giovedì 20 luglio 2023

Consapevole di sé.


            <<Buongiorno, Lina>>, dice Marco a quella ragazza timida che qualche volta, proprio come oggi, gli riserva il posto accanto al suo, in una fila qualsiasi di banchi circa a metà dell’aula, per assistere con lui alla lezione di psicologia sperimentale, insegnamento a cui ambedue sono iscritti per l’anno universitario in corso. Il loro docente naturalmente non è ancora arrivato, e Marco, anche se non avrebbe voglia in questo momento di parlare con nessuno, si piazza volentieri in quel sedile quasi prenotato, considerato che ha già visto come non ne siano rimasti molti ancora liberi. <<Ho scorso il manuale>>, fa lei dopo qualche minuto. <<Mi pare piuttosto complesso il linguaggio che si adopera, però i capitoli sono ben suddivisi, uno per argomento, e alla fine non dovrebbe costituire un grosso problema per la preparazione all'esame>>. Marco annuisce, anche lui ha già acquistato qualche giorno addietro quel grosso volume, ma gli è sembrato accessibile, anzi, piuttosto scorrevole e interessante, anche se adesso non ha molta voglia di parlare di questo argomento. Di tutti i frequentatori del corso lui fino ad ora è riuscito ad entrare in contatto soltanto con questa ragazza, che per propria iniziativa gli ha rivolto la parola già durante la prima lezione. Lui aveva pensato fosse facile in quell'ambito farsi delle nuove amicizie, considerato peraltro che la presenza femminile a quel corso è molto alta, ma sta riscontrando come invece non sia affatto così, e che ognuna di quelle studentesse presenti nell'aula sembrano volentieri sprofondarsi unicamente nei propri pensieri e nella propria solitudine.

Lina peraltro appare ogni volta anche piuttosto noiosa, con i suoi discorsi un po' scontati introdotti solo per il gusto di fare della conversazione, ma per Marco comunque è molto meglio avere una spalla a cui rivolgersi ogni tanto, piuttosto che passare il tempo da solo in mezzo a tutte quelle ragazze che gli incutono persino un certo timore. Infine, arriva l'insegnante insieme ad un assistente, che senza perdere altro tempo inizia subito a parlare a tutti con un modo che vuol essere simpatico e accattivante, trattando in termini semplici dell'importanza di quella materia e di quanto sia fondamentale quell'esame finale per tutto quanto il corso di laurea. Marco si sprofonda a scrivere qualcosa con una certa pignoleria su un grande quaderno dove predilige annotare tutti i suoi appunti, e seguendo il filo dei ragionamenti che vengono imbastiti dalla cattedra, perde rapidamente quasi il contatto con l'aula, e persino con la sua compagna di banco. Poi c'è una pausa, e Lina chiede timidamente a Marco se per caso a lui possa interessare preparare l’esame insieme ad altre persone. <<No>>, fa lui con una certa determinazione; <<non sono abituato a studiare insieme a dei compagni, e poi, a parte te, qua dentro non conosco nessun altro>>. Lina sembra riflettere, mentre osserva le sue cose sul piano del banco che ha davanti, poi gli fa: <<ho sentito dire che si stanno già formando dei gruppi di studio in facoltà, specialmente tra le ragazze che frequentano queste lezioni>>. Marco però lascia cadere l’argomento, e lei non insiste; quindi, la lezione riprende, e adesso parla il docente, spiegando alcuni aspetti sull’indagine degli aspetti cognitivi.

