giovedì 29 luglio 2021

Occhi di pianto.


Ho raggiunto oramai quarantacinque anni d'età, e sono perciò una donna matura, come si dice in questi casi; eppure se guardo al mio presente mi pare di dover ancora arrancare molto per riuscire a comprendere parecchie cose su ciò che mi circonda, e se invece penso al futuro mi pare ci sia sempre qualcosa che ancora sfugga del tutto ai miei proponimenti. Negli anni passati, quando ero molto giovane, ho svolto il mestiere di segretaria, immediatamente dopo il raggiungimento del diploma, rispettando orari e mansioni molto precise all'interno di un noto studio commerciale cittadino in cui mi aveva introdotto mio padre tramite certe vecchie conoscenze, soltanto però fino al momento di conoscere casualmente l'uomo che nel giro di pochi mesi mi avrebbe chiesto di sposarlo, così in seguito, quando si è profilata la possibilità di aiutarlo e sostenerlo nelle molteplici occupazioni della carriera che aveva intrapreso, e di tenere in ordine per le società di affari da lui controllate almeno la parte più semplice dei registri contabili, ho smesso naturalmente di esercitare quel vecchio lavoro, ed ho abbracciato prima di tutto il ruolo per me estremamente congeniale di madre di famiglia, partorendo con gioia nel giro di poco tempo, a seguito della cerimonia nuziale, una bambina deliziosa e biondissima a cui dedicarmi quasi interamente, oltre a dirigere la casa elegante in cui sono subito andata ad abitare, naturalmente organizzando ogni aspetto assieme al personale di servizio, nella proprietà del mio signor marito, l’avvocato Carlo Neri. Alcune amiche in quella occasione mi hanno velatamente criticato, sostenendo che per una donna come me scegliere un ruolo lavorativo separato da quello del proprio uomo sarebbe stato auspicabile, ma io mi sono subito disinteressata di ciò che loro mi dicevano, e mi sono imposta di andare sempre avanti con queste mie scelte personali, preoccupandomi solamente della mia nuova vita.

Certe volte oggi ci ripenso a questi argomenti, soprattutto in quelle giornate in cui mi sembra quasi di interpretare un ruolo, di rivestire con la mia presenza semplicemente un personaggio che tutto quanto intorno a me prosegue a caldeggiare come necessario, e quella sensazione di avere perso durante questo tragitto almeno una parte della mia personalità a vantaggio di una buona vita agiata e senza affanni, resta un pensiero che sinceramente mi sfiora qualche volta, risultando comunque subito accantonato nella mia mente dai fatti consueti di ogni giorno. Mia figlia Franca è una ragazza intelligente e anche sensibile, non ho dovuto faticare troppo con la sua personalità cercando di trasmetterle qualche buon insegnamento, e quando lei affronta al pianoforte la Sonata n. 3 in fa minore di Schumann, per esempio, sento che sta affiorando in lei la vera erede delle mie speranze, forse anche di quelle che ho non ho mai rivelato a nessuno, neanche a me stessa. Mi piace sentire scorrere la sua passione su quelle dita apparentemente esili ma decise, ed anche se so quasi per certo che la musica per lei rimarrà in seguito soltanto una parentesi giovanile, pur certamente di grande intensità, lo stesso la incoraggio sempre nel perseguire le sue scelte.

Poi ieri torna a casa con un piccolo manuale di armonie jazz, un libro come un altro, niente di speciale, ma Franca inizia a ricercare sulla tastiera del nostro pianoforte degli accordi strani, inconsueti, e a seguire un ritmo più moderno, qualcosa che senz’altro sfugge a quanto le ho sempre sentito suonare fino a questo momento. Non c'è niente di male, penso mentre ascolto le sue note dietro la porta leggermente socchiusa. Si tratta di cercare dentro se stessi quello che maggiormente si avvicina ai propri gusti; così proseguo ad ascoltarla a lungo, anche per capire se in questo momento stia seguendo una partitura o se al contrario suoni semplicemente una struttura di propria inventiva. Poi sento scampanellare alla porta di ingresso, e i passi leggeri della nostra persona di servizio che va lungo il vasto ingresso per aprire. Riconosco subito la voce e i modi: è Carlo, mio marito, che rientra a casa come sempre, ed ecco che contemporaneamente termina qualsiasi vibrazione pianistica della musica di Franca. Allora chiudo la porta e vado svelta nel piccolo bagno della mia camera da letto: forse ho capito, rifletto mentre mi guardo dentro al grande specchio illuminato; però non so ancora comprendere il motivo per cui i miei occhi si riempiono di lacrime.

 

Bruno Magnolfi


martedì 27 luglio 2021

Quasi una noia borghese.

 

            <<Signor Neri>>, gracchia la voce di una persona di fiducia all’apparecchio telefonico che funziona evidentemente con una connessione di ultima specie, e quindi non controllabile in remoto da qualche curioso orecchio esterno, giusto un momento dopo che l’uomo si è tranquillamente seduto al tavolo della sala da pranzo per iniziare a consumare la cena appena servita, naturalmente insieme alle due altre componenti della propria famiglia. <<Si tratta di dare conferma a chi sa lei>>, prosegue d’un fiato chi parla all’altro cellulare, <<ma al più tardi domani mattina, per avviare tutte le procedure per la concessione di quella fornitura di matite copiative e materiale di cancelleria da distribuire ai seggi comunali delle città sotto ai ventimila abitanti di tutta la nostra regione durante le prossime elezioni amministrative>>. Il Neri si prende una pausa per mostrare piena sicurezza di sé, poi dice soltanto: <<finalmente>>, ma con voce bassa, senza neanche dare troppa inflessione al proprio tono, mentre si è fermato in piedi, quasi appoggiato ad un mobile antico della vasta stanza, come per non disturbare troppo i propri commensali con delle semplici e ordinarie faccende di lavoro, mantenendo perciò la faccia rivolta verso una porta spalancata da cui esce nello stesso attimo la persona di servizio con un bicchiere tenuto elegantemente per il gambo, da sistemare proprio all’ultimo momento sulla tovaglia bianca ricamata, probabilmente a causa di una precedente sciocca dimenticanza, mentre la moglie e la figlia di lui, già sedute e sistemate quasi immobili una di fronte all’altra, com’è sempre loro solito, si scambiano delle occhiate colme d’intesa, forse per sopportare meglio quel dialogo telefonico dal quale è stata interrotta la loro cena sobria, interruzione, comunque sia, di tipo piuttosto frequente dentro quella casa, nell’immediata attesa adesso del momento quando sarà quindi possibile riprendere ad essere di nuovo “una famiglia normale”, come spesso ama dire alle sue amiche, usando un modo ironico e speciale, la signora Rosa Giulietti nei Neri, sposata con l’uomo al telefono ormai da quasi vent'anni.

