giovedì 27 giugno 2019

Imprevedibile immagine.




Vorrei proprio partire, durante certi giorni. Alzarmi dal letto come sempre, prepararmi di tutto punto per andare in ufficio, presso il mio lavoro di impiegato della pubblica amministrazione; scendere le scale di casa, mettere in moto la mia vettura e compiere le solite strade di sempre per raggiungere il parcheggio riservato ai dipendenti del palazzo. Ma all'ultimo momento svoltare per una via laterale ed immediatamente scomparire, come non fossi mai transitato da lì. Prendere per una strada provinciale uscendo dal centro abitato della mia città ed andare a perdermi tra alcuni piccoli paesi senza caratteristiche. Sorrido quando mi lascio girare in testa questi pensieri, anche perché non ho la minima idea  su quale possa essere la loro prosecuzione. Però mi viene a mente che dovrei portare con me il mio gemello, che certamente non può fare a meno della mia presenza. Anzi, dovrei anche chiedere la sua opinione per una decisione importante del genere, e forse lasciare proprio che sia addirittura lui a pronunciare l’ultima parola su questo argomento.
Naturalmente lascio perdere in fretta ogni mia idea di fuga da questa giornaliera normalità, e così mi presento al lavoro come ogni mattina, inserisco la mia carta elettronica identificativa dentro al tornello, e da quel momento mi ritrovo nelle mani del mio datore di lavoro, o chi per lui, senza neanche possibilità di un appoggio da parte del mio gemello che mi attende a casa, lontano da questi uffici. Questa è forse la mancanza più forte durante tutte quelle ore in cui devo restare al lavoro, e mentre piego la testa sui soliti fogli che devo consultare, fortunatamente ho la coscienza che ad un certo punto tutto ciò finirà, ed io potrò tornare a confrontare i miei pensieri con lui, con questa presenza che mi sostiene, che conosce tutto di me, che sa indicarmi sempre quali siano le scelte migliori da fare.
Lo so che non esiste di fatto alcun gemello, ma per me lui è semplicemente condensato in un piccolo vecchio specchio racchiuso dentro una cornice preziosa, un oggetto che posso tenere anche con me qualche volta, fino a portarlo infilato dentro una tasca oppure in una borsa, anche se cerco di evitare una cosa del genere per la paura che accidentalmente possa rompersi. Basterebbe inciampare mentre cammino, oppure la spinta involontaria di qualcuno sul marciapiede, forse anche sbattere contro un palo segnaletico o uno spigolo di muro, e quello potrebbe andarsene in mille pezzi. Meglio evitare, mi dico. Così lascio che mi attenda dentro casa, appoggiato su un mobile, oppure sistemato al sicuro dentro un cassetto. Comunque è il mio gemello, il mio riferimento più forte, capace di aiutarmi ogni volta che ne avverto la necessità.
Proprio per questo la mia voglia di andarmene via viene costantemente frenata: non potrei mai abbandonarlo, e di portarlo con me non se ne parla nemmeno. Lui ha le proprie abitudini, i suoi orari, le sue preferenze anche per quanto riguarda le cose da specchiare. Mi attende nel mio appartamento ogni giorno, ed io so che lo trovo completamente vuoto di immagini al mio ritorno, perché è soltanto in me che vede ciò che desidera; siamo legati, inutile anche dirlo, talmente in simbiosi che quando mi parla riesce sempre a dirmi con esattezza ciò che desidero veramente ascoltare, come se già avesse preparato ogni risposta ad ogni argomento, modulando con precisione i miei pensieri spesso confusi. Non possiamo far altro che questo perciò, anche se io, nei confronti del mio gemello specchiato, sono forse più imprevedibile.

Bruno Magnolfi

mercoledì 26 giugno 2019

Vicende discutibili.



Quando viene via dal suo posto di lavoro lei si sente subito un'altra persona. È come se già avviando il motore della sua utilitaria, ed uscendo con attenzione dal parcheggio sterrato davanti alla sede dell'impresa edile, lei perdesse quasi tutte le sue caratteristiche di segretaria, per riprendere appieno i propri compiti di moglie e di madre di famiglia. Non perché in quella ditta non stia bene, oppure si trovi ad assumere dei compiti che non le sono congeniali: tutt’altro. Il suo è un atteggiamento puramente caratteriale, quello di chi veste semplicemente una maschera per affrontare certe cose, per poi cambiarla quando non le serve più. La sua vicina di casa da quando si è sposata si occupa soltanto della propria casa e del marito, e quando la segretaria rientra si fa quasi sempre trovare con la scopa in mano davanti al pianerottolo esterno al condominio, in modo da poterla salutare, per poi scambiare con lei qualche confidenza.
“Tutto a posto oggi”, le dice sorridendo, lasciando che l’altra magari le riferisca qualcosa del suo lavoro, degli incontri fatti durante il giorno, delle discussioni eventuali avute con i suoi colleghi. Lei le ha sempre spiegato almeno qualcosa del suo mondo lavorativo, quasi tutto si può dire, anche se qualche dettaglio ha lasciato semplicemente che se lo immaginasse. Anche la storia col geometra le è stata passata sottovoce, con parole misurate e guardando attentamente attorno, e la vicina adesso sa perfettamente che per lei non è un momento facile. Per questo cerca subito lo sguardo della segretaria quando questa scende dalla sua vettura di ritorno dal lavoro. E’ quasi una specie di solidarietà quella che si è stabilita tra loro due, e forse la loro amicizia non avrebbe quasi senso in mancanza di tutto ciò. "Oggi non c'era", ha risposto lei negli ultimi giorni con un tono basso, quasi distrattamente. L'altra annuisce, per il momento non ha bisogno d'altro.
La sua vicina è premurosa, essendo molto spesso a casa le fa molti favori, e poi sta dalla sua parte, fa il tifo per la segretaria sempre e comunque, ed in cambio le chiede soltanto le poche confidenze che lei spesso le regala. Ma stasera a lei non le va proprio di parlare, perciò mentre sistema l’auto al fianco del marciapiede e la intravede con la coda degli occhi sul portone, avrebbe già voglia di sbuffare, di evitarla in qualche modo, e soprattutto di sviare quelle sue domande dirette ed ammiccanti. Ma poi scende come sempre, maneggia le chiavi di casa con l’espressione seria, e quindi si sofferma un attimo: “Ciao”, dice prima che l’altra le chieda già qualcosa; “oggi è successo di tutto. Ho affrontato il geometra, e lui mi ha detto che non era il caso di prendersela tanto. Ed io ho gli detto solo che è una persona squallida, uno che sa solo giocare coi sentimenti delle persone. Poi sono venuta via dall’ufficio”.
L’altra non sa che cosa dire, la guarda, si accorge che probabilmente ha pianto, e comprende subito che quella storia nata quasi per la noia sul lavoro, forse ha assorbito la sua vicina più di quanto le fosse consentito, e che adesso questo crollo potrebbe addirittura portare delle conseguenze. Perciò si limita a metterle una mano sulla sua, guardarla in fondo agli occhi senza dire niente, e poi lasciarla entrare nel portone. Inutile per lei qualsiasi commento: anche se, vista così dall’esterno, tutta quella storia potrebbe sembrare soltanto una vicenda squallida.


