venerdì 26 febbraio 2016

Evidenti verità

            

            Già svariate volte ho tentato di volare. Il punto fondamentale è che al momento in cui generalmente stacco i piedi da terra per poi ritrovarmi ad un’altezza di due o tre metri, a quel punto devo durare una fatica tremenda per potermi spostare orizzontalmente anche solo di poco, e pur continuando ad insistere nel roteare con forza le braccia e facendo funzionare le mie mani come fossero delle vere e proprie palette, in pratica non riesco mai ad andare da alcuna parte. Ho anche provato qualche volta con la forza delle gambe a darmi una spinta più forte nell’occasione del lancio iniziale, e così in questo modo raggiungere subito un’altezza maggiore, ma a quel momento, specie se mi trovo all’aperto dove generalmente mi esercito ogni pomeriggio da quasi quindici giorni, mi ritrovo subito preda di una qualsiasi folata di vento, anche soltanto di intensità assolutamente normale, che però in questo modo mi spinge facilmente verso dove gli pare più adatto.
            La settimana scorsa, mentre facevo ancora i miei primi tentativi dietro la casa dei miei genitori, al bordo di un campo di maggese dove stazionano soltanto alcune mucche indifferenti a qualsiasi esperimento, sono riuscito, ma soltanto dopo un gran smanettare, a raggiungere il grosso ramo di un albero, così mi ci sono aggrappato come fossi una vera bandiera, e sono rimasto lì per un po’, senza che tutto questo mi procurasse purtroppo una grande soddisfazione. Ti racconto tutto questo, adesso che ci vediamo, senza che io abbia mai detto ad anima viva quanto riesco in questo modo ad eseguire, e lo faccio soprattutto perché sei il mio migliore amico, naturalmente, e perché penso che tu possa così starmi vicino, darmi un aiuto e forse anche qualche consiglio. D’accordo, fa l’altro, non ci vedo niente di male. Intanto potresti provare a tenere nelle mani delle vere e proprie palette, dei pezzi di cartone robusto e ben sagomato, per esempio, in modo da spostare molta più aria di adesso quando muovi le braccia; e poi basterebbe anche qualcosa di semplice per vincere la resistenza dell’aria: credo che tenendo ben posizionata una qualsiasi bomboletta di spray, potresti facilmente muoverti nella direzione contraria a cui dirigi lo spruzzo, comportandoti proprio come se avessi nelle mani un piccolo razzo.
            Queste sono idee, faccio io; non avevo mai minimamente riflettuto a delle cose del genere. Tutto in questo modo può diventare più facile, è fantastico parlarne e discuterne. Lo sapevo fin dall’inizio che a raccontarti tutto quanto non avrei fatto altro che bene. Mi sembrano tutte delle trovate meravigliose, gli sottolineo con slancio, anche se purtroppo ne ho un po' paura. Cioè, la cosa che più di tutte vorrei proprio evitare, è quella di perdere all’improvviso la capacità che mi ritrovo di stare a mezz’aria, e quindi cadere di schianto, magari senza che neppure riesca a capirne il motivo di fondo. Per questa ragione forse sarà meglio se qualsiasi tentativo lo vada a sviluppare con calma, mettendo a punto con metodo quanto di meglio posso collaudare. E siccome credo che tutto quanto riesca bene a patto che io sia da solo, dovrò provare in solitudine qualsiasi cosa nuova, senza farmi aiutare neppure da una persona fidata come potresti essere tu.
            Va bene, fa l’altro, però dovresti fare in maniera che in seguito ad ogni tentativo riuscito, divenga possibile anche darne una qualche prova tangibile, proprio per dimostrare anche agli altri di che cosa alla fine sei stato capace. E’ evidente, fo io, il mio primo pensiero è proprio quello di mettere a punto talmente tanta certezza nelle mie qualità, da poterne dare un esempio in qualsiasi momento. Se non riuscissi in questo scopo finale tutto il resto diverrebbe soltanto un'inutile stupidaggine. Sono contento che tu dica questo, fa lui, perché in fondo mi dispiacerebbe dover dare credito a ciò che dicono tutti gli altri giù nel paese, e che tu sia davvero soltanto un bugiardo.


            Bruno Magnolfi

mercoledì 24 febbraio 2016

Inquietudini poco significative.