Poi il signor Neri torna a sedersi, chiede scusa bofonchiando qualcosa nella ricerca di riuscire a mostrare un contegno che appare comunque artificioso, e tentando di riprendere quei frammenti di dialogo poco significativi che stava tenendo lui con la sua consorte appena pochi minuti prima, qualcosa che verteva sulla eventuale destinazione da decidere per una piccola prossima vacanza familiare, ovviamente senza fare adesso il minimo accenno agli argomenti che ha appena terminato di scambiare con il suo aggancio tecnico per quegli affari di cui a volte si occupa in un ambito puramente amministrativo. Franca, al contrario di sua madre che in genere lo studia con una certa acuta attenzione, normalmente non guarda suo papà, in fondo lei ha soltanto sedici anni, e molto spesso si costringe a restare piuttosto in silenzio e con gli occhi bassi davanti ai propri genitori, almeno quando stanno tutti insieme. Con sua madre invece, nel momento in cui rimangono da sole, spesso tende ad intrattenere qualche conversazione anche di ordine confidenziale, considerato che è stata proprio la sua signora madre per esempio a farla appassionare e a spingerla allo studio della tecnica pianistica sullo strumento della loro casa, posizionato da sempre in un angolo del salone, ed anche a sostenerla in seguito per farle prendere delle lezioni individuali con dei maestri di musica suggeriti in ambito scolastico, fino al tentativo, purtroppo senza successo, del difficile esame di ingresso al prestigioso Conservatorio Musicale della loro città.

Il signor Neri, uomo di affari normalmente incline invece alla praticità delle cose, non vede affatto di buon occhio tutta quella passione per la musica, ma in ogni caso non gli è mai passato per la mente di opporsi con sua figlia, e soprattutto prendendo posizione con la propria moglie, allo sviluppo naturale di quello studio, magari più per un sincero disinteresse della cosa, che per altri motivi più fondati. Così per Franca mettere le mani sulla tastiera del loro pianoforte verticale di gran marca e costantemente ben accordato, si è spesso mostrata, in modo speciale negli ultimi mesi, praticamente la maniera giusta per evadere sulle note musicali da quella casa grande ed elegante, forse un po' troppo oppressiva, considerato l'andamento ordinario di ogni giornata, quasi con un vago sentore nell’aria delle stanze di una evidente noia borghese, probabilmente per la facile abitudine, visto l’uso quasi eccessivo, come un imperativo assoluto, di ogni ricercata assenza da qualsiasi affanno e dalle vere preoccupazioni di ordine specificamente materiale, spesso realistiche e concrete in tutt’altri ambiti, nell’andamento pressoché normale della vita quotidiana.

 

Bruno Magnolfi

domenica 25 luglio 2021

Qualcosa di importante.

 

            La signora Clara entra nel negozio dei generi alimentari in un momento in cui stranamente non ci sono altri clienti, e con la sua solita cortesia saluta l'esercente che conosce praticamente da una vita recandosi da lui quasi ogni giorno per fare gli acquisti che le servono allo scopo di preparare un buon pranzetto, generalmente semplice e senza grosse pretese, così come da sempre è preciso desiderio del suo maestro Bottai. <<Nonostante tutti gli anni che ha>>, fa subito il negoziante tanto per dire qualcosa mentre serve la signora Clara, <<ancora prosegue imperterrito a dare lezioni di pianoforte ai ragazzi del rione. Sicuramente il suo è un comportamento encomiabile>>. La signora Clara annuisce, per lei è diventato tutto così normale da non pensarci quasi più a cose di quel genere, e comunque considerato che il palazzo dove abita il maestro rimane esattamente di fronte a quella bottega, proprio dall'altro lato della strada, è normale che tutti i clienti sappiano chi sia e quale possa essere la sua giornata. <<Comunque è una presenza importante in questo quartiere>>, risponde la signora Clara alla fine, forse anche per mostrare una piccola punta di orgoglio per il suo occuparsi di un uomo in fondo notevole, e anche meritorio. <<Ormai esce di casa soltanto una volta o due la settimana>>, prosegue il negoziante con espressione saccente, <<o almeno questi sono i casi in cui lo vedo camminare lentamente qui davanti, lungo il marciapiede, all’ora in cui chiudo la bottega>>. Clara non dà peso a queste considerazioni, prosegue con i suoi acquisti di cose varie ed infine paga quanto dovuto, senza perdere altro tempo.  

            Quando esce però le viene a mente che a lei non sembra di avere mai incontrato il maestro Bottai per strada o comunque al di fuori del proprio appartamento, neanche una volta per sbaglio, come se lui fosse quasi incapace di allontanarsi troppo dal suo amato strumento a mezza coda che sembra lo faccia preoccupare persino quando viene soltanto spolverato; probabilmente il motivo di tutto questo è che lui si limita a fare due passi ogni tanto solo in certi orari scelti, durante i quali la signora Clara ha ormai concluso il suo lavoro e compiuto tutti i suoi giri nel quartiere, ed a quel punto non le resta altro da fare che occuparsi semplicemente della propria casa, a metà di una stradina poco lontano da lì, e riposarsi giustamente davanti alla sua televisione. O forse anche perché, quando il maestro Bottai sente la voglia di uscire dal proprio appartamento, una volta adempiuti gli impegni musicali con i suoi allievi, e terminata ormai ogni lezione al pianoforte, è esattamente il momento del giorno in cui sa bene di non incontrare per strada più nessuno tra coloro che lo conoscono e che forse lo potrebbero magari salutare, o peggio ancora fermare con un sorriso, per porgli addirittura qualche domanda di tipo diretto, proprio una di quelle che lui odia più di ogni altra cosa. La sua personalità poco socievole peraltro è nota a molti, e la sua propensione verso gli altri sembra svilupparsi solamente negli orari in cui resta seduto davanti al suo strumento, e non certo nel caso sciagurato in cui dovesse ritrovarsi in mezzo a tutti quanti con le proprie mani inerti e abbandonate dentro le tasche della giacca. Così riflette la signora Clara, e intanto affronta come al solito le vecchie scale del palazzo d’altra epoca dove abita il Bottai.  

Non ama certo stare assieme alle persone il suo maestro, questo è il punto, e probabilmente riesce a malapena a sopportare, pur ormai abituato com’è dopo tanti anni, una presenza come quella della signora Clara che le gira per casa quasi ogni mattina spadroneggiando sul mobilio, tra le stoviglie di cucina e in ogni altro angolo di qualsiasi stanza. Naturalmente per i  ragazzi che invece  si recano da lui a lezione è tutta un'altra cosa: loro sono la parte viva del suo mestiere e della sua giornata, la materia soffice entro cui cercare di inserire qualcosa della sua conoscenza, e a cui in parte affidare le proprie aspettative. Certo, non sembra avere mai nei loro confronti un gesto di inutile carineria: ogni sua parola, ogni sua occhiata, ed ogni azione che compie, sono sempre finalizzate allo scopo per cui i ragazzi si recano da lui. Ma in ogni caso si vede che ci tiene a loro, che ne studia sommessamente ogni gesto, ogni comportamento, forse anche qualsiasi inflessione della voce quando lo salutano arrivando o andando via dal suo spoglio appartamento. E qualcuno di loro magari non riesce neppure a digerirlo troppo per quelle sue maniere un po’ scostanti, sempre prive persino di un piccolo gesto di incoraggiamento, anche se tutti sanno che resta uno dei migliori a cui rivolgersi, se si vuole imparare almeno qualcosa di importante sulla musica.

 

Bruno Magnolfi 

venerdì 23 luglio 2021

Tutto questo tempo.