Al termine, quando tutti iniziano ad alzarsi in piedi, mentre Lina esprime ancora qualche opinione senza troppa importanza, Marco osserva per due volte il proprio orologio, e poi le dice che adesso deve proprio andare, tanto che lei, forse un po’ delusa, risponde soltanto: <<va bene, alla prossima lezione, allora>>, nonostante lui stia già pensando di trovare la maniera per non sedersi più nel banco accanto a Lina. Non è che non gli piaccia questa ragazza, soltanto gli pare che i propri pensieri accanto a lei non siano mai liberi, quasi che le sue maniere, che trova piuttosto ordinarie, lo indirizzassero verso argomenti troppo risaputi. Quando esce dall’aula, lungo il grande corridoio pieno di studenti che parlano e sembrano ignorare la sua presenza, gli viene voglia di telefonare a casa, come se parlando con la sua mamma le cose d’improvviso diventassero più leggere ed accettabili. Poi scorge Lina mentre si sta avvicinando, così decide di andarsene, senza accostarsi tramite una scusa, come forse stava per fare, a qualche gruppetto di ragazzi con cui fare conoscenza.

Fuori c’è il sole, e la mattinata appare discreta; però è ancora presto, c’è tutto il tempo per prendere maggiore confidenza con la facoltà e con i servizi che questa offre agli studenti. In biblioteca adesso non c’è quasi nessuno, e Marco vi entra con calma, per poi sedersi ad un tavolo qualsiasi, riguardando i suoi appunti ed aprendo un piccolo inserto di fotocopie che gli avevano fornito al momento dell'iscrizione al seminario, riguardante i preliminari dell’esame che alla fine dovrà sostenere. Con la coda dell’occhio vede che Lina lo ha seguito fino lì, ma nonostante quasi lo sfiori camminando tra i tavoli, lei non si ferma né si volta verso di lui, limitandosi ad osservare distrattamente la copertina di un libro che tiene tra le mani, e poi a salutare con un sorriso una ragazza che rapidamente ricambia con allegria quel gesto. Lui resta fermo, immobile, come se riuscisse in questo modo a farsi trasparente. Infine, si alza, e senza farsi notare se ne va, percorrendo il lungo corridoio senza neppure guardarsi attorno, consapevole, come si sente ora, della propria solitudine.

 

Bruno Magnolfi

mercoledì 12 luglio 2023

Come ogni giorno.


            Certe volte, mentre di mattina sono in casa a rifare i letti o a sistemare nel frigo gli acquisti appena scelti tra gli scaffali del piccolo supermercato di questo quartiere, mi ritrovo a parlare da sola. Non a bassa voce, come per sentire semplicemente il suono dei miei stessi pensieri, bensì usando un tono normale, quasi affrontassi un vero dialogo con qualcuno già presente nella stanza dove mi trovo. Non è la solitudine che cerco di scacciare in questa maniera, piuttosto provo a spiegare per l’ennesima volta, a chi potrebbe ascoltarmi, le ragioni per cui sto bene, mi sento bene, sono sostanzialmente appagata. A quell’ora i miei figli sono a scuola, e mio marito naturalmente è impegnato con il suo lavoro. Ed io assaporo la soddisfazione di poter far girare perfettamente e come ogni giorno il nostro meccanismo familiare, mantenendo il decoro e la pulizia della casa, e preparando tutto al meglio possibile nel nostro rifugio, assolutamente prima del loro rientro. Qualcuno, negli anni passati, mi ha fatto notare, in alcune occasioni e naturalmente con un certo tatto, che io sarei una persona che sa semplicemente accontentarsi di ciò che si trova sottomano, anche se io ho spesso ribattuto che questa è davvero soltanto la vita che ho sempre desiderato. Un'amica, diversi anni addietro, mi aveva anche spiegato, secondo il proprio parere, quanto io forse potrei essere nel mio intimo una donna impaurita da tutto, che probabilmente già nel passato amava rifugiarsi molto spesso tra le maglie del tessuto che ha sempre trovato maggiormente disponibile attorno a sé, ma io le ho soltanto sorriso quella volta, convinta di non avere bisogno di spiegare proprio niente dei miei comportamenti.