Bruno Magnolfi    


martedì 25 giugno 2019

Amministrazione casalinga.



Ho chiesto al mio capo di uscire un po’ prima oggi dal lavoro. Non perché abbia qualcosa di urgente o importante da fare, ma per provare quel senso di libertà che a volte mi manca. Potrò ritrovarmi da solo nel parcheggio davanti al palazzo degli uffici, mettere in moto con calma la mia vettura, uscire dal perimetro destinato agli impiegati della pubblica amministrazione, senza neppure dover salutare gli altri mentre salgono sulle loro macchine, ed andarmene lasciando i miei colleghi ancora curvi sulle proprie scrivanie. Non è una fuga quella che cerco, soltanto un allontanarmi con indifferenza da questa massificazione che ci vede tutti come individui identici.
Posso farmi un giro senza fretta, fermarmi in un locale per lasciarmi servire un aperitivo stuzzicante; potrei anche andare a comperare qualcosa in qualcuno dei miei negozi preferiti, e per esempio scegliere degli alimenti per cucinare stasera, del pane fresco, una bottiglia di vino buono, come se avessi davvero qualcosa da festeggiare. Rientrare a casa però resta sempre il mio momento preferito, l’attimo preciso in cui le chiavi girano facendo degli scatti nella serratura, e la porta del mio appartamento che si apre come uno scrigno davanti ai miei occhi.
C’è il mio gemello che mi aspetta da qualche parte in mezzo ai mobili: a lui piace nascondersi al fondo di una stanza o di quell’altra, e poi lascia che io lo cerchi, che ne avverta la presenza, fino a quando, ormai scoperto, lui mi osserva in silenzio con la sua espressione solita, così rassicurante e preziosa. Non gli dico niente, naturalmente, però lui sa benissimo che non saprei mai stare da solo, ed affrontare ogni giornata come invece devo fare, per poi magari pensare che non c'è un riferimento preciso per me, qualcuno a cui rivolgermi, un’indicazione per le mie piccole idee che mostrano sempre la necessità di una valutazione attenta.
Poi me ne disinteresso di lui, proseguo ad occuparmi delle mie cose, sedermi a leggere un libro, ascoltare un programma radio, riordinare i piccoli oggetti che spesso lascio in giro quando al mattino vado di fretta per staccarmi dalle mura della mia casa ed andare ad infilarmi nel solito ufficio, dove non c’è neppure molto di cui occuparsi, e tutti si raccontano tra loro qualche cosa di personale, ed io mi sento però più solo di tutti, tanto che non vedo l’ora di tornarmene in mezzo alle mie cose. Lui se ne sta da qualche parte senza dare fastidio, spesso mi dimentico perfino della sua presenza, anche se è proprio quando torna prepotente il mio desiderio di confronto con qualcuno, che lui di nuovo salta fuori, pronto a concedermi la sua opinione su tutto ciò che serve.
Perché è esattamente questo che mi manca qualche volta, un’opinione obiettiva che indichi quali siano i miei possibili sbagli, la mia incapacità di trovare da solo delle soluzioni accettabili. Certe volte sottovoce, lungo il corridoio dove tutti gli impiegati del mio piano si ritrovano per prendere il caffè, ho tentato di dire che non abito proprio da solo, che c’è il mio gemello in casa con me, ma tutti hanno preso sempre questa affermazione come una banale battuta spiritosa, e nessuno mi ha mai chiesto altro a riguardo. Perciò non parlo più di questo argomento con nessuno, perché è bene che le mie cose siano sempre confinate dentro di me, senza bisogno di cercare di spiegarle a degli estranei. Anche il mio gemello è d’accordo su questo, ed anche se non me lo dice in modo diretto, io ne sono ormai più che sicuro.


Bruno Magnolfi 



lunedì 24 giugno 2019

Doppio.




Mi sveglio di soprassalto, certe notti, e poi mi alzo dal letto in preda ad una notevole agitazione. Giro per casa, controllo che le cose siano tutte al loro posto, mentre sembra proprio che il mio sonno sia stato interrotto forse da un rumore insolito che ancora mi sembra di avvertire nelle orecchie, oppure da un richiamo lontano, come di una nave in rada, non saprei dire. Dietro un angolo del muro dentro al mio appartamento intravedo subito il mio gemello, ma non lo guardo in modo diretto, per non dargli l'impressione che la mia volontà sia quella di rimproverarlo di qualcosa. Mi verso piuttosto dell'acqua in un bicchiere, controllo sul tavolo ciò che ho preparato già per il giorno seguente, infine torno in camera e mi corico, cercando la posizione più comoda in mezzo alle lenzuola. Abitare da soli non è facile penso, ci sono dei momenti in cui il normale equilibrio viene meno. Poi mi riaddormento.
    Generalmente prima di andare a letto mi prendo una pastiglia di tranquillante, oppure mi bevo una tazza di camomilla, proprio per essere sicuro di non trascorrere delle ore senza riuscire a chiudere gli occhi, ma negli ultimi tempi pare proprio che questi accorgimenti non siano più del tutto sufficienti. Provo la sensazione che qualcosa manchi intorno a me, che abbia dimenticato qualche cosa durante la giornata appena trascorsa; per questo vado volentieri ad incrociare lo sguardo del mio gemello, perché già semplicemente questo gesto spesso assume il senso di una rassicurazione, ed è allora che il mio agitarsi pare si stempri, anche se non per molto.
In fondo il riposo è estremamente importante per una persona, è per questo che al mattino ci si deve rialzare dal letto con la sensazione di essere assolutamente a posto, rinfrancati nel corpo e nello spirito, in maniera da poter dare il meglio di noi stessi durante la giornata che ci attende. Con la mente però, mentre me ne sto tranquillo sotto alle coperte, seguo i percorsi che potrebbe affrontare il mio gemello mentre non mi interesso affatto di lui, e sono tentato di andare a vedere che cosa effettivamente stia facendo in questo attimo preciso. Cerco come sempre di allontanare la mia mente da queste riflessioni, ma poi è sufficiente un lieve rumore, uno scricchiolio da qualche parte, il frusciare di una tenda, una bolla d’aria dentro un tubo idraulico, ed allora so che anche lui sta per avvicinarsi, perché non riesce ad essere del tutto autonomo da me, e quindi mi cerca, vuole sapere cosa stia facendo.
Certe volte lo rimprovero, mi rivolgo a lui direttamente e con voce decisa gli spiego come non sia il caso di infastidirmi perennemente con la sua presenza, come invece fa. Ci sono tanti luoghi verso dove dirigersi, potrebbe magari farsi un giro e lasciarmi in pace almeno per un po' di tempo, ma subito dopo mi dispiaccio delle mie parole, e così torno a cercarlo, perché in fondo non so stare affatto senza di lui, ed anche se ho quasi dispiacere a dirlo, ho bisogno della sua presenza. Poi torno a dormire, ed immagino che lui sia ancora lì, in un angolo della mia stanza, ad osservare il momento esatto quando il mio sonno avrà il sopravvento sulla stanchezza che mi porto dentro. Domani mi riconcilierò del tutto con il mio gemello penso, perché se devo essere sincero fino in fondo, ho bisogno davvero di lui, è inutile negarlo.