 

            Sono uno sciocco se credo ancora alla possibilità per un vecchio strimpellatore di pianoforte come me di tirar su un giovane allievo, oppure anche un’allieva, che nel prosieguo della propria attività riesca davvero a fare strada come concertista. I ragazzi oggi non amano sacrificarsi, e l’interpretazione delle partiture praticamente non richiede altro, se non la propria completa immedesimazione nel puro sfoggio della tecnica capace di rendere esattamente le note come sono intese dal compositore, lasciando a sé soltanto una piccola sfumatura di personalità creativa, che spesso è troppo poco per chi vive la logica frettolosa e poco sensibile della realtà contemporanea. Certo, capisco bene come la musica attuale si sia allontanata sempre di più dai propri principi fondativi cari ai classici, ma la comunicazione attraverso i segni di un qualsiasi documento storico musicale passa ancora da lì, non c’è alcun dubbio. <<Maestro Bottai>>, mi dice la cara governante quando trascorre una delle tre mattinate settimanali a casa mia per svolgere sostanzialmente alcune faccende domestiche ed occuparsi della mia persona; <<non so proprio come riesca ad avere ancora voglia dopo tanti anni di correggere e indirizzare le mani e la testa di questi ragazzi strafottenti che vengono da lei per suonare qualche brano>>. Non rispondo niente, è vero che sono un vecchio e che dovrei occuparmi soltanto dei miei acciacchi, però sorrido, è la mia vita, penso, semplicemente ciò che ho scelto una volta per tutte tanto tempo addietro.

                Comunque in questa ragazza, questa Franca Neri colma di buona volontà e dallo sguardo sempre attento e spesso pungente, oltre naturalmente ad un buon orecchio, fino ad appoggiare sulla tastiera, qualche volta, proprio mentre scalda le mani prima della lezione vera e propria, certi accordi di tredicesima che certamente non le ho insegnato io, e che dentro al proprio incedere si sentono capaci di cercare una soluzione sospesa anche se non del tutto inconcludente, ecco, in lei vedo qualcosa ogni volta, che anche non riuscendo a stabilire cosa sia, sento comunque che pur non facendone assolutamente una interprete in senso stretto, può portarla però verso un altrove che in questo momento a me sembra sfuggire, e che sicuramente sfugge anche a lei stessa. Non dico niente, non so dove abbia trovato quelle note di cui adesso quasi fa sfoggio, però c’è una ricerca dentro di lei che resta difficile avvertire con indifferenza. Sicuramente è riuscita a mettere gli occhi dentro qualche manuale di armonia dove si analizza la rottura tonale avvenuta a seguito del Tristano e Isotta, penso; però probabilmente c’è anche di più nel suo desiderio inequivocabile di spingersi in avanti. Forse c’è della musica di ricerca tra i suoi desideri, magari alcune strutture armoniche tipiche dei pianisti jazz più colti e arditi, in ogni caso Franca ha compreso bene che niente di ciò che desidera suonare può reggersi in piedi se non poggia su delle solide basi di tecnica tradizionale.

Lei viene da me soltanto per due pomeriggi a settimana, ed il nostro tempo lo spendiamo tutto nella ricerca della giusta esecuzione di brani che diventano naturalmente ogni volta più complessi da suonare. Franca si impegna, mi accorgo che i passaggi più difficili li studia a fondo quando si trova a casa propria, e che non si dà mai per vinta quando cerca dentro le sue mani quel senso che ogni volta mi perdo ad indicarle. Non abbiamo mai parlato d’altro, forse anche perché io sono un vecchio arnese che non può minimamente comprendere cosa passi nella mente di una ragazzina come lei; ma forse anche perché mentre scorro gli spartiti che oramai conosco a menadito, provo il fondato timore che nei suoi pensieri ci siano dei concetti sulla musica che in tutta la mia vita non mi sono mai trovato a dover analizzare. C’è del buio che mi terrorizza dietro al suo sguardo, qualcosa che nasconde la possibile improvvisa certezza che le cose adesso stiano cambiando più di quello che ho creduto mai di immaginare, e così quello che sono stato e che con grande impegno ho portato a compimento per molti di questi decenni, si evidenzi improvvisamente come qualcosa di assolutamente poco importante, magari una sciocchezza, forse un trastullo, una maniera come un’altra per trascorrere in qualche modo tutto questo tempo.      

 

Bruno Magnolfi

mercoledì 21 luglio 2021

Bianchi e neri.

 

            <<Spesso ci sono più relazioni sbalorditive in due accordi dissonanti tra di loro, che in una intera progressione armonica corretta>>, le dice a volte il suo attuale maestro di musica, un anziano signore solitario che sembra abbia trascorso interi decenni nell’indagine minuziosa delle note sopra la tastiera del suo pianoforte, dopo che Franca Neri, sedicenne, nonostante tutta la passione che ha sempre avuto per il mondo sonoro ascoltato fin da piccola nella casa dei suoi genitori, e quindi con un enorme conseguente dispiacere, non sia riuscita a superare l’esame di sbarramento per l’ammissione al Conservatorio cittadino, ripiegando su di lui per cercare di approfondire e dare seguito alla propria sensibilità musicale sviluppata negli ultimi tempi in una semplice scuola del suo quartiere. Lei non gli risponde mai niente, lascia che quelle teorie spiegate con delle sottili dita ossute ed uno sguardo perso sopra gli spartiti da questo datato concertista, inseguano quei sottili cavilli che sembrano aprire volta per volta dei mondi stupefacenti e sconosciuti.

            Tra gli amici ed i compagni del liceo che frequenta, nessuno è a conoscenza del suo rammarico per aver perduto un’occasione come la propria, anche se Franca prosegue a studiare armonia e ad esercitarsi sul pianoforte, quasi sicuramente con l’intenzione di proporre la propria candidatura nuovamente il prossimo anno. Certe volte però si sente colta da vera e propria angoscia. Il maestro Bottai la incoraggia, pur con dei modi scorbutici, e le dice che lei comunque è molto portata per il pianoforte, ed aver iniziato a suonarlo già in tenera età, indirizzata e incoraggiata dalla sua mamma, le ha sicuramente fornito un'impostazione delle mani ed anche un approccio mentale che si mostrano sicuramente un’ottima risorsa, anche se adesso c'è tanto bisogno di impegnarsi sul serio se si vogliono ottenere dei veri risultati. Franca lo ascolta, e forse quando è lì insieme al maestro ad estrapolare la giusta interpretazione di uno spartito, si dimentica rapidamente dei suoi affanni. Anche quando sta nella sua stanza da sola a scaldare le dita scorrendo rapidamente tutta la tastiera da destra a sinistra e viceversa, certe volte perde la cognizione persino del luogo dove si trova, impegnandosi al massimo anche in quei semplici esercizi. Ma quando in altri momenti si trova a riflettere sulle sue cose di ragazzina, qualcosa la spinge rapidamente verso la disperazione.

Non si tratta di essere incapace o impossibilitata a raggiungere la meta che si è posta: è la paura di perdere da un giorno all'altro la spinta propulsiva per andare in avanti che la fa facilmente tremare, come se tutta questa volontà di studio musicale che mostra, si reggesse di fatto sul niente, su un semplice castello di carta. <<Si può perdere persino la volontà di acquisire le doti necessarie>>, pensa certe volte quando sta sola nella sua stanza. <<Sono preda di un mostro che ha iniziato a divorare le mie intenzioni, non so proprio cosa pensare di diverso>>. Le distrazioni intorno a lei naturalmente sono infinite, come per tutti i ragazzi della sua stessa età, ma qui non si tratta di sostituire un’attività con un’altra, qualcosa che magari si presenti nell’immediato persino più appagante. Sta nella musica stessa tutto il problema che vede di fronte, in quel risaputo scorrere e studiare al massimo quei vecchi spartiti ormai suonati e risuonati da migliaia di altre persone, da altri strumentisti spesso anche colmi di grande talento, musicisti piegati su loro stessi nell’ottenere il massimo da quelle pagine complesse e da quelle strutture a loro apparenza sempre nuove e anche fresche, suonatori però forse incapaci di affrontare un’analisi anche di poco leggermente diversa dal mondo sonoro a cui normalmente si riferiscono.