Non mi interessa chiarire a qualcuno i motivi del mio agire, sempre che ce ne siano di evidenti tra quelli che mi fanno essere così come sono, e poi ritengo di essere parte della schiera di quelle persone semplici che non stanno ad indagare troppo sulle scelte o sui propositi che maturano. Lascio scorrere le giornate sulla falsariga dei miei naturali interessi, senza mai costruirne di artefatti. Quando mio marito e i miei due figli rientrano nel nostro appartamento, mi sento d'improvviso completata: la casa è in ordine, e tutto ciò, durante lo scorrere della giornata intensa che mi ha accompagnato senza mai lasciarmi fermare, che potevo sistemare per la mia famiglia, sono sicura di averlo fatto, ed alla fine mi sento la coscienza perfettamente a posto, e sono contenta quando loro si accorgono del mio impegno e dei miei sacrifici per tenere tutto a posto e anche in ordine, proprio come dev'essere, secondo il mio parere. Mio marito non sorride quasi mai mentre mi dà il suo piccolo rapido bacio rientrando in casa, ma io sono sicura che lui è felice di ritrovarsi qui, nel seno della sua famiglia, quella che riempie di senso anche la sua dura giornata lavorativa. <<Come va?>>, mi chiede certe volte, ed io gli rispondo sempre che è tutto a posto, specialmente adesso che lui è qui, e che qualsiasi cosa procede come dovrebbe. Certo, il senso di colpa che provo facilmente quando non svolgo adeguatamente i miei compiti, lo avverto sempre dietro di me, pronto ad entrare in azione.

L'ultimo a tornare a casa naturalmente è Federico, ogni volta con la testa persa dietro qualcosa che lo incuriosisce, anche se magari non fa neanche parte minimamente dei suoi veri interessi. <<Niente di nuovo>>, mi dice dopo avermi lanciato un saluto, alla mia domanda generica sulle novità della giornata, e la sua affermazione è contemporaneamente per me una delusione ed anche una frase rassicurante, tanto da chiudere subito la porta a qualsiasi altro quesito. Marco invece credo mi assomigli di più, ed il suo atteggiamento protettivo nei confronti dei propri pensieri, è la riprova che ogni dato importante della sua giornata avviene solo ed esclusivamente nella propria testa, in mezzo ai tanti pensieri da cui sicuramente è abitata. Lui è riflessivo, lascia sempre che siano gli altri a fare una mossa, salvo poi tirare fuori un commento sintetico, certe volte ristretto ad una sola parola, oppure uno sguardo. Con lui difatti non mi serve neppure parlare: mi lancia un'occhiata veloce ed io so che va tutto bene, le cose procedono, ciò che per qualche motivo desiderava svolgere si è realizzato.

<<Chi mi racconta qualcosa della propria giornata?>>, dico qualche volta a tutt'e tre, tanto per stuzzicarli, ma la cosa che ottengo più spesso è che ognuno indichi l'altro per raccogliere quella sfida, ed alla fine sono io stessa che parlo di quelle solite sciocchezze che mi sono accadute. Mio marito e i miei figli però mi ascoltano, ed anche se non hanno commenti da fare, io sono sicura che riescono facilmente a mettersi nei panni di una madre di famiglia. Ed anche se forse non c'è proprio niente in me da invidiare, sicuramente avvertono nelle mie parole la contentezza di averli di nuovo qui, di fronte a me, esattamente come ogni giorno.

 

Bruno Magnolfi

lunedì 10 luglio 2023

Ingrediente non previsto.