            

            Non preoccuparti, gli fa ogni tanto sua sorella, assumendo ogni volta un tono di voce, rispetto a qualsiasi altra occasione, ancora più calmo e tranquillizzante, quasi volesse mostrare di trovarsi di fronte, almeno in quei casi, un disturbato, un tipo magari un po’ agitato e forse anche leggermente nevrotico. Di fatto lui è una persona sostanzialmente calma di natura, che peraltro di massima non si interessa mai di molte faccende, se non di quelle strettamente ordinarie e personali, in quanto lascia regolarmente decidere tutto ai componenti della sua stessa famiglia. Certe volte, quando sono proprio a tavola tutti e sei, con i suoi anziani genitori, la zia sempre silenziosa, ed il figlio ancora piccolo di sua sorella, avuto peraltro da un burrascoso rapporto tramontato ormai da vari anni, lui dice per esempio con una certa severità che nella minestra c’è poco sale, anche se non è poi neppure del tutto vero, ma sentenziando questo giusto per innestare come per scherzo una serie di polemiche, di difese e di contro difese proprio attorno a quell’argomento. Ed è proprio così, in momenti di questo genere, che sua sorella cerca allora di ammansirlo.
            Tutto sommato è rassicurante stare in casa, anche se in quel loro grande appartamento le donne tengono in mano praticamente ogni situazione, lasciando agli uomini solo la finta paternità di qualche decisione presa ogni tanto, pur se di fatto già silenziosamente concordata e definita precedentemente dal genere femminile. Lui, in tutto questo meccanismo quotidiano di piccoli poteri, si disinteressa sostanzialmente di qualsiasi cosa, limitandosi a intraprendere ogni giorno, quasi fosse comunque la cosa più importante del mondo, la sua ordinaria e immancabile passeggiata, sempre la medesima da tempo immemorabile, della quale conosce ormai perfettamente ogni tappa e ogni passaggio di tutto il lungo itinerario. E’ l’unica, irremovibile distrazione che d’altronde si concede, per il resto passa la parte rimanente della giornata in casa seduto.
            Sua sorella, quando lui rientra, lo aiuta sempre a togliere la giacca restando nell’ingresso, esattamente come fa con suo figlio quando torna dalla scuola elementare, ma nel suo caso, invece di informarsi sui compiti e sulle lezioni, gli spiffera quasi sottovoce qualcuna delle novità di cui a suo parere deve essere assolutamente messo a conoscenza, quasi fossero, quelle che fa a suo fratello, le rivelazioni di alcuni grandi segreti, tipo dove sta seduta in quel momento la mamma, o anche la zia, oppure cosa hanno pensato di cucinare per la cena, e altre cose di quel genere.
In ogni caso generalmente lui biascica qualche opinione di rimando, giusto per mostrare di aver ricevuto e memorizzato ogni notizia, poi però si disinteressa in fretta di qualsiasi altra cosa, ricominciando a lavorare sul suo tavolino agli amati collages con la carta. Mette una tovaglietta protettiva di plastica, tira fuori da alcuni scatoloni i preziosi ritagli, e poi inizia ad incollare tutto quanto seguendo degli schemi rigidi e definiti. I lavori terminati poi, una volta asciutti e praticamente ignorati dal resto della famiglia, vanno ad accumularsi in genere sopra gli armadi di casa, costituendo però nella loro stratificazione, una risorsa notevolissima, almeno al momento in cui lui sarà finalmente riconosciuto come il grande artista che è convinto di essere.
Delle sue passeggiate invece tutti amano chiedergli sempre qualcosa. Se abbia incontrato qualcuno che conoscono, se faceva freddo, se le nuvole si siano diradate, e se la primavera abbia finalmente iniziato a far fiorire alberi e cespugli. Lui risponde sempre con un certo grado di acquiescenza, ma come a sottolineare che ha avuto ben altro di cui occuparsi, poi torna immancabilmente al suo lavoro manuale. Non mi preoccupo, dice alla fine, se non siete voi a preoccuparvi per me.


Bruno Magnolfi

lunedì 22 febbraio 2016

Insopportabili dettagli.