Ecco, è questo il punto su cui si perdono le riflessioni di Franca Neri. Lei vorrebbe trovare del nuovo tra le pieghe della sua costante applicazione, qualcosa che magari evidenzi un possibile punto di arrivo per la sua difficile ricerca intrapresa, o che almeno indichi con precisione un percorso, una direzione verso cui incamminarsi, che non sia la strada battuta da tutti. Così le tornano a mente sempre più spesso le parole del maestro Bottai sulle dissonanze, e poco per volta, quasi sospendendo i propri pensieri e senza rifarsi a nessun manuale già pubblicato, inizia a studiarne le potenzialità, quasi ci fosse in natura della musica ancora da scrivere, delle diverse sonorità da cercare sulla tastiera del suo pianoforte, in un piccolo mondo segreto ancora tutto da approfondire, forse più dentro se stessa magari, che sopra quei tasti sia bianchi che neri.

 

Bruno Magnolfi  

domenica 18 luglio 2021

Separatamente.

 

Carlo è un ragazzo scostante. Non gli piace parlare, ma neppure ascoltare quello che gli altri hanno da dirgli. È bravissimo quando si tratta di fare qualcosa da solo, direttamente con le proprie mani, perciò si perde spesso nello scalfire e nel levigare con un piccolo temperino qualche rametto di legno ad esempio, fino a quando quello non assume una forma, un profilo, una sembianza, esattamente quelle fattezze che ha in mente lui. La psicologa della scuola dice che Carlo tende a costringere se stesso nel proprio rimanere lontano da tutti, indubbiamente legando i propri comportamenti ad un disagio nascosto che forse non confesserà mai a nessuno. <<In ogni caso>>, prosegue, <<ha delle capacità insospettate, come quella ogni tanto di inseguire con una notevole perseveranza, magari in un oggetto qualsiasi, un’idea che sembra coltivare a lungo dentro di sé, e che gli si imprime volta per volta dentro la mente, tanto da spingerlo a proiettare in seguito quel proprio pensiero dentro una forma>>. Difficile aiutarlo; cercare di comunicare con Carlo qualche volta sembra quasi impossibile, però lui non è del tutto asociale, e spesso si dimostra capace anche di stare con gli altri, persino di leggere un libro se ne ha voglia, e di riuscire a comprendere appieno praticamente qualsiasi scrittura che si ritrova sotto gli occhi.

A metà mattinata, se il tempo è bello come si mostra stamani, i ragazzi escono nel giardino della loro scuola per correre attorno a quella decina di alberi cresciuti a stento sullo spiazzo quasi tutto a ghiaia, e lui senza fare alcuna difficoltà va sempre insieme con gli altri, anche se ovviamente non lega mai con nessuno dei suoi compagni, rimanendo quasi sempre da una parte per conto proprio, e in genere con lo sguardo svagato. Poi l’insegnante di sostegno si distrae per qualche momento, in fondo il ragazzo che segue da tempo non ha necessità di uno stretto controllo, ma in un attimo Carlo non è più insieme agli altri sopra lo spiazzo. Lei lo cerca, gira in fretta da ogni parte lungo la recinzione, poi torna in classe e perlustra tra i banchi e lungo i corridoi dell’edificio, ma di lui non c’è più alcuna traccia. Gli altri insegnanti allora fanno rientrare tutti quanti, si controlla subito ogni angolo dove può essersi andato ad infilare, ma Carlo sembra sia praticamente evaporato, come se oggi non fosse neppure arrivato fino a scuola. Si chiama il dirigente, tutti ovviamente si danno da fare, anche i ragazzi della sua classe, e ognuno nella confusione generale cerca di dare una propria opinione, mentre l’insegnante di sostegno ha già le lacrime agli occhi e appare disperata.

Alla fine, per indubbio dovere, si avvertono anche i genitori, e vengono allertate persino le forze dell’ordine, immaginando che Carlo possa essere uscito dal perimetro scolastico, e tutti trattengono il respiro per la paura che possa accadergli qualcosa di grave. Non passa molto, poi giungono due carabinieri, e poco dopo anche il padre di Carlo, trafelato, incredulo, preoccupatissimo, ma nessuno sa spiegargli come sia possibile che il ragazzo possa essere uscito dalla recinzione della scuola, considerato che il cancello davanti all’ingresso è sempre rigidamente controllato da tutti gli insegnanti e dai custodi. Passa così un sacco di tempo, considerata la situazione, ed alla fine viene suonata la campanella per la fine delle lezioni. Ed allora ecco che Carlo, come giungesse da un altro pianeta, scende da un albero frondoso dov'era andato a rannicchiarsi, sistemandosi probabilmente su un ramo nascosto agli sguardi di tutti. Forse non gli andava neppure di essere disturbato, magari ora si sente persino meravigliato di quello scalpore attorno alla sua ricomparsa; però adesso tiene un bastoncino tra le sue mani, un legnetto scorticato e modellato con il suo temperino, un oggetto finito difficile da interpretare, però qualcosa che probabilmente meritava tutto il suo impegno per riuscire a mostrare esattamente a tutti quell’idea che lui fin dall’inizio aveva dentro la testa.

 

Bruno Magnolfi

 

venerdì 16 luglio 2021

Prima del tempo.

 

            Il mio lavoro è monotono. Si tratta di assistere per otto ore una macchina che attorciglia continuamente dei filamenti per farne delle bobine. Sempre uguale. Così qualche settimana fa mi sono messa a fare la stupida con il capoturno. Lui ha abboccato immediatamente, perciò siamo rimasti nel capannone per degli straordinari, ed alla fine ci siamo dati da fare nello spogliatoio. Le altre donne della fabbrica adesso mi guardano male. Così ho deciso di smettere, anche perché lui naturalmente è sposato, ed io non voglio cercarmi dei guai. Però non mi molla. Ogni poco viene a girare intorno alla mia postazione di lavoro, e mi dice qualcosa. Sorride, pensa di tenermi nel pugno, così attende che una di queste sere ci ricaschi. In fabbrica non siamo tantissimi, e comunque ci sono più donne che uomini. E i discorsi, anche durante le pause, oppure all’ora del pranzo, sono sempre gli stessi. Forse non abbiamo veramente niente da dirci, oltre a lamentarci di questo e di quello; riusciamo soltanto a formulare le solite frasi per fingere di scambiarci qualche pensiero.

            La mia macchina fedele comunque prosegue a sfornare bobine, ed io a guardarla senza nessun interesse. Quando vado a casa continuo quasi a vederla mentre attorciglia i filamenti con i suoi movimenti meccanici stabiliti da qualche ingegnere che non potrò mai conoscere. Tengo spesso lo sguardo a terra, forse per abitudine, e quando sono con mio padre e mia madre, anche a tavola durante la cena, non ho mai voglia di parlare di qualcosa, nemmeno di quello che potrei fare nei prossimi anni. Il fatto è che me la prendo con tutti per avermi incastrato a svolgere nella vita un ruolo da idiota. Non è tanto il lavoro che mi deprime, quanto la consapevolezza che niente potrà mai cambiare. Se penso al futuro non vedo niente.