<<Tu credi che nel nostro paese siamo governati da una classe politica adeguata?>>, chiede d'improvviso Federico a suo padre mentre consumano la cena, conservando comunque un tono basso della voce, come per non rompere troppo il filo dei pensieri strettamente personali in cui il genitore sembra perennemente immerso, e naturalmente senza dare neppure troppa importanza alla propria domanda, quasi fosse una qualsiasi curiosità di ragazzo. L'occhiata fredda che gli viene restituita sembrerebbe comunque già sufficiente per fargli ritirare in fretta ogni quesito, ma suo padre, che nessuno ricorda essersi mai interessato di problemi di quel genere, dopo un attimo risponde semplicemente nell'unica maniera come già ci si sarebbe potuto immaginare: <<A me basta che chi detiene il potere si mantenga su posizioni sufficientemente moderate, e che non ci siano in mezzo a tutto quanto delle teste calde che tirano da una parte oppure dall'altra>>. Federico pensa subito però che quella sia già in qualche maniera una doppia risposta, dove peraltro la più importante delle due risulta quella riferita direttamente a lui, quasi come un monito per non farsi venire strane idee per la mente. Difatti annuisce con rapidità mentre prosegue a masticare, senza ribattere nulla, anche se, insieme ai deboli rumori di stoviglie attorno al tavolo da pranzo, sembra scendere di colpo nella stanza una pesante cappa di riflessioni incrociate. <<Che discorsi sono?>>, chiede senza convinzione immediatamente dopo la sua mamma, come se la formulazione di quella domanda, già così insolita, avesse preso un'incomprensibile strada autonoma, addirittura differente da quella che avrebbe desiderato porre lo stesso Federico. Trascorrono due minuti di silenzio vagamente imbarazzato, in cui pare difficile trovare un nuovo filo di conversazione familiare, e nonostante la musica lieve e piacevole trasmessa dall'apparecchio radio acceso sopra un mobile, sembra mancare nell'aria il senso stesso di quanto è appena circolato attorno a loro e sopra quel tavolo.

Marco appare indifferente ad ogni risultato di quell'insolito dialogo, anche se è impossibile non pensare di lui qualcosa di simile ad uno scostante menefreghista, oppure ad un individuo dalle riflessioni del tutto estranee a certe problematiche. Ripensandoci, a Federico adesso sembra però di aver pronunciato inconsapevolmente quella domanda proprio per lui, per suo fratello, forse per ascoltare quali eventuali reazioni sarebbero potute insorgere nel suo contegno, anche se era evidente fin da subito che il più adeguato comportamento nel suo caso sarebbe stato esattamente quello della consueta ricerca di indifferenza verso qualsiasi argomento. <<Perché ti interessa tanto questa faccenda?>>, insiste ancora sua madre, quasi a scavare con curiosità nei retropensieri del figlio minore, soprattutto dando voce a ciò che suo padre probabilmente va meditando. <<Niente>>, fa lui in rapida ritirata. <<Ne abbiamo semplicemente parlato in classe con l'insegnante di storia>>. Ma certo: la scuola rende tutto lecito e plausibile, anche se non lascia quasi mai approfondire certi temi, e si limita anzi a sorvolare, con un'ampia focale in campo largo, le immagini più inconsuete che se ne possono trarre, quando si spazia su tematiche non previste dai testi adottati dagli insegnanti. Nessuno naturalmente sollecita la critica al potere; già la scuola stessa, nel suo insieme di teste calde che costituiscono la propensione ad opporsi quasi a tutto, tipica del considerare l'istituzione stessa qualcosa di retrivo, diventa spesso fucina di diversità, di alternativo riflettere, di spinta al conflitto contro ciò che si ritiene quasi inamovibile nella perpetuazione del principio stesso dell'educare.

Ma, oltre ogni previsione, Marco improvvisamente dà fiato ad una citazione: <<È la società che elegge i suoi rappresentanti; ogni opinione in merito appare pretestuosa>>. Poi sorride, e nessuno, tra gli altri tre, trova il coraggio di aggiungere qualcosa, anche se nella mente di Federico si accavallano rapidamente molti fili di pensiero, però nella saggia riflessione che non sia il caso di proseguire l'argomento. <<Come sta andando con la scuola?>>, interviene poco dopo la mamma interpretando il desiderio di tutti e rivolgendosi direttamente al figlio piccolo, quasi per fargli pagare il prezzo di aver tirato fuori un argomento tanto spigoloso. <<Tutto a posto>>, risponde lui com'era prevedibile. <<Probabilmente tra un paio di settimane ci sarà un'uscita di tutta la classe per andare a visitare un museo del centro, e ci stiamo già preparando per quel giorno, studiando cose affini a quello che vedremo>>. <<Strano>>, dice Marco; <<che io ricordi negli anni del liceo la mia classe non è mai stata portata a visitare niente del genere. Si vede però che le cose stanno rapidamente cambiando>>.

