione all’esistenza”, e che tutti coloro che si adagiano a questo comportamento smettono prima o dopo persino di avere dei pensieri nuovi.

LEI resta in silenzio, non aveva mai riflettuto una cosa di quel genere, poi, sottovoce, dice che deve rifletterci meglio su questa opinione, perché in questo momento non sa decidere se sia giusto oppure sbagliato parlare in questi termini, e comunque, senza dirlo, le sembra di essere rimasta indietro rispetto a delle concezioni di quel genere. Si salutano, dopo qualche altro discorso più leggero, ed alla fine, una volta riagganciata la conversazione,  torna ad alzarsi dalla sedia e ad avvicinarsi alla finestra, per guardare un’altra volta qualcosa giù sulla strada. “Forse devo smetterla”, pensa adesso con forza. “Commiserarsi non ha mai aiutato nessuno, tantomeno me”.

 

Bruno Magnolfi

venerdì 4 dicembre 2020

Silenzio impagabile.

          

 

            Qualche volta penso che finirà; sì, insomma, che si interromperà prima o dopo questo mio flusso di ottimismo, di convincimento positivo, di credulità continua verso qualsiasi espressione che usano gli altri nei miei confronti; insomma smetterò con questo ferreo ritenere che tutti siano sempre così sinceri con me, così schietti nelle loro espressioni, e che parlino soltanto di cose reali, di fatti realmente accaduti, di espressioni usate per davvero, e non cerchino mai insomma di imbrogliarmi, come invece fanno quasi sempre; e loro così, almeno nei miei pensieri, termineranno una buona volta con quelle parole che continuano a dirmi, a suggerirmi, ed a soffiarmi nelle orecchie con le loro buone ragioni che sostengono di avere per farlo, come se quello che mi spifferano fosse il fondamento di tutta l'esistenza, e le loro frasi fatte, il loro argomentare attorno a questo o a quel problema, quasi i capitelli e le colonne portanti su cui si tiene in piedi la maggioranza delle cose che ci circondano. Tutti quei fatti e quegli aneddoti di cui un gran numero di queste persone ha fortemente voluto che venissi a conoscenza, raccontandomelo sempre con un certo impegno, in mezzo a tutto il tempo buttato via in questa maniera; tutto ciò che così tanti individui hanno insistito a spiegarmi più di una volta, dilungandosi in certi casi anche nei dettagli, e con i quali mi hanno riempito spesso la testa, fino a farmela scoppiare in qualche occasione; ecco, io so quasi per certo che tutto questo avrà un termine una buona volta, lo so proprio per certo.

            Mi chiedo comunque quale sia il motivo per cui in tanti anni non sono mai stati in silenzio con me, non hanno mai lasciato che io, come qualcuno forse più fortunato tra tutti gli altri, godessi dei rumori sottili della sera ad esempio, mentre magari si stava come si fa sempre fuori dalla caffetteria, a fumare tranquilli ed a prendere il fresco della primavera senza alcuna preoccupazione, pronti ad osservare la luna che nasceva sopra ai tetti delle case basse del nostro paese, al margine di questo fiumiciattolo che scorre silenzioso. Io mi sforzo di guardare da quella parte qualche volta, e loro intanto parlano, devono spiegarmi, gli corre l’obbligo per forza di farmi sapere qualcosa di importante, qualcosa che, se non si sa, non si può stare. Sorrido ancora adesso mentre ascolto, lascio che mi dicano una volta di più quello che vogliono, non sarò certo io quello che si tapperà le orecchie o che sosterrà che sono tutte stupidaggini quelle di cui mi stanno parlando. Li ascolto, di qualche cosa magari mi convinco, perché non sono tutte cose sciocche quelle che mi spiegano, e in qualche caso ci sono anche dei fatti che si devono sapere, di cui è meglio venire a conoscenza. Ma poi dimentico alla svelta ogni parola, ogni frase che mi è stata rivelata, oppure ricordo soltanto qualcosa che adesso però mi pare inverosimile, falso, messo su soltanto per ridere di me. 

Tante volte ho pensato di essere l'unico ad avere una certa fiducia in tutte quelle chiacchiere confuse, in quello svelare chissà cosa e per giunta solo a me, e forse loro che generano quei pronunciamenti hanno sempre fatto leva proprio su questo mio comportamento positivo, approfittandosene, tediandomi spesso, assillandomi forse per coprire con la voce le loro preoccupazioni e i loro crucci. Probabilmente sono uno che si lascia abbindolare troppo e un po’ troppo alla svelta, che crede spesso a tutto quello che gli viene detto già alla prima, però la colpa è soltanto la loro se hanno voluto in questa maniera farmi credere delle cose che non erano neppure dettate dalla verità, ma messe insieme soltanto per il gusto di giocare con uno come me, proprio uno con dei problemi di comunicazione. Se ne sono approfittati, questo è il punto, ed adesso loro lo sanno che io alla fine sono arrivato fino a rendermene conto, ed allora stanno più attenti da ora in avanti a quello che mi dicono, e sono già decisamente più restii a svelarmi dei particolari che poi si dimostrano inventati. Vorrei avere avuto una memoria di ferro in tutto questo tempo, e ricordarmi perfettamente ogni particolare da far presente adesso, anche pubblicamente. Qualcuno sicuramente si sarebbe vergognato del proprio comportamento. Ma io purtroppo ho cancellato tutto dalla mia memoria, e quindi possono aver detto quello che volevano, perché adesso non ricordo niente, proprio come se fossero sempre stati tutti in silenzio.  