Poi il capoturno viene da me e dice che dobbiamo vederci dopo il lavoro. Gli dico di no, che tra noi è una storia finita, ma lui insiste. Capisco che mi sono messa dentro un pasticcio, e che lui non smetterà facilmente di ronzarmi dintorno. Cerco di non farmi sorprendere mai mentre sono da sola, ma è complicato. Non posso neppure chiedere aiuto a qualcuno, le altre donne hanno un’opinione precisa, ed anche a parlarne non saprei proprio con chi. Negli ultimi giorni mi viene quasi da piangere per la rabbia che provo. Non ce l'ho con nessuno alla fine, se non con me stessa. Le altre ragazze del lavoro sono quasi tutte sposate e almeno hanno qualcosa da tirar su. Io non ho niente, se non tante giornate pressoché identiche. Un tempo avevo pensato di farmi mettere incinta per avere un bambino da crescere, ma poi mi è parsa un'idea stupida.

Le bobine di filo invece proseguono ad arrotolarsi davanti ai miei occhi. Stacco la macchina, tolgo la puleggia, inserisco i nuovi capi e poi via, un altro bel giro di giostra. Mentre sono lì arriva lui. Mi dice le solite cose, ma adesso ha lo sguardo cattivo, come di chi pretende le cose per forza. Mi fa capire che se continuo in questo modo mi farà sicuramente passare qualche guaio con il superiore. A lui ci vuol niente, basta dire che non sono attenta, che tralascio qualcosa, lavoro male, ed io non posso difendermi. Non gli rispondo neppure, proseguo con le mie cose e poi basta.

Ogni tanto da noi si fa vedere il proprietario di tutta la baracca, getta un'occhiata dappertutto, saluta gli operai e poi si ferma a parlare con i capiturno. Possiede un'altra lavorazione un po' fuori mano, dove sono occupati altrettanti dipendenti come da noi. Mi passa davanti con la sua camicia bianca mentre sto in pausa. <<Scusi>>, gli faccio, <<avrei da farle una domanda>>. Lui si mostra cortese, così mi fa entrare in ufficio, e quando siamo da soli gli dico di colpo che vorrei cambiare la mia attività. Lui prende gli incartamenti che mi riguardano, dice che sono già quattro anni che lavoro con quella mansione, e io gli dico che mi piacerebbe provare qualcos'altro, magari nel secondo capannone di sua proprietà. Naturalmente lui prende tempo, dice che ci deve pensare, però mi fa capire che generalmente, potendo scegliere, sarebbe meglio per me stare dove mi trovo. <<Vorrei cambiare>>, gli ribadisco, e con ciò esco da lì e torno alla macchina per le bobine. Dopo un’ora però lui si avvicina, da solo: forse ha capito quale sia il mio problema, penso mentre lo guardo; difatti dice soltanto: <<va bene>, con voce bassa, come se non si dovesse diffondere la notizia, almeno prima del tempo.

 

Bruno Magnolfi

mercoledì 14 luglio 2021

Schivo per scelta.

 

            Generalmente a lui non interessa affatto essere riconosciuto come uno tra tutti coloro che frequentano i salotti televisivi. Qualcuno poi, tra tutta la gente che incontra quando cammina per strada, magari lo saluta o gli fa un cenno certe volte, ma i suoi modi di fare normalmente dimessi e riservati non incoraggiano mai nessuno a fermarlo, a stringergli la mano, oppure a chiedergli qualcosa sugli argomenti che tratta quando sta negli studi. In certi casi qualche giornalista in passato gli ha fatto una piccola intervista magari, chiedendogli un’opinione personale su qualche vicenda di attualità o di costume, ma soltanto su appuntamento, e lui in quelle occasioni ha risposto lentamente, con parole semplici, in maniera misurata. Forse per questo sembra essere gradito a parecchi, nonostante spesso i più non ricordano neppure il suo nome, anche perché lui non fa mai quasi niente per rendersi accattivante e popolare. In fondo forse non gli interessa neppure svolgere un vero ruolo di opinionista, o almeno non quanto gli piaccia tenersi fedele a ciò che soprattutto desidera esprimere, mostrandosi sempre coerente. E’ il suo viso probabilmente che piace, la sua faccia seria, compassata, quasi da perfetto uomo della migliore realtà contemporanea.

            Lavora da anni in una piccola rivista di moda, ma non scrive quasi mai degli articoli veri e propri, perché semplicemente si limita ad aiutare gli altri nel redigere quanto viene poi pubblicato su quel giornale, limitandosi a correggere, a suscitare idee, a impreziosire le bozze, anche se dopo quel primo passaggio praticamente casuale sopra gli schermi, avvenuto quasi un paio di anni prima, il suo sguardo così penetrante si è subito mostrato praticamente all’altezza di tanti altri attori televisivi che presenziano normalmente certi programmi di discussione e di approfondimento sui vari argomenti del giorno. Si sente lo stesso di prima, insomma, ed anche se si è ricavato una piccola notorietà, a lui sembra in sostanza qualcosa che neppure lo riguarda. Perciò quando proprio oggi viene a trovarsi per la prima volta di fronte ad una famosa conduttrice di un altrettanto importante programma di fascia alta, sembra quasi schernirsi, facendosi piccolo in mezzo a tanti altri personaggi che appaiono al contrario estremamente decisi e desiderosi di intervenire.

            <<Non so>>, dice ad un tratto rispondendo ad una domanda diretta; <<ma a me pare che la necessità di mettersi in mostra, tipica di tanti tra i nostri dirigenti, sia un atteggiamento al momento del tutto negativo per lo stesso andamento delle cose nazionali>>. Nella sala dove si registra il programma si fa improvvisamente un cupo silenzio. Sembra quasi, d’improvviso, che si sia andato a toccare, con queste semplici parole, un elemento che a chiunque appare del tutto evidente, ma del quale, non potendone fare a meno per la maggioranza di loro, pena l’esclusione definitiva dai palinsesti, si deve perciò approfittare fino alla nausea, evidenziando sempre e comunque ogni proprio parere, su qualsiasi argomento a vario titolo ci si trovi  ad essere interpellati, in qualsiasi occasione. Una verità del genere crea imbarazzo, anche inutile dirlo, e tutti si sentono nella condizione di avere come minimo esagerato, almeno in qualche caso.    

La conduttrice sorride, la sua figura televisiva sembra fatta apposta per interrompere ogni ospite al fine di alimentare una discussione ed un battibecco quasi infinito, ed anche se questo comportamento non porta certo niente di buono, ugualmente forza ogni interlocutore a sgomitare  in continuazione per ottenere un proprio spazio e fornire la propria opinione. Lui al contrario resta in silenzio, seduto comodamente sulla propria seggiolina, e quando ad un certo punto viene interrotto durante il proprio intervento in risposta ad una nuova domanda, non si preoccupa neppure di concludere ciò che stava dicendo un attimo prima, lasciando agli altri il compito di portare avanti il solito alterco. Il direttore di rete in seguito vorrebbe addirittura tagliare ogni suo intervento dalla registrazione, ma per ragioni puramente tecniche questo appare impossibile, e poi la sua fama oramai è tale da far affluire potenzialmente nuovi spettatori verso quel programma. Quando infine se ne va, qualcuno tra gli ospiti naturalmente lo saluta con enfasi, ma lui si limita ad alzare leggermente una mano, lasciando a coloro che si attardano nello studio per prendere accordi, il compito di mostrarsi improvvisamente sorridenti e gioviali con gli altri e con la direzione di rete, disinteressandosi di qualsiasi altro aspetto che non sia puramente quello di uscire da lì.

