giovedì 29 ottobre 2020

Merito particolare.

 

          

           

            Senza capirne del tutto il motivo, lei si ritrova spesso a pensare di essere diversa da tutti, tanto che per esempio quando sale sulla corriera che dal paese le permette di raggiungere il suo posto di lavoro presso una piccola fabbrica artigianale di bigiotteria nella fascia periferica della città, sa già con certezza che qualcuno presente là sopra la sta osservando da subito con un moto quasi di collera nei suoi confronti, anche se probabilmente il soggetto in questione non ha neppure mai parlato con lei, come se la sua sola presenza sul mezzo pubblico fosse capace persino di scuotere l’animo di un qualunque estraneo in questa maniera così negativa. I suoi modi di fare usuali, a suo parere ed ogni volta che cerca di fare una semplice autocritica, sono sempre stati pacati, silenziosi, oltremodo pazienti in ogni situazione, eppure per qualche strano motivo generano comunque, in molte tra le persone che incontra, dei sentimenti di valore completamente opposto a quelli che cerca di mostrare lei. Sul lavoro è tranquilla, svolge le sue mansioni di pulizia finale dei pezzi già completati in perfetto silenzio e quasi in completa solitudine, ma quando per qualche motivo si deve rivolgere ad un collega oppure ad un fornitore di materie prime, in quel momento riceve esattamente solo risposte seccate, mezze parole colme d’ira, espressioni di sprezzo anche soltanto per quello che sta facendo in quel preciso momento.

            Con gli anni il comportamento consueto di tutti l’ha portata sempre di più a rinchiudersi dentro se stessa, a tenere quasi sempre uno sguardo il più basso possibile, a cambiare difficilmente la propria espressione tormentata, e soprattutto a non ridere mai, ma questo comportamento non è riuscito per nulla a cambiare le cose. Abita con i genitori oramai anziani, che fin da quando era una bambina, ma soprattutto in seguito, non si sono mai resi conto del tutto di quel suo problema, anche se sono sempre stati perfettamente a conoscenza di quanto non le sia mai stato possibile socializzare con le altre persone, in considerazione anche del fatto che hanno sempre cercato di darne la colpa semplicemente al suo carattere chiuso, ai suoi modi introversi, al bisogno manifesto che lei ha sempre espresso anche con loro, di starsene il più possibile sola. Col tempo sia la consapevolezza della propria diversità, che la sua conseguente sofferenza, l’hanno costretta a spazi sempre minori di libertà, fino ad evitare persino di uscire da casa se non per andare a lavorare con la corriera, e a trascorrere le giornate festive anche di bel tempo in una completa solitudine nel piccolo chiostro di famiglia dietro la sua abitazione.         

            Adesso poi che non è più una semplice ragazza, non si aspetta certo molto altro dal suo futuro, ed in fondo, anche se è bravissima nel semplice uso delle proprie mani, non ha un grande concetto di sé, esclusa la cura che impiega nel coltivare delle minute piantine in piccoli vasi, nel vederle crescere lentamente ed in piena salute, e nel provare la grande gioia, quando capita, di assisterne lo sboccio dei fiori. Per il resto cerca di essere di normale supporto ai suoi genitori, ogni giorno più in difficoltà, e lascia che le abitudini si mostrino come sempre ogni nuovo giorno che giunge. Non si ribella, non lo ha mai fatto, però ha piena coscienza di essere una persona particolare, uno spirito estremo forse, una donna incapace di mostrarsi diversa, persino qualche volta, rispetto all’immagine che tutti gli altri poco per volta le hanno cucito addosso. Tira avanti, nient’altro, e l’amarezza di fondo che offusca il suo tempo è qualcosa che non percepisce come la coltivazione costante di una colpa personale; ma sa per certo di averla meritata comunque.

 

            Bruno Magnolfi

mercoledì 28 ottobre 2020

Tirannia della quotidianità.

            

 

            Ho fatto un elenco dettagliato di tutti i miei impegni, e li ho messi poi in fila con grande  precisione; ma adesso che li posso osservare con calma non ne sono molto contento. Mi paiono di un numero esorbitante, una serie infinita di piccole e stupide cose, certe volte persino in contraddizione tra di loro per natura o per scopo, tanto che in questo momento mi sento portato quasi ad ignorarle completamente. Forse è proprio questo inconsciamente a cui aspiro: essere a conoscenza di tutti questi impicci a cui dovrei proprio far fronte, per provare poi il gusto sottile di evitarli uno per uno. Già, perché continuo a darmi delle giustificazioni per non fare una cosa oppure quell'altra: dimenticarmi di un appuntamento, o magari anche di una scadenza, evitare di tagliare la barba per più giorni, oppure persino tralasciare di riempire il mio frigorifero di generi alimentari, ed in questa maniera, quando questo succede, mi viene spesso di tirare un sospiro di sollievo, come se una forza estranea a me stesso, oppure il semplice caso, dico io, fosse stato capace di  alleggerirmi di qualcuno tra tutti i miei compiti. E’ inevitabile sentirsi stufi di tutte queste cose da fare, credo, così aspiro continuamente a disinteressarmi di qualsiasi faccenda, tanto che alla fine vengo considerato, da chi mi conosce,  un tipo lunatico con il difetto della sbadataggine, e proprio per questo forse lasciato in disparte il più delle volte.

            Però non mi interessa, formulo a voce alta; tiro avanti come ho fatto sempre, ed anche se mi ritrovo un po’ troppo spesso da solo, giro per il mio quartiere quasi senza avere una meta, lasciandomi prendere praticamente ogni giorno da quanto maggiormente mi va sul momento. Così certe volte mi ritrovo a curiosare presso alcuni rigattieri che accumulano nei loro bugigattoli un sacco di cianfrusaglie per lo più inutili o inservibili, ma per me assolutamente affascinanti. Confronto i tanti soprammobili, le lampade da tavolo, gli orologi ormai fermi da appendere alle pareti, le piccole specchiere da camera, ed anche se alla fine non compro quasi mai nulla quando vado a girellare là in mezzo, però mi perdo volentieri dietro al pensiero di un’oggettistica inutile, e certe volte anche assurda. E’ la mia personalità che mi porta ad essere in questa maniera, almeno credo, ed io non mi sento certo nella condizione di oppormi alla mia natura.

            Perciò quando un vicino di casa che conosco da sempre suona il mio campanello per avvertirmi di avere ereditato da poco un piccolo baule in legno pieno di vecchi libri che non sa neppure valutare, io mi precipito nel suo appartamento, e comprendendo immediatamente la preziosità di quella roba, gli offro subito una certa somma per acquistarla e portarmela a casa. Lui naturalmente vuole ancora più soldi, così andiamo avanti a discutere per una buona mezz’ora, ma alla fine accettiamo ambedue un compromesso, e lui mi aiuta volentieri a trasportare il piccolo baule nelle mie stanze. Quando infine chiudo la porta dietro le sue spalle, sento di essere almeno per un momento una persona felice: non mi interessa più niente di prepararmi il pranzo, riordinare la casa, oppure cambiarmi d’abito: voglio soltanto star qui su una sedia a leggiucchiare questi testi polverosi e ingialliti, assaporando tutto il gusto di qualcosa che difficilmente, se non ci fosse stata questa strana combinazione, avrei mai potuto avere tra le mie mani. Sono libri, annuisco tra me; piccoli e vecchi condensati di una grande cultura, credo; nomi di scrittori ormai tutti spariti, però sicuramente importantissimi, e soprattutto elementi imparagonabili al vuoto di queste giornate composte soltanto da obblighi e da impegni, soggette soltanto alla tirannia delle cose da fare per forza.

