mercoledì 30 settembre 2020

Meglio che niente.

 

 

            Salgo nel pomeriggio sul treno semivuoto, e mi sistemo come d’abitudine sul primo sedile libero che trovo. Mi piace sentirmi un po’ da solo quando torno verso casa. La mattina c’è sempre molta più gente dentro queste carrozze, e spesso devo rimanere in piedi per tutti i quaranta minuti del viaggio. Ma adesso è diverso, posso rilassarmi per un momento dopo la giornata di lavoro, e pensare tranquillamente alle mie cose. Invece arriva un tizio dopo un attimo, e si siede di fronte a me. Non dice niente, io non lo conosco, ma lui mi guarda come cercasse di ricordare dove mi ha già visto. Socchiudo gli occhi appoggiando la testa alla mia mano, e lascio che la periferia della città scorra come sempre fuori dal vetro del finestrino, senza interessarmene. Ma il tizio d’improvviso dice: “ecco; mi sembrava, lei è esattamente la persona che ho incontrato stamani”. Lo guardo meglio, ma non è una fisionomia che riesca a suggerirmi qualcosa. Scuoto leggermente la testa per fargli capire che non sono colui che crede, e che in ogni caso non ho voglia neppure di ascoltarlo.

            Quello si calma per un momento, dandomi l’illusione che intenda smetterla, ma poi riattacca con la solfa di avermi incontrato in un ufficio e che forse potrei aiutarlo. Gli dico ancora che non sono io la persona che cerca, e che comunque fuori dall’orario di lavoro non faccio niente per nessuno. “Mi deve aiutare”, dice quello; “io lo so che lei lavora al patrimonio edilizio degli uffici comunali, e per lei sarebbe soltanto una