 

Bruno Magnolfi

lunedì 12 luglio 2021

Cara Luisa.

 

Sono rare le volte in cui infine si decide ad entrare nell'ascensore un po' angusto e maleodorante, ed arrivare così, accompagnata dal sibilo del motore elettrico e dagli ingranaggi che si immagina scuri e sporchi di grasso, fino a quell'ultimo piano del palazzone enorme ma senza alcuna particolare caratteristica, lasciandosi poi tenere cortesemente aperta la porta da lui, dopo aver sostato appena un momento sul pianerottolo, e mettendo quindi piede in quell'appartamento sempre piuttosto disordinato e confuso, però meravigliosamente pieno di luce e di aria, mostrando ogni volta la sua tipica leggera timidezza, quasi il timore manifesto della propria capacità di rompere un evidente ma incomprensibile equilibrio instaurato là dentro da chissà quanto tempo, giunto esattamente in quell'attimo al colmo della propria fragilità, così retto su dei perni misteriosi che forse paiono spesso sfuggire al pensiero comune, ma che riescono comunque a trasparire come indizi precisi di sobria pacatezza. Luisa immediatamente, come provata da uno sforzo estremamente affaticante, generalmente va a sedersi di colpo sul divano di stoffa, e quasi senza preoccuparsi di altro, snocciola con voce modulata ed allegra tutto quello che al momento le viene da dire, lasciando a lui il semplice compito ogni tanto di farsi interrompere, sempre che manifesti la voglia di dare la propria opinione in un semplice intercalare di due o tre parole, e proseguendo ad investire la stanza e gli oggetti presenti con la propria oratoria farcita di aneddoti e frasi subalterne, beandosi del sorriso di lui che prosegue a guardarla e ad ascoltare ogni cosa lei abbia da dire.

In quei casi si sa come sia ancora lui che riesce ad attenderla con forte impazienza, anche soffermandosi a volte nel piccolo corridoio del suo appartamento, dietro al portoncino ancora ben chiuso, inorecchito al rumore monotono dell'ascensore che da un attimo all'altro si avverte innalzarsi nel suo scorrere meccanico fatto di cavi d'acciaio dentro al vano buio ed angusto, fino a fermare la cabina esattamente all’ultimo pianerottolo, nell'aprire automatico e immediato delle porte metalliche, segno evidente della variazione impellente per lui della propria giornata monotona, spesso annunciata quasi di fretta soltanto da un semplice messaggio telefonico. Non ci sono dei motivi preponderanti a provocare tutto questo, se non un ritrovarsi ogni tanto per loro due ad aggiornare gli atteggiamenti e i pensieri, anche se lui conserva nascosto da qualche parte il desiderio frenatissimo di ottenere qualcosa di più, nei confronti di Luisa, oltre a mostrarsi il buon amico e confidente di cui in ogni caso si accontenta di essere.

<<Ho letto un bel libro>>, gli dice certe volte Luisa; <<anche se adesso non ne ricordo esattamente la trama; in tutti i casi qualcosa di un personaggio tra gli altri mi ha ricordato di te>>. A lui sembra già molto riuscire ad entrare tra le pagine di qualcosa sfogliato proprio dalle mani minute e agitate della sua cara Luisa, perciò sorride, annuisce, si fa piccolo, sottile, fino quasi ad entrare proprio tra le pieghe della carta stampata scorsa dagli occhi di lei, esattamente dove lo ha inserito Luisa, e sentirsi lusingato di avere caratteristiche paragonabili ad un attore della letteratura, anche se la sua timidezza lo riporta in un attimo davanti al suo sguardo, nel desiderio di allontanare il più possibile nel tempo, quel momento nel quale inevitabilmente lei si alzerà dal divano, e con gli ultimi discorsi pronti ad essere quasi conclusi, si avvicinerà alla porta d'ingresso, si farà chiamare l'odioso ascensore, per poi infine andarsene, dopo un saluto che non ammette verbi né azioni definitive, ma è quasi una sospensione: fino a più tardi, a domani, o fra un mese, chissà.

Lui osserva andar via scendendo quell’ascensore con lei sempre identico, fino a fermarsi per osservare la spia accanto al pulsante sul muro, nel desiderio profondo di un qualche ripensamento da parte di Luisa, magari per un suo improvviso ritorno all’indietro, per una dimenticanza, o soltanto per dirgli qualcosa di semplice però estremamente importante, forse per una distrazione verificatasi appena un attimo fa, ma in questo momento tornata presente tra tutti i pensieri, per poi osservare purtroppo lo spegnersi anche di quella debole luce, mentre dabbasso persino il silenzio, dopo la chiusura di botto del pesante portone, torna ad essere padrone di tutto il palazzo.

 

Bruno Magnolfi

           

sabato 10 luglio 2021

Programmi diversi.

 

            Stanno tutti là fuori, fermi, con lo sguardo per terra mentre alla luce dei fari parlottano cercando indifferenza in sella ai loro motorini, nell’attesa che finalmente lui si decida ad uscire da casa, e senza più indugi li raggiunga per andare con loro. Non c’è niente di particolare da fare anche stasera: i soliti giri, il solito chiosco ai giardinetti, gli stessi discorsi di sempre, le solite battute spiritose per cui cercare almeno di ridere. Però, anche se nessuno tra tutti i ragazzi prova davvero questa voglia di stare assieme con gli altri, ci sono comunque delle cose che in un modo o nell’altro devono essere fatte, anche secondo l'opinione corrente in paese, ed ovviamente la sua, forse persino anche quella dei suoi genitori, che stanno seguendo chissà quale programma alla televisione, e quindi non ha proprio alcun senso tirarsi indietro proprio in questo momento. In certe occasioni come questa, gli pare quasi di dover continuare forzatamente a guardarsi attorno restando chiuso dentro la sua solita stanza, come immaginando di dimenticarsi qualcosa, anche se lo fa coscientemente soltanto per ritardare il momento in cui chiuderà quella porta dietro alle spalle, dando così inizio ad un’altra serata come tante, purtroppo quasi tutte più o meno simili tra loro. Perché lui sa che resta sempre nell’aria, tra le cose non dette, quella sensazione fallace che qualcosa di diverso casomai possa sempre addirittura accadere, ed è forse questa la molla più importante di tutte per smuovere davvero i suoi desideri, come probabilmente pure quelli degli altri, anche se in fondo nessuno davvero ci crede. Magari, in mezzo ai suoi desideri, lui vorrebbe piuttosto essere capace di qualcosa parecchio differente, e riuscire così ad imporsi con tutti, al contrario di come si comporta di solito, semplicemente inventando una buona volta una scusa plausibile, sostenendo magari che oggi, con grande dispiacere, non può proprio essere della loro comitiva. Forse non dovrebbe neppure aver bisogno di scuse, e soltanto con due o tre parole secche e decise, pronunciate con fermezza di fronte a tutti i ragazzi che conosce da sempre, riuscire a declinare l’offerta, almeno per una volta, della loro monotona compagnia. Ma tutto si farebbe più complicato, e non è proprio il caso di mettersi a percorrere strade sconosciute e piene di insidie.