La mamma si alza da tavola per prendere qualcosa, suo marito le chiede la saliera, poi dice ai suoi figli: <<non mi pare sbagliato visionare le gallerie che abbiamo in città. In fondo è anche toccare direttamente con mano ciò che normalmente viene elaborato a scuola solo in via teorica>>. Torna la madre e si siede in silenzio. In seguito, tutto riprende l'andamento naturale di ogni sera, anche se qualcosa di insolito sembra persistere nell'aria, quasi come se un ingrediente di un piatto cucinato per quella loro cena, fosse stato assolutamente non previsto.

 

Bruno Magnolfi

venerdì 7 luglio 2023

Soltanto sé stessi.


            Negli ultimi tempi, in mezzo a tanti altri impegni, Federico ha iniziato, ma forse per semplice curiosità, a frequentare un paio di ragazzi, studenti del suo stesso Liceo, che in certi pomeriggi si ritrovano con altri in una specie di magazzino fuori mano dall’ingresso quasi anonimo, dove però figurano, sopra tutte le pareti dell'interno, dei manifesti e delle scritte inequivocabili, in cui si parla di nazione, di italianità, di freno per l’immigrazione dall’Africa, di famiglia naturale, di recupero delle proprie tradizioni, e della sinistra come disastro nazionale. Una parola molto usata in quell'ambiente, e che gli è subito saltata agli occhi, è stata: sicurezza; peraltro declinata in ogni salsa, e tutti là dentro, ogni volta che parlano, discutono, oppure esprimono i propri pensieri, riescono ad infilarla dentro alle più svariate frasi, quasi come se lo scopo di tutte le altre forze sociali e politiche che si battono per degli ideali, fosse semplicemente il suo esatto contrario. Federico agli inizi è rimasto piuttosto estraneo ed indifferente a quegli slogan e a quelle parole d'ordine, ma l'esaltazione evidente in tutti gli altri, durante quelle due o tre volte che ha accompagnato gli altri in quella sede, lo ha rapidamente trascinato e quasi infervorato, come se anche per lui, che sinceramente non si è mai interessato di politica, all'improvviso fosse chiaro ed esatto quel percorso di rivendicazione riferito a qualcosa del quale sentirsi defraudato. <<Mi sembra interessante>>, ha addirittura spiegato quando uno dei suoi compagni di scuola presente gli ha chiesto che cosa ne pensasse. <<E poi non c'è niente di strano nel pretendere più pulizia e più sicurezza nelle nostre città>>.

Una volta a casa ha ripensato a tutto quanto, e gli è sembrata una bella sensazione quella di sentirsi parte di un'organizzazione che lotta per ottenere qualcosa, come se la forza accumulata da diversi individui disposti a mettersi in gioco fosse già sufficiente a produrre una vera diversità sociale rispetto a chi risulta passivo nei confronti degli interessi nazionali. Naturalmente non ha parlato con nessuno di queste sue simpatie pur embrionali, né con i compagni all'interno della sua classe di liceo, né in modo assoluto con la sua famiglia, dove non si è mai accennato apertamente alla politica oppure a cose di quel genere. Però ha iniziato subito a porsi delle domande che fino adesso non aveva mai affrontato, e se tutti i membri della sua famiglia sono sempre apparsi ai suoi occhi degli individualisti impegnati ognuno esclusivamente nei propri interessi, da ora in avanti lui sente vagamente nascere una certa curiosità intorno alla natura dei loro veri modi di essere. Su suo fratello poi, che non ha mai fatto cenno di alcuna opinione intorno ai fatti della politica, gli pare a Federico che quasi una struttura rigida avvolgente la sua stessa persona, proprio non gli permetta alcuna assimilazione con una organizzazione di quella natura, tanto da relegare ogni possibile attività intellettuale e di pensiero solo allo studio accurato e puntiglioso di testi e manuali capaci di spiegare esclusivamente il punto di vista altrui, senza richiedere mai una vera visione collettiva delle cose.