Improvvisamente piove, miseria cane, per questo mi sono infilato di corsa in un vecchio portone rimasto accostato, senza neppure guardare la facciata della casa o che cosa ci fosse intorno. Invece adesso con più calma vedo che qua dentro c'è un androne praticamente abbandonato, ed accendendo uno dei miei fiammiferi fortunatamente rimasti asciutti, mi rendo conto che tutto è polveroso, pieno di ragnatele, cadente, sicuramente in disuso chissà da quanti anni. La scala principale è addirittura sbarrata con una specie di transenna legata al corrimano con un filo di ferro, immagino forse perché i solai al piano superiore sono malmessi e pericolanti, ma una stretta rampa su un lato di questo ingresso sembra scendere invece senza alcun impedimento. Così con titubanza metto il piede su quei gradini di pietra sfruttando l'ultima luce della fiammella, poi però accendo subito un altro dei miei fiammiferi.
C'è un vano piuttosto grande qua di sotto, e in mezzo allo spazio un vecchio tavolo con qualche sedia e anche un divano coperto con un telo. Una finestrella lascia entrare la luce di un lampione della strada, e a me sembra che tutto vada più che bene, anche soltanto per trascorrere in qualche modo questa serata uggiosa, cosi mi do da fare per sistemarmi nella maniera migliore, provo una sedia, appoggio su uno scaffale le mie stupide cose, cerco di raccogliere in qualche modo le mie idee per far funzionare al meglio tutto quanto. Non è per niente male questo posto, persino come abitazione, rifletto immediatamente, e comunque è sempre meglio che tornarsene alla stazione ferroviaria, oppure, come a volte succede, passare la notte coi cartoni sotto ai portici.
Mentre sto qua a godermi questa situazione bello tranquillo, sento però giungere dei rumori sospetti abbastanza ravvicinati, e dopo un attimo, accompagnato dalla luce inquietante di una torcia elettrica, arriva lui, il legittimo abitante di questa topaia. Come sei entrato?, mi fa subito sgarbatamente. Be', la porta era aperta, gli dico, ma se vuoi posso anche andarmene. Certo, fa lui, questo non è il tuo posto, vattene in giro a cercarti qualcos'altro. Va bene, gli fo, ma potremo almeno aspettare che smetta di piovere, così evito di bagnarmi più di come sono. D’accordo, fa lui, comunque mettiti da una parte e evita di rompere, che ho già i miei guai. Così mi piazzo su una sedia, frugo dentro le mie buste e tiro fuori una scatoletta di roba da mangiare. Lui mi tiene d’occhio, forse non ha niente, penso, così gli offro qualcosa, giusto per il suo disturbo, ma lui rifiuta con orgoglio. Ognuno per sé, nel nostro ambiente, è quasi una regola fondamentale.
Però dopo mi dice che è sicuro di conoscermi, mi ha già visto probabilmente alla mensa centrale, a fare la fila con tutti gli altri. Gli dico che può essere, ci vado spesso fino là, anche se quel posto è sempre troppo affollato per i miei gusti. Mi infilo ancora in gola qualche cucchiaiata di fagioli con la carne, poi tiro fuori un cartone bello nuovo di vino rosso. Lui mi guarda, fa vedere il suo bicchiere senza neanche dire niente, così gli verso la sua parte. Immediatamente diventa più loquace, dice che tutto gli fa schifo, però sorride ironicamente, ed adesso sembra prendere meglio ogni faccenda.  Bofonchia qualcosa, dice che aveva un lavoro come si deve, ma che la crisi gli ha portato via quello e la possibilità di permettersi un affitto. Già, gli dico tracannando il vino, però se ti dai una ripulita, tu che sei ancora giovane, magari qualcuno lo trovi che ti offre una nuova possibilità. Ho perso la fiducia, mi fa, ed io immediatamente provo il terrore che adesso stia per piangere, e come a volte capita, che magari si metta a fare anche il sentimentale, così rompo l'argomento giusto per dire: mi pare che sia già smesso di piovere, e lui allora mi accompagna con la sua torcia fino sulla strada, per sincerarmene. Ci salutiamo, alla fine, senza neppure tante sdolcinature, come si fa sempre in questi casi. Buona fortuna, amico, gli sparo in fretta, ma lui mi abbraccia, torna quando vuoi, mi dice con un gran sorriso, che tanto lo so bene quanto la nostra solitudine possa essere ancora più insopportabile di qualsiasi altro tormento.


Bruno Magnolfi

giovedì 18 febbraio 2016

Semplici errori della quotidianità.