 

Bruno Magnolfi

        

giovedì 3 dicembre 2020

Oscuramento.

 

        

 

            C’è un mistero dietro al groviglio inestricabile di figure che si affacciano ogni tanto sullo schermo, senza neppure un’apparente ragione precisa. Come se qualcosa avesse preso ad esercitare una funzione propria all’interno del suo elaboratore regolarmente collegato alla rete e per tutto il resto perfettamente funzionante. Come se al posto delle descrizioni che si potrebbero fornire quando si cerca di rappresentare qualcosa che si vede, o che si ricorda, oppure che si immagina, gli apparati elettronici avessero iniziato a mostrare per conto proprio un’interpretazione quasi personale delle parole e dei pensieri utili a caratterizzare una narrazione; ma non continuamente, questo no, soltanto a volte, probabilmente solo quando qualcosa di forte sembra suscitare la loro sensibilità.

            LUI osserva tutto quanto quasi con indifferenza, come se niente di anormale in fondo lasciasse semplicemente scorrere le immagini, o magari le generasse, immediatamente sotto la superficie dello schermo. “Qualcosa non risponde come dovrebbe”, pensa per un momento senza preoccupazione alcuna, come se ci fosse soltanto un banale problema elettrico, come una spina che non è stata inserita bene, o cose di quel genere; poi lancia il programma per la pulizia della memoria, tanto per provare, e nell’attesa di un rapido risultato positivo si alza dalla sua postazione per controllare comunque i cavi e le risorse a cui la sua unità appare collegata. Niente di diverso dal solito, nota con tranquillità; niente che almeno esteriormente possa indicare un vero problema.

Le figure, nonostante tutto, proseguono ogni tanto a svolazzare come farfalle davanti a LUI ed ai suoi occhi, peraltro con dei tempi propri, incalcolabili, al punto che diventa veramente difficile affrontare delle conversazioni video operative con qualcuno tra i suoi interlocutori, perché mostrare con indifferenza delle apparizioni strane sullo sfondo, è qualcosa che appare evidentemente fuori luogo. Certo non si può far decadere ogni impegno lavorativo soltanto per il malfunzionamento di una sciocchezza del proprio elaboratore, così LUI esce dalla sua stanza per un attimo, e tornando con le braccia ingombre, posiziona sul suo tavolo, per poi accenderlo immediatamente, un vecchio portatile piuttosto lento e anche privo di qualche programma non essenziale, ma che comunque in questo difficile momento può sostituire in qualche modo la sua macchina di fiducia.

Niente da fare, dopo appena un attimo anche questo schermo inizia a dare i medesimi problemi, come se la trasmissione dei dati avvenisse in maniera eguale per tutti gli elaboratori collegati dentro quella stanza, quasi che all’interno della sua piccola abitazione si fosse accasato un folletto capace di produrre figure e colori a proprio piacimento. Telefona, si scusa per la mancata partecipazione alla videoconferenza, aggiunge che ha dei seri problemi informatici in questo momento, poi riattacca e si prende una pausa meditativa spegnendo tutto. “Non posso permettere che una stupidaggine del genere mi metta sotto scacco”, pensa con un certo nervosismo. Ma dopo un momento torna davanti alle sue macchine, ne riaccende una di scatto ed appena accertato il verificarsi del medesimo problema, inizia a schiacciare i tasti assolutamente a caso, come se per una combinazione casuale e magica di impulsi si potessero risolvere le cose. Lo schermo allora si fa buio, e niente d’improvviso sembra più funzionare, se non una piccola spia verde che indica l’accensione regolare della macchina, nonostante tutto, e di tutto il sistema.

“Va bene”, dice LUI allora, con voce piuttosto alta, come per avvertire il folletto immaginario dell’avvenuta vittoria dei suoi scherzi sulla propria razionalità, la stessa con cui di fatto ha sempre cercato di affrontare tutte le sue cose fino ad oggi. Quindi si alza dal tavolo, si guarda attorno, e poi con passo lento arriva fino all’ingresso accanto alla porta di entrata, allorché osserva il quadro elettrico in cui passano tutti i collegamenti elettrici presenti nell’appartamento, ed infine spegne di colpo l’interruttore generale, provocando un totale oscuramento di ogni apparato e di ogni lampada di casa. Poi, con la fioca luce che giunge dall’esterno tramite una finestra, va a sedersi sopra una poltrona, senza decidersi per il momento a fare altro.