Ma cosa importa tutto questo, pensa adesso contemporaneamente Federico; l'essenziale è sentirsi adeguati, al posto giusto, capaci di affrontare la realtà con gli strumenti migliori possibili. Sicuramente suo padre si è posto già molte volte il quesito circa quale governo, quale tendenza politica, quali ideali debba portare avanti la nazione in cui è nato e in cui si è sempre trovato ad abitare. In questo naturalmente c'è anche la voglia di un futuro migliore, la speranza che le cose siano in grado di mostrarsi più adeguate a ciò che le persone si attendono dalla realtà in via di trasformazione. Però forse suo padre ha sempre e solo cercato migliori condizioni di lavoro, uno stipendio più adeguato, dei vantaggi più utili per sé e per la sua famiglia, restando indifferente al resto delle persone che non conosce e che direttamente non hanno niente a che fare con lui. Anche sua madre, con ogni probabilità, non si è mai soffermata troppo a riflettere sugli altri, sulle persone distanti da lei, su tutti quegli individui che le restano distanti, indifferenti, estranei, persino disinteressati alla sua solita giornata di casalinga e di madre di famiglia.

E quindi Federico si sente da solo nel portare avanti le proprie riflessioni sulla società da cui si trova circondato. Pulizia e sicurezza, sono queste le parole che più di tutte continuano a risuonargli forte nelle orecchie. D’improvviso gli sembra proprio che quella sia però la strada più adatta a lui: quella che lo mostrerà come colui che risulta capace perfino di meravigliare coloro che lo circondano, evidenziando la sua personale attitudine di preoccuparsi anche per gli altri, e di allargare così i propri pensieri, le proprie idee, i propri ideali. Perché il futuro, almeno secondo lui, può essere modificato soltanto da chi impone a sé stesso questo piccolo salto di qualità, questa accelerazione improvvisa, questo rendersi capace di riflettere per tutti quanti, e non soltanto pensare a sé stessi.

 

Bruno Magnolfi

lunedì 3 luglio 2023

Strettamente necessario.


Lei aveva iniziato a sentirsi già una mamma fin da quando era ancora una ragazzina. Aveva precocemente maturato la convinzione che il suo scopo principale, negli anni seguenti, sarebbe stato proprio quello, cioè sposarsi con un uomo cortese e comprensivo di poco più grande di lei, e di mettere al mondo con lui al più presto due figli; due perché quel numero le era sempre sembrato perfetto per completare adeguatamente una famiglia, e poi perché c'era la possibilità che uno magari nascesse maschio, e l'altro femmina, per completare bene il quadro d'insieme, anche se a lei non interessava poi molto questo aspetto, e le sarebbe stata sufficiente la gioia di allevare due bei bambini, ed in qualsiasi caso si sarebbe adattata volentieri alla situazione. Era andata a scuola come tutti, naturalmente, fino agli esami di maturità, e i suoi compagni, quando qualche volta lei aveva tirato fuori la sua idea di fondo, erano sempre stati pronti a prenderla un po' in giro, come se non credessero a quel suo percorso già così ben definito. Invece le cose, con l'andare degli anni, erano andate proprio in quella maniera come lei aveva previsto, e nel giro di soli quattro anni, dopo il suo matrimonio, aveva partorito due simpatici maschi, molto simili l'uno all'altro al momento della nascita.