           
            Sono stanca, pensa lei mentre mette un po’ di ombretto intorno agli occhi. Lo specchio, considerata la sua età, evidentemente già da qualche anno le rende un’immagine impietosa, ma in fondo questo non è neppure un elemento per lei troppo importante. Forse non si è mai veramente piaciuta però, ecco il punto vero, e l’indulgenza con cui ha da sempre trattato l’osservazione di se stessa, adesso per colmo sembra come svanire lentamente, lasciando quasi spazio ad una costante e severa autocritica. Forse ci vorrebbero delle variazioni importanti, pensa, dimenticare di colpo la monotonia di questi giorni tutti simili, magari ricoprendola almeno qualche volta con delle cose nuove, con qualche elemento differente da tutto il resto, senza dimenticare mai comunque l’alveo in cui si muovono con maggiore naturalezza tutti i miei fondamentali desideri. 
            Suona il telefono, è lui, sorridente e spiritoso come ogni volta, e dopo qualche carineria le dice con apparente dispiacere che per questa settimana purtroppo è proprio impegnato, e che quindi non si potranno vedere, perché il lavoro senza dubbio rimane sempre un ingrediente necessario e irrinunciabile di ognuno, anche se a volte un po’ troppo ingombrante ed invadente. Riattaccano, in fondo va ancora tutto bene, si dice lei dentro lo specchio, ma il suo sorriso mostra adesso a ben guardare come delle piccole grinze quasi di rabbia: purtroppo niente ultimamente va più come lei davvero vorrebbe, ed anzi piuttosto spesso le pare che tutto stia sfuggendole di mano, e che certe volte la realtà si appropri autonomamente proprio di qualsiasi cosa, in qualche caso persino di ogni suo più vero desiderio.
            Decide di uscire, indossa qualcosa e poi va giù lungo le scale. Fuori non fa neppure troppo freddo, così la solita gente confusa del pomeriggio sembra ingombrare qualsiasi marciapiede. La saluta la signora del negozio di generi alimentari sotto casa, perennemente sulla porta ad attendere clienti e a curiosare sul vicinato mentre il figlio rimane dietro al banco, e lei si ritrova come specchiata in quel consueto gesto cortese ma monotono.  Si sente sola come sempre ad affrontare l'attraversamento dello spazio tempo, quelle onde telluriche quotidiane che tremano impercettibilmente sotto le sue scarpe, ma lei improvvisamente sa di stare bene, orgogliosa di qualcosa che le appartiene anche se pare come sfuggirle dalla comprensione. In fondo non c'è niente di diverso tra lei ed una persona più o meno come lei, un prototipo utilizzato diffusamente per popolare le città, un ingrediente ordinario nella costituzione generale della gente. Si immerge tra i suoi simili, e questo appare un gesto di fondante socializzazione, anche se a lei non costa nulla.
            Quando rientra si sente ancora più abbattuta, senza essere riuscita neppure a mettere sufficientemente a fuoco ciò che le manca veramente. Torna a guardarsi nello specchio: il suo viso adesso sembra la maschera sogghignante di una nuova giornata senza grande senso. Si siede, cerca qualcosa di cui occuparsi, ma niente le pare troppo urgente oppure di un minimo interesse, così si stende, chiude gli occhi, tenta di dimenticare almeno per qualche minuto tutto quanto. Suona il telefono, lei si scuote, raggiunge l’apparecchio, alza con curiosità il ricevitore, dice pronto dentro la cornetta: scusi, dice qualcuno; ho sbagliato numero.


            Bruno Magnolfi 

sabato 13 febbraio 2016

Ognuno in sè

          
            Siete tutti uguali, dico. Vi piazzate qui comodamente e non c’è mai verso di portarvi via da queste sedie. Loro continuano a parlare, un paio mi sorridono, qualcuno prende la mia uscita come un qualsiasi saluto. I pomeriggi al solito caffè certe volte sembrano persino incomprensibili, i ragazzi sono tutti pronti a passare delle ore intere senza combinare proprio niente. Mi piazzo al banco, mi faccio servire una birra piccola, la tracanno guardandomi poco intorno e conservando assolutamente una certa serietà, fino a quando svogliatamente esco da lì. Mentre sono sulla porta qualcuno riferito a me ironicamente, chiede dove io creda di poter andare, così mi giro, e gli altri ridono: so che niente di buono uscirà da qui anche oggi, penso con rassegnazione.
In due quasi subito mi raggiungono sopra al marciapiede, ed iniziano col dire che anche loro sostanzialmente sono stufi, anche se spesso non sanno proprio in quale altra maniera riempire le giornate. Li guardo, forse non dipende del tutto dalla nostra volontà, dico tanto per azzardare una qualche spiegazione, in ogni caso è evidente che si deve trovare in qualche modo una via d'uscita. Decidiamo di farci una passeggiata, anche se con poca convinzione. Arriviamo fino al fiume, ci mettiamo sopra al ponte ad osservare l’acqua che scorre ed a parlare senza impegno del più e del meno. Arriva una signora, dice senza neppure riferirsi del tutto a noi, che è successo qualcosa di terribile molto tempo fa, proprio in quel punto. Una donna si è gettata dentro l'acqua, spiega, proprio all'improvviso, ed è scomparsa là dove la corrente va via con maggiore forza. Lei la conosceva, dice, era una brava ragazza, con una tremenda paura di vivere però. Non è stata più trovata, neppure il corpo, e qualcuno da poco tempo ha iniziato a dire che forse è ancora viva, e che probabilmente ha trovato dentro di sé la forza di ricominciare tutto dall’inizio.
Noi stiamo fermi, in silenzio, ci sono cose incredibili che definiscono in qualche modo un risultato, e all'improvviso ci sentiamo piccoli, stupidi, anche un po’ privi di spina dorsale. La signora infine se ne va, la storia che ci ha raccontato invece rimane come a mezz’aria, senza alcuna conclusione. Certo che ce ne vuole di coraggio, azzarda uno dei ragazzi. A me non va neppure di trovare un commento adatto, e così mi limito a guardare le persone a piedi che passano lungo la spalletta, fino a quando giunge una ragazza, una qualsiasi. E' lei forse, dico così tanto per dire. Ci voltiamo tutti ad osservarla, a quel punto, con gli occhi mezzi sgranati come fossimo ancora suggestionati dal racconto che abbiamo ascoltato poco prima, cosi lei nota il nostro interesse e con un gesto semplice mentre passa si aggiusta una ciocca di capelli.
Uno dei ragazzi dice che chiunque può essere tutto quello che gli va, l'altro annuisce e intanto pensa che forse basta credere le cose fino in fondo per farle diventare subito vere. La ragazza allora si ferma poco più avanti rispetto a dove siamo noi, ed adesso ci dà le spalle anche se proseguiamo ad osservarla con curiosità, aspettandoci da lei chissà che cosa. Poco dopo arriva un uomo, la saluta senza enfasi, la prende sottobraccio, insieme gettano una lunga occhiata alla corrente del fiume che si infila sotto al ponte, e alla fine se ne vanno. Anche noi decidiamo subito dopo di tornarcene al caffè, ma adesso abbiamo meno voglia di fare gli spiritosi, cosi arrivati là davanti ci salutiamo, senza neppure entrare nel locale, e ognuno di noi a quel punto se ne va da solo, forse soltanto per ripensare con maggiore profondità a quanto accaduto.