Bruno Magnolfi

venerdì 21 giugno 2019

Scherzi augurali.



Lei è così, anche quando corre a perdifiato soltanto perché sicuramente è già in ritardo, e fa quell'espressione buffa da animale preso in gabbia, come se non fosse stata la solita montagna di sciocchezze a farle mancare anche quell'orario. C'è sempre qualcos'altro da fare, da inventare, di cui preoccuparsi, quasi che il presente, proprio davanti ai suoi occhi, fosse l'elemento minore nella sua personale scala dei valori. Da sola risulta difficile immaginarla, se non persa dietro alle istruzioni della macchina per il caffè, alla perenne ricerca del sistema più facile e veloce per ottenere almeno una tazzina di bevanda proprio come da sempre lei ha desiderato. Generalmente però si ritrova in compagnia di qualcuno, e molte volte con coloro che la circondano è capace di lamentarsi soltanto delle piccole cose, di risvolti tollerabili, di incresciosi contrattempi, che però tutti insieme assomigliano quasi al brulicare incessante e pericoloso di un alveare.
Poi si siede, dice che adesso si sente stanca, che non ha più voglia di parlare di sé e delle sue disgrazie, ammesso che ne abbia. Un anziano signore, accanto a lei dentro la sala di attesa, subito le sorride, poi le dice filosoficamente che tutto sta nel prendere le cose nella maniera giusta. “Arianna”, la chiama sua sorella dal corridoio, mentre arriva trafelata. Naturalmente si assomigliano, perciò bisticciano subito, è sufficiente per loro trovare l’argomento adatto. Ma dopo un attimo abbassano la voce, dicono insieme che in capo a poco tutto dovrà prendere una piega differente, e che per migliorare tutte le condizioni in cui lei si sta trovando sarà sufficiente non dare troppa importanza a quanto è già venuto fuori. “Non voglio sentirmi preoccupata”, dice Arianna con un’espressione estremamente seria sopra il viso. E la sorella annuisce, e poi con alcuni gesti conferma le parole, spalanca gli occhi per dare maggiore risalto ad ogni sua opinione, quindi elabora in un momento di silenzio quanto sta pensando. 
“Non è poi niente di grave”, spiega Arianna; “si tratta soltanto di qualche valore sballato, alcune piccole variazioni sul tema, ecco, nulla di più”. La sorella è talmente in disaccordo che evita persino di guardarla. Ambedue si prendono ancora una pausa di silenzio per evitare di tornare a bisticciarsi, ed in questo lasso di tempo l’uomo anziano dice con calma che si devono ponderare le cose attentamente prima di prendere delle decisioni. Le due sorelle vorrebbero immediatamente scagliarsi contro di lui, ma si trattengono, e con ironia annuiscono. Esce il medico dallo studio, si avvicina ad Arianna e le dice che ci sarà bisogno rapidamente di fare diversi accertamenti, che ha già pronta per lei una lista di analisi e di alcuni esami più specifici, prima di fare una diagnosi precisa. Lei si alza e lo segue nello studio, la sorella sembra sul punto di piangere, ma le va subito dietro e chiude la porta alle sue spalle.    
“E’ soltanto un sospetto”, spiega il medico; “ma al giorno d’oggi è bene chiarire ogni dettaglio, anche in considerazione della sensibilità nervosa che lei ha manifestato”. “Come sarebbe”, interviene la sorella; “mi torna nuova che le diagnosi mediche adesso vengono portate avanti in funzione delle preoccupazioni che i pazienti manifestano”. "Non è questo", dice il medico riferito alla sorella. "Però dovrà pur darmi atto che con un soggetto come Arianna possa persino capitare che tutto alla fine si riveli un'enorme bolla di sapone: come se avessimo scherzato, anche se magari è proprio questo che adesso forse ci auguriamo tutti".


Bruno Magnolfi


mercoledì 19 giugno 2019

Appalti al massimo ribasso.