Il problema principale nel caso potrebbe essere quello di perdere l’amicizia e la fiducia del gruppo, e ritrovarsi da un giorno a quell’altro completamente da solo in paese, a dover mendicare senza tante pretese qualche conoscenza giù al chiosco delle bibite, dove vanno tutti ogni sera, e scoprire che molti degli altri ragazzi adesso lo scansano, ne hanno piene le scatole delle sue maniere scostanti, non hanno più bisogno di uno come lui, e che da ora in avanti, almeno per quanto riguarda tutti gli amici di adesso della sua stessa età, può anche decidere di starsene in casa durante queste serate, a guardare qualche programma trasmesso in televisione, insieme ai suoi genitori. Certo, riflette adesso mentre si appoggia su una spalla il suo fedele giubbotto: rimanere all’improvviso isolato da tutti, senza più riuscire a sentirsi almeno una parte di quel girotondo di coetanei con cui scambiare opinioni, notizie, sciocchezze, battute spesso anche piuttosto scontate, è qualcosa sicuramente da evitare, una situazione che potrebbe addirittura cambiare molte delle sue aspettative. Comunque non rimarrebbe nient'altro da fare, in quel caso, se non cucirsi addosso una nuova livrea, un'espressione diversa, dei nuovi modi di fare e di essere, fino a diventare poco per volta qualcuno che in questo momento appare persino impensabile.

Con questi pensieri nelle testa lui apre infine la porta, e loro naturalmente sono tutti lì che di colpo lo guardano, e qualcuno addirittura sbadiglia, altri pensano forse le medesime cose che ha pensato anche lui fino a questo momento, tenendole però celate ognuno in se stesso, come un segreto da custodire tra gli affetti importanti, senza neppure mostrarne mai niente a nessuno, neppure un accenno. <<Stasera non vengo ragazzi>>, fa lui all'improvviso mentre è ancora fermo in piedi sui gradini di casa, con sguardo immobile; <<ho promesso di fare compagnia ai miei genitori; perciò resto in casa, e magari mi guardo un programma in televisione, con loro>>.

 

Bruno Magnolfi

giovedì 8 luglio 2021

Inopportune giustificazioni.

 

Amo grattarmi. Soprattutto mi piace sentire, sopra una qualsiasi zona della mia pelle, quell’attimo esatto in cui giunge ad evidenziarsi fortissimo l’inestinguibile prurito che tra gli altri miei bisogni rimane quello che risulta d’improvviso il più insopportabile di tutti, sapendo comunque, con enorme soddisfazione sgorgata dentro di me esattamente in quella frazione di tempo, che con una maniera  rapida e semplice posso riuscire facilmente a calmare quel pizzicore tremendo, cioè semplicemente raspando, anche in malo modo, la parte interessata con queste mie unghie, adeguatamente sempre un po’ lunghe, della mano più prossima all’azione. Certe volte cerco persino di protrarre almeno di qualche attimo quel preciso momento così agognato, subito prima di iniziare a grattarmi con metodo, proprio per immaginare in questa maniera il piacere che so con certezza riceverò subito dopo, una volta trattata a dovere la parte. Ma poi, quando inizio finalmente a lavorare adeguatamente la zona incriminata, mi pare quasi di non riuscire più neppure a smettere, come se quella soddisfazione che adoro ricevere, dovesse perdurare nel tempo il più a lungo possibile. In certi casi riesco addirittura ad infliggere alla mia pelle delle piccole e sanguinolente ferite, ancora prima che quel prurito così fastidioso si trasformi in un vero e proprio dolore. Spesso perdo anche il senso delle attività di cui mi stavo occupando in quei casi, quasi che il mio cervello fosse fortemente attratto, ed improvvisamente tutto concentrato, su quella porzione superficiale di me che per un motivo o per un altro mi sta chiedendo con tutte le sue forze di intervenire.

Comunque non è stato sempre così: fino ad un paio d’anni fa credo di essere stata una persona del tutto normale, che in certi casi sicuramente poteva anche darsi una grattatina ogni tanto da qualche parte, ma sempre con una certa parsimonia, ed in qualche occasione anche omettendo addirittura qualsiasi intervento delle mani. Adesso mi risulta del tutto impossibile, come se questo richiamo primordiale delle mie cellule cutanee superasse di gran lunga per importanza qualsiasi altra possibile attività. Sono cosciente di non poter essere ogni volta in completa solitudine per avere la libertà di comportarmi come mi pare, e così mi assoggetto facilmente a delle situazioni anche piuttosto imbarazzanti, che purtroppo non posso assolutamente evitare. Perciò mando avanti le mie giornate con una consapevolezza profonda, e non faccio mai niente per evitare che quanto può avvenire da un attimo all’altro, di fatto poi avvenga. Le espressioni strane delle persone che mi sono vicine non riempiono di grande interesse i miei comportamenti, ed in genere mi affido con naturalezza alla loro tolleranza per riuscire ad avere la comprensione sicura che merito.

Poi incontro un’amica, la quale ovviamente conosce abbastanza il mio piccolo problema, e mentre ci facciamo i soliti convenevoli, così fermi, in piedi, sulla scala mobile di un grande magazzino commerciale, ecco che sento sopra una gamba giungere un attacco di prurito insopportabile, tanto che inizio, proprio mentre continuo a parlarle quasi mantenendo una certa indifferenza,  a sfregarmi immediatamente i calzoni leggeri per attutire il fastidio. Mi rendo subito conto che non riesco assolutamente a placare quel pizzicore tremendo che sembra crescere ad ogni frazione di secondo, tanto che mi vedo costretto ad introdurre una mano e parte del braccio all’interno della cintura, e poi giù fino a trattare direttamente con le unghie delle dita la zona che intendo grattare fino all’estinzione di ogni fastidio. La mia amica ride e poi si volta per non guardarmi, fingendo forse di non conoscermi affatto, considerando che siamo in mezzo ad un sacco di gente, ed anche io tento di interpretare un improvviso dolore che non lasci nessuna alternativa ai miei gesti. Quando infine tutt’e due scendiamo dalla scala mobile, riesco in un attimo a recuperare la mia dignità, e mi scuso naturalmente, ma non cerco neppure per un attimo di dare una spiegazione plausibile ai miei comportamenti. Credo siano cose del tutto naturali, rifletto recuperando la mia espressione seriosa: sono sicuro che chiunque può comprenderlo perfettamente, senza alcun bisogno di fornire per forza delle quasi inopportune giustificazioni.

 

Bruno Magnolfi  

lunedì 5 luglio 2021

Assidua speranza.

 

Qualcosa accadrà, è fuori di dubbio. Si tratta di avere molta pazienza, lasciare che le cose procedano in maniera automatica, quasi naturale, e poi però, al momento che diverrà sicuramente possibile avvertire nell'aria il quasi impercettibile annuncio di una pur minima variazione che potrebbe manifestarsi a breve termine, essere capaci a quel punto di una rapida reazione adeguata che dimostri in questo modo tutta la sensibilità e l'intelligenza possibile per essere rimasti pazientemente in attesa. Lei si sente sicura di sé ed anche del proprio immediato futuro, così affronta ogni giornata che le si presenta davanti con tutto lo spirito che le pare necessario, senza comunque mettersi mai troppo in mostra con gli altri, e lasciando quasi con indifferenza che prima o dopo qualcuno si accorga delle sue indubbie capacità. Questo è il punto sostanziale: il grande talento nascosto del quale sono gli altri prima o dopo a dover d’improvviso prendere atto.