Bruno Magnolfi

mercoledì 10 febbraio 2016

Immagine sicura.



Già da diversi minuti l'uomo in divisa sembra stazionare fuori dalla casa, restando là davanti come nell'attesa di qualcosa o forse addirittura di qualcuno. Lei, che lo ha notato fin dall'inizio quasi per una semplice intuizione, semplicemente scansando d’improvviso la tendina alla finestra, vorrebbe proprio che in questo preciso momento quel tizio sparisse alla sua vista, se ne andasse via, come se fosse soltanto un simbolo negativo in quella posizione. L'individuo con la divisa al contrario rimane li, sposta ogni tanto il peso sulle gambe e in ogni caso lentamente, senza neanche muoversi troppo, e infine, quasi sentendosi osservato, gira su se stesso e dà una lunga occhiata a tutta la facciata del condominio alle sue spalle, soffermandosi, magari giusto per caso, a guardare con maggiore attenzione proprio le finestre del primo piano, esattamente quelle dell’appartamento di lei, per poi soddisfatto tornare a voltarsi di nuovo verso la strada, riprendendo a dare con la sua presenza una specie di protezione a tutto il caseggiato.
Lei si sente nervosa, quella strana sentinella non la fa sentire del tutto tranquilla, è come se mostrasse che deve succedere qualcosa, quasi ci fosse un pericolo imminente, e in ogni caso lei non riesce proprio a comprendere che bisogno ci sia di stare là davanti, ad osservare con curiosità qualsiasi cosa. Decide di uscire, anche se di fatto non ce ne sarebbe affatto la necessità, così indossa il soprabito, chiude alle sue spalle il portone condominiale, e passa accanto all'uomo, attraversando poi la strada. Rallenta un'auto, qualcuno dietro ai vetri oscurati pare osservarla a lungo. Lei non sa più che cosa pensare, si ferma per un attimo al negozio di fronte, acquista delle sigarette, poi rientra nel suo appartamento, passando di nuovo accanto all' uomo. Forse dovrebbe fermarsi a parlare con lui, chiedergli che cosa mai stia succedendo, ed il motivo di quel suo strano comportarsi, invece non fa niente, rispondendo al desiderio di non guardarlo neppure, se non fosse che l’uomo in divisa la scruta dietro ai suoi occhiali scuri, come se magari vedesse in lei proprio qualcuno da riconoscere.
            La donna si chiude in casa, accende subito nervosamente una sigaretta, e dopo resta ferma, in attesa dietro la finestra, con le tendine abbassate quasi del tutto. Le auto transitano lungo la strada, dei ragazzi a piedi scambiano tra loro qualche scherzo, la vita di ogni giorno sembra scorrere con regolarità. Poi l’uomo in divisa tira fuori un taccuino da una tasca; si volta verso di lei, anche se non può vederla, protetta com’è dietro le cortine, e segna qualche appunto; infine riprende esattamente la sua posizione iniziale, immobile, con le mani lungo i fianchi. Lei tenta di analizzarne le espressioni: le sembra quasi che sorrida qualche volta, come se apprezzasse qualcosa di quel suo starsene immobile. Ha la faccia liscia, ben sbarbata, e la sua giacca con le mostrine sembra perfetta indosso a lui: è una persona che ci tiene alle apparenze, riflette, uno che cerca di mostrarsi a posto.
Infine lei va a sedersi, cerca in qualche modo di disinteressarsi dell’uomo sulla strada: se inizialmente avrebbe quasi voluto cancellare quella sua presenza, adesso in fondo si sta quasi abituando. Così va in cucina, sistema alcune cose, e si interessa d’altro mentre mette sul fuoco il bollitore. Poi pensa sorridendo che potrebbe invitarlo per il tè, e in questo modo torna verso la finestra, ma quando si ferma accanto ai vetri si accorge subito che l'uomo con la divisa adesso non c'è più, probabilmente ha già compiuto il suo servizio, e quindi semplicemente se n'è andato da quella postazione. Tornerà, pensa lei con ottimismo, dovrà tornare: in fondo la sua presenza dava a tutti una maggiore sicurezza.