            L’orario è quello di ogni giorno, il magazziniere spegne il suo elaboratore ed anche la lampada sopra il piccolo tavolo dentro al box, poi prende tutti gli incartamenti che si sono accumulati là sopra durante la giornata, e dopo averli messi bene in ordine li porta nell’ufficio della segretaria, all’interno della sede. A quell’ora in genere lei è già andata via, e rimangono in giro soltanto il titolare ed i tecnici dell’impresa, normalmente intenti a preparare il lavoro per il giorno seguente, così lui appoggia i documenti sopra al piano della scrivania, dove in seguito verranno registrati, e poi con tutta calma se ne va. Mentre sta per uscire, naturalmente dopo aver salutato il signor Chelli seduto dentro la sua stanza con la porta aperta, il geometra però lo affianca in silenzio, quasi lo attendesse, come se avesse qualcosa da comunicargli, però da solo.
Lo accompagna senza dire niente fino alla sua utilitaria, lungo il parcheggio sterrato di fronte all’edificio, e dopo essersi acceso con calma una sigaretta, gli chiede in modo diretto se sia stato lui a spifferare a tutti le faccende che in questa fase lo riguardano. L’altro nega naturalmente, alza anche le spalle, spiega che lui è uno che si fa sempre i fatti propri, e non è usuale tra i suoi modi preoccuparsi d’altro, ma il geometra lo incalza, gli dice guardandolo deciso che sembra strano che oramai tra quegli uffici tutti lo sappiano che tra poco se ne andrà da quell’impresa, mentre era soltanto lui ad aver avuto questa confidenza. Il magazziniere lo guarda diritto a sua volta, ma non replica niente, come si fosse già spiegato, e non ci fosse altro da aggiungere; ma l’altro gli dice subito che in fondo non gliene importa neanche molto, visto che prima o dopo tutti quanti lo dovranno pur sapere. Il magazziniere sembra tirare un sospiro di sollievo, ed a quel punto gli fa: “comunque a me dispiace”, come se questo giustificasse altri comportamenti. Poi i due si separano, ed il geometra rientra dentro la sede dell’impresa.
Lui ha pensato di scrivere una lettera alla segretaria, o meglio lasciarle un messaggio da qualche parte, poche parole sintetiche che possano illustrare il proprio stato d'animo, ma così forse sarebbe come dare troppa importanza alla loro piccola storia, quell'importanza che fino adesso secondo lui non c’è mai stata. Ma anche incontrarla fuori da lì, dandole un appuntamento, a suo parere non andrebbe bene: magari si ritroverebbe ad affrontare una scenata, forse dovrebbe promettere qualcosa, e poi scusarsi e anche giustificarsi dei suoi comportamenti. Lui si sente profondamente una persona libera, e come tale giudica liberi anche coloro che gli stanno intorno. Perciò non farà niente, oramai ha deciso: prenderà tutte le sue cose uno di questi giorni, e chiuderà quella porta dietro le sue spalle, per andare ad intraprendere la nuova strada lavorativa che gli si sta delineando, con nuovi compiti, altre persone attorno, ed un’occupazione maggiormente interessante.
Il signor Chelli lo osserva dalla finestra mentre sta rientrando dal parcheggio, e forse in quello stesso momento comprende tutto quanto già con quella sua semplice occhiata: a lui non piacciono i segreti, le trame, i complotti sciocchi, e forse da quando il geometra gli ha manifestato la volontà di andarsene, ha iniziato lentamente a considerarlo un po’ di meno, come fosse già un esterno alla sua ditta. Però ancora di più non vorrebbe che le sue dimissioni portassero qualche altro scompenso nel resto del personale, perciò si affaccia lungo il corridoio, e mentre passa il tecnico gli chiede se per caso ci fosse qualcosa di cui sarebbe meglio fosse a conoscenza. “Niente”, dice il geometra già sulla difesa, “se non le solite piccole accortezze di lavoro che certe volte vengono dimenticate”. Il titolare annuisce, rientra lentamente dentro la sua stanza, torna ad interessarsi come prima della gazzetta, degli annunci di gare, degli appalti vinti al massimo ribasso da un’impresa o da quell’altra, ma non rimane affatto persuaso dalle parole che ha ascoltato.

Bruno Magnolfi

lunedì 17 giugno 2019

Soltanto ignorati.


           

            Sono sfinito, continuo a camminare per la strada affidandomi soltanto all’inerzia delle mie gambe, che proseguono ad appoggiare i piedi a terra uno dietro quell’altro, oramai senza neppure minimamente sapere verso quale luogo mi stia recando. Ho cercato un nuovo mestiere, appena sono stato licenziato dall’ultimo lavoro che svolgevo: il titolare della ditta ha detto con un sorriso che mi avrebbe richiamato forse tra due o tre settimane, ma poi non si è più fatto sentire. Chiunque ha il diritto di lavorare, svolgere un ruolo, sentirsi capace di impegnarsi ed essere utile agli altri, guadagnando qualcosa che possa permettergli un’esistenza dignitosa. Così sono tornato da lui, ma mi ha detto subito che stava chiudendo, non aveva più bisogno di me, e neppure di nessun altro.
            Allora ho iniziato a camminare, chiedendo ogni tanto a qualcuno lungo la strada se per caso avesse avuto bisogno di una persona ancora valida a tutti gli effetti per svolgere un qualsiasi ruolo lavorativo. Qualcuno, probabilmente in relazione alla mia età avanzata, mi ha guardato in malo modo, altri non mi hanno neppure risposto, due o tre mi hanno consigliato di presentarmi all’assistenza sociale. Ho pensato che in condizioni del genere in altri tempi sono sempre stato aiutato da un pizzico di fortuna, così non ho certo ceduto al pessimismo, e come sempre ho fatto sono rimasto assolutamente fiducioso nell’immediato futuro.
            Invece non è accaduto un bel niente di buono, ed adesso ho proprio deciso di sentirmi male, come mia ultima possibilità rimasta: voglio proseguire a camminare in avanti fino agli sforzi più estremi, fino a quando riesco a farlo, fino a lasciarmi cadere per terra senza più alcuna energia, e poi restare lì come un corpo privo di spinta vitale, senza più sensi, come un morto, fino a farmi trasportare esamine nell'ospedale più vicino, dove un qualche dottore simpatico e altruista, nei prossimi giorni, potrebbe prendersi cura di me e forse anche dei miei grattacapi, sistemandomi lui in qualche maniera. Sono convinto che tutto questo possa senz’altro accadere, anche perché non mi sono rimaste molte altre speranze. Quando ero più giovane non mi sono certo preoccupato di cercare un’occupazione stabile; lavoravo un po’ di qua e un po’ di là, perlopiù irregolarmente, un po' presso questo e un po' presso quell’altro, soprattutto perché le formichine che vedevo intorno a me pensavano soltanto al loro futuro, senza vivere appieno questo presente, ed io le detestavo, ed immaginavo continuamente non avessero proprio nient’altro di cui preoccuparsi.
            Invece gli anni ad un tratto sembrano mordere, e le persone che ti possono ancora dare un lavoro o farti guadagnare qualche spicciolo, ad un certo punto ti voltano le spalle, perché tu non fai più parte di coloro che sono utili a qualcosa. Tutto crolla d’improvviso, e tu che ti sei dato da fare in lungo ed in largo mettendo insieme le capacità più diverse, maturando tanta sensibilità ed esperienza, all'istante sei fuori dai giochi, non servi più a nulla, e non importa a nessuno tutto ciò che hai potuto fare e mettere in mostra in precedenza: non sei stato sufficientemente furbo, questo è quanto ti rimproverano tutti a quel punto, e di colpo la tua esistenza non vale più quasi niente. Così cammino, senza preoccuparmi di altro, e forse qualcuno mi guarda con curiosità, altri magari chiedono intorno chi sia mai quel matto che sembra non stancarsi mai, come avesse un traguardo, una meta precisa. Interviene un giornalista forse, chiede in giro qualcosa di tutta la mia storia, propenso a mettere insieme un gran bell'articolo. Magari si pubblicherà, e poi diranno che sono un personaggio, che si deve imparare da me. Così va il mondo, perché si può diventare anche famosi per essere stati completamente ignorati per tutta la vita.

            Bruno Magnolfi

venerdì 14 giugno 2019

Parole giuste.