Purtroppo fino ad oggi nessuno ha mostrato interesse per i suoi modi di essere, anche se lei prosegue a sostenere tra sé, in mezzo ai tanti pensieri da cui è percorsa la sua mente iperbolica, che sarà soltanto una questione di tempo. Certe volte si guarda un po' attorno ed immagina che le cose inizino tutte, dopo appena un momento, a girare per il verso giusto, come per un improvviso allineamento degli astri, senza che lei necessariamente debba essere il centro di tali movimenti celesti, ma che comunque dia dimostrazione che è  proprio lei quella persona che riesce ad apprezzare maggiormente un simile evento, ed è proprio quella che più di tutte ne può essere degna beneficiaria. Alla sua ora poi si addormenta, certe volte cullata da questa convinzione, e ritiene di essere talmente sicura delle idee che professa, da esprimersi con gli altri in un modo tale come se tutto quello che ha immaginato stesse praticamente avvenendo realmente.

Quando si risveglia tutto intorno a lei sembra procedere come previsto, almeno a suo modo di vedere: prende la borsa e si incammina per strada, saluta i vicini che la conoscono con grandi sorrisi, e si avvia verso l’edicola dove lavora, dando un aiuto ai proprietari, amici da sempre della sua famiglia, ma soltanto per qualche ora al giorno, generalmente durante la mattinata. Certe volte la lasciano persino da sola là dentro, anche se per breve tempo, e lei in quei momenti si sente come padrona di tutte quelle parole stampate sopra la carta dei giornali e delle riviste: <<un giorno parleranno là sopra anche di me>>, riflette con convinzione; <<si tratta soltanto di avere pazienza, e conservare in me stessa quella coerenza che ho sempre manifestato con tutti>>.   

Entra il signor Alvaro dentro al piccolo negozio, quando ormai è giunta la tarda mattinata, e come sempre si ferma per qualche momento a scrutare le novità esposte sugli scaffali e a parlare con lei, chiedendole con maniere come sempre scherzose, quali siano al momento le notizie da seguire con più attenzione. <<I giornalisti anche oggi scrivono come sempre parecchie cose noiose>>, fa lei stando al gioco; <<però ci sono buone speranze che tutto cambi da un attimo all’altro>>, conclude. Il signor Alvaro sorride, la conosce da tempo, e sa che lei è una ragazza in gamba e dalle tante risorse, e non le tiene segreto che ha grandi aspettative dai sogni che sa con certezza tenere nascosti per il momento dentro un cassetto. <<Verranno dei tempi migliori, allora>>, le fa; e lei ride, strizza gli occhi con espressione di apprezzamento e dice sottovoce di esserne più che sicura. Poi lui acquista i soliti quotidiani, paga il dovuto e dice, senza riferirsi a nessuno in particolare: <<ci sarebbe proprio bisogno di una bella scrollata; e poi lasciare spazio, subito dopo, a chi merita davvero di uscire dalla mischia e far sentire con forza la propria voce>>.

Lei è raggiante, sa perfettamente che il signor Alvaro si riferisce esattamente a lei, e sa che il suo personale futuro non può che essere migliore di questo grigio presente, anche se lui aggiunge, subito dopo, che <<non c’è un momento più bello fra tutti quanti, di quello che ci fa provare l’ebbrezza della vera speranza, specialmente quando tutto appare quasi a portata di mano>>.

 

Bruno Magnolfi 


sabato 3 luglio 2021

Sono una persona qualsiasi.

 

Sono finito, adesso non ho più nessuna possibilità di rimettermi in piedi, penso. Ma, nonostante tutto, vorrei in questa fase ancora guardarmi attorno alla ricerca di un salvataggio estremo, magari con l'aiuto di qualcuno che naturalmente mostri la volontà per compierlo, e possibilmente persino le capacità, anche se ritengo in pratica quasi una certezza il fatto che non arriverà mai nulla e nessuno a tirarmi fuori da questa situazione. In fondo che cosa mi interessa penso, le cose sono andate così, sono rimasto a terra e solamente con le tasche colme di debiti, inutile persino analizzare i complessi passaggi che hanno determinato questo torvo finale. Devo prendere atto della realtà, e semplicemente mostrarmi cosciente di quanto è avvenuto.

Devo ammettere che non mi sono mostrato troppo prudente nel mandare avanti le mie cose, questo è il punto, e dopo gli inizi il resto però è arrivato direi per conto proprio, senza che potessi fare niente per fermarlo. Adesso esco da casa ogni giorno senza uno scopo preciso, giro a caso per il mio quartiere, mi soffermo ad osservare qualcosa lungo la strada, e intanto penso che devo prendere delle decisioni, forse darmi una scrollata, tentare di prendere un’iniziativa, piuttosto che subire ancora passivamente quanto sta avvenendo. Poi incontro un uomo che conosco soltanto di vista. Mi saluta, si sofferma, dice che mi legge direttamente sulla faccia le sventure che mi stanno capitando, ed io annuisco, me ne rendo perfettamente conto, la mia tristezza mescolata alla preoccupazione è qualcosa che risulta impossibile da nascondere. Mi offre da bere, gli va di parlare con me, così entriamo in un locale poco più avanti, mentre mi chiede quasi con indifferenza qualcosa di personale su cui naturalmente sorvolo senza dargli troppe spiegazioni.

Sembra comunque che questo tizio sia decisamente un veterano delle situazioni difficili, così dopo avermi sciorinato diverse sue esperienze piuttosto al limite, mi dice che vuole assolutamente darmi una mano, e che addirittura ritiene con esattezza proprio questo un suo preciso dovere. Allora gli dico che i miei problemi stanno tutti nella grande fiducia verso gli altri con cui ho sempre affrontato le mie cose, naturalmente accorgendomi via via che nessuno degli individui che ogni volta mi sono trovato di fronte, meritava minimamente neppure una parte del mio credito. Lui dice che sono cose che certe volte possono anche capitare, e comunque che mi comprende perfettamente, e ancora che secondo lui non c'è proprio motivo per farne un vero dramma, perché è convinto del fatto che tutte le situazioni negative all'improvviso possono cambiare direzione, e certe volte anche con estrema facilità, per provocare poi degli sviluppi di tutt'altro segno.

Così di colpo questo mio amico tira fuori che lui ha la possibilità di farmi rimettere rapidamente in carreggiata, ed inizia anche a parlarmi di certi investimenti da fare in borsa su dei titoli di cui ha seguito personalmente l'andamento per un lungo periodo di tempo, e che per questo, ed anche per altri motivi, un'operazione semplice di questo genere mi permetterebbe, con un investimento sostanzialmente modesto, di ritrovarmi in poco tempo dei dividendi tali da farmi rimettere subito in sesto. Gli chiedo qualcosa, soprattutto il motivo per cui non investe per conto proprio e si fa i soldi per sé, senza spifferare niente a nessuno, ma lui dice che in questo momento si trova ad essere troppo esposto e che deve star fermo almeno qualche tempo. Osservo il suo sguardo in silenzio; in fondo non ho proprio niente da perdere penso, ed è chiaro che in questo modo rischio soltanto di ingrossare un po' tutti i miei debiti, così sto quasi per dirgli di ritenere quasi possibile questo tentativo, quando un'ombra indefinita mentre lo scruto sembra passare sopra la sua faccia.

Mi alzo lentamente dal tavolino, lo guardo ancora con espressione immutata, quindi sottovoce dico soltanto: <<adesso devo andare>>; e senza neppure più voltarmi indietro, prendo la porta del caffè, privo di ogni ripensamento, e mi dileguo in fretta lungo i marciapiedi cittadini, come un passante qualsiasi, un individuo da solo, un uomo qualunque, senza più alcuna speranza.

 

Bruno Magnolfi