Bruno Magnolfi

domenica 7 febbraio 2016

Anonimo avversario.

         

            Fuori dalla macchina, sulla piazzola sterrata lungo la strada provinciale, c’è soltanto il buio della tarda serata e qualche albero spelacchiato intorno, poi più niente. Alberto inizialmente si è fermato un attimo, giusto qualche minuto per ascoltare il silenzio della serata a motore spento e fumarsi una delle sue sigarette in santa pace. Ma la sua auto subito dopo non ne ha voluto più sapere di rimettersi in moto, e dopo aver fatto parecchi tentativi lui adesso sta iniziando a pensare di non avere altra scelta che scendere da lì ed arrivare a piedi almeno fino alle prime case del paese, distanti almeno qualche chilometro, visto che a quell’ora lungo quella via, già normalmente poco frequentata, non sembra passare proprio più nessuno.
            Ma all’improvviso il rombo di un motore sembra come sortire dal buio, i fari di un mezzo stradale scintillano sulle ultime curve, Alberto scende dalla sua auto e si fa subito vedere quasi nel mezzo della carreggiata. Rallenta un furgoncino, senza insistere troppo sui freni a dire il vero, ma alla fine arriva a fermarsi a pochi passi da lui, e qualcuno dall'interno forse abbassa leggermente il finestrino, restando però lì immobile, come in attesa. Scusi, dice Alberto avvicinandosi di un passo e con una certa circospezione, ma proprio in quel momento il furgoncino si rimette in moto e quasi se ne va, visto che finisce col fermarsi appena dopo venti o trenta metri.
            Alberto non sa cosa pensare, guarda le luci di posizione sul retro del mezzo, tenta di comprendere meglio di quale marca e modello possa essere, cerca anche di memorizzarne la targa, ma c’è un numero dentro quel codice che gli rimane del tutto ambiguo, come un segno del tutto diverso da quelli normalmente in uso, forse solo perché coperto da uno schizzo di fango. Torna alla sua auto senza chiedere più niente, rientra, adesso gli appare tutto un po' troppo stravagante, visto che là fuori c'è qualcuno che deve'essere senza dubbio un tipo strano, forse anche pericoloso, e lui non può neppure muoversi da dove si trova. Inizia così a sentirsi esposto a chissà cosa, e stasera essersi dimenticato a casa il suo telefono cellulare di certo non è stata una mossa favorevole.
Dopo un bel pezzo in cui continua a spiare la situazione in cui si trova, quel furgoncino innesta la marcia, riprende la sua strada e sembra proprio andarsene, ma Alberto non si fida e aspetta diversi minuti prima di decidersi ad uscire dall'abitacolo. Poco dopo difatti due fari lentamente si riavvicinano, ma lui si sente stufo della faccenda, ed adesso è deciso ad affrontare il tizio, chiunque sia, che pare voglia divertirsi a prenderlo un po' in giro. Così sta fermo mentre aspetta che si avvicini quel furgone, ma il mezzo all'improvviso si ferma, a venti o trenta metri da lui, proprio come prima, adesso abbagliandolo con i fari accesi. Lui gli va incontro, in fondo ha solo da chiedergli un aiuto generico, niente di particolare, ma ad un tratto è preso da un forte brivido, e torna a fermarsi. Dal furgoncino non giunge alcun segno di vita, se non quel motore che gira al minimo e quei maledetti fanali abbaglianti che non permettono ad Alberto di vedere quasi niente.
Urla forte allora: per favore, ho bisogno di un aiuto, magari di un passaggio fino al primo posto pubblico, ma non riceve alcuna risposta. Alberto resta fermo, gli viene voglia di raccattare un sasso dal margine e scagliarlo con tutte le sue forze contro quel maledetto furgoncino, ma non lo fa. L’altro mezzo invece innesta la retromarcia, inverte la direzione e se ne va di nuovo. Lui si fruga in tasca, poi torna alla sua auto deciso a chiudere le portiere ed avviarsi a piedi verso il primo luogo utile che riuscirà a trovare, così prende la sua borsa, raccoglie tutte le sue cose, ed al momento di staccare le chiavi dal cruscotto prova, per un’ennesima volta, a far girare quel maledettissimo motore, che adesso naturalmente si avvia senza problemi.