Tutto si stava compiendo in quel periodo, e a lei sembrava aver raggiunto molti dei suoi scopi, anche se evidentemente giungeva così la fase in cui occuparsi della crescita di quei bambini. Marco, il più grande, aveva iniziato verso i cinque anni a dare segni di scarsa socievolezza: già all'asilo tendeva a starsene per i fatti propri e a giocare con balocchi piccoli, poco appariscenti, come se fossero oggetti solamente suoi. <<Nessun problema>>, dicevano gli educatori, <<è soltanto una precoce forma di personalità, una maniera di stare al mondo più intima e riservata rispetto ad altri coetanei più protesi verso i compagni>>. Ed anche in seguito, alla scuola elementare, quelle caratteristiche avevano proseguito con linearità e coerenza, come un disegno definito. Per sua madre non c'era mai stato proprio niente di cui seriamente preoccuparsi, ed il fatto che il fratello più piccolo, Federico, si dimostrasse al contrario ogni giorno sempre più estroverso, lasciava pensare che prima o dopo i due bambini avrebbero trovato facilmente un compromesso tramite il quale mostrare maggiore somiglianza di carattere di quello che sembrava definirsi al momento. In seguito, tutto ciò smise di apparire come una pur lieve preoccupazione: ognuno dei due bambini mostrava un lato proprio di personalità, e tutto questo venne comunque facilmente assorbito all'interno di una famiglia piuttosto felice, paga di due figli da tirare su, indipendentemente dalle caratteristiche di ognuno.

Suo marito in quegli anni era sempre molto impegnato con il lavoro, e quando si trovava in casa gli sembrava che tutto scorresse in maniera assolutamente naturale, forse mostrando così poca attenzione ed una scarsa sensibilità, ma dobbiamo anche dire che lei tendeva regolarmente a sminuire qualsiasi preoccupazione potesse apparire all'orizzonte, rivelandosi sempre entusiasta, come il primo giorno, del suo grande sogno di famiglia divenuto realtà. E poi i due bambini crescevano bene e regolarmente, anche se, non evidenziando mai quella complicità nei giochi che tra due fratelli ci si sarebbe potuto aspettare, definivano sempre di più una netta demarcazione tra i loro modi di essere. Anche a scuola, con i propri compagni, Marco non mostrava socievolezza, stando costantemente per i fatti propri, ma in compenso i suoi risultati nella normale didattica, apparivano sempre eccellenti, tanto da lasciare piuttosto contenti e soddisfatti i propri insegnanti. Federico era più svogliato, ma in compenso era l'amicone di tutti, e se ci si fosse aspettati che il fratello maggiore almeno gli spianasse la strada degli studi, ecco, va detto in piena sincerità, che questo proprio non succedeva.

Alla domenica qualche volta tutta la loro famiglia andava in qualche ristorante fuori città, oppure, nei pomeriggi di sole, a sdraiarsi sull'erba di qualche parco cittadino, giusto per rilassarsi, ma tutto quello che era già evidente dentro al loro appartamento, si verificava esattamente in ogni altro luogo si trovassero con i loro bambini. Federico stesso, anche in questi luoghi più socievole di suo fratello, aveva presto imparato a tenere Marco a distanza, in un modo tale che i due, anche trovandosi su un prato con altri per giocare con una palla, parevano regolarmente ignorarsi. Forse la loro madre in quei frangenti avrebbe potuto in parte soffrirne cogliendo un atteggiamento del genere, ma la sua indifferenza era proprio volta a non dare alcuna importanza a quei loro comportamenti. Così, quasi troppo in fretta, si erano fatti più grandi, mai cambiando il loro reciproco atteggiamento, anche se molto difficilmente si era verificata l'occasione di assistere ad un litigio vero e proprio. Ormai non si chiamavano neanche per nome, limitandosi a riferirsi l’uno all’altro soltanto in maniera diretta, ed esclusivamente in quei casi in cui appariva strettamente necessario.

 

Bruno Magnolfi