 

            Bruno Magnolfi 

         

        

lunedì 26 ottobre 2020

Dignità per ogni giornata.

            

 

            Nonostante tutto il suo impegno le cose sembrano ultimamente non andarle mai troppo bene. Lei svolge i suoi compiti come sempre, si alza molto presto al mattino, giunge al palazzo degli uffici dove svolge il suo ruolo ancora prima del responsabile, quella guardia privata che disattiva gli allarmi e fa entrare all’interno dell’edificio sia lei che i suoi colleghi, per lasciar loro eseguire come ogni giorno i compiti ordinari di pulizia e sanificazione di tutti i locali. Attendono così, davanti ad un’entrata secondaria, che vengono accese le luci, che si attivino gli ascensori, che tutti i corridoi siano perfettamente percorribili e le porte tagliafuoco disinserite, e poi ognuno di loro raggiunge il piano a cui è addetto, iniziando quindi il proprio lavoro recuperando dai vari ripostigli il carrello e tutto l'occorrente di cui hanno necessità per portare avanti le cose. C'è appena il tempo, prima di entrare, per scambiarsi giusto un saluto o di fare una battuta sul tempo e sulla giornata, a volte fredda, o piovosa, poco promettente, magari afosa, troppo secca o fastidiosa che sia. Poi si va avanti, l’impresa di cui loro fanno parte assicura quel tipo di servizi ad una grande quantità di edifici nella loro città, e tutti gli addetti devono cercare di dare il meglio di sé, senza alcun dubbio. “Inutile proseguire a dannarsi l’anima; siamo un popolo minore”, ha detto un suo collega stamani, e a lei non è piaciuto affatto questo apprezzamento; “siamo dei lavoratori come tutti gli altri”, gli ha risposto piano ma con fermezza, poi non c’è stato più tempo per spiegare altre cose, anche se lei ne avrebbe avuta la voglia. Le montano i nervi quando qualcuno sembra come abbandonarsi agli eventi senza combattere. Si sente orgogliosa di quello che fa, e non le piace neppure spiegarne il motivo.

            Ultimamente però lei si sente più suscettibile che nel passato: sbotta per niente, e certe volte le monta la rabbia persino per delle sciocchezze. In fondo cosa le importa di quello che pensano i suoi colleghi: il lavoro che portano avanti rimane comunque sempre il medesimo, spesso di una monotonia quasi estenuante, e la differenza di un giorno piuttosto che un altro, è tutta giocata semplicemente su qualche superficiale sciocchezza. Più tardi giungono gli impiegati che lavorano in quell’edificio, e tutta la squadra degli inservienti di cui lei fa parte si ritrova a quel punto al piano interrato, a sistemare bene gli utensili, a lavare le spugne e i lavapavimenti che devono usare anche nei giorni seguenti, e radunare tutti i sacchi riempiti con le cartacce ed i piccoli rifiuti d’ufficio, che poi saranno portati all’esterno per lo smaltimento con un furgoncino, compito specifico di un loro collega addetto a quel compito. Lei toglie i guanti e il grembiule, appena giunta nello spogliatoio; poi recupera i propri indumenti, la borsa, si pettina davanti a uno specchio, poi si avvia alla fermata del bus. Questa è la sua vita, questi i suoi compiti, forse modesti, ma per lei va tutto bene così, non chiede nient’altro, ed anche se forse non è pienamente soddisfatta, però tira avanti con energia, con fermezza, credendo in quello che fa. Soltanto quando qualcuno le dice che le persone come lei sono quelle che prima o dopo si sono dovute accontentare di quello che hanno, allora storce la bocca in un’espressione di profonda amarezza. “Non ci sono mestieri più umili di altri”, dice in quei casi calcando bene le sue parole. “Ognuno ha la propria dignità; e se qualcuno per caso cerca di denigrare persino il proprio lavoro, vuol dire che è il primo tra tutti a non esserne degno”.

 

            Bruno Magnolfi  

            

      

domenica 25 ottobre 2020

Inutili tentativi.


 

            "Mi sento confuso", le fo sottovoce senza guardarla, tanto per prendere tempo. "In questo momento non saprei neppure prendere le più piccole decisioni". Continuiamo a muoverci in macchina lungo certe strade secondarie fuori città, e intanto, mentre guardiamo l'asfalto davanti a noi, cerchiamo di parlare a ruota libera intorno a tutti gli argomenti che ci vengono a mente, anche se personalmente proseguo ad evitare di buttare là delle affermazioni avventate che non sono del tutto sicuro in seguito di poter mantenere come vere. Lei guida la sua auto con calma, ed osserva con attenzione ogni particolare delle case coloniche e della vegetazione che ci sfilano accanto, alla pari di come si sta mostrando estremamente interessata sia ad ogni parola che dico, sia alla maniera con cui dico le cose. "Potremmo fermarci a bere qualcosa lungo il prossimo paese", le fo tanto per alleggerire, e lei per un po' non risponde, quasi riflettesse sulla decisione migliore da prendere. "Va bene", afferma alla fine con un certo sussiego; perciò, senza neppure dire altro, rallentiamo lungo un centro abitato, alla ricerca del luogo più giusto per fare quello che abbiamo deciso, ed alla fine arrestiamo la macchina.

            Su un tavolino all'aperto di un locale alla buona ci lasciamo servire un panino imbottito tagliato in due parti, e naturalmente anche una birra ciascuno. "Penso che oramai si debba prendere una decisione", dice lei senza guardarmi, come fosse assorbita da ben altre cose. Lo so, lo sento, che lentamente stiamo arrivando al punto essenziale della giornata, così cerco di essere divertente toccandomi la fronte più volte come fossi perplesso, e spiegando che in questo momento non saprei proprio decidermi su quale parte prendere delle due metà di quell'appetitoso panino. Lei taglia subito corto, e addentando la sua parte di merenda senza alcuna incertezza, dice che dobbiamo mollarci, non c’è più alcun motivo per restare ancora insieme a prenderci in giro. “Non sono d’accordo”, le fo subito senza spiegare il motivo di una frase del genere, che mi è soltanto tornata a mente dopo aver visto qualche sera fa una vecchia pellicola del cinema passata in televisione. “Il fatto è che abbiamo ancora troppe cose in comune”, le dico buttando giù un sorso generoso della mia birra.

            Lei chiede del bagno, così si allontana lasciandomi a meditare sulle prossime mosse. Non so se in questo momento posso fare a meno di lei, rifletto. In fondo ci sono le tante abitudini che ho maturato in questi ultimi due o tre anni: passare da casa sua verso sera, quasi all'ora di cena ad esempio, e poi fingere di farle un favore ogni volta che resto a dormire da lei. Oppure improvvisare entusiasmo per un'uscita verso un cinema o anche a teatro, quando proprio non ho niente di meglio da fare. Qualcuno deve pur stendere la tovaglia sul tavolo se vogliamo mangiare, ho sempre pensato. Il mio barcamenarmi ogni tanto con qualche lavoretto in ambito culturale, si sa, non mi permette di fare dei grandi gesti. Così ho sempre lasciato che lei pagasse i conti del nostro vedersi, considerato che possiede dei bei depositi in banca, e lei di questo non si è mai lamentata, a dirla tutta.

            Poi torna, dice che ha preso una decisione, non vuole più neanche vedermi, almeno per qualche tempo. "Hai ragione", dico subito cercando di essere convincente. "Non ha senso trascinare le cose senza un vero motivo". Lei mi guarda, forse le dispiace già di essere stata affrettata, ed io mi volto a guardare qualcosa, disinteressandomi della sua eventuale espressione di leggera sorpresa, poi mi alzo dal tavolo e pago quanto abbiamo appena consumato, lasciando persino una mancia. "Andiamo?", le fo poi con indifferenza, e lei si alza a sua volta, ma lentamente, come non riconoscesse del tutto i miei modi di fare. Saliamo in macchina, io stendo le gambe e fingo di riposarmi, lei guida nervosamente fino a quando non arriviamo. "Allora ti saluto", le fo senza guardarla ma assumendo un'espressione leggera e facendole quasi un sorriso. Lei non dice un bel niente, però mi guarda adesso con grande intensità. Mi chiamerà tra una o due settimane al massimo penso, e poi ricominceremo alla stessa maniera di prima. Certe cose non si annullano mai, inutile persino tentarle, rifletto.

 

            Bruno Magnolfi


 

     

giovedì 22 ottobre 2020

Scambio di pensieri.

 

        

 

            “Parlatemi ancora del vostro amico, Lunghetti; quello che avete detto venire proprio qua dentro a farvi delle visite, una volta ogni tanto”. Il medico guarda il degente della clinica San Carlo, ed una volta appoggiati sul piano dello scrittoio i tanti documenti cartacei che ha consultato fino ad ora, osserva adesso con più ferma attenzione quell’altro, quasi che l’immobilità di quel corpo che scruta di fronte a sé, così appoggiato casualmente di sbieco sopra la sedia dell’ambulatorio, assieme a tutto il resto e soprattutto alle risposte che attende di ascoltare, avesse comunque degli aspetti preziosi da scoprire, qualcosa di particolare su cui esercitare il proprio acume scientifico. Il suo paziente, dopo la pausa di un momento, si muove con tutta la calma possibile sopra la sua sedia, alla ricerca di una posizione forse diversa, magari più comoda, o tale che probabilmente permetta alla sua voce di formulare con parole precise ciò che è tenuto a spiegare, se soltanto desiderasse davvero dire ancora una volta quello che a suo parere è già chiaro con gran sufficienza. Sbuffa, difatti, come a mostrare una distanza apprezzabile tra ciò che intende spiegare quando parla di quell’argomento, e la comprensione effettiva che riconosce ogni volta in chi intende ascoltarlo.

            “Non è una persona, dottore”, dice alla fine, proprio quando l’altro sta appena per riformulare l’invito, usando magari delle frasi diverse, quasi ad incoraggiarlo maggiormente a rivelare di nuovo un argomento che comunque ha già conosciuto in altre occasioni, ma che ogni volta gli appare essenziale all’interno del piccolo teatro mentale in cui si muovono i personaggi di questo Lunghetti, classe ‘72. “E’ una forma”, dice quello, “un’orribile ammasso di qualcosa che riesce, non so affatto come, a trasmettere dall’interno di se stesso fin nella mia testa, ciò che lui pensa”. Il dottore muove leggermente le mani sopra il piano della scrivania, poi spiana la carta del suo blocco per prendere appunti, e intanto impugna una matita con la punta appena rifatta, preparandosi a scrivere qualcosa, come ogni volta. “Ed è soltanto orrore quello che mi comunica, tanto risulta completamente inutile per me tentare di scrollarmi di dosso quello che avverto ogni volta in tutta la sua cruda pienezza”.

            “Va bene”, fa il medico con un briciolo leggero di intolleranza; “però ammetterete, Lunghetti, che sia ben strano quanto un ammasso di materia non meglio identificata venga qua dentro, proprio da voi, e soltanto da voi, a rivelarvi l’orrore di qualcosa che un essere diciamo biologico di questa fatta, che normalmente, vorrei sottolineare, non potrebbe con ogni probabilità avvalersi neppure della capacità di pensare, riesca a trasferire, in una poco chiara maniera, qualcosa che a voi appare subito come un’evidente rivelazione, tanto da dare alla comunicazione che immediatamente avvalorate, una definizione a dir poco sconcertante”. Il dottore così a questo punto si alza, osserva per un momento il paziente come è solito fare anche con altri pazienti della sua clinica, poi vorrebbe riprendere quell’argomento, ma viene interrotto dall’altro, che sottovoce gli dice: “non viviamo momenti facili, signore; ed il suo nervosismo è un chiaro segno dei tempi. Però è proprio lei tenuto a spiegare i nostri fantasmi, se proprio dobbiamo dirla tutta, non certo uno come me chiamato per obbligo di dovere a giustificare ciò che lo assilla”.

            Il medico resta perplesso. Raggiunge di nuovo la sua postazione dietro la scrivania, appunta qualcosa sul suo taccuino forse per prendere tempo, ed infine torna a guardarlo con l’espressione di chi ha già emesso su di lui un giudizio finale. “Voi mi prendete in giro”, dice tra i denti. “Sapete come rigirare le cose in maniera da burlarvi continuamente di me, di noi tutti, di coloro che si prodigano con spirito di solidarietà per alleviare le pene del corpo e dello spirito di persone che hanno perso ogni retaggio di scambio umano. In questa maniera resterete qui chissà quanto; probabilmente almeno fino al momento in cui riuscirete a rendervi conto che non c’è oramai più nessun essere desideroso di scambiare dei pensieri con voi. Ma questo già lo sapete, ed adesso, lo capisco benissimo, non ve ne importa un bel niente”.     

 

            Bruno Magnolfi

mercoledì 21 ottobre 2020

Sorelle di ferro.

 

 

            Lo sanno benissimo di non avere tutta quella perspicacia che probabilmente occorrerebbe per comprendere appieno quale comportamento sarebbe meglio tenere in situazioni del genere; in ogni caso loro due tentano anche oggi, come altre volte hanno fatto, di fingersi semplicemente delle sprovvedute nell’andare a chiedere all’ufficio competente un semplice sussidio di disoccupazione che le metta in condizione di tirare avanti almeno per qualche altro mese senza doversi cercare alla svelta un lavoro. Sono sorelle gemelle, poco più che ventenni, e fino a quando è stato in vita il loro nonno materno che le teneva in casa con sé mantenendole con la sua generosa pensione, considerato che i loro genitori le avevano abbandonate a lui quando erano ancora delle bambine, non hanno mai avuto di che preoccuparsi. Ma dopo il suo recente funerale le cose sono rapidamente cambiate, ed anche se hanno potuto continuare ad abitare in quel piccolo appartamento che lui le ha lasciato in eredità, ed usufruire fino ad ora anche di qualche risparmio che il vecchio teneva da parte, per i prossimi tempi non possono ormai più contare praticamente su alcuna entrata economica.    

            Sono ancora quasi delle bambine, e sostenendosi a vicenda non hanno mai maturato quella spregiudicatezza che forse servirebbe per affrontare in maniera adeguata la realtà e la loro situazione. Stanno insieme continuamente aiutandosi in maniera reciproca, e proprio per questo non vogliono cercare un mestiere che le porterebbe quasi senz’altro a doversi dividere. L’impiegato le studia a lungo, identiche come sono, medita il loro caso cercando le parole più semplici per farsi comprendere, e poi spiega con calma che dalle leggi non è previsto un bel niente per un caso come quello di loro due, e che non possono comunque pensare di andare avanti ancora per molto in quella maniera, se non prendono qualche decisione di fondo. Allora le gemelle sorridono, ringraziano l’impiegato per le informazioni ricevute, e poi se ne vanno: in fondo sapevano già fin dall’inizio che non avrebbero ottenuto un bel niente, però adesso si sentono più sollevate, e soltanto ritrovarsi all’aria aperta lungo la strada, fuori da un ufficio del genere, le fa sentire subito meglio. Potrebbero sfruttare in qualche maniera la loro straordinaria somiglianza riflettono, questo è verissimo; però non saprebbero proprio a chi rivolgersi, anche perché praticamente non sanno far niente.

            Infine giungono alla fermata dell’autobus per tornarsene a casa, e proprio mentre sono lì ferme sul marciapiede, pensando alle loro cose e in attesa del primo mezzo pubblico in transito, un tizio chiede loro se sia possibile farle una foto, ad ambedue, magari a distanza ravvicinata. Ecco, parte da lì la loro fortuna: una semplice immagine di due espressioni così semplici e identiche come le loro che inizia a girare quasi per incanto lungo la rete, interessando in poco tempo una miriade di persone incuriosite da quella loro doppia schiettezza. Se ne fa immediatamente una campagna pubblicitaria per un grosso marchio, poi vengono invitate a partecipare a qualche serata, ed infine sbarcano persino in una televisione, senza cambiare un bel niente di loro stesse, anzi restando assolutamente così come sono. Ridono, si guardano negli occhi con maniere incredule per quello che le sta capitando, ma volentieri si lasciano andare agli eventi, perché neppure se lo volessero sarebbero ormai in grado di arrestare quello che si è avviato intorno a loro. 

            Il resto difatti va avanti quasi da sé, e tutti da adesso in avanti le chiamano semplicemente "le gemelle", tanto che ognuno tra chi le contatta, si pregia di conoscerle in qualche maniera, o almeno di sapere chi sono. Loro due si divertono in questo vortice, certe volte semplicemente si guardano per un attimo e scoppiano a ridere di nuovo, perché mai avrebbero immaginato un destino del genere, e soprattutto mai avrebbero sospettato di poter condividere così alla pari la loro fortuna. Essere rimaste sempre unite, alla fine, ha dato loro ciò che probabilmente meritavano fin dall’inizio, e rendersi conto, per una cosa ai loro occhi estremamente naturale come essere soltanto delle sorelle, di come sembrano tutti disposti persino a pagarle, le fa continuamente divertire, quasi fosse la prosecuzione di un semplice gioco, qualcosa che esattamente è nato proprio con loro.

           

            Bruno Magnolfi

lunedì 19 ottobre 2020

Spirito marcio nel corpo.


 

            Adesso, anche in questo preciso istante, io mi sento finalmente sicura di quello che sono. Ho fatto tutto ciò che potevo per migliorare la mia situazione, anche se rispetto agli sforzi e alle grandi risorse che ho impiegato in tutto questo tempo, alla fine ho ottenuto un risultato che qualcuno giudicherebbe piuttosto modesto. Ma questo non ha troppa importanza, ciò che conta per me è aver preso coscienza della mia situazione, di come sono fatta, dei miei limiti, delle mie capacità. Anche se tutto questo è qualcosa che tengo assolutamente celato dentro me stessa. Continuo a girare per casa dando ogni tanto uno sguardo fuori dalla finestra di cucina, perché vorrei uscire, certe volte, incontrare delle persone, sentirmi libera di respirare l’aria di questi giorni. Ma non posso. Devo resistere rinchiusa tra queste mura ed accettare quanto la sorte mi ha destinato. Vedo che ci sono degli individui fuori dai vetri che girano lungo i marciapiedi senza neppure rendersi conto di quello che hanno. Io posso solo attendere che qualcosa succeda, per poter cambiare la mia situazione.

            Torna mio fratello, chiede se io abbia già preso le pillole, gli fo subito un cenno affermativo con la testa, poi abbasso lo sguardo, mi osservo le mani, stringo la striscia di stoffa che tengo annodata alla vita sopra la mia vestaglia da camera, e lui mi guarda per un lungo momento, forse riflettendo che mi sono fatta ancora più magra di com'ero neppure troppo tempo più addietro. Sono nervosa, irascibile, muovo gli occhi in tutte le direzioni, stringo con forza, alternandola ogni poco, ognuna delle mie mani nell'altra, e brucio rapidamente dentro me stessa tutto quanto mi risulta possibile. Nel pomeriggio però arriverà finalmente l'infermiera, questa specie di tuttologa calma e piacevole che cerca di farmi parlare, di pormi delle domande senza mai insistere, di allontanare i miei pensieri dagli argomenti verso cui autonomamente tendono a rifugiarsi quasi in continuazione. Lo so che sono malata, lo sanno tutti, e difatti tutti si adoperano per tenere la mia situazione sotto controllo, però io adesso ho piena coscienza delle mie condizioni, e lascio perciò a tutti coloro che desiderano occuparsi di me, che lo facciano in maniera completa, abbandonandomi a loro in modo quasi totale, senza suscitare ulteriori preoccupazioni a nessuno.

            Nessuno tra chi mi circonda crederebbe mai che il mio corpo tenta ogni giorno di liberarsi dello spirito da cui è abitato. C’è un’occlusione che non ne permette il passaggio, ed anche se quando mi ritrovo da sola apro la bocca per quanto mi riesca possibile, tutto quanto resta imprigionato dentro di me, incollato all’interno, fermo chissà dove, tra gli organi, in mezzo alle vene, tra le viscere e la pelle rugosa. Vorrei tanto abbandonare una volta per tutte questa sensazione che sinceramente mi opprime, questo sentirmi ingabbiata da una sofferenza continua che non so mai addebitare a nulla di realmente preciso. In ogni caso so cosa io sono, ed anche soltanto per questo mi ritengo fortunata: guardo le persone che camminano fuori dalla mia finestra socchiusa, ed alla fine invidio soltanto la parte di loro che tenta di essere libera, non riuscendoci affatto, ignorando del tutto di avere proprio come me uno spirito avvelenato che dall’interno di ogni corpo li opprime. Ne ho pena, ecco tutto, non riescono a rendersi conto di come stiano realmente le cose.    

            Mio fratello dice certe volte che devo disinteressarmi maggiormente della vita degli altri, e concentrarmi piuttosto sulla mia condizione. Faccio un cenno affermativo con la testa in quei casi, perché so che lui non potrebbe comprendermi mai. Il suo spirito ha completamente occupato il suo corpo, e non è più padrone di sé, perciò lascia che tutto quello che osserva d’intorno assuma il suo stesso profilo. Anche le persone che si muovono lungo la strada ormai sono fritte: si tratta di rendersi conto che ognuno è chiuso in se stesso, così che l’unica via è quella di attendere che lo spirito marcio che prosegue ad opprimere tutti, lasci finalmente in libertà ogni corpo che abita, perché è soltanto in questa maniera che ci potrà essere davvero un futuro: ritrovarsi un bel giorno ognuno di noi del tutto cavo di ogni presenza maligna, e poi insieme riderne appieno.

 

            Bruno Magnolfi

giovedì 15 ottobre 2020

Professionista delle parole.

 

        

            Sono una persona normale, almeno credo. Ho cercato assiduamente anni fa di esercitare l’attività di giornalista, ma adesso invece scrivo per i miei ex-colleghi, tutti coloro che mi chiedono di preparare un pezzo su di un argomento oppure su un altro. Mi documento, preparo i materiali, le parole e le frasi salienti, poi li metto assieme curando la prosa. Un professionista, ecco quello che mi considero, e svolgo un mestiere in fondo paragonabile a molti altri. Generalmente preparo anche gli interventi che devono tenere certi individui davanti ad una platea di persone, e così cerco di immaginare il più possibile la situazione esatta che loro si troveranno di fronte, il genere di persone a cui parleranno, gli argomenti che si troveranno a trattare, il senso che per proprio desiderio vorranno dare al loro discorso, in modo da usare certi aggettivi invece di altri, ad esempio, o una certa dialettica al posto di un'altra, e così via. Però mi capita anche che venga richiesta una breve biografia di un certo tizio, o anche la descrizione dettagliata di qualche materiale che stanno per mettere in produzione, oppure di un apparecchio appena inventato, e perciò da magnificare. Tutto uguale per me, basta che le cose vadano avanti. Poi ultimamente arrivano per posta elettronica anche delle richieste da parte di scrittori di gialli e di narrativa più o meno noti, che chiedono con garbo il mio aiuto per qualche capitolo. Studio le situazioni, mi faccio descrivere i loro intenti, considero lo stile che vogliono dare alle cose, infine metto giù il pezzo, e generalmente risponde piuttosto bene alle loro aspettative.

            Mi trovo a domandarmi certe volte, ma sempre più spesso, che razza di presente stiamo vivendo, visto che non riusciamo più ad essere neppure autentici, e che crediamo senza battere ciglio ad esseri umani oramai abituati a pagare qualsiasi servizio, persino quelli più insospettabili. Tutto viene acquistato, non mi meraviglierei per nulla se mi arrivasse un giorno di questi la richiesta per delle poesie da mettere in un libro sotto al nome di qualche scrittore magari famoso. Non dobbiamo meravigliarci di niente mi dico, piuttosto cercare di galleggiare in qualche maniera, e probabilmente è quello che fanno anche certi narratori a corto di idee, che non sanno neanche più di che cosa parlare con i loro lettori. E forse questi ultimi sono i più ingenui di tutti, quelli che credono che ci sia ancora del vero dietro le parole dei politici, dei giornalisti, dei grandi letterati capaci di comporre centinaia di pagine di storie senza battere ciglio. Nessuno ne ha più davvero la voglia, questo è il punto saliente; perciò il mio mestiere è quello che serve oggigiorno: un amanuense contemporaneo con il gusto e la volontà a pagamento di mettere giù pagine e pagine pensate e sentite senza pensarle e sentirle davvero, applicandosi a mille diversi argomenti con il distacco di chi si sente completamente disincantato.

            Per questo credo di essere molto normale. Perché penso che in giro si stia continuando a trincerarsi dentro una bolla di accettazione incondizionata su qualsiasi argomento venga trattato, come se questo fosse dettato dall’anima pura ed eletta di qualche tizio ispirato, quasi perso nella ricerca di qualcosa di nuovo e di meraviglioso da dire, non sapendo che oramai è stato già detto tutto, e che veramente di nuovo, in ogni libro pubblicato di fresco, con ogni probabilità c’è soltanto la sua copertina; perché il resto è soltanto retorica.       

 

            Bruno Magnolfi

mercoledì 14 ottobre 2020

Esclusiva proprietà.

         

 

            "Ci siamo fatti vecchi", dice l'uomo a suo fratello minore durante quelle due o tre volte all’anno in cui si ritrovano per una visita reciproca di cortesia. L’altro non dice niente, resta in silenzio, non gli piace quell’argomento, quasi sempre distoglie il proprio sguardo e parla subito d’altro, come non volesse darla vinta al tempo che passa e che purtroppo ogni volta quando si ritrovano riesce a mostrare sulle loro espressioni del viso gli approfondimenti che impone. Certo, c’è tutto un passato di cui ricordarsi: le cose migliori, quelle leggere, quelle senza alcuna tristezza da rammentare. Ridono insieme solo a ripensarle quelle piccole vicende di una volta, e ritrovano il gusto delle parole di un tempo, di quei modi di fare che avevano quand’erano solo degli sciocchi ragazzi, certo molto più spensierati di adesso, al tempo in cui tutto era ancora da fare. Ma ora certe volte qualcosa di più importante si fa largo tra i loro modi di fare. Ci sono ben state in mezzo a questi decenni le loro diverse maniere di riflettere sulle piccole e grandi decisioni da prendere, e c'è adesso nell’aria tutto il gusto delle loro esistenze che per qualche motivo calcano quella distanza che si è inserita tra loro, ed insieme a questo aspetto anche le scelte, quelle già fatte, quelle ancora da fare, le inevitabili ricadute dirette su loro due, sul loro essere comunque fratelli.

            Poi lui dice comunque che va tutto bene, che non ci sono dei grossi problemi, che le cose andranno avanti probabilmente come sempre sono andate, e loro due torneranno ancora a vedersi, inevitabilmente, a farsi una visita ogni tanto, e si sentiranno di nuovo bene durante quelle volte, come sempre è stato tra loro. L’altro lo guarda senza ribattere, poi dice però che si sente preoccupato, che qualcosa da qualche tempo non funziona come vorrebbe, non è una questione di salute o di tranquillità forse persa in questi ultimi mesi; piuttosto una sensazione, un piccolo cruccio, o l'improvvisa certezza che qualcosa stia davvero cambiando, senza nessun’altra possibilità. "Non può restare tutto com'è all'infinito", fa lui, e mentre lo dice si sente ridicolo, quasi come un prete quando dice le solite cose intorno alla fede. “Le variazioni che accadono hanno sempre un proprio senso. Quelle repentine a volte ci mettono anche alla prova”. Suo fratello sorride: “non parliamo di questo”, fa subito; “in fondo non è successo un bel niente, e poi ci tireremo fuori come sempre da qualsiasi pasticcio”.

            Tornano a ridere, rammentano ancora qualcosa delle giornate lontane, di quand’erano ragazzi quasi della medesima età, ed è un ritrovare così molte immagini che loro riescono ad evocare quasi intatte, come se niente in questi anni le avesse scalfite: non certo tutto questo tempo trascorso, pensa lui; perché loro si sentono superiori a quel tempo, e sono sicuri che finché riusciranno a ricordare nella stessa maniera ciò che adesso continuano ad avere presente, tutto andrà bene, non ci sarà niente a frapporsi al loro sentire leggero, innocente, quasi spensierato, come è stato fino ad ora. Poi si salutano, anche questa visita ormai è terminata, ognuno di loro torna da adesso alla sua vita differente, alla distante città dove tanto tempo prima ha scelto di vivere, e l’appuntamento è naturalmente rimandato alla prossima volta, alla scadenza quasi consueta, a quando ambedue sentiranno che è giunta di nuovo l’ora di rivedersi, di parlare ancora delle cose che sanno, che hanno vissuto, che ricordano bene, come un piccolo filo sottile che tiene legati i fatti che contano, quelli che restano ancora lì, tra di loro, come una proprietà quasi esclusiva.

 

            Bruno Magnolfi   

        

 

       

lunedì 12 ottobre 2020

Sto qua, non scappo.


 

            Avere una pistola dentro la tasca non è prerogativa di tutti. Lui gira per strada e si sente al sicuro, perché sa che nessuno sano di mente potrà mai aggredirlo sul serio oppure tentare di fargli del male. Sa difendersi, questo è il punto saliente, e non prova alcun brivido quando estrae il proprio ferro tenendolo stretto dentro la mano, proprio quando ne spiana la canna davanti alla faccia di qualche bel tipo dalle maniere poco tranquille, qualcuno magari che non ha mai visto neppure una volta prima di adesso. Si può fare ciò che si vuole quando si ha la certezza che niente possa metterti seriamente in una certa difficoltà, anche esattamente quando incontri un estraneo in questo modo, qualcuno che mostra dei modi di fare poco raccomandabili, riflette lui mentre cammina lungo la strada. La sua pistola è un giocattolo, è vero, questo però soltanto a lui appare evidente, perché sa che quando ci si muove in un contesto pericoloso, un dettaglio del genere alla fine ha ben poca importanza. Si tratta di camminare in mezzo alla gente e sentirsi completamente al sicuro, protetti, pensa lui, quasi che uno scudo infrangibile funzionasse come una corazza sopra le proprie membra altrimenti mollicce. Siamo esseri goffi, riflette, privi di qualsiasi difesa nei confronti di qualche sconosciuto che voglia attaccarti. Per questo dobbiamo sempre metterci in guardia, e mostrarci capaci di una reazione pronta e adeguata. Poco importa se l'arma che teniamo ben stretta sia poi soltanto un qualcosa di inoffensivo: quello che conta è l'effetto che produce sugli altri, specialmente tutti quei tipi che non si aspetterebbero mai di vedere una canna spianata contro di loro.

            Si vive male, pensa ogni volta che si trova ad incrociare per strada qualcuno che non conosce per niente o che soltanto guardandolo riesce a capire immediatamente come non sia certo uno nato da queste parti. “Sono pericolosi”, dice a volte in giro a quelli che spesso frequenta; “sono stranieri, non si sa che cosa possono farti, magari tirare fuori un coltello e provare con le minacce a lasciarsi scucire da te tutti i soldi che hai. Con me però questo giochetto non funziona per niente", afferma ancora con mosse da duro; qualcuno ride nel circolino dove lui va qualche volta per sentire se ci siano novità, ma non è importante che in mezzo a tutti ci siano ancora oggi delle persone che non riescono a credere quanto sia utile avere con sé la propria pistola. Forse non hanno provato che cosa vuol dire sentirsi sicuri di sé, protetti, capaci di affrontare qualsiasi situazione. Lui accarezza la canna lucida dentro la tasca e sa che non può avere paura di nulla, neppure di qualcuno arrivato chissà da quale luogo remoto, magari un tizio che non ha proprio nulla da perdere. “Sto al sicuro così”, dice agli altri; “mi guardo un po’ in giro con calma e poi basta”.

            Lo sa che anche qualcuno tra i suoi stessi amici non è affatto d’accordo con quello che lui afferma ogni volta, però non può farci niente se in giro ci sono zucche dure che non riescono a comprendere quanto sia fondamentale al giorno d’oggi non avere paura degli altri. Ci sono dei brutti ceffi che vengono apposta da noi a tirarci delle gran fregature, pensa mentre cammina. Ti puntano un po’ senza che tu ti accorga di nulla, e poi quando sei proprio rimasto da solo in una zona un po’ buia, ecco che tirano fuori il loro coltello per vedere se te la fai subito addosso e gli metti in mano al più presto tutti i tuoi soldi, l’orologio e quant’altro. Ma io non sono così sciocco, pensa ancora tra sé sorridendo. Prendo un attimo di tempo, tiro un respiro tanto per mostrare che farò subito quello che mi chiedono di combinare, e poi estraggo la mia bella pistola, e lì su due piedi gioco la mia carta migliore, scoppiando subito a ridere nel vedere il bel tipo che se la dà a gambe levate. Perché l’unica cosa che sanno fare gli stranieri che arrivano da queste parti è quella di correre, e forse mi dovrebbero persino ringraziare in casi del genere, perché io gli permetto a tutti loro di farlo.

 

            Bruno Magnolfi

sabato 10 ottobre 2020

Anni belli e spensierati.

 

                

 

            Si dice da parecchi mesi a questa parte che le cose cambieranno rapidamente in tutta la zona, e quindi con certezza anche in questo piccolo paese appenninico. Già in molti tra quelli che abitano queste case di pietre, aprono le persiane verdi ogni mattina e poi si affacciano con curiosità alle loro finestre per rendersi conto se magari qualcosa anche minimo fosse per caso cambiato durante la notte lungo le poche strade del borgo. Altri invece tirano tardi alla sera, fermandosi in qualcuno dei pochi locali del centro abitato dove si può farsi servire una birra alla spina, oppure anche un bicchiere di vino, per poi chiacchierare a ruota libera con tutti coloro che sono presenti, e volentieri farsi una partita alle carte per vedere magari a chi tocca di pagare quella bevuta, cercando di comprendere dai pochi segnali che chi arriva riesce a trasmettere, se per caso inizi davvero a farsi sentire qualcosa di nuovo nell'aria. C’è un’atmosfera di attesa insomma, come una sospensione che ancora non mostra il motivo finale dell'agitazione che serpeggia tra tutti, ma che è confermata però dalle parole di alcuni che sostengono come sia ormai impellente quel gran cambiamento annunciato: “questione di pochi giorni”, dicono alcuni, anche se poi non sanno neppure spiegare di che cosa effettivamente si tratti.

            Alcune donne poi si radunano quasi sempre a fine mattinata vicino alle proprie abitazioni, proprio davanti a qualche portone di casa, sistemandosi addosso ogni tanto lo scialle che indossano tutte, anche se non fa ancora freddo, ed anche se ognuna di loro, come sempre è successo, dice alle altre che ha già un sacco di cose di cui preoccuparsi: la casa, la famiglia, i bambini, il marito, per cui non avrebbe proprio tempo per altro, e la ragione principale però che la porta ancora ad attardarsi in questi giorni prima di rientrare giustamente nella propria abitazione, è quella di riuscire a capire se ci siano davvero delle notizie che riguardano il futuro di loro povera gente, o se qualcosa, come tutti ogni giorno sostengono, abbia iniziato davvero a variare il corso delle cose che, da tempo immemorabile, dovrebbero sorreggere il mondo. Perché molti giurano che tutti i paesani da un attimo all’altro saranno costretti a cambiare i propri comportamenti, ad adottare certe misure che per il momento si fa fatica persino ad immaginare, ma che saranno necessarie, indispensabili, e senza alcun dubbio.

Intanto si continua a mandare avanti le proprie faccende come sempre si è fatto tra quelle contrade, ognuno badando a svolgere bene il proprio mestiere, e a portare avanti tutte quelle attività che gli competono e per cui è conosciuto da tutti, e poi quando alla sera ogni famiglia si raduna come sempre al proprio domicilio, abbassando la voce ci si interroga con preoccupazione, specialmente tra moglie e marito, su cosa mai stia succedendo in queste giornate in tutte le case di quel loro piccolo centro civico "Non preoccupiamoci troppo", dice già qualcuno di questi maggiormente ottimista mentre è seduto alla tavola dove si consuma la cena; "le cose in un modo o in un altro si aggiusteranno; ed anche se forse dovremo cambiare per forza certi comportamenti adesso per noi abituali, nessuno però verrà qui per imporci dei modi di essere del tutto diversi da quelli che siamo da sempre stati abituati a tenere fino a questo momento, e addirittura il pensiero di dovercene andare da qua per qualche motivo che adesso non riusciamo a comprendere, sono sicuro  resterà un'idea strampalata, del tutto campata per aria".

I bambini in genere ridono, a loro non interessa per nulla tutta questa preoccupazione che va manifestandosi tra i loro genitori. Si corrono dietro al pomeriggio dopo la scuola, si chiamano l’un l’altro con voce distesa, dicono direttamente con i loro sguardi  vivi e frizzanti che non hanno paura del futuro e dei suoi cambiamenti: sono ancorati al presente, giocano, ridono, fanno tutto quello che i bambini hanno sempre fatto prima di loro, e giurano, qualsiasi possa succedere, che non dimenticheranno mai come siano stati belli e spensierati quegli anni.

 

Bruno Magnolfi

 

           

giovedì 8 ottobre 2020

Assedio da semplice inerzia.

         

 

            Lei è nervosa, come le capita sempre in quest’ultimo periodo, e la sua faccia tirata mostra adesso con evidenza delle piccole rughe sottili, quasi scolpite nell'espressione del viso sempre serio e accigliato. "Sono stanca", dice spesso a chi la interroga per giustificare i suoi scatti e le risposte un po’ troppo asciutte, ma non si capisce se sia il troppo lavoro a ridurla in questo modo, oppure la situazione generale che vive. La sua amica di sempre passa a farle una visita qualche volta durante il tardo pomeriggio, dopo il lavoro in ufficio, e lei la fa sedere al tavolo della cucina luminosa del suo appartamento, le serve generalmente una tisana fumante, e lascia che parli, che esprima le sue cose a ruota libera, limitandosi negli ultimi tempi ad ascoltarla e basta, senza ribattere niente e senza quasi interloquire. ”Potresti svagarti”, le fa l’altra ogni tanto durante queste visite. “O magari potremmo farci un giro insieme da qualche parte, solo io e te; oppure stasera stessa infilarci in un cinema a vedere qualche pellicola.”. Lei le volta le spalle, scuote la testa, lascia il suo sguardo abbassato sul tavolo, o sul fornello dove ha messo a bollire l’acqua per la tisana. “Un’altra volta”, le fa; “stasera non ne ho proprio voglia”.

            Rimasta da sola si perde in mezzo a mille pensieri, e poi gira per casa riflettendo con intensità sul bisogno impellente di occuparsi di tutte quelle cose necessarie che richiede il suo pur piccolo appartamento, e così inizia col fare delle piccole azioni, preparare la lavatrice, tirare fuori dal frigo qualcosa per cucinarsi la cena, pulire con cura i piani dove forse si è accumulata nella giornata una quasi invisibile e leggerissima polvere; poi però decide di uscire, in solitudine, senza neppure darsi un itinerario, oppure un luogo preciso verso dove recarsi. Con una calma studiata indossa la giacca più comoda che possiede, senza chiedersi nulla, come rispondendo ad una semplice necessità, e poi via, in mezzo agli altri, ad attraversare le strade del suo quartiere popoloso come fosse una barca sul mare, sballottata dalle onde immaginarie dei rumori delle macchine che transitano, e dalle parole che si può ascoltare tra le persone in giro a gruppi, ferme o mentre camminano, come se quel caleidoscopio di sillabe confuse che si possono ascoltare fossero tutto ciò che adesso ci vuole per lei, quasi un sentire ancora intorno a sé la vita che scorre, la gente che parla, che si chiama, sorride, si urla, compie le scelte che deve.

            Poi, soltanto perché lo vede piuttosto affollato attraverso le ampie vetrine, entra in un caffè dove non è mai stata, così si siede ad un tavolino, aspetta che un cameriere le chieda qualcosa, si fa servire una tazza di cioccolata, cerca di sentirsi il più possibile una persona come tutte le altre. Ad un tratto sente quasi il bisogno di avere qualcuno lì accanto a sé, e rimpiange di non aver dato retta alla sua amica per uscire insieme, perché se si guarda un po’ attorno, vede che nessuno là dentro è da solo come lo è lei in questo momento. Si sente però attratta dal suo isolamento, da quello starsene per conto proprio, anche se allo stesso tempo ne prova anche una certa paura, a tratti quasi un completo terrore, come se l’abitudine a stare così in solitudine fosse ormai calata in modo definitivo dentro di lei, e lei non potesse più farne a meno.

            Si scuote, si guarda attorno con occhi imploranti, sorseggia la sua cioccolata ed intanto pensa che presto non riuscirà più ad uscire da quella inerzia che adesso la sta assediando sempre di più. Arriva la sua amica, certo per una combinazione fortuita, e subito lei si alza, la saluta sorpresa, l’abbraccia, e sente d’improvviso di avere come una gran voglia di piangere, anche se si trattiene, per forza, perché sa che forse c’è un piccolo sforzo ulteriore da fare, proprio da adesso in avanti, qualcosa che lei non può più rimandare.

 

            Bruno Magnolfi   

        

 

         

martedì 6 ottobre 2020

Sfortuna sfacciata.

 

 

            Le sorti della mia giornata paiono gingillarsi con me, e in qualche caso prendermi deliberatamente in giro durante tutte quelle volte in cui ritengo di aver quasi ottenuto dei risultati minimamente positivi dalle mie attività. Non so come sia, però mi sembra ogni volta sempre più difficile riuscire in quello che ogni volta desidero fare, che sia anche soltanto compiere delle piccole operazioni mondane, come può essere acquistare qualcosa, sostituire una lampadina fulminata del mio appartamento, preoccuparmi di pagare l’affitto, oppure cucinarmi un piatto di cui ho sentito tessere le lodi per la squisita bontà. Non mi riesce ormai quasi nulla, questo è il punto, perché laddove l’elemento casuale entra nel circuito delle possibilità, a me si riserva quasi sempre la soluzione peggiore, quella che mi fa persino rimpiangere di aver perso solo del tempo nel compiere quel tentativo. Non mi piace avere sfortuna, però capita ogni poco che le cose non vadano bene per me, non tanto a riguardo degli elementi importanti o delle attività fondamentali di una persona come posso essere io, bensì per le cose più piccole a cui devo badare, le stupidaggini quotidiane alle quali sto dietro, quelle sciocchezze a cui solitamente ognuno concede anche meno peso che ad altre, ma che quando si piazzano di traverso risultano poi le più difficili da digerire.

            Certe volte ho cercato di comprendere se ci fosse stato un nesso tra il mio modo abituale di comportamento e le minute sventure accadute ogni tanto nei miei tentativi di sentirmi una persona normale, ma non sono mai riuscito a trovare una relazione costante tra le due cose, tolto il fatto di immaginare spesso il risultato negativo ancora prima che questo si verificasse. Non so come si possa semplicemente accettare, ma di fatto quando qualcosa va storto - e si brucia una padella con dentro le uova, oppure scosto la tenda della finestra e viene subito giù il bastone a cui è stata fissata, vado a pagare una bolletta all’ufficio postale e c’è uno sciopero in corso o magari è appena avvenuta una cruenta rapina - mi domando se fosse stato possibile evitare quella piccola ulteriore calamità. Non trovo mai una risposta, ma vedo continuamente attorno a me persone appagate per quello che fanno, ogni volta con risultati per loro del tutto soddisfacenti. 

            Alla fine ho capito che probabilmente sono io che non riesco a fare le cose che fanno tutti, soltanto perché qualcosa si interpone immancabilmente tra me ed il raggiungimento del risultato che cerco, perciò non posso tentare di essere una persona normale, semplicemente perché in qualche maniera proprio non lo sono. Questa consapevolezza mi ha fatto tirare improvvisamente un grosso sospiro di sollievo. Non si tratta perciò di una particolare forma di sfortuna, di uno strano e personale malocchio, di una disgraziata iella cucita sopra di me, bensì di una mia predisposizione naturale ad essere sfortunato. Devo conviverci, è tutto qua. Devo soltanto alzare le spalle e tirare avanti come se tutto andasse ogni volta per il verso giusto, anche se non è vero.

            Così ho iniziato a guardare le cose in un’altra maniera. Oggi la mia vicina di casa ad esempio mi ha bussato alla porta e mi ha chiesto in prestito un apriscatole. Ovviamente mi sono offerto di aprirle direttamente le scatolette che le servivano, e lei con un gran sorriso mi ha invitato a casa sua per la cena. Niente di speciale, però è stato un inizio, qualcosa che comunque è andato a buon fine, e mi ha reso appagato dei miei comportamenti gentili e rilassati. Domani con indifferenza affronterò la giornata che mi si apre davanti, e farò tutto quello che serve per renderla nel miglior modo fruttuosa, senza paure, senza immaginare già in precedenza quanto di negativo si potrà forse verificare, considerato che manterrò un contegno neutrale in qualsiasi caso, non perché mi senta già rassegnato, ma soltanto perché predisposto a qualsiasi evenienza, ritenendomi quindi soddisfatto senza alcun dubbio, in un caso o nell’altro.

 

            Bruno Magnolfi    

sabato 3 ottobre 2020

Sorrisi armati.

 

          

 

            “Adesso sono stanca delle tue storie”, dice lei in modo deciso, stavolta senza neppure alzare minimamente la voce, come se le sue parole fossero soltanto un semplice suggerimento fatto alle orecchie di un amico oppure di un conoscente. Suo marito rimane sorpreso di questa uscita, ma non la guarda, in fondo spesso si sente annoiato persino lui stesso di quello che cerca sempre di inventarsi in certi casi, tanto per mostrare la sua personalità che lui ritiene brillante, divertente, estroversa, capace di maniere intelligentemente spiritose anche quando le cose tutt’intorno non vanno affatto bene, qualche volta evitando, in questa maniera e con queste presunte capacità, di affrontare i problemi stessi così come si presentano. Di fatto prova sempre un leggero brivido di angoscia quando qualcuno attorno a lui parla troppo seriamente di alcuni argomenti che gli pesano, mostrando così, forse proprio come sta accadendo adesso, il lato più evidente di una qualche verità dal sapore vagamente amaro. Si sposta da un lato perciò, offre le spalle a sua moglie fingendo di interessarsi di qualcosa, ma vorrebbe quasi annullarsi adesso, addirittura non essere mai stato lì, o magari uscire al più presto da quella stanza, improvvisamente troppo stretta per affrontare una qualsiasi discussione con lei, ed allontanarsi volentieri dall’argomento che d’improvviso sembra delinearsi all’orizzonte, come se tutto questo gli fosse solo minimamente possibile. 

            “Spiegati”, le fa allora di rilancio, nonostante abbia compreso benissimo di che cosa voglia parlarle la donna con cui divide l’esistenza da quasi dieci anni. “Forse ho sbagliato qualcosa senza rendermene conto”, dice alleggerendo il tono della voce, alzando le sopracciglia mentre ora la guarda, e mostrandole un debole sorriso che dura appena lo spazio di un secondo. Anche questo è un atteggiamento che lui cerca talvolta di tenere, specialmente in quei casi quando si sente costretto a chiarire qualcosa di sé, e che si dimostrano a suo parere gonfiati di una importanza maggiore di quanto lui vorrebbe, elementi che normalmente cerca di maneggiare con una certa superficialità, senza addentrarsi mai troppo soprattutto nei suoi nascosti convincimenti. Poi si siede, allontanando di nuovo lo sguardo da lei, prendendo in mano un vecchio giornale rimasto sul piano del tavolo, ed affidando tutta la sua difesa ai modi navigati di chi alza le spalle con facilità.

            “Lo so che ti ritieni capace di raggirare chiunque, ma nel mio caso oramai ti conosco troppo bene per lasciare che i tuoi giochi funzionino davvero”, fa lei sempre con il tono basso di chi prende le distanze senza innervosirsi. Lui resta in silenzio, non tanto perché non trovi delle parole per ribattere a ciò che sta ascoltando, quanto per il dubbio ben fondato di peggiorare ulteriormente la situazione nella semplice ricerca di accampare delle scuse, dei chiarimenti, tirando fuori delle giustificazioni sparse di qualcosa che al contrario gli appare già evidente persino nelle parole che in questo momento gli giungono alle orecchie. Perciò sceglie un’altra tattica: “d’accordo”, le fa dopo una lunga pausa di silenzio; “che cosa vogliamo fare adesso, forse tenerci il broncio per qualcosa già avvenuto, magari scontrarci per ricostruire i fatti o le occasioni, oppure prendere dei provvedimenti senza neppure uno scopo troppo preciso; lo puoi fare, se vuoi, ma io non mi ritengo d’accordo, ed ecco tutto”. Lei lo guarda, sa che non può passare sopra a quanto accaduto come se niente fosse successo, però non le va neppure di intavolare una guerra casalinga che non porterà mai a nessuno dei due niente di buono. “Mi piacerebbe tu fossi diverso”, gli fa allora, comprendendo immediatamente il tasto falso così toccato. “Questo è impossibile”, dice lui, mostrandole un’altra delle sue espressioni da giullare. Lei allora lo guarda e poi sorride. Ma forse di sé, più che di lui.

 

            Bruno Magnolfi