Bruno Magnolfi

giovedì 4 febbraio 2016

Consueto servizio ferroviario.

          

            Lei è un idiota, gli dico a voce alta, non ci possono essere altre parole per identificarla meglio. Le poche persone presenti al bar della stazione si voltano tutte verso di me, e alcune fanno silenzio tra loro per capire cosa mai stia succedendo, ma io non lascio alcuna soddisfazione, così mi riappoggio al bancone e riprendo a sorseggiare la mia grappa come se nulla fosse. Il mio interlocutore è rimasto di stucco, naturalmente, forse non ha neanche compreso che io in qualunque caso sto sempre dalla parte dei treni, e mai con chi vuole parlare male del servizio ferroviario. Mi pare assolutamente pretestuoso dire magari che c’è un ritardo, e che ci sono i disservizi, o sostenere genericamente che le cose sembrano proprio non andare bene, magari ironizzando sul fatto che a nessuno in fondo fa troppo comodo interessarsi dei piccoli disagi di qualche pendolare.
            Il mio interlocutore alza le spalle, io l’ho lasciato parlare a lungo, quanto ha voluto, ed ho in qualche modo dato seguito al suo sfogo, probabilmente provocato da qualcosa di sicuro non collegato nemmeno direttamente alle ferrovie; adesso però gli ho detto il fatto suo, e non voglio più neppure riaffrontare l’argomento. Un paio si persone mi guardano in faccia da vicino mentre sto fermo, forse mi conoscono, sanno che vengo qui ogni giorno a difendere i treni dagli attacchi vigliacchi dei pusillanime senza criterio. Mi guardano, ma non hanno neppure il coraggio di dire qualche cosa. Poi il mio interlocutore di prima ripiglia fiato incomprensibilmente, butta giù il suo caffè e riprende subito a dire delle cose del tutto prive di qualsiasi criterio. Lo lascio fare, non c’è più niente da discutere, i treni sono un elemento al di sopra di tutto questo chiacchierare, se non ce ne rendiamo neppure conto, penso, non siamo neanche delle vere persone.
            Poi esco dal bar della stazione, a quell’ora ormai non si incontrano quasi più persone come si deve, con le quali fermarsi per parlare in modo adeguato di treni e ferrovie. Giro lungo il marciapiede del binario uno, mi fermo un attimo alle latrine, poi quando esco mi accorgo che qualcuno mi tiene d’occhio, e quando volto l’angolo dell’edificio in due o tre mi vengono subito dietro. Non mi preoccupo, sono abituato ad affrontare gente che crede di poter fare chissà cosa, che poi alla prova dei fatti è pronta immediatamente a tirarsi indietro, ed a lasciarmi padrone del campo, convinto assertore dei miei argomenti, e quindi assolutamente dalla parte della giusta ragione. Ma questi paiono differenti, così mi fermo, e a voce alta dico: che volete? Quelli si eclissano immediatamente, proprio come immaginavo, così mi incammino lentamente per tornarmene alla mia baracca, in fondo al binario sei.
            Ma ci ripenso, torno indietro, rientro dentro alla stazione e filo dritto al bar. Adesso sono rimasti davvero in pochi a fumarsi le loro sigarette e a tirare tardi come sempre. Il tizio di prima mi viene incontro, dice che mi stavano cercando, che forse avrei dovuto fermarmi ancora un pochino, sembra che vogliono scrivere una sceneggiatura proprio su di me e sui miei argomenti di discussione, insomma potrei ad un tratto diventare un personaggio importante. Rifletto senza parlare, forse qualcuno inizia a comprendere che i treni vengono sempre prima di tutto, penso, e che bisognerebbe ringraziare ogni giorno chi li ha istituiti. Mi metto a girare nella piccola stazione del mio paese, guardo dappertutto, esco anche fuori, sul piazzale di fronte, persino sotto alle pensiline dei binari, ma nessuno mi ferma, nessuno chiede di me, e dei tizi di prima non c'è neppure l'ombra. Torneranno, penso mentre vado alla fine verso la mia baracca. Non c'è da preoccuparsi, le cose si aggiusteranno, tutto troverà un motivo superiore per manifestarsi. Sono pronto a fare la mia parte, mi dico da solo, sarò capace di spiegare il mio punto di vista a chiunque voglia ascoltarmi, e se me ne daranno la possibilità porterò il treno ad essere l'elemento fondamentale per questo paese senza spina dorsale, e riuscirò a renderlo degno di stima e di rispetto.


            Bruno Magnolfi

martedì 2 febbraio 2016

Essenzialmente.

           
            Sono fritto, pensa Enrico. In certi casi lui si va a mettere in un angolo da solo, e cerca di riflettere a lungo sopra le proprie preoccupazioni, anche se non giunge quasi mai ad una conclusione chiara e positiva. La sua fidanzata durante quelle volte lo lascia perdere, sa che è del tutto inutile cercare di interferire con la sua strana sensibilità, perché Enrico, quando si sente cosi in bilico in mezzo alle decisioni che avrebbe bisogno di prendere, è del tutto intrattabile, non ragiona, lascia che il suo organismo si gonfi di tutto ciò che è riuscito ad accantonare in precedenza, e poi rimane li, semplicemente a misurare il punto di rottura. Lei non si fida, lui in questi casi assume un’espressione cattiva, uno sguardo quasi da animale braccato che cerca soltanto di difendersi, pur neppure sapendo da cosa, ed in quelle giornate a lei pare che Enrico potrebbe fare qualsiasi sciocchezza, salvo pentirsene subito dopo.
            Già diverse volte ha cercato di allontanarsi da lui, di lasciarlo insomma, ma non è affatto facile: Enrico la ricatta tramite l’atteggiamento dimesso che talvolta riesce ad assumere, un misto tra la sofferenza di una persona sola e scacciata da tutti, e la necessità di protezione quasi infantile che mostra. Lei pensa ogni volta che lui possa cambiare, che in qualche modo sia diventato improvvisamente quel dolce ragazzone che al momento mostra di essere, proprio come quando lo ha conosciuto, e così ricasca regolarmente in quel rapporto malato, in cui periodicamente le cose precipitano, senza possibilità di salvarsi. Enrico non è mai stato violento con lei, o almeno fino adesso lo è stato soltanto con le parole, alzando la voce e qualche volta offendendola, ma ciò non esclude che un giorno o l’altro possa colpirla o anche peggio.
            Adesso però quel momento sembra proprio arrivato. Lui ha fatto un’assurda scenata cercando di dimostrare con discorsi paranoici come lei lo tradisca, ed ha chiuso completamente le orecchie a qualsiasi spiegazione riguardo le sciocchezze che è stato capace di tirar fuori, continuando così a scaldarsi ed a perdere poco per volta qualsiasi razionalità. Poi le ha dato una spinta, ad un tratto, gettandola giù dalla macchina mentre stava urlandole ancora qualcosa, e infine è ripartito come un pazzo dalla piazzola dove si erano fermati per qualche minuto. Dopo pochi metri però è tornato indietro, e nel buio del luogo isolato è passato con le ruote dell’auto sopra al corpo ancora a terra della sua fidanzata. Poi alla fine è fuggito.
Quando si vaga senza una meta, sentendosi come braccati da tutti, ci si va a nascondere dove si può e dove capita, disperandosi di tutto e inciampando continuamente  in errori e sciocchezze. Poi c'è un momento in cui si ripensa almeno con un filo di lucidità a ciò che si è fatto, ed è allora che ogni sforzo improvvisamente si fa assurdo, ed ogni pensiero che si può avere dentro la testa, riporta continuamente al fatto che non è un brutto sogno, e che niente sarà più come prima. Costituirsi in mezzo alle lacrime e al dispiacere diventa cosi l'unica via, ma che sorpresa sentirsi dire dopo qualche telefonata da parte delle forze dell’ordine che la propria fidanzata sta bene, che sotto alle ruote c'è andata soltanto la radice di un albero, anche se adesso tra tutto quanto resta vera soltanto quella cosa essenziale: niente, in ogni caso, sarà più come prima, proprio ad iniziare da quelle manette che scattano subito attorno ai suoi polsi.


Bruno Magnolfi