sabato 29 ottobre 2016

Rimozione forzata.

            
            La mattina Renato esce presto per recarsi al lavoro, e qualche volta quando è in ritardo percorre in auto una stradina strettissima, compresa per un lungo tratto tra due alti muri di pietre, giusto per accorciare di circa cinque minuti. È ancora buio, i fari rischiarano il tratto della via davanti ai suoi occhi, ma soltanto per un attimo, perché ad ogni metro, appena il suo mezzo ha transitato, tutto ricade di colpo dentro la notte silenziosa, una densa melassa indistinguibile che a quell’ora continua ad avvolgere qualsiasi particolare. La sua macchina è vecchia, piena di rumori e di cigolii, ed il fondo stradale mette ogni giorno a dura prova le sospensioni e le gomme. E’sufficiente un attimo, gli occhi che ancora si stringono per il sonno interrotto, forse il dondolio del suo seggiolino, e quella persona che sta camminando, o che forse corre, sul lato sinistro davanti ai suoi fari, sbuca di spalle nel fascio di luce, senza alcun minimo preavviso, in un posto proprio dove non c’è mai stato nessuno fino ad oggi, come una pennellata di semplice grigio, comunque qualcosa di una tonalità poco visibile, subito fuori dal parabrezza, vicinissima, quasi apparsa dal niente. Renato riesce a non prendere in pieno quel mucchio di stoffa sopra ad una vaga forma da uomo, e ne accarezza semplicemente con la carrozzeria forse il braccio, forse il fianco; ma anche quel poco che avviene è già sufficiente per sbattere violentemente quel cencio contro il muro vicino, quel qualcosa che non avrebbe proprio dovuto essere lì, senza tentare neppure il minimo accenno di una frenata che lasci una traccia sopra l’asfalto.
            Si sofferma un momento, si guarda insistentemente dietro le spalle, il piede sul freno, il rosso dei fanalini che non lascia vedere quasi un bel niente, poi Renato reinserisce la marcia e va via, il cuore che batte a velocità supersonica, le mani che tremano, la bocca già secca, la faccia piegata in una sola espressione. Guida lentamente, subito dopo, e quasi non ce la fa, intorno non si vede nessuno, alle sue spalle c’è soltanto il buio della notte, privo di qualsiasi riferimento. Non riesce a togliersi quella fisionomia dalla mente, quel guizzo veloce davanti ai suoi occhi, forse il contorno di un assurdo fantasma sbucato dal niente. Semmai una persona che in ogni caso non avrebbe dovuto trovarsi là fuori, e che se l’è proprio andata a cercare, probabilmente un qualsiasi sbandato, uno a cui non interessava neppure lasciarsi sbattere contro quel muro. O magari tutto quello era stato solo uno scherzo: uno spaventapasseri di stoffa messo al bordo di quella strada per impaurire qualche povero cristo di passaggio, un pezzo di cartone sagomato che con il vento poteva essersi mosso, come una qualsiasi bandiera. Certo, Renato avrebbe dovuto fermarsi, tornare indietro, rendersi conto perfettamente di quanto accaduto, ma adesso non c’era più il tempo, era già in ritardo per il suo lavoro, e poi cos’altro poteva mai essere quel fantoccio che non aveva neppure fatto rumore cadendo.
            La strada si immette in una via più transitata, ed altri veicoli adesso si incrociano tra loro, Renato non ha ancora perso del tutto quel tremore iniziale, però si è quasi convinto che in fondo non è successo quasi un bel niente, può comportarsi esattamente come un giorno qualunque, evitare assolutamente di accennare a quel manichino con anima viva, e in ogni caso, adesso, gli pare sempre possibile sostenere di essere passato per una strada diversa da quella buia e stretta che, ne è più che sicuro, non percorrerà per almeno un bel po’di tempo. La sua auto va avanti, non manca molto per arrivare al parcheggio davanti a dove lavora, così tenta di rilassarsi, di pensare a qualcosa che non sia quell’immagine sostanzialmente quasi indelebile che lo sta torturando. Si concentra su qualcos’altro, sul suo lavoro, poi compie le ultime manovre sopra al piazzale, e finalmente ferma la macchina spengendo il motore, proprio mentre un suo collega che è arrivato prima di lui gli si avvicina e attende soltanto che lui scenda dall’auto. Cosa è successo, Renato, gli fa, mentre continua ad osservare una larga striscia di sangue sulla fiancata.

            Bruno Magnolfi


giovedì 27 ottobre 2016

Liturgia decadente.

           

            Ancora bello quest’angolo; sopra al marciapiede, poco lontano dalla galleria d’arte, è sempre stato secondo il mio parere il luogo migliore. A me ci vuol poco per mettermi in postazione: apro le borse e metto giù i coperchi, i lamierini di metallo, i secchi di plastica, i barattoli di latta, senza dimenticare le fruste di bambù di ricambio, che devono stare sempre accanto al mio seggiolino, e poi via, che inizia immediatamente questo spettacolo di ritmo, dieci minuti sparati di percussioni a velocità stratosferica, senza mai tirare su neanche la testa, manco per vedere se qualcuno casomai stia mettendo dentro al cappello i suoi spiccioli.
            Ci sono stati giorni fantastici, certe volte, esattamente in questa postazione: anche cinquanta persone tutte assieme con gli occhi incollati sopra ai miei polsi, ad entusiasmarsi per questo ritmo vertiginoso e coinvolgente. Ci davo dentro in quei giorni, mi pareva che tutto il mondo intorno a me, almeno per quei dieci minuti, prendesse la velocità stessa delle mie bacchette, e tutto il resto invece fermo, dietro alle solite cose, alla monotonia che ammazza persino le idee. Mi sono messo in tasca dei bei soldi, in certe serate di quel periodo, proprio in questo angolo d’oro, ma soprattutto so di avere regalato a tutti i passanti un’emozione quasi da urlo.
            Adesso mi guardo attorno, con calma, stendo ancora le mie cose con grande professionalità, come sempre, e so perfettamente cosa stanno pensando le persone che in questo momento mi guardano, senza rallentare minimamente il loro passo. Non devo pensarci, continuo a ripetermi, devo solo sentire il tempo, il ritmo dentro di me che continua ad incalzare, che bussa, e fa di tutto per uscire con naturalezza dalle mie mani. Poi inizio, molti rallentano, altri si fermano, non è più esattamente come una volta, ma in ogni caso riesco sempre a fare la mia bella figura. Non so che cosa sia successo, forse non c’è più nell’aria la novità di una volta, forse tutti quanti si sono ormai abituati; io ho cercato anche di variare i miei oggetti sparsi per terra, ma non è servito a molto.
            Così adesso mi pare di ripetere una liturgia mandata ormai a memoria, che non ha quasi più senso, sicuramente non per chi è ancora qui ad ascoltarla, ma sinceramente neanche per me. Eppure non riesco a schiodarmi da questo proseguire imperterrito, mi pare che si dovrebbe almeno comprendere  tutto il tempo e lo sforzo che ho impiegato per mettere assieme questa piccola cosa. Già, perché è una piccola cosa, ne sono cosciente; però, come hanno detto in tanti che mi hanno ascoltato qualche volta, anche dimostrazione chiara di un certo, inequivocabile talento.
            Non voglio pensare di avere diritto a qualcosa di più di quanto ho già ricevuto, però sono sicuro che qualcuno si sarebbe potuto interessare un po' più di me, delle mie capacità, e magari offrirmi una buona occasione per togliermi da questi anonimi marciapiedi. Ma adesso, quando la gente mi ascolta, sembra quasi che tutto riproponga un semplice gioco, un trastullo che forse potrebbe fare chiunque, sarebbe sufficiente, come pensano in molti, mettere insieme un certo esercizio, un minimo di fantasia, e anche qualche buona idea generale.
            Per me invece non è proprio così; e non è stato così fin da quando ho iniziato. Sfido chiunque a combinare qualcosa come questo mio ritmo tenuto sopra gli oggetti presi direttamente dai cassonetti della spazzatura; c’è anche poesia in queste mie mani, ed è assommata alla nevrosi dell’oggi, al ritmo frenetico con cui tutte le cose ci passano vicino. Ma ormai sento dentro me stesso di aver perso l’entusiasmo di quei primi tempi lontani, così dovrò per forza smettere un giorno di questi, anche per onestà verso tutti. Chissà mai se qualcuno, magari fra qualche tempo, avrà voglia di ricordare davvero fino dove, almeno qualche volta, ero quasi riuscito a innalzarmi.


            Bruno Magnolfi 

martedì 25 ottobre 2016

Disarticolato entusiasmo.

          

            Senza neanche concedere molto più di una semplice occhiata all’ostacolo, lui riesce, tenendo i piedi saldamente uniti tra loro, a saltare il muretto che circonda il piccolo spiazzo di ghiaia subito sotto l'appartamento dei suoi genitori, grazie naturalmente alla potente rincorsa che prende ogni volta; e poi ogni giorno, quando esce da casa sempre correndo, prosegue avanti senza alcuna incertezza, come per lasciarsi rapidamente alle spalle sia il gruppo dei palazzi grigio cemento, che tutto quel quartiere così periferico, sentendosi ormai pronto per un altrove diverso e migliore, anche se purtroppo non è ancora riuscito a focalizzarlo. Per esempio, vorrebbe avere imparato a suonare bene uno strumento musicale, durante quei suoi quindici anni, ed essere riuscito a formare uno dei tanti gruppi che fioriscono continuamente da quelle parti; però gli piacerebbe anche essere riuscito almeno a brillare in quella scuola che al contrario lo ha messo quasi in disparte; o forse sarebbe stato bello se magari fosse stato capace di farsi valere in una disciplina sportiva qualsiasi. Ma non è stato in grado fino ad oggi di fare niente del genere, quel ragazzo con la felpa verde, e così adesso non gli rimane dentro di sé che quella formidabile voglia di andarsene via, senza neppure sapere verso dove, o per fare che cosa. Corre, quasi sempre, magro e allampanato com'è, e saluta chi lo conosce senza fermarsi un momento, quasi non avesse mai il tempo per una parola, o per una riflessione pacata con qualcuno. Certe volte arriva fino ad uno spiazzo di erbacce in fondo alle case, un posto dove non ci va mai nessuno, e allora si siede sopra una pietra squadrata, e poi se ne sta lì, da solo, a riflettere sulle possibili decisioni da prendere.
            Questo ragazzo non ha amici veri, è giusto essere chiari, solo tantissimi conoscenti, ed è per questo che ha imparato a tenersi per sé tutto ciò che riesce a pensare. Però, qualche tempo fa, ha scritto una lettera, un semplice foglio di carta con le parole piccole e fitte, qualcosa che gli è uscito da dentro come un elemento estremamente importante, tanto che è riuscito a girare con la busta dentro una tasca per un tempo quasi infinito, fino a quando l’ha lasciata per terra, in un posto qualsiasi, senza la firma e senza avere il coraggio di riuscire davvero a spedirla a qualcuno. Lì dentro diceva in modo sintetico quali erano tutti i suoi sogni, le sue idee più nascoste, ma anche la sua voglia di correre, di andarsene lontano da dove ha sempre abitato, chissà poi in quale altro posto, comunque senza alcun freno. Infine è giunto il giorno del suo sedicesimo compleanno, un giorno qualunque, privo di qualsiasi particolare, forse solo il momento della consapevolezza che il tempo in qualsiasi caso riesce comunque a trascorrere sopra la testa di tutti, senza poterne sfuggire. Così ha girato in lungo e in largo per il quartiere, ha fatto poi tutte le corse possibili, fino a ritrovarsi sfinito, poi ha saltato per l’ultima volta il muretto, e a quel punto si è incamminato coscientemente verso la stazione dei treni, per salire con rapidità sul primo che avesse trovato in partenza. 
Una signora nello scompartimento gli ha parlato di tutte le cose che aveva voglia di dire, e lui è stato a lungo comunque ad ascoltarla, con l'espressione anche seria ed interessata, fino a quando lei ha preso la borsa, ha lasciato in aria un saluto e un augurio, ed è scesa. Non c'è niente di male, ha riflettuto il ragazzo; però quando ha notato nel corridoio il controllore dei biglietti, è sceso anche lui. Se chiedo a tutti, qualcosa riuscirò a combinare: e così è stato, e si è ritrovato a scaricare delle casse da un camion per qualche soldo e altrettante promesse. Se l’è cavata, in qualche maniera, giorno per giorno e caparbiamente, ed è riuscito a tenere dritta la barra, come si dice, anche se poi a un certo punto ha compreso che le cose sono più complicate dell’entusiasmo che ciascuno può avere dentro di sé.


Bruno Magnolfi

giovedì 20 ottobre 2016

Intuito latente.



Spesso cammino per la strada senza neanche avere in mente una meta precisa, e certe volte, neppure immaginando come sia minimamente possibile, riesco ad intuire quasi perfettamente cosa accadrà di lì a poco. Giro ad un angolo, e ancora prima di farlo vedo davanti a me la faccia e l'espressione di chi mi sta per venire incontro; oppure riesco a sapere nel dettaglio come sia allestita la vetrina di un negozio davanti alla quale non sono ancora arrivato; altrimenti sono capace di vedere ed indicare con esattezza quali automobili siano parcheggiate lungo una via che devo ancora percorrere. In certe occasioni, ad evitare imbarazzanti fissazioni su queste piccole e automatiche attività del mio cervello, tento di assumere un certo disinteresse per queste mie doti così descritte, fingendo perciò una naturalezza che purtroppo in genere non ho quasi mai avuto nella mia vita, sforzandomi comunque di allontanare da me qualsiasi pensiero divergente dalla pura normalità.
Poi mi fermo sul marciapiede, mi guardo attorno senza troppo interesse da quanto sono qui circondato, ed infine con decisione vado a spalancare con la mano un portoncino proprio accanto alla mia posizione, rimasto inspiegabilmente socchiuso. Non so bene che cosa mi spinga a far questo, però una forza superiore sembra attirarmi all’interno e poi su per le scale, fino a farmi giungere sul pianerottolo di quell’ordinario piano secondo, dove un uomo mi apre il suo appartamento come se già fosse in mia attesa. Entro, dopo aver scambiato con lui un piccolo gesto di ordinario saluto, e intanto elaboro involontariamente dentro di me alcuni pensieri di annunciazione, immagini nitide zeppe di innumerevoli fogli bianchi, di carta preziosa e immacolata ordinata in tanti quaderni rilegati e messi insieme con le presse e con i telai con cui vengono lavorati proprio là dentro. L'uomo, senza neppure parlare, mi porta subito in una stanza composta da parecchi scaffali ordinati, con sopra i quaderni già pronti, ben allineati ed in vista, ed io, di fronte all’offerta, ne scelgo uno tra quelli più piccoli e semplici, lo ringrazio per quanto mi sta mettendo a disposizione, ed infine con un sorriso mi siedo ad un tavolino, prendendo una matita per scrivere, come dovessi appuntare qualcosa. La prima pagina completamente bianca sembra volermi far desistere da qualsiasi volontà, ma se osservo meglio la carta, vedo subito come davanti a me quel foglio sia già pieno di molte parole, le stesse che obbligatoriamente dovrò scrivere io, una serie di frasi che adesso posso soltanto copiare, diligentemente.
Infine mi alzo, saluto il buon uomo, esco da quel laboratorio e torno sulla mia strada, col quaderno che mi è stato donato, ben saldo sotto al mio braccio. Qualcuno di lì a poco tenterà di sottrarmelo, ne vedo chiaramente l’azione, ma io non so se potrò mai evitare quel furto, oppure se devo lasciare che tutto si concluda, come un destino assolutamente previsto ed inarrestabile. Mi fermo, apro il quaderno, e nelle ultime righe dell’unica pagina scritta, si dice che tutto deve ancora compiersi, anche ciò che apparirà negativo. Così mi fermo, aspetto di essere raggiunto dal ladro, ed intanto, quasi sovrappensiero, mi siedo con semplicità al bordo del marciapiede. Una persona mi passa accanto senza neppure notarmi, io non mi muovo, lui non mi vede, così tira dritto, ed io dopo un momento, mi alzo e me ne vado da lì, velocemente, quasi correndo. Quando poco dopo ritrovo la calma, mi siedo ad un tavolino di un caffè senza pretese, apro il quaderno e scopro che la pagina dove avevo scritto qualcosa non c’è, tutto è sparito, le mie parole si sono volatilizzate, ed il quaderno è tornato ad essere completamente immacolato.
Così torno indietro, ritrovo il portoncino di prima che adesso è ben chiuso, e proprio mentre sto lì vicino, riapro il quaderno, scoprendo che sono tornate ad esserci scritte delle parole addirittura diverse da prima, che dicono delle cose di tutt’altro tipo, come fosse un oggetto del tutto magico e autonomo. Si spiega là sopra come in questo momento sia auspicabile per me evitare gli incroci, ma io indifferente riprendo il mio solito camminare senza una direzione precisa, e quando infine vorrei attraversare la strada, all’improvviso mi fermo: ho un’intuizione, secondo la quale è meglio se evito quell’azione precisa, perché sento dentro di me il rischio evidente di ritrovarmi sotto alle ruote di un’automobile rossa, il cui autista è sicuramente distratto in questo momento.


Bruno Magnolfi   

martedì 18 ottobre 2016

Debole teatralità.


Tutto inutile, dice lei a voce alta, scuotendo lievemente la testa, mentre rimane ferma da sola davanti alla vetrina di un negozio di abbigliamento del centro commerciale. Qualcuno la guarda, altri pensano che stia forse parlando ad un cellulare nascosto, munito di auricolari; ma sia gli uni che gli altri in fondo non hanno altro interesse verso di lei oltre quell’occhiata che le regalano, colma soprattutto di scostamento e di indifferenza. Invece, dentro al negozio scintillante e illuminato oltre misura in ogni suo angolo, con le porte automatiche interamente spalancate per mostrarsi più accessibile, qualcuno le risponde usando il suo medesimo tono, dicendo senza mezzi termini che non è assolutamente vero, e che al contrario si deve pur credere in qualcosa oggigiorno, aggiungendo infine che i cambiamenti importanti se si sta attenti sono già in atto, e che negare l’evidenza è un fatto psicologico, più che sociale.
Un paio di persone si fermano, altri pur continuando a camminare lentamente restano per un attimo come sospesi, quasi in attesa, curiosi di quel dialogo almeno in apparenza completamente assurdo. Il commesso che ha appena parlato in quel momento, riprende a sistemare con impegno il manichino dentro la vetrina, la donna invece lo guarda, cercando le parole per una replica che almeno abbia senso e fermezza, ma che forse non riesce subito a trovare. Non si sposta, comunque, rimane immobile con caparbietà, e dalla sua postazione di eventuale acquirente, dice alla fine che non sarà certo quello il modo di rendere le cose minimamente migliori. Lui allora la guarda per un attimo; ognuno deve fare la sua parte, replica, e poi con stizza prende i due o tre capi di vestiario che gli sono rimasti tra le mani, e quindi rientra dentro, sparendo rapidamente nel retro.
Lei riflette: non credo che acquisterò mai niente dentro ad un negozio di questo genere; ma subito dopo guarda meglio quanto è stato esposto, e nota una lunga sciarpa morbida in una tinta unita che in fondo le potrebbe anche piacere. Così entra, quasi per una specie di estrema sfida, e si fa prendere quel capo esposto dentro la vetrina da una ragazza sorridente, anche lei impiegata al punto vendita. Torna dopo un attimo il commesso di poco prima, e la trova mentre sta soppesando la stoffa della sciarpa, valutandone anche il prezzo. Da fuori qualcuno osserva, forse in attesa di un nuovo battibecco. Se mi piace, dice lei senza riferirsi a nessuno in particolare, è soltanto un fatto personale, perché secondo me non serve assolutamente edulcorare le cose fino al punto di farle divenire praticamente false.  Ciò non toglie che un qualsiasi individuo possa conservare un proprio spiccato gusto per le cose, aggiunge subito.
Il commesso sembra non avere proprio alcuna voglia di replicare a queste parole, anche se prosegue a sistemare i manichini della vetrina, proprio davanti a lei, lasciando che la donna si formi un’idea precisa per conto proprio. L'apparenza non ha interesse per i superficiali finti, dice lui senza guardarla. Ma è la sostanza che conta, interviene subito lei. Qualcuno sorride davanti ai vetri, mentre loro due adesso si guardano, ed è lei che dopo un attimo gli allunga una mano chiudendo nell'altra la sua sciarpa; lui svelto la stringe con decisione, in segno di saluto e anche di rispetto per la sua opinione differente: la gente fuori applaude debolmente, chissà mai per che cosa, visto che probabilmente non ha davvero neppure compreso tutto quanto.


Bruno Magnolfi

venerdì 14 ottobre 2016

Per il futuro.

            
            Non ha molta importanza, dicono tutti. Eppure per lui le cose stanno in altro modo. Se per esempio resta fermo ad ammirare il tratto di strada che riesce a scrutare dalla sua finestra, spesso gli pare che tutto il mondo sia soltanto quello che rimane compreso al di là da quel suo vetro, in quella esatta visuale, come se della realtà fosse l’unico campione, valido proporzionalmente forse anche per ciò che da quel davanzale non è proprio possibile vedere. Certe volte si sforza persino di seguire qualche semplice passante dall’andatura furtiva, fino ad arrivare ai limiti estremi di quel suo campo visivo, sporgendosi col busto quanto può; ma quando infine è costretto ad abbandonare l’avvistamento per puro impedimento fisico, ciò che stava osservando in quel momento è come se nella sua mente si disintegrasse, divenisse inutile, sparisse completamente dalla scena, fino a sortire ora e per sempre dal piano di qualsiasi curiosità possa mai avere provato verso quel soggetto.
            Dicono in molti di quel quartiere che sia soltanto un’accozzaglia di palazzi del tutto anonimi, senza riportare caratteristiche di nota, ma a lui spesso sembra il contrario, proprio perché zona popolosa, caotica, zeppa di gente, e quando lungo la strada riesce a vedere delle persone che si fermano a parlare tra di loro, immagina subito che qualcosa di importante stia per accadere, e che si stiano preparando degli avvenimenti dei quali è bene essere almeno in qualche modo consapevoli. Non sono un semplice catastrofista, dice a volte tra sé con naturalezza; però neppure uno a cui si possono tenere nascoste certe trame sotterranee. Lo so che queste strade sono una fucina di idee e di propositi, lo vedo con chiarezza dal mio privilegiato punto di osservazione, si tratta di saper interpretare bene i segni, ed osservare sempre tutto quanto dalla giusta angolazione, in modo da comprendere subito quanto presumibilmente stia per accadere.
Infine, quando comprende che l'osservazione del mondo da una semplice finestra è un'attività che non gli appare più assolutamente sufficiente, indossa la sua giacca sulle spalle ed esce dall'appartamento. Nel quartiere lo conoscono, qualcuno timidamente lo saluta, lui invece tira diritto, vuol capire subito quale siano le novità che sembrano serpeggiare adesso. Un vicino lo ferma, gli dice subito che le scelte delle prossime ore probabilmente saranno decisive, e nonostante sorrida mentre parla in questo modo, si capisce immediatamente quanto le sue parole siano gravi e soprattutto serie. Lui lo guarda un attimo, lo ringrazia per l’informazione, poi va ancora avanti.
Ci saranno da prendere delle importanti decisioni, pensa con estrema convinzione; non è più questo il tempo degli indugi e della tolleranza sugli aspetti che spesso si presentano. La realtà delle cose è in via di veloce modificazione, e tutti i cambiamenti da proporre d’ora in poi andranno riflettuti, discussi, e anche approvati da una solida maggioranza di individui degni di rappresentare tutti gli altri. Poi si siede sulla sua solita panchina, con lo stesso atteggiamento che tiene quasi sempre, all’apparenza poco interessato a tutto, ma di fatto restando ben attento a cogliere qualsiasi segnale che meriti importanza. La realtà che scorre va assolutamente registrata, monitorata, interpretata, perché ormai è solo una sintesi ben fatta che ha importanza sopra tutto.
Quando infine rientra nelle sue stanze, si sente pienamente soddisfatto: proprio come già pensavo, sussurra tra sé con un sorriso; adesso conosco con sufficiente precisione le pulsioni vere dell’attimo presente. Sono pronto, dice ancora: il prossimo futuro ormai è qui.


Bruno Magnolfi

martedì 11 ottobre 2016

Meno del necessario.

            
            Lo confesso: generalmente vorrei sentirmi maggiormente soddisfatta di me, e quando ci rifletto proprio sul serio lo vorrei essere almeno nei confronti di quel poco che sono riuscita con fatica a mettere insieme fino adesso. Invece quasi sempre mi devo limitare a campare alla giornata, senza grandi speranze o desideri che superino un lasso di tempo più ampio del semplice immediato, rallegrandomi soltanto di quelle piccole azioni quotidiane che appaiono positive forse solo a me, anche se penso che prima o poi anche qualcun altro in fondo se ne potrebbe accorgere, per poi in qualche modo compiacersene. Comunque non mi sento particolarmente delusa di qualcosa di preciso, di questo ne ho certezza, e quindi non riesco a prendermela con qualche aspetto negativo preciso, o con qualche piccolo errore ormai riconosciuto; e in ogni caso spesso mi ritrovo ad essere soltanto vagamente amareggiata da quasi tutto ciò che mi circonda.
Quando esco di casa, come spesso mi capita, per andare a curiosare in qualche negozio della zona, generalmente mi chiedo magari quali siano quei criteri per cui dovrei acquistare certi prodotti tanto pubblicizzati, che invece non mi attirano assolutamente; oppure che cosa si trovi mai di interessante in quegli articoli che con ogni evidenza sembrano fatti apposta solo per far intascare qualche soldo in più a certi commercianti sempre sorridenti, finti e inaccettabili persino come individui; e così tengo spesso un profilo severo e distaccato, fino a mettere in campo ogni tanto qualche osservazione sottovoce magari un po’ troppo sarcastica, lo riconosco, specialmente in certi casi. In tutto questo non mi interessa neanche troppo ciò che gli altri riescono a pensare dei miei comportamenti, in quanto mi è sufficiente non diventare mai, in nessun caso, lo zimbello di qualcuno, o cadere preda di qualche finta campagna promozionale di una marca poco seria.
La mia amica ogni tanto mi accompagna nei miei giri: sostiene che a volte effettivamente io riesco ad apparire un pochino troppo acida, quasi una persona che normalmente se la prende un po’ con tutti, forse magari per sfogare qualche delusione del passato, oppure per nascondere i pensieri espliciti che secondo lei non riesco mai a tirare fuori fino in fondo, anche se io so che molto probabilmente neppure la mia amica pensa davvero quanto cerca di sostenere, tentando solamente in questo modo di darmi degli stimoli che mi tornino d’aiuto.
Poi ci mettiamo sedute davanti ad una tazza di tisana fumante, e lei mi dice: sciogliti, qualche volta, non stare così ritirata dentro al tuo guscio, ed io sorrido, perché è proprio ascoltando queste cose che riesco ad essere ancora più riservata del mio solito. Poi usciamo, ma quando ci diciamo le ultime cose prima di salutarci mi capita spesso che vorrei quasi mettermi a piangere, proprio come una bambina, se solo mi lasciassi davvero andare. Mi sento sola, in certi casi, proprio d’improvviso: questa è la pressante verità, ed è forse tutto ciò che più mi pesa. Poi però riesco a riflettere che i miei percorsi partono sempre e soltanto da me stessa per snodarsi e infine ritornare indietro, da dove sono partiti, e che il mio piangermi addosso non è assolutamente un bel segnale. Così torno a chiudermi, per poi tornare ad osservare le vetrine, giusto per rendermi conto che non comprerei mai niente di tutto ciò che vedo: è tutto assurdo, penso, ed i rapporti con le persone la maggior parte delle volte sono falsi, privi di qualsiasi umanità; tanto vale farne a meno.


Bruno Magnolfi

giovedì 6 ottobre 2016

Tutto qui.

           

            Con voce bassa, dopo averla osservata soltanto un attimo, lui dice subito che secondo il suo parere le cose in questo modo non stanno proprio andando nella maniera giusta, e che tra loro due probabilmente ci sarà bisogno al più presto di una riflessione seria ed il più possibile accurata, ancora prima di prendere qualche decisione importante, del tipo che in seguito potrebbe anche procurare ad ognuno un forte dispiacere. Non mi piace, aggiunge lui, che tu certe volte quasi mi eviti, oltretutto quando in corsia ci ritroviamo anche vicini. In fondo al lungo corridoio, nel piccolo pianerottolo proprio davanti alla finestra, loro due rimangono seduti come se fossero in una qualsiasi sala d'attesa, esattamente uno di fronte all'altra, senza mostrare, almeno in questo momento, alcuna fretta, anche se si sentono indubbiamente un po’ nervosi, sia per la loro situazione, sia per quanto si sono appena detti.
            Non hai capito quasi niente di me, sbotta lei d’improvviso; io vorrei soltanto restare in silenzio davanti ad un tramonto, per esempio; oppure andare a rivedere alcuni luoghi a cui mi sento legata: cose del genere, emozioni semplici magari da condividere in due. Poi restano in silenzio, lui osserva qualcosa sul muro che probabilmente non saprebbe neppure descrivere, e lei gli guarda le mani che paiono in questo momento muoversi leggermente, come animate da uno spirito proprio ed autonomo. Mi dispiace; certe volte vorrei proprio essere lontano da qui, dice lui; e sicuramente distante anche da questo miei modi nervosi, non fosse altro almeno per dimenticarmi di tutte le inutili idee che sono stato capace di avere fino adesso, compresa anche la coerenza che me le ha fatte tenere strette a me, anche durante tutto questo periodo così particolare.
Che cosa vuoi dire, fa lei, forse che saresti persino disposto a sganciare la zavorra e cercare di cambiare, se solo io ti stessi maggiormente vicina? Certo, fa lui, e se sono arrivato a dire tutto questo, ciò significa che le variazioni auspicate dentro di me sono già in atto, e che probabilmente ogni cosa si completerà in un breve lasso di tempo. Si certo, ma se dobbiamo rinviare tutto ad un periodo nebuloso che deve ancora arrivare, lo interrompe lei, con tutto l'ottimismo e la fiducia che ancora riesco ad avere, mi pare che non ci sia ancora molto da dirsi, se non rimandare tutto quanto proprio a quel momento, a quando ti sentirai davvero pronto, insomma; al contrario, a me interessa il presente, ciò che posso fare e su cui posso contare fin da adesso, senza alcuna attesa.
Va bene, fa lui, allora muoviamoci da qui e andiamo insieme da qualche parte, in modo che possa dimostrarti come le cose possono essere diverse da come adesso te le immagini. Così effettivamente si alzano, percorrono diversi corridoi, e dopo alcune rampe di scale della grande clinica ospedaliera, si ritrovano sul retro dell’edificio, senza peraltro avere incontrato nessuno. Hanno ancora il camice bianco, di fatto sono in servizio, ma senza preoccuparsene troppo raggiungono frettolosamente l’auto di lui al parcheggio dei dipendenti, ed una volta seduti, immediatamente si allontanano. Portami da qualche parte dove almeno possa baciarti, fa lei sottovoce, con un grande sorriso: adesso ne provo una voglia indicibile. Certo, fa lui, mentre con la mano sinistra cerca di spengere il cellulare che ha nella tasca, sia per evitare chiamate di servizio, che per non dover rispondere eventualmente a sua moglie, sempre pronta a telefonargli nei momenti meno opportuni. Lei al contrario appare più tranquilla: suo marito non la cerca mai, ed anche se è lei generalmente a chiamarlo, la maggior parte delle volte lui neppure le risponde.
Arriviamo almeno fino al fiume, dice lei. D'accordo fa lui, che intanto però pensa soltanto a come evitare il traffico lungo quei viali che stanno percorrendo.


Bruno Magnolfi