 

Bruno Magnolfi

 

 

martedì 1 dicembre 2020

Indifferente alle provocazioni.

 

         

 

            “L’immobilità del corpo, dinanzi all’elaboratore ed allo schermo che permettono sempre di più lo scambio di emozioni ed informazioni, veicola spesso una progressiva paralisi mentale, riducendo le capacità cerebrali degli individui fino a poche astrazioni possibili, sempre le stesse, sempre riprodotte quasi nella stessa esatta maniera”. LEI legge queste parole così dirette, poi sorride mentre lascia scorrere alcune immagini irrealistiche giocate su dei colori forti, come una cascata di pigmenti attorcigliati alla rinfusa mentre circuitano senza soluzione davanti ai propri occhi. Forse il suo primo desiderio sarebbe quello di rispondere immediatamente al messaggio digitato chissà dove e chissà da chi, ma dopo un attimo le priorità le appaiono differenti, e le pare fondamentale il fatto che alla fine ognuno alla propria scrivania sia padrone di dire quello che vuole all’interno delle connessioni di interscambio. Perciò va ancora avanti alla ricerca di qualcuno con cui dialogare per la prossima mezz'ora, tanto per perdere un po’ di tempo, quando infine dovrà collegarsi con gli altri del lavoro e sorbirsi tutte le sciocchezze che avranno da dire sullo sviluppo dell'azienda nel periodo a medio termine. "Sei una sciocca", appare scritto improvvisamente sullo schermo con caratteri piccoli ma evidenti. Bé, in fondo non è proprio un'offesa, però è insolito che qualcuno si prenda la briga di dire certe cose in uno spazio neutrale, tanto più che LEI neppure può rispondere, visto che non sa da chi arrivano certi messaggi, o se addirittura sia la macchina autonomamente a generarli.

“In ogni caso”, pensa, “questo è quanto accade; e forse soltanto perché non sono riuscita ad avere una reazione certa alla prima frase che mi è capitato di leggere, tanto più che avrei anche potuto ignorarla del tutto e cancellarla e basta”. Si sente sempre sicura di poter scartare le cose che non le piacciono, LEI; di poter scegliere quello che vuole, di mettere qua e là delle distinzioni che per suo parere lasciano apparire tutta la sua personalità, qualcosa che sta in netto risalto, rispetto alla normalità di tutti coloro che scambiano proprio come adesso dei messaggi a video. Salvo ignorare quasi completamente alcune materie, certi argomenti, alcune prese di posizione magari fondamentali per qualcuno. “Per quale ragione dovrei preoccuparmi di qualcosa che non mi interessa e non so neppure da dove giunga”, pensa adesso con soddisfazione, scartando in questo modo alcuni siti che le sono apparsi in una lista di collegamenti momentanei.

Quindi si alza dalla sua scrivania, gira per un attimo dentro la sua stanza riflettendo come in questo pomeriggio non ci sia nessuno di particolarmente interessante con cui riuscire a scambiare qualche frase o al quale far vedere qualche immagine tra quelle che si scelgono come propria personale presentazione, anche se non rappresentano mai naturalmente qualcosa davvero di se stessi. Ha una cartella di forme e di colori che ha scelto in questo ultimo periodo con grande cura ed attenzione, ed è sicura, una volta trovata la persona giusta che dovrà essere cortese ed anche sensibile, di riuscire facilmente a farsi ammirare per la propria selezione compiuta, anche se adesso in fondo non ha poi molta importanza, perché come quasi tutte le cose, persino questa galleggia in una specie di limbo, nonostante sia sicura di come prima o dopo dovrà trovare una propria collocazione, anche se nessun segnale dimostra che tutto ciò dovrà realmente succedere. Già, perché il punto è che “ci può essere qualcuno che ti segue, che si interessa a te per i tuoi modi di essere, per come cerchi di presentare la tua postazione video, ma è anche possibile che a nessuno importi niente, e che ogni sforzo che tenti tutti i giorni non sia minimamente preso in considerazione”.

L'unico elemento degno di nota rimane quella frase strana, quella specie di provocazione senza mittente, ma è troppo diretta e negativa per essere davvero una proposta. “È soltanto una frase fatta”, pensa LEI adesso, “un semplice proclama, una pubblicità. E poi che cosa importa, non si può certo dar retta a chiunque arrivi a dire delle cose del genere sul conto di chi neanche conosce”. Infine torna a sedersi e a riattivare il proprio elaboratore, che adesso mostra un’altra frase, questa volta però tesa solo ad invogliare l’acquisto di una certa marca di sapone detergente. “Così va meglio”, pensa subito LEI rassicurata, e collegandosi in videoconferenza.

 

Bruno Magnolfi