Il lavoro procede, anche se le giornate spesso riescono a dimostrarsi infinite. Ogni impresa edile ha senza dubbio una storia propria, un percorso preciso, un indirizzo tramite il quale le cose al suo interno prima o dopo sono andate manifestandosi nell’arco del tempo, generalmente tutte quante di derivazione diretta delle persone che hanno partecipato sia alla sua fondazione, antica o recente che sia, che alla sua esistenza, più o meno tormentata, rendendo piccolo, grande, o certe volte anche inutile, l'intero sforzo di tutti.
L’assistente di cantiere sembra contento della nuova situazione: seguire gli operai per lui adesso è diventato molto più leggero, da quando è arrivato l’apprendista a dargli una mano, nonostante sia soltanto un ragazzo. Anche il geometra, pur non concedendo mai alcuna soddisfazione a nessun altro dipendente dell'impresa, in questo periodo sembra piuttosto tranquillo, e forse anche maggiormente comprensivo persino nei confronti degli operai.
In fondo l’organismo complessivo della ditta è come una specie di macchina nella quale ogni ingranaggio svolge il suo ruolo, importante o meno che sia. Il signor Chelli conosce perfettamente questa struttura, ed è per ciò che prima di cambiare qualcosa riflette a lungo sull’opportunità di qualsiasi variazione. Che il geometra se ne vada, ormai è una notizia quasi di dominio pubblico, anche se ufficialmente nessuno ne sa niente, e soprattutto è poco chiaro a tutti il momento quando questo realmente accadrà, ed in quale maniera.
La segretaria più di tutti finge completa indifferenza, ed anche se dentro di sé vorrebbe affrontare a muso duro direttamente il geometra, invece riesce, nei limiti del possibile, a manifestare in ufficio un comportamento, anche nei suoi confronti, distaccato e professionale. Perfino lui, con una certa malcelata vigliaccheria, non ha neppure cercato di spiegare la sua nuova posizione, fingendo una normalità che probabilmente si tirerà dietro fino all’ultimo giorno di lavoro là dentro, limitandosi a salutarla dal corridoio, nelle ultime settimane, senza alcuna enfasi, ed evitando con cura di entrare nella sua stanza. La segretaria attende il momento opportuno, questo è chiaro, mentre lui cerca di spostare quell’incontro in avanti nel tempo.
Forse è proprio così che ci si comporta in certi ambienti, riflette la segretaria adesso, in qualche occasione: si usano le persone per renderci più piacevoli certe giornate pesanti, più interessanti le lunghe ore di lavoro monotono, più intriganti certi momenti, e poi alla fine si lascia tutto cadere da qualche parte, come un abito smesso, o la giacca di cantiere ad alta visibilità, gettata momentaneamente su una sedia dietro la porta, per essere ripresa magari solo nel momento in cui possa ancora servire. Probabilmente il geometra pensa questo adesso di lei: che si è divertita con lui qualche volta, naturalmente dietro le spalle del signor Chelli, e che è stato divertente, almeno fino a quando è potuto durare.
Ma la segretaria non si sente in questo modo, ed anche se capisce benissimo che non ha niente da chiedere in questo momento, e che se anche volesse sollevare la questione sarebbe soltanto lei a rimetterci qualcosa, ugualmente desidera puntualizzare la faccenda, ed anche se questa storia segreta tra loro due si può considerare già tramontata definitivamente, per lei adesso è importante almeno chiuderla bene, con le giuste parole.

Bruno Magnolfi





mercoledì 12 giugno 2019

Fregature inaspettate.




Niente potrà migliorare penso, se non la mia percezione della realtà, il mio considerare tutte le cose in maniera più positiva di quello che sono. Per questo cerco spesso di allontanarmi da chiunque, semplicemente per non coinvolgere altri nel mio scadimento. Al bar mi chiamano il poeta, perché credono che dentro di me percepisca la realtà sotto forma di versi, di parole insolite, di circonvoluzioni letterarie. Forse è anche così, ma soprattutto quando loro mi definiscono in questo modo, sanno quanto sia soprattutto la solitudine il mio perenne stato mentale. Non tanto perché mi comporto in maniera di non frequentare gli altri, quanto perché cerco in ogni momento di valutare tutto in una maniera soltanto mia.
Non arriverà niente di buono penso, da tutto questo falso tentativo di dare importanza alle persone. Fino a quando tutti si assomiglieranno non ci potrà essere alcun cambio, nessun salto di qualità. Si pensano le medesime cose, spesso le più elementari, e poi ci meravigliamo se non giungono i risultati che avremmo voluto. Non sono migliore di altri, tutt’altro, soltanto mi tengo a distanza dalle riflessioni comuni, dai pensieri di tutti, dai ragionamenti che portano ad essere invariabilmente d’accordo con coloro che parlano di più.
Così vado al bar e mi metto da una parte. Se proprio devo scegliere, preferisco sentirmi isolato, pur in mezzo a molti altri individui. Mi siedo, bevo una birra, mi guardo attorno. Non c’è alcuna necessità penso, di fingere una socializzazione senza presupposti, di mostrare sentimenti di amicizia  talmente superficiali da apparire impalpabili. Li osservo, i presenti dentro al locale, mentre continuano a ridere quasi di tutto, e certe volte anche di me: fanno così per mostrarsi il più possibile distanti penso, per etichettarmi come diverso, per evidenziare che non c’è alcuna ragione per prendere davvero sul serio quello che mostro di me.
Poi arriva uno nel bar che neppure conosco, e mi chiede di colpo se io sia davvero il poeta. Annuisco, non ho bisogno di mettermi in mostra nel bene o nel male, però non dico mai delle cose che non siano veritiere. Dice che secondo lui sono un gran personaggio, un tipo che potrebbe fare scuola, e lui è venuto fin qui per farmi una specie di intervista. Vorrei rispondergli che sta perdendo il suo tempo, non sono affatto il tipo che lui crede, ho ben poco da offrire a chiunque altro, ma mi limito ad alzare le spalle e sorseggiare la birra.
Quello insiste, sostiene che ci potrebbe essere un seguito per me da tutto questo, potrei diventare famoso, essere additato come un caso raro, uno che riesce a starsene fuori dai giochi, che ancora è capace di pensare le cose con la propria testa, senza seguire le reti sociali o le televisioni che indottrinano continuamente masse complete di persone ignare di tutto. Io non rispondo un bel niente, e forse questo tizio crede che stia in qualche modo cedendo alle sue lusinghe, così insiste con questi argomenti, fino al punto in cui mostrando indifferenza mi alzo dal tavolo, gli stringo la mano con cordialità, per pura educazione, e poi me ne vado, spiegandogli soltanto che tutto ciò che ha inteso dirmi non mi interessa.
Però tutti i presenti, ed anche coloro che mi incontrano adesso per strada, sembra proprio che vedano in me un’altra persona, un tipo importante, uno che aveva sempre detto delle cose da seguire con estrema attenzione. Sono fregato penso; o forse no.

Bruno Magnolfi

martedì 11 giugno 2019

Giri di parole.



Della vendita al dettaglio di sabbia, ghiaia, cemento, leganti vari per edilizia ed affini, si occupa quasi in autonomia il magazziniere dell'impresa, che rilascia fatture, scontrini e documenti di trasporto, ai clienti che giungono fin lì, manovrando i dati e le carte che servono, all’interno del piccolo ufficio ricavato in un box posto in mezzo al piazzale, dove sotto le imponenti tettoie costruite intorno, stazionano quasi tutti i materiali. Raramente qualcuno dell'ufficio va da lui, più facile il contrario, almeno quando non ci sono clienti. Perciò la segretaria sa benissimo di fare qualcosa di strano approfittando di quel momento in cui in azienda non è presente nessun altro, e quando arriva presso la sua postazione e gli chiede con fare amichevole come gli vadano le cose, le è chiaro perfettamente che l'altro soltanto nel caso ne abbia davvero voglia forse potrà dirgli, ammesso lo sappia, qualcosa di cui è a conoscenza, e che lei evidentemente vorrebbe sapere.
"Tutto a posto", risponde; "le cose vanno più o meno come sempre". Lui non sa se dietro a questa uscita insolita della segretaria ci sia o meno lo zampino del signor Chelli, e in ogni caso sa che è bene restare sulle sue per evitare dei problemi. “Mi chiedevo se tu fossi a conoscenza di qualcosa di nuovo”, dice lei senza dare troppa importanza alle sue parole, e l’altro, che invece comprende perfettamente che c’è qualcosa in ebollizione, cerca di riflettere velocemente per riuscire ad arrivare alla sostanza del problema. “Mi pare che il nuovo arrivato, questo ragazzo fresco di studi, si stia rapidamente adattando alla situazione; però non vorrei che ciò significasse altri spostamenti”. Lei si sente subito punta sul vivo, lui lo sa benissimo, ed anche se il magazziniere non la sta guardando direttamente, avverte l’improvvisa concentrazione di ogni attenzione della segretaria su di sé, come per percepire dalle sue espressioni qualsiasi possibile sottinteso. Poi sorride, e guarda qualcosa oltre il vetro, sopra al piazzale polveroso.
“Che cosa vuoi dire”, chiede sottovoce lei ma con modi diretti; “forse che ci saranno a breve delle variazioni d’organico, o che qualcuno magari andrà ad occuparsi di altri settori dell’impresa?”. Anche il magazziniere adesso sorride, proseguendo a mettere a posto qualcosa tra tutte le sue carte, ma alla fine si alza dalla scrivania dove sta il registratore di cassa ed il suo elaboratore, e guardando fissa l’impiegata le dice: “magari qualcuno potrebbe aver sistemato la strada per andarsene rapidamente da qualche altra parte”. Lei subisce il colpo, il magazziniere si accorge della situazione e così si volta per non imbarazzarla ulteriormente, ma la segretaria stringe i pugni come per allontanare da sé la cascata di pensieri che le stanno turbinando nella testa. "E perché mai dovrebbe essere così", dice quasi per allontanare il concetto, evitando di porre la domanda, ma quasi dando alle proprie parole il senso di una chiusura netta. Ma lui riprende subito il filo, e con voce apparentemente più debole, ma anche più insinuante, spiega: "perché qualcuno forse è venuto semplicemente a riferirmelo".
Basta, per la segretaria tutto questo è già più che sufficiente, così chiede distrattamente qualcosa su alcuni materiali presenti in magazzino, e poi rientra velocemente nell’edificio degli uffici, nello stesso momento in cui arrivano in ditta anche i tecnici dell’impresa. “Serve un poco di elaborazione”, pensa lei mentre torna sedersi alla sua scrivania. “E forse anche qualche domanda secca, che non presupponga proprio alcun giro di parole”.


Bruno Magnolfi



domenica 9 giugno 2019

Dimenticanze correnti.




Fuori dai vetri il pomeriggio mostra adesso la sua luce più densa, e le cime degli alberi in fila disegnano come delle ombre allungate di identiche meridiane lungo la strada asfaltata di fronte. Lei, dentro al salotto dell’appartamento, si muove nervosa con il suo sguardo pungente, quasi alla ricerca di qualcosa di cui preoccuparsi; lui, assunta la posa consueta dell'indifferenza, prosegue a consultare svogliatamente degli appunti e delle carte afferenti al proprio lavoro. "Sarà l'età", fa lei, "ma quest'anno sono veramente sfinita. E poi non riesco più a dormire bene, mi sveglio, visiono brandelli di sogni realistici di cui non ricordo mai niente, e proseguo per tutta la notte a girarmi nel letto alla ricerca di posizioni più comode che però non trovo mai. Prendere qualche giorno di vacanza comunque, sarebbe soltanto un palliativo che accantona momentaneamente le cose, lasciando ogni problema esattamente al suo posto".
Lui annuisce senza dire niente, quindi si alza dalla poltrona, muove due passi, ed appoggia i suoi fogli sul tavolo. "Potresti andare da tua sorella per il fine settimana", le suggerisce alla fine con voce monocorde. "Non è una vacanza, è soltanto una visita di cortesia. Tanto io mi arrangio benissimo anche da solo, e poi ho parecchio da lavorare, per cui in sostanza potrebbe essere per la tua stanchezza la soluzione migliore". Lei l'osserva per un attimo, non dice niente, lascia che quanto ha appena ascoltato si depositi come polvere densa sugli oggetti e sui mobili di tutta la stanza, infine torna a guardare qualcosa che forse vede soltanto lei fuori dalle vetrate. Lungo la strada le macchine e le persone scorrono con finta indifferenza alla ricerca di qualcosa da cui essere attratti; dall'appartamento silenzioso, osservando il loro passaggio, sembrano tutti come la costituzione continua di un gioco estenuante che si protrae all'infinito, senza la necessità di alcun intervento superiore.
“Forse sono annoiata”, fa lei. “Mi sembra certe volte come se tutte le cose fossero sempre le medesime, senza possibilità di alcuna variazione”. “E tu cosa vorresti cambiare”, fa lui; “magari le tue abitudini, oppure qualcosa che hai attorno, la casa, la città, forse il clima di questa stagione, prima freddo, poi caldo, senza che si possa mai neppure indicare una vera preferenza”. “Non fare facili ironie”, dice lei; “non sto chiedendo chissà cosa, soltanto togliermi di dosso questa cappa antipatica di debole sofferenza, come se non fossi più in grado di pensare al domani in termini un po’ più positivi. Mi guardo allo specchio e mi vedo ogni giorno soltanto peggiorata, e qualsiasi cosa riesca a fare mi sembra semplicemente un atto dovuto da parte della realtà, e non un punto d’arrivo o un traguardo”.
Lui allora lentamente le va più vicino, come per abbracciarla, forse per farle sentire che le concede il suo appoggio, la sua comprensione, il proprio sostegno, ma lei si volta, come per scansare qualcosa che probabilmente fa parte del repertorio usuale di uno spettacolo già risaputo. “Va bene”, dice poi quasi con uno scatto nervoso; “più tardi chiamerò mia sorella. In fondo mi può soltanto far bene stare con lei, parlare un po’ della famiglia, dei vecchi ricordi, delle risate di un tempo. Andare a casa sua sarà una volta di più quasi come tornare indietro nel tempo; e magari dimenticarmi per un giorno o anche due di tutto il resto”.  

Bruno Magnolfi

giovedì 6 giugno 2019

Spinta in avanti.


            

            Dentro all’ufficio del signor Chelli, nel corso degli anni, sono state anche prese delle decisioni importanti, in considerazione di una piccola impresa come la sua. Ma a lui generalmente non piace cambiare le cose da cui è circondato, preferisce sia la cruda realtà, in qualche maniera, a suggerire quali siano le piccole variazioni da apportare in azienda volta per volta, e in ogni caso nulla, per chi lo conosce, pare creargli una sofferenza maggiore che dover forzatamente modificare le piccole abitudini che nel momento attuale caratterizzano quasi tutto il suo mondo. Perciò le poche parole del suo geometra, in piena onestà bisogna concedere, con cui improvvisamente e senza preavvisi gli ha riferito che probabilmente tra qualche tempo potrebbe avere un’offerta per un posto di lavoro di maggiore spessore per la propria carriera, lo hanno gettato di colpo in una condizione quasi di prostrazione, nonostante abbia subito deciso di non parlarne assolutamente con nessuno, almeno fino al momento in cui riesca a restare segreta in azienda una notizia del genere.
            Va da sé che le attività sul cantiere, nel periodo seguente, sono rimaste esattamente le medesime quasi in qualunque dettaglio, ed anche il geometra stesso, che forse si sarebbe potuto immaginare meno determinato da quel momento in avanti nello svolgere il proprio lavoro, in realtà si è dimostrato estremamente fedele come sempre alle proprie funzioni, tanto da far dimenticare allo stesso signor Chelli, nel giro di poco più che una manciata di giorni, quello che le stesse orecchie del titolare dell’impresa avevano ascoltato nel corso dell’alba rosata di quella mattina, quando dentro alla sede aziendale a quell’ora non c’era ancora nessuno, ad esclusione di loro due. Né lui, e neanche l’altro comunque, nel periodo immediatamente seguente, è più rientrato parlando neppure per sbaglio su quell’argomento, lasciando tutto quanto come in sospeso, e le cose poco per volta sono sembrate scorrere avanti senza né strappi né ulteriori sorprese.
L’apprendista invece, negli ultimi tempi, è riuscito comunque a dimostrarsi all’altezza di tutte le aspettative, e l’assistente di cantiere, ormai con il suo piccolo bagaglio di esperienza e di conoscenze, sempre disposto a portare in avanti il proprio lavoro, tanto da riuscire a fare quasi a meno degli altri, compreso il suo superiore diretto. La segretaria ha proseguito come sempre con i suoi atteggiamenti da lavoratrice impegnata, e niente quindi è sembrato mostrare apprezzanti variazioni. Forse il signor Chelli è parso invecchiato in qualche maniera, però ogni impressione che è sempre riuscito a dare di sé anche in tante altre occasioni, non ha mai fornito strumenti adeguati per far interpretare in qualche maniera le sue vere preoccupazioni.  
Il magazziniere poi se ne è uscito improvvisamente, mentre beveva dell’acqua lungo il corridoio della sede aziendale, con una strana battuta, quasi sapesse qualcosa di più rispetto a chiunque di loro: "prossimamente saremo più soli", ha detto senza specificare meglio qualcosa, e se nessuno gli ha chiesto spiegazioni, lasciando cadere la frase nel completo silenzio, tutti di certo hanno comunque fatto qualche considerazione personale sopra quelle parole, anche se nessuno si è spinto così tanto in avanti da comprendere bene cosa intendessero. L'aria che circola adesso in quella ditta non è certo la migliore possibile, ma in ogni caso niente pare del tutto compromesso o irreparabile: il lavoro comunque procede, i cantieri ogni giorno sono totalmente in attività, ed ogni lavoratore impegnato in azienda spinge in avanti come sempre il proprio mestiere.

Bruno Magnolfi



martedì 4 giugno 2019

Novità in vista.


      

            “Non è più aria per me”, dice lui sorridendo ad un amico che incontra certe sere mentre porta fuori il suo cucciolo canino. “Al capo della ditta ho fatto assumere un paio di ragazzi che al momento non sanno fare quasi niente, ma poco per volta impareranno senz'altro qualcosa, e tra non molto saranno più o meno pronti per portare avanti le cose anche da soli. L’impresa poi è piccola, non ci vuole molto per gestirla. Contemporaneamente io mi guardo in giro, faccio qualche telefonata, sondo il terreno, ed appena scappa fuori la proposta più allettante circa un posto di lavoro per capo geometra di cantiere, magari in qualche grosso appalto nel circondario di questa città, immediatamente me ne vado, senza mettere in mezzo troppi preamboli”.
La serata è bella, il cane continua a fiutare strane piste lungo file di angoli e di alberi intorno a tutto il vicinato. Lui è sereno, i suoi posti di lavoro li ha sempre visti come momenti di rapida preparazione a qualcos’altro, fin da quando ha iniziato da giovanotto col portare la borsa a quei palazzinari degli anni buoni, quando certi personaggi avevano un grande potere incontrastato, talmente potenti da farsi vedere solo raramente sui cantieri, dei veri miti, tanto supremi dirigenti del lavoro da riuscire a rendere la loro presenza tra gli operai praticamente inutile.  
“Non me ne è interessato quasi niente fin da subito delle sorti di questa azienda”, dice ancora. “Certo, ho cercato di far andar le cose per il verso giusto, ho avuto sempre un occhio di riguardo per gli utili di impresa nelle mie contabilità, per lasciare costantemente dei soldi in banca al nostro capo, e forse qualche volta ho strizzato un po’ la mano d’opera, tagliando via agli operai qualche straordinario dalla busta paga, dimenticando ed omettendo dei rimborsi, facendoli dormire in qualche ruvida baracca quando c’era da lavorare in luoghi di trasferta. E poi ho sempre lesinato su tutte le sicurezze di cantiere e sui vari corsi antincendio, tutta roba inutile, senza alcun seguito”.  
Intanto si accende una sigaretta, richiama il cane con un fischio, si volta e torna a sprofondare le mani nelle tasche. “Fanno tutti così”, dice in un soffio al suo amico. “Non c’è mai da meravigliarsi; tutto quello che è possibile fare per fregare qualche quattrino al prossimo, se conosci l’ambiente, è messo bene in evidenza soprattutto sui cantieri di edilizia. Piccole cose, se l’azienda è piccola. Enormi cifre se invece è grande”. L’altro sorride, immagina che il suo vicino di casa certe volte esageri, però gli piace sentirlo parlare delle sue esperienze di lavoro, perché si rende conto sempre più che c’è tutto un mondo ignorato completamente da chi non fa parte del settore.
“Primo o dopo comunque, dovrò iniziare a pensare al mio secondo futuro”, prosegue il geometra. “Non posso certo proseguire fino alla pensione a stare con i piedi dentro alle scarpe antinfortunistiche, e a trattare ogni giorno con operai che a volte non sanno neanche scrivere. Mi troverò un ufficio come tutti i miei predecessori, e mi ci infilerò dentro a passare il tempo al caldo durante tutto l’inverno, consultando progetti e sezioni di impalcati, senza dannarmi più l’anima per tenere testa a qualche piccolo imprenditore con idee talmente grandi da non riuscire a contenerle. Non c’è niente di male in tutto ciò, il mio è un mestiere da nomade: stare fermo in un posto solo fino a quando è necessario, e poi via, al più presto, verso altri luoghi il più possibile diversi”.
L’amico sorride in silenzio, in sostanza senza riuscire a comprendere fino in fondo quelle scelte così particolari; il cane in quel momento torna indietro e si accosta ai due nella luce dei lampioni, praticamente dopo aver annusato tutto il territorio circostante; poi si fa rimettere il guinzaglio come per una sorta di abitudine, con normalità, senza minimamente protestare, quindi si prepara esattamente come il suo padrone a rincasare: la serata ormai è finita, sembra riflettere; domani forse ci potranno essere persino delle fresche novità.

Bruno Magnolfi

lunedì 3 giugno 2019

Piccoli disastri quotidiani.


        

            Purtroppo sono solo. Mi guardo attorno lentamente, mentre ancora mi trattengo lungo la strada, davanti a questo palazzo, dove abito in due stanze d’affitto senza grandi pretese. Mi fermo davanti al vecchio portone, e con la chiave in mano cerco qualcosa intorno a me, da qualche parte, qualsiasi cosa che mi permetta di restare per qualche minuto ancora qui, su questo marciapiede, dove ogni tanto transita qualche persona senza fretta, certe volte anche qualcuno che conosco, e che forse ha voglia di intrattenersi insieme ad uno come me, a parlare magari semplicemente del tempo, o del più e del meno, o anche di qualsiasi altra sciocchezza riesca in questo momento a passargli per la testa. Ma stasera sembra proprio non ci sia nessuno, neanche uno tra coloro che forse potrebbero, perché sembra quasi che tutti quanti abbiano deciso da qualche tempo di evitarmi, proprio come forse si fa con un qualsiasi noioso solitario, giudicandolo anche leggermente effeminato, come dicono molti in questo condominio, uno che si attacca facilmente agli altri pur di non sentire il morso della propria differenza solitaria.
Così prendo coraggio ed apro il portone, preparandomi ad una serata vuota, priva di interessi, da combattere a cavallo tra le mie abitudini e le pareti indifferenti del mio piccolo appartamento, e mentre sto per affrontare le scale in modo quasi svogliato, qualcuno all'improvviso mi chiama dalle spalle, quasi per tentare nei miei confronti un piccolo e prezioso salvataggio. Mi volto, ma davanti a me c'è soltanto una donna che conosco, una vicina sempre indaffarata che adesso sembra anche arrabbiata per qualche motivo che non mi è del tutto chiaro. “Non c’è più rispetto per nulla”, dice lei in fretta venendomi quasi incontro; “ho perduto il portamonete durante il pomeriggio, non più di una mezz’ora fa, e forse mi è caduto quando ho dato un soldo ad un ragazzo di colore che vendeva fazzoletti, e magari è soltanto colpa mia che l’ho mal riposto dentro la mia borsa, non saprei dire; oppure mi è stato sgraffignato con destrezza, magari mentre me ne stavo al mercato, a comperare la verdura. Se mi è caduto, qualcuno però poteva corrermi dietro e riconsegnarmelo magari, in fondo all’interno ci stavano soltanto pochi spiccioli”.
Non so che dire, non vorrei proprio che questa donna prendesse una delle solite sfuriate che fanno tutti contro gli stranieri che secondo loro vengono qua a rubare chissà cosa, così mi offro immediatamente di accompagnarla per andare insieme a lei a cercare traccia del suo borsello lungo il percorso che ha compiuto poco prima. “Si, va bene”, dice subito la donna; “la ringrazio tanto, perché per quanto mi riguarda ho già perso ormai tutte le speranze di rivederlo, nonostante fosse un oggetto a cui ero legata”. Così torniamo sulla strada, lei si affanna a spiegarmi cosa abbia fatto, chi abbia incontrato, che cosa sia successo mentre camminava da una parte all’altra del nostro quartiere.
Infine, mentre camminiamo, ritroviamo quel ragazzo di colore di cui la donna parlava poco prima, ancora con i fazzoletti, ed anche il suo borsello in mano, perché ci spiega subito con parole un po’ stentate di averlo trovato a terra già da un pezzo, ma di non sapere come rintracciarne la legittima proprietaria. "Grazie, grazie", dice la donna che adesso si sente quasi commossa per quel gesto, anche se controlla subito se per caso adesso mancasse del suo contenuto, ma regalando alla fine una moneta a quel ragazzo generoso. Torniamo in questo modo verso il nostro condominio: "lei porta fortuna", mi dice la donna. Mi sento strano in queste vesti insolite, però accetto volentieri il complimento, considerato che l'affermazione contraria cucita addosso ad uno come me, si dimostrerebbe un vero disastro. “Va bene, lo prendo come un complimento”, le rispondo; e forse è proprio così, in questo modo esatto come dice lei, ma probabilmente soltanto perché tutti quanti spesso sentiamo proprio la mancanza di un pizzico almeno di fortuna vera”.

Bruno Magnolfi