mercoledì 31 maggio 2017

Intuito autocritico.

            

Mi facevo vedere solo una volta ogni tanto da quei soliti militanti che si riunivano presso la loro sede, che poi era un semplice appartamento al piano terra con il giardinetto sul retro, tanto che l’ultima volta diverse persone che continuavo a salutare con espressioni compiaciute purtroppo non ricordavano neppure il mio nome. Sorridevo, come sempre in casi del genere, poi magari prendevo qualcosa da bere con una certa indifferenza, e continuavo ad oscillare tra i pochi capannelli che si formavano prima della solita relazione introduttiva all’assemblea.
Non c’è niente di male in tutto questo pensavo, però le mie più forti preoccupazioni non sono mai neppure contemplate nei discorsi che si tengono in queste riunioni. Così durante quell’ultima volta alzai la mano, ricordai a tutti il mio nome mentre mi sollevavo dalla sedia, poi sorridendo, ma non per timidezza, dissi che il mio disagio era dato dal fatto di non riconoscere i miei pensieri in nessuno dei loro argomenti.
Ci sono cose che mi svegliano durante la notte; intuizioni che mi portano estremamente vicino a quanto potrebbe essere auspicato da tutti. C’è una sensibilità nell’aria che pure a me certe volte purtroppo mi sfugge, e allora la cerco addosso a chi trovo attorno, perché so per certo che dentro tutto ciò sta quanto di meglio si possa auspicare per noi. Mi piacerebbe regalarvi un gesto che esprimesse appieno quanto vi dico, nell’attesa coerente che sappiate decifrare alla perfezione ciò che vi è definito. L’analisi delle cose è difficile, ma sono convinto che pur approfondendola per quanto si possa, non ci porterà mai molto in avanti.  
Oggi parlare è una grande responsabilità. Tutte le parole hanno un peso, immaginarsi di usarle soltanto per incensare la propria causa è qualcosa che crea inganno e porta le opinioni fuori da un tragitto minimamente logico. Forse è il silenzio il miglior luogo d’arrivo, l’accettazione incondizionata di un punto di vista talmente autocritico da rendersi neutro, lasciando così le opinioni un semplice retaggio di un’epoca oramai già al tramonto.
Naturalmente nessuno era d’accordo, però tutto questo spostava di molto il pensiero generale, tanto che nessun intervento tra quelli che seguirono il mio, riuscì a non fare i conti con quanto ero riuscito fin qui a sostenere. Terminata la riunione come già mi ero aspettato fui fermato da tutti, in quanto si voleva conoscere fin nel dettaglio quanto ero riuscito a mettere a fuoco, ma io promisi a chiunque che nei giorni seguenti avrei promulgato una circolare in modo da produrre ulteriore chiarezza, e così me ne andai.
Non c'è niente di male rifletto adesso, se invece che spingere sempre in avanti delle opinioni che tentano di aderire a dei presunti fatti concreti, si cerca di misurarsi con le proprie incapacità ad essere sempre propositivi, evitando una buona volta argomenti incoerenti e lungaggini pretestuose. Anche se alla fine, quando ci sarà da schierarsi, prenderò come tutti una posizione precisa.


Bruno Magnolfi

lunedì 29 maggio 2017

Scuse del caso.

            

Sono quasi indifferente a quanto mi circonda. Cammino con gli altri, in mezzo a tutti gli altri, e non mi sento mai completamente da solo, proprio perché sono orgoglioso di me stesso e del mio sentirmi in questa maniera. Incontro un mio conoscente che mi saluta, ed io gli lancio un semplice cenno senza importanza: scusi, mi dice invece quello, ma lei, visto che si è lasciato recentemente intervistare anche da un operatore della televisione locale, non potrebbe pubblicamente evitare di parlare dei soliti problemi che affliggono questo quartiere? Credo proprio che una persona della sua stoffa e del suo carisma riesca ad attrarre anche troppe attenzioni su certe cose del tutto negative. Lo guardo, tengo un’espressione severa, neanche troppo sorpresa, ed infine dico solo che forse si sta semplicemente sbagliando, non sono io la persona che crede, e poi, in quella semplice intervista a cui accennava, parlavo soltanto di me stesso, e di nient’altro. Quello invece mi guarda con maggiore attenzione, dice che non ha alcun dubbio, sono proprio io quello che diceva che va tutto male e che ogni cosa fa schifo, è apparso anche il mio nome in sovrimpressione sul video, e mentre parlavo sembrava volessi scagliarmi un po’ contro tutti. Adesso non ho tempo per ribattere, gli dico con un gesto di disappunto; ma quello insiste, vuole proprio che mi faccia sentire con le persone che contano, e che se è proprio vero quello che dico in questo momento, spieghi loro con esattezza e precisione che non volevo intendere affatto quello che è stato trasmesso.
Ma è proprio così, gli dico con enfasi, non ho mai parlato male di niente e di nessuno, ci deve essere un errore di persona, oppure sono stato fregato da un falso montaggio di uno stupido servizio giornalistico. Quello mi guarda, probabilmente non crede una parola di ciò che sostengo, in ogni caso non trova qualcosa dentro di sé per ribattere con forza ciò che gli dico. Non ho neanche visto il servizio, gli spiego, mi sono soltanto fidato di chi mi ha fatto appena un paio di domande, questo è sicuro, perciò non posso ancora dire niente; e con queste parole me ne vado, passo oltre, senza salutarlo neppure, tanto mi sento irritato.
Adesso mi sembra che tutti quanti coloro che incontro mi guardino con espressioni accigliate, al punto che vorrei quasi fermare tutti questi per strada, dire a voce alta e decisa che non ho affatto detto le cose di cui mi si accusa, ma alla fine l’unica maniera di comportamento che riesco ad avere è quella di allungare il più possibile il passo e rientrare il più velocemente possibile nella mia casa. Appena arrivato prendo immediatamente il telefono e chiamo la redazione televisiva, però mi risponde una ragazza che mi tiene in attesa nonostante le faccia perfettamente comprendere l’importanza che ha quello di cui devo parlare. Cade la linea, richiamo, dico le medesime cose, attendo, alla fine mi passano qualcuno che neppure conosco, così dico con voce alterata che il servizio messo in onda è stato truccato e che io non ho detto niente di ciò che mi è stato affibbiato, ma quello sta calmo, mi dice che deve verificare, poi resta in silenzio. Non c’è niente di male, dice alla fine, ci può anche essere stato un errore, dobbiamo solo sincerarci di tutto; e se è proprio così, vedrà, le invieremo per scritto le scuse del caso.


Bruno Magnolfi

domenica 28 maggio 2017

Perdere.

           

Mia figlia purtroppo, anche se lei non la conosce, non è molto simile a me, dice la signora Ruggeri. Per molto tempo ho cercato di passarle le idee a cui personalmente ho sempre cercato di tener fede, cose come l’onestà, la rettitudine, la coerenza, e lei ha finito spesso anche forse per accogliere alcuni dei miei principi, ma magari soltanto per accontentarmi, limitandosi a seguire in maniera del tutto superficiale qualche mio pur piccolo suggerimento. Negli ultimi tempi però la trovo ancora più scostante di sempre, e poi individualista, indisponente, indifferente a molte delle cose che io ho sempre reputato fondamentali; ed infine, proprio per colmo, in questa fase ho forse anche smarrito quel filo di dialogo con lei che nel passato avevo persino creduto di riuscire a vantare. Penso però che in fondo tutto questo non abbia poi molta importanza, e che mia figlia stia soltanto cercando una sua strada, delle caratteristiche proprie, dei riferimenti personali, e dopo, come credo sia giusto, che stia semplicemente maturando una sua personalità ben distinta e diversa da quella dei suoi antiquati genitori.
L'amica della signora Ruggeri annuisce leggermente, forse potrebbe anche dire che al giorno d’oggi certi rapporti si sono fatti molto complessi, ma teme così di ribadire soltanto cose scontate e puerili, perciò si limita ad ascoltare senza dire un bel niente. Il supermercato è pieno di gente a quell’ora, e qualche persona di fretta mal sopporta le chiacchiere dei clienti mentre stazionano a lungo davanti a qualche scaffale mostrando scarsa attenzione agli orologi degli altri. Sono preoccupata, non posso negarlo, prosegue la signora Ruggeri; il suo futuro alla fine mi pare ancora interamente da costruire, e da adesso in avanti potrebbe svilupparsi in lei qualsiasi soluzione di fatto per nulla prevista fino a questo momento. Poi le due donne spingono i loro carrelli verso la fila delle casse, e solo a quel punto arriva proprio Giorgiana, con espressione poco felice, la figlia di cui hanno parlato fino ad un attimo prima.
Ciao, dice lei quasi sbuffando alla vista di sua madre; sono qui soltanto perché ho urgentemente bisogno di soldi. La signora Ruggeri resta un momento a cavallo tra il tirare subito fuori il borsello senza neppure battere ciglio, oppure chiederle in maniera secca e con fare risoluto quale sia il motivo di una richiesta di quel genere. Però si volta un momento verso la propria amica, quasi a chiederle un qualche sostegno. L’altra però è una statua di sale, così lei prende tempo, sistema ancora qualcosa nervosamente nel suo carrello, e con ogni probabilità vorrebbe magari anche sorridere senza guardare di fatto nessuno, proprio per evitare uno scontro che in questo momento le pare del tutto inevitabile.
Ho soltanto la tessera del supermercato, dice alla fine, soddisfatta della soluzione a cui è arrivata improvvisamente. Ho io qualche cosa, dice invece l’amica; ma Giorgiana non arriva fino al punto di farsi prestare dei soldi da una persona a lei praticamente sconosciuta, così si schernisce, dice in fretta che in fondo non ha troppa importanza, e che il suo era soltanto un semplice e forse sciocco tentativo. La signora Rossetti allora la guarda, le tocca un braccio come facendole una carezza. Vorrei non averne mai soldi da darti, le dice adesso sottovoce: e lasciare invece che le cose davvero importanti riuscissero con naturalezza ad affiorare dai nostri differenti comportamenti. Anche se so già da adesso che così avrei solo da perdere.


Bruno Magnolfi

mercoledì 24 maggio 2017

Logiche conseguenze.

            

Non sono affatto quello che sembro, rifletto spesso dentro di me; e di questo ne sono assolutamente cosciente, anche se c'è sempre qualcuno il quale magari lo può probabilmente sospettare, ma che alla fine è facile forse stenti a crederlo veramente. Intorno a me in certe giornate si radunano sempre due o tre conoscenti, persone che conosco da molto tempo, che si divertono già da lontano a chiamarmi ad alta voce, magari giusto poi per fare in mia presenza quattro chiacchiere soltanto tra loro. Mi trovano sempre in questo cortile dove trascorro quasi tutti i pomeriggi; loro si avvicinano, mi dicono qualcosa, mi battono la mano sopra le spalle, ed hanno quasi sempre una gran voglia di scherzare, ed anche se sanno che io non parlo mai con nessuno, mi danno corda con delle domande da furbi, forse perché sorrido sempre a chiunque, e li saluto anche con il mio solito cenno della testa, rimanendo comunque sempre voltato verso l’ingresso principale dello spiazzo, come a mostrare che sono qui soltanto perché sto aspettando qualcuno, un altro conoscente magari, o forse una ragazza, probabilmente quella stessa di cui tutti mi chiedono, ma che io non conosco e non ho ancora mai visto.
Loro credono che a me non interessi un bel niente di quello che capita certe volte da queste parti, degli urli che si sentono giungere dalle finestre dell’ultimo piano ad esempio, che mostrano con chiarezza come vadano le cose in quell’appartamento. Oppure della gamba matta del pensionato che in certi giorni lo fa diventare pazzo dall’uggia e dal dolore nel trascinarla fino qui. Mi dispiace, questo è il punto, anche se in genere non lo lascio vedere a nessuno, e al contrario cerco di mostrare a tutti la mia indifferenza, perché la mia è quasi una personale difesa, un modo come un altro per non rispondere mai ad alcuna domanda mi venga rivolta.
Certo mi piacerebbe avere davvero una ragazza da mostrare a questa gente del vicinato sempre pronta a prendere in giro, e far vedere a tutti che non sono ritardato come molti pensano sia, e che se non parlo è solo per una scelta personale, e non perché usare le parole in certi casi mi risulta piuttosto difficile. Soprattutto vorrei far vedere che anche io ho dei sentimenti, proprio come gli altri, e che se sono uno che se ne sta tutti i pomeriggi in questo cortile è soltanto perché in questo modo i miei familiari stanno tranquilli, dandomi un’occhiata ogni tanto dalla finestra e proseguendo nell’appartamento dove abitiamo ad occuparsi delle loro cose.
Mi piace comunque quando tutti mi salutano, e sono anche contento di dare alle persone che mi conoscono la possibilità di dirmi qualcosa mentre attraversano questo grande cortile condominiale, anche se non vorrei mai che qualcuno si approfittarne di me, della mia facilità nel credere a tutto quello che mi viene raccontato. Perciò a volte penso che uno di questi giorni devo smetterla una buona volta di sorridere sempre a questi miei amici, e magari non fare più ad alcuno neppure il solito cenno di saluto con la testa: mi piacerebbe tanto si accorgessero tutti improvvisamente che oramai sono un uomo, e che non ho più tanta voglia di essere preso in giro da loro, visto che se fino adesso sono sempre stato buono e cortese con coloro che in qualche modo mi hanno cercato, in seguito posso mostrare con grande evidenza che le cose qualche volta riescono persino a cambiare.


Bruno Magnolfi

lunedì 22 maggio 2017

False immagini.

            
            Non ama guardarsi riflessa sulle superfici lucide Caterina, tanto che nel suo minuscolo appartamento ha soltanto un piccolo specchio, ed in genere lo usa quasi sempre appena di sfuggita. Anche quando gira per strada si ferma sempre poco volentieri davanti alle vetrine dei negozi che incontra, proprio per evitare il più possibile qualsiasi immagine riflessa di sé. E non in quanto si trovi brutta o sgradevole, ma solo perché quel suo improvviso ed apparente sdoppiarsi con la sua immagine che vede sopra le superfici di vetro, la mette ogni volta in uno stato di forte soggezione, come se quella donna di fronte a sé quasi non fosse davvero lei.
            La sua amica, quando Caterina le ha parlato di questo problema, ha spiegato in due parole che è soltanto una grande sciocchezza: ognuna di noi deve amare la propria immagine ha detto, cercare di migliorarla quanto sia possibile, e comunque mostrare sempre, anche davanti ad uno stupido specchio, che tutte noi siamo perfettamente sicure di noi stesse, e quindi anche del nostro apparire. Lei non ha ribattuto un bel niente, ma non si è trovata affatto d’accordo con quelle parole, tanto che da quel momento in avanti ha evitato costantemente di parlarne ancora sia con la sua amica che con chiunque altro, conservando per sé tutte le sue personali convinzioni.
            Poi Caterina però ha voluto affrontare meglio e da sola l’argomento spinoso, e così è andata davanti all’unico specchio di casa e si è posta ad osservare insistentemente ogni particolare che vedeva riflesso, fino a quando ha scoperto che non era del tutto lei quella là immersa nella superficie di vetro. E’ un’apparenza, ha infine deciso, un’illusione data soltanto da quello che vogliamo vedere, che ci intestardiamo a immaginare come una semplice copia rovescia, ma che invece, a guardare con maggiore attenzione, non ci assomiglia neppure, tanto da non darcene alcuna prova reale. E nello specchio ha iniziato anche a vedere altre cose: il muro alle spalle pieno di macchie, di crepe, di aloni indefiniti; e poi le sue braccia, più piccole e minute di quanto siano veramente, le mani, più nodose e sgraziate di come le abbia sempre notate. Ha osservato i contorni del viso, e si è accorta che non rispondevano affatto a quello che sentiva toccando la pelle con le sue dita. Insomma nello specchio c’era un’altra persona, un’ immagine completamente diversa, proprio quello che lei aveva sempre creduto.
            Così ha coperto con un telo anche quell’unico specchio di casa, ed ha iniziato a valutare il suo apparire soltanto con la visone diretta di sé, e per quanto riguarda le parti impossibili da vedere, ad affidarsi semplicemente al suo intuito ed a quanto riesca da sola ad immaginare. E’ stato per questo forse che è stata capace di uscire da casa con i capelli quasi completamente arruffati, tanto che qualcuno di sua conoscenza glielo ha fatto notare, sorridendo come se fosse una cosa che capita solo agli sciocchi. Nelle immagini ci sta solo quello che vorremmo vedere, ha pensato Caterina tra sé; il resto è qualcosa che ci rende sempre meno liberi di essere come vorremmo. Se continuiamo sempre ad immaginarci con gli occhi di chi ci sta semplicemente guardando, rivedendoci specchiati nel loro sguardo, non saremmo mai veramente noi stessi, ma soltanto dei tentativi somiglianti a quello che gli altri si aspettano di vedere. E’ tutto falso, ha infine deciso, se non quello che noi sentiamo nel profondo di essere realmente.

            Bruno Magnolfi

            

venerdì 19 maggio 2017

Nuovo vicinato.



Loro sono strani, dice lui alla moglie. Non li vedi per settimane, poi all’improvviso escono fuori con dei sorrisoni che paiono quasi ironici. Quando qualche volta mi sono fermato per parlare con quel Franco come si chiama, mi ha dato subito l’impressione di volermi scaricare velocemente, rispondendo a monosillabi e non guardandomi mai in faccia. Ma tu cosa ne pensi? La moglie prosegue a scaricare la lavastoviglie, preoccupandosi, per ogni pezzo che tira fuori, di asciugare con lo strofinaccio le inevitabili goccioline d’acqua che si sono conservate sulle superfici, ed annuisce senza dire niente, anche se pensa che quella Rita che abita di fronte alla loro casa sia sicuramente una grande asociale, visto che non si è mai neppure presentata dal suo arrivo nel quartiere, come invece è convenienza quando si hanno dei nuovi vicini di casa.
Va bene, saranno giovani, prosegue lui, anche se a me pare che lei abbia qualche anno in più del suo compagno, ma in ogni caso le regole non scritte sono le solite: se ci incontriamo sul marciapiede è bene salutarci, credo, piuttosto che fare finta di non essersi mai visti. Ma non è neppure questo il punto: il fatto essenziale è che non si capisce proprio cosa facciano. Certe volte li incontri al mattino presto, e si potrebbe arguire che magari vadano al lavoro, ma poi a quella stessa ora non li vedi più per giorni e giorni, e dalle persiane chiuse potresti addirittura dire che all’improvviso siano partiti per un qualche viaggio fuori stagione. Infine li ritrovi, vestiti di tutto punto, che escono di casa al pomeriggio, impettiti, pieni di sé, come per andare ad un incontro importante o chissà cosa, ed è proprio in quel momento che sembrano come guardarti dall’alto verso il basso, quasi tu non esistessi neppure, tant’è che neppure ti salutano.
La moglie non interrompe quelle riflessioni del marito, in ogni caso sa che quel Franco è un gran bell’uomo, e che probabilmente tratta più che bene la sua compagna, tanto da formare una coppia bella da vedersi, forse anche troppo in vista qualche volta. Però avrebbe subito da dire che lei appare molto eccentrica con quel suo trucco pesante sul viso ed i vestiti sempre troppi corti e anche scollati, però non dice niente per non essere presa per una sciocca provinciale. E poi all’improvviso, continua lui, ecco che si stampano sul viso questo loro sorriso smagliante che sa subito di finto, ed ammiccano qualcosa pure, come se il mondo fosse in quel momento nelle nostre mani, e che un’intesa in qualche modo fosse già stata definita tra di noi.
No, dice lui, non li capisco. La moglie intanto gli accende la televisione mentre continua a sistemare la cucina, tanto per cercare di tranquillizzarlo un po’, anche se è perfettamente d’accordo con quanto è stato detto fino adesso, nonostante lei non sia solita parlare male di qualcuno, come se fosse costantemente pronta ad accettare come normale qualsiasi stranezza addosso agli altri che pur riconosce perfino dentro se stessa. Credo che non dovremo dare loro troppo spago, dice infine lui; mi sembra che ci sia qualcosa di segreto in quei comportamenti, non vorrei ritrovarmi a dovermi difendere da qualche accusa solo perché abitano qui accanto.
Certo, pensa lei, questo è il comportamento migliore da tenere; se poi verranno un giorno a bussarci alla porta perché hanno bisogno di un favore o di qualcosa in prestito, dovremo ricordarci di tutte quante le nostre riflessioni, e non farsi subito in quattro per qualsiasi richiesta, magari solo perché lei appare carina, ben curata, e magari con uno scollo anche più profondo di quanto sia minimamente accettabile per la gente che abita qua attorno.


Bruno Magnolfi

mercoledì 17 maggio 2017

Oggetti ordinari.

            

Sono disperato. Guardo fuori l’aria fresca di questa stagione che muove leggermente le foglie degli alberi, e tutto mi appare lontano, come se fossero immagini trasmesse in registrata. Mi concentro su dei piccoli oggetti di cui mi sento legittimo proprietario, e torno ad osservare l’orologio, il portafogli, anche questo taccuino per gli appunti. Non c'è niente di buono in quello che faccio, rifletto, se non mandare avanti sostanzialmente per abitudine le attività ordinarie di una persona qualsiasi come sono io.
Telefono ad un amico, ci parlo per un minuto, poi gli chiedo di passare se gli va da casa mia. Lui accetta, e dopo un po’ eccolo qui, nel disordine consueto del mio piccolo appartamento, proprio come volevo. Ma adesso che credevo di poter spiegare accuratamente a lui tutte le mie preoccupazioni non so più che cosa dirgli, e così mi invento qualche battuta di spirito, qualche storiella senza grande significato. Alla fine usciamo, prendo la giacca, si scendono le scale, siamo in strada. Lui dice mentre camminiamo che non devo essere così apprensivo, e lasciare al contrario che le cose scorrano per il proprio verso, smettendo, in misura maggiore o minore, di pensare continuamente a come poterle in qualche modo variare.
Annuisco, probabilmente sarebbe meglio per me comportarmi in questo modo penso; purtroppo ho sempre creduto di poter essere al di sopra di certi particolari, anche se una punta di malessere dato dai miei comportamenti sono cosciente di averla sempre avuta, sin da quando ero un ragazzo. Sorrido, offro un caffè al mio amico, così entriamo in un locale, ci diciamo ancora qualche cosa, poi lui guarda l’orologio e così ci salutiamo in questo modo, ognuno diretto verso i propri interessi. Certe volte vorrei avere la forza di parlare con gli altri senza cercare le parole giuste, sparando quello che mi passa in quel momento per la testa, scomodo o difficile che sia, però con gli anni ho forse imparato ad accettarmi per come sono, e quindi alla fine non devo almeno ricominciare a ripensare tutto, fino dagli inizi.
Torno nel locale e mi siedo ad un tavolo libero; guardo ancora l’orologio, il portafogli, il taccuino per gli appunti. Una donna da sola accanto a me sorride immaginando le mie perplessità, le faccio un gesto di sconforto, lei mi guarda forse con un briciolo di comprensione. Continuo ad appuntare le cose che mi vengono alla mente, poi mi inceppo, strappo il foglio e accartoccio tutto in una tasca. Sono proprio un disperato, dico alla donna, per ritrovarmi a scrivere le cose piuttosto che viverle come fanno tutti. Lei si alza, viene al mio tavolo, si siede, poi dice che trova tutto questo assolutamente naturale: c’è soltanto da accordarsi su quale sia il punto di vista da cui si guarda tutto quanto. Forse, le dico; in ogni caso è probabile che la mia sia soltanto un’inadeguatezza a trovare ogni tanto un briciolo di serenità; e a questo punto tanto vale rassegnarsi. Mi resta comunque l’orologio, il portafogli, ed anche il taccuino.


Bruno Magnolfi

lunedì 15 maggio 2017

Propositi notturni per il giorno.

            
            Lei si guarda attorno, cerca di trovare il punto esatto da cui come sempre sa che inizieranno poco per volta ad apparire le maschere, queste buffe figure stravaganti probabilmente frutto in parte anche della sua fantasia, ma che indubbiamente anche stasera sono pronte, come ogni volta e in un modo del tutto autonomo appena si spengono le luci, ad indicare per lei le cose migliori da fare e da affrontare. Ormai è da diverso tempo che ha iniziato ad avere fiducia in quei consigli che le vengono così suggeriti, anche se non sempre è facile comprendere i significati che assumono molte delle strane espressioni di quelle figure. Sul muro bianco, quando la calma e il silenzio della propria solitudine avvolgono la sua abitazione, si stagliano lentamente delle forme, e qualcosa si muove poco per volta, qualcuno pare bisbigliare nell’ombra, ed a lei, con gli occhi sgranati, non resta che seguire ed ascoltare con grande attenzione tutto quello che avviene. Poi ogni sfumatura si dilegua rapidamente, e qualsiasi avvistamento trova termine all’interno di un vapore di luce impalpabile.
            Ogni decisione per lei diventa come semplificata: ad occhi socchiusi si concentra sulle cose che desidera maggiormente sapere, e sul muro di fronte da dove si trova, vengono accennate tra certi movimenti leggeri come di stoffe purissime che ondeggiano, le espressioni che paiono sottendere ad una pur vaga risposta. Ecco, è tutto lì, un aiuto insperato e prezioso, un sostegno alla sua vita quotidiana costituita sicuramente da pochi elementi, ma che spesso sembrano tutti imbrogliati tra di loro, in modo tale che in molti casi decidere tra le cose migliori da scegliere non è sempre troppo facile. Inizialmente era scettica, le pareva assurdo quello che stava accadendo,ma in seguito ha iniziato a seguire con una certa fedeltà quanto le viene indicato, tanto da attendere, in qualche caso con ansia, l’arrivo della sera e la comparsa di quelle maschere.
            Forse sonnecchia mentre le aspetta, forse sono direttamente i suoi pensieri o i suoi sogni che si proiettano sopra quel muro, però lei ci crede a quanto riesce a vedere di fronte a sé, e in ogni caso è la sua indecisione perenne che tramite le figure che appaiono si fa da una parte, per cui tutto improvvisamente sembra indiscutibilmente più facile e più lineare. Pare come se la sua carica emotiva perdesse d’improvviso ogni consistenza di fronte alle maschere, e tutto così trovasse all’improvviso una soluzione razionale ed insperata.
            Poi qualcuno le suona il campanello di casa, lei si alza dal letto, è ancora presto riflette, così indossa una vestaglia che tiene pronta nella sua camera e va ad aprire. E’ una sua conoscente che abita nel palazzo di fronte, e dice restando sulla soglia che soltanto stasera si è resa conto di quanto tramite uno specchio che ha nel tinello, la sua televisione pare proietti qualcosa proprio all’interno della finestra di lei, e che se le reca fastidio in qualche maniera può assolutamente spostare lo specchio e dare termine velocemente e con poco sforzo a tutto quanto. No, non ha importanza, risponde lei; non mi sono mai neanche accorta di niente, e in ogni caso non mi pare una cosa che meriti tutto questo sforzo. Può lasciare le cose esattamente come si trovano, dice ancora, non ci sono proprio problemi; al limite poi sarà mia cura, se mai mi accorgessi che le luci o anche queste immagini soffuse mi creassero in qualche modo qualche problema, abituarmi a chiudere sempre bene le tende, e magari a serrare meglio anche le mie tapparelle.


            Bruno Magnolfi 

giovedì 11 maggio 2017

Proprio smaccato interesse.

          
Sono il migliore. Anche quando una sottile corrente d’aria mi sfiora, respiro con profondità, ossigeno con calma la mente, lascio che la poca luce pura che si può ancora trovare sparsa qua attorno si concentri in sottili bargigli, e così annullo ogni malessere, neutralizzando perfino quel senso di smarrimento che a volte chiunque può avvertire in modo più o meno palese, e che rende tutte le cose meno precise, più inafferrabili, quasi che perfino le più risolute certezze riescono a perdere in quei momenti la loro esatta collocazione. 
Al caffè mi fanno sempre grandi saluti quando vi giungo, dicono a volte che sono proprio l’elemento che mancava per completare quel quadro, poi ridono, sembra forse a tutti quanti che possa minimamente cedere a quei loro modi che hanno per tentare di divertirsi alle mie spalle, ma certo non li accontento, mantengo il mio atteggiamento austero da persona impegnata e distante, e perciò resto assolutamente in silenzio, lasciandomi servire subito qualcosa dal cameriere. Mi guardano ancora per qualche attimo, sanno perfettamente che non sono fatto della loro medesima stoffa, e infine proprio per questo mi lasciano perdere, capiscono perfettamente che non ci sarà mai alcun seguito a quei loro scherzi.
Certe volte mi intrattengo con un vecchio professore in pensione che mi guarda in silenzio, si siede con calma al mio tavolino, e poi a bassa voce cerca di spiegarmi qualcosa delle sue vecchie esperienze di navigato insegnante. Lo ascolto, in qualche caso senza neppure comprenderlo, sorseggio il mio aperitivo, osservo l’orologio quando i discorsi vanno un po’ per le lunghe. Quindi a un certo punto mi scuso, mi alzo dalla mia sedia, saldo il conto al solerte cameriere, ed infine me ne vado fuori da lì, a camminare da solo per i fatti miei. Ritengo non ci sia alcun motivo per lagnarmi di qualcosa. Così passeggio lungo la strada che porta verso la casa dove io abito, apprezzando la mia capacità di mostrare dei modi gentili, il mio portamento da persona per bene, il mio abbigliamento assolutamente consono a quello che sono.
In certi casi incontro sulla mia via qualche conoscente del vicinato, perciò lo saluto, mi fermo volentieri a scambiare con chiunque trovi qualche parola, e poi sorrido, mi compiaccio di trovare tutti coloro che vedo in una forma perfetta, anche se non sempre questo risulta essere vero. In fondo trovo che tutte le cose se solo vogliamo, riescono a rimanere in perfetto equilibrio, e che non ci sia in ogni caso una grande necessità di urlare e di strapparsi i capelli. Tutto va bene, ed il segreto sta solo nel dosare con accuratezza quei componenti di cui è fatta ogni giornata, soprattutto fidando sul fatto che tutti i problemi possibili riescano a mantenersi assolutamente lontani da me.


Bruno Magnolfi

martedì 9 maggio 2017

Decisioni senza tempo.

         

Mi sento troppo debole, dice lui restando seduto, le mani abbandonate sul piano del tavolo di fronte a sé; non posso proprio andare, sarebbe come accettare passivamente una sconfitta definitiva senza neanche combattere. Gli altri lo guardano, nessuno insiste, sanno perfettamente che la sua è soltanto una specie di incapacità di fondo, ma in questo caso non possono essergli d'aiuto, per quanto sia evidente che ad ognuno di loro piacerebbe comunque sostenerlo in qualche maniera. Infine si ritirano, rispettando perfettamente la sua sensibilità, anche se capiscono tutti che il direttore dell'istituto non verrà mai a chiedere qualcosa ad uno come lui, così fragile e privo di iniziative, ed in questo modo la possibilità di presentare la domanda per la revisione del suo caso sarà così rinviata di settimane, forse addirittura di mesi.
Mi dispiace averli delusi, pensa lui mentre si sente in parte già rassicurato di restare per qualche momento da solo nel prepararsi alle solite cose di sempre, come ad una quotidiana celebrazione. Immaginarsi di uscire dall’istituto anche soltanto durante qualche ora del giorno è un elemento di novità su cui deve ancora riflettere profondamente: ci vuole un programma preciso di cose da fare, pensa; ci vuole anche il coraggio adeguato per lasciarsi cambiare così radicalmente le proprie abitudini ed affrontare l’esterno quasi come fosse un’esperienza qualsiasi, al contrario di quel sentirsi all’improvviso solo davvero, una volta fuori, privo completamente di qualsiasi protezione e anche di riferimenti precisi. 
Meglio non presentare alcuna domanda, non parlarne neanche, pensa ancora, anche se forse, come dicono loro, sarebbe proprio il momento per farlo, probabilmente il periodo migliore da quando sono qua dentro. Quindi si alza, si stringe dentro le spalle, e con le mani affondate nelle sue tasche inizia a compiere il solito giro a passo lentissimo, lungo gli imperiosi corridoi di quell’istituto. Gli altri lo guardano, qualcuno gli fa un cenno mentre sta passando, molti vorrebbero ancora parlargli, dire magari che sta sbagliando quasi tutto, che non deve lasciar perdere ogni cosa in questa maniera. E lui probabilmente lo sa, capisce perfettamente che cosa possa passare nella testa di chi adesso lo guarda, ed è per questo che evita tutti, che tira diritto come fa spesso nel suo solito percorso ormai stabilito nel tempo.
Non è facile prendere certe iniziative: forse sto spudoratamente sbagliando, riflette ancora tra sé, però certe cose bisogna sentirle, bisogna siano mature dentro di noi per poter dimostrarsi davvero perseguibili e quindi attuabili. In fondo, se non cambia niente, niente può farci soffrire, ed ogni novità risulta soltanto rinviata a dei tempi migliori. Poi si ferma per guardare fuori da un finestrone naturalmente munito di sbarre. Là fuori c'è il parcheggio delle automobili di tutto il personale dell'istituto, gente che arriva o che va via in maniera persino troppo semplice e lineare. Il direttore si fa vedere solo una volta ogni tanto, lui la conosce bene la sua automobile, l’ha osservata da dietro già tante volte proprio mentre lui stava andandosene chissà verso dove. Adesso è laggiù quella sua macchina, la vede bene, ed il direttore sicuramente è dentro al suo ufficio, e sta prendendo le proprie decisioni importanti.
Devo ritirarmi nella mia stanza, pensa lui all’improvviso; non posso lasciare che qualcuno mi trovi così, a girellare senza una meta. Forse devo addirittura rinchiudermi in un bagno, per far passare almeno il tempo di questa mattina: capirà il direttore, se pur mi venisse a cercare, che la mia situazione non è così facile come tutti vorrebbero fosse. Ci vorrà ancora del tempo, riflette ancora con rapidità: e chissà se anche quello sarà davvero sufficiente.


Bruno Magnolfi 

venerdì 5 maggio 2017

Convergenza.

           

Vado avanti, proprio come mi dicono gli altri, anche se spesso mi sembra di essere al di fuori da tutto. I miei pensieri durante la giornata sono frutto solo di preoccupazioni personali, che molte volte si dimostrano del tutto infondate, ed i miei sogni durante la notte accarezzano in tanti casi la forma dell’incubo. Troppo frequentemente, forse per scelta, mi ritrovo da solo, e costruisco un nemico intorno a me che non sembra apparentemente aggressivo, anche se è sicuramente fornito di odio e di cinismo. Mi lancio in avanti, nel futuro, come mi hanno già consigliato da molto tempo, e quasi non tengo conto del presente che pare sempre sfuggirmi. Cammino attraversando tutta la città, nelle ore previste dal programma dell’istituto, muovendomi sempre ad occhi bassi e con passo svelto, fingendo degli impegni che non ho probabilmente mai avuto, e non chiedo aiuto a nessuno, in modo da non provare dei sentimenti di gratitudine.
Incontro una donna, forse di qualche anno più grande di me, che fuma la sua sigaretta e mi guarda con aria svagata. Dice che attende qualcuno, o qualcosa, mentre se ne sta alla fermata del bus, ma io capisco in un attimo che la sua solitudine fa il paio con la mia. Le dico con gentilezza che si può prendere insieme un caffè senza impegno, tanto per conoscerci meglio, ma lei dice che non è interessata: la sua storia è troppo complessa, mi spiega, per poter trovare ancora una volta la volontà per parlarne. Va bene, le faccio, si può rimanere in silenzio, che poi è anche la maniera più consona alle mie normali abitudini. Lei non dice altro, però mi segue, e così ci sistemiamo in piedi al bancone di un locale proprio lì accanto. 
Forse vorrei sorriderle, ma non ci riesco, e così mostro la mia espressione perennemente corrucciata, guardando con insistenza tutte le espressioni che assume la mia compagna. Dice ad un tratto di chiamarsi Lucia, e a me sta bene quel nome, anche se capisco subito come non sia il suo veramente. Ad un tratto scoppia a ridere, non sa spiegare perché, però è divertita, forse del mio atteggiamento che ho tenuto fino a questo momento, non saprei. Poi fa una smorfia, mi guarda come impaurita, terrorizzata da qualcosa che le passa dentro la testa, e forse vorrebbe mettersi a piangere, anche se si trattiene. Le prendo la mano, le dico che siamo uguali, che non ci sono degli ostacoli tra noi, perché non abbiamo neanche bisogno di spiegarci qualcosa, va bene così, è tutto appianato, sotto controllo, le cose procedono, siamo due che si sono incontrati, come avviene a chiunque, non ci sono problemi.
Si va via dopo il caffè, lei si accende subito una delle sue sigarette, io la guardo e mi pare lo specchio di qualcosa di mio che pare sfuggirmi, ma le tengo la mano, la porto con me, non so neanche dove, forse soltanto a camminare in mezzo a questa città. Lei adesso sembra docile e si lascia guidare verso qualsiasi meta io abbia in mente, cammina al mio fianco, qualche volta mi guarda, ma la sua espressione è ancora una volta di diffidenza, come se conservasse la sua personalità dietro la maschera, pronta a sfoderarla in qualsiasi momento. Le dico che tra non molto dovrò rientrare nel mio istituto, e lei non sembra per nulla meravigliata, come se le batoste che ha preso sicuramente durante tutti i suoi anni, l’avessero già anestetizzata da tempo rispetto a qualsiasi novità negativa. Si ferma, mi saluta con un semplice gesto: lei resta lì, da qualche parte, e forse dentro di sé mi ringrazia, anche se non sente per niente il bisogno di manifestarsi.
Riprendo la mia camminata, chissà come si chiama davvero, mi chiedo; forse ha un nome insignificante, forse quello di una pianta o di un animale, e magari se ne vergogna. Non so niente di lei, rifletto con una certa tristezza; non sono riuscito a sapere niente della sua vita, mi resta soltanto il suo modo particolare di guardarmi: ma va bene così, continuo a dirmi, non c’è bisogno di altro per una conoscenza profonda.


Bruno Magnolfi       

martedì 2 maggio 2017

Storia d'amore.



Lei e lui vanno sempre assolutamente d'accordo, anche quando qualcuno del vicinato crede di sentire alzarsi, da quell’appartamento del terzo piano, le loro voci alterate, certe volte persino gracchianti e sgradevoli, quasi come se loro due avessero davvero qualche motivo valido per litigare, e per gridarsi vicendevolmente parole del tutto spiacevoli. Sorridono per strada, generalmente, e camminando augurano a tutti il buongiorno, tenendosi per mano ed ammiccando sempre qualcosa attraverso la loro evidente felicità, quando poi scorrono ulteriormente in avanti come per lasciarsi tutto alle spalle, senza dare mai l'impressione di avere alcuna incertezza nella loro meravigliosa sintonia. Qualcuno, tra chi li conosce di più, dice che sono proprio uguali, due gocce d’acqua, ed hanno come piegato le loro distinte personalità fino a farle quasi coincidere.
Lui e lei sono anche buffi da vedere: si danno dei consigli, ciascuno annuisce a ciò che dice l'altra, e poi si sostengono, hanno sempre qualcosa in comune rispetto a tutto ciò di cui paiono maggiormente occuparsi. Certe volte gli amici cercano di parlare con loro magari riferendosi ad uno per volta, ma non è facile, perché ogni poco loro si cercano, ciascuno avvertendo la presenza o l’assenza dell'altra, e subito quindi tentando di riavvicinarsi, di tornare a riunirsi per dare la stessa versione definita delle cose che dicono. Quando poi vengono nominati in loro assenza, nessuno si sognerebbe mai di usare soltanto un nome dei due, proprio perché separatamente insignificante, unendone al contrario negli appellativi la forza e l’autorevolezza, come fossero davvero una sola entità.
Lei e lui sembrano una forza quando li incontri, se poi chiedi loro delle cose abituali o di pura convenienza ti sommergono subito con le frasi e le parole apparentemente più consuete, tanto che sembra addirittura impossibile riuscire ad essere davvero in quella maniera. Però fa piacere ritrovarli sempre così, quasi una certezza quei loro modi e tutto quello che sottintendono, praticamente una serie diffusa di sensazioni oltremodo tranquillizzanti, come rivedere un bel panorama evitato o forse soltanto tralasciato per un lungo periodo, tanto da dare improvviso il piacere quasi di una riscoperta.  
Lui e lei sembra impossibile rivederli d’un tratto così, immobili nella loro freddezza, in mezzo alle opinioni di tutti nella caccia spasmodica intorno ai motivi che hanno minato le cose in un modo solo un attimo prima impensabile, nel loro terzo piano come un paradiso sempre raggiunto coi loro stessi piedi, ed adesso lasciato per mano di un colpo di testa improvviso, una gelosia forse assurda, un’incomprensione magari appianabilissima, se solo ce ne fosse stata la voglia, come ogni altra volta, facendo leva sugli innumerevoli punti di convergenza.
Lei e lui escono male dalla mente di tutti: nessuno adesso ha voglia davvero di ricordarne qualcosa di positivo, se non quell’affezione declamata continuamente e quindi stucchevole, tanto da essere alla lunga per opinione di tutti quasi un ingombro per una coppia di sane persone che tentano un rapporto qualsiasi, un’intesa che non vada a sfiorare il disturbo malato di chi si arrampica all’altro per non soggiacere all’altrui. Due persone nel tentativo di essere una: quasi da ridere, un bisticcio di termini, uno sbaglio evidente, uno sfiorare il ridicolo, nel clamore diffuso in un attimo soprattutto tra coloro che li hanno voluti vedere soltanto per quello che fino alla fine hanno mostrato; e non ciò che erano.


Bruno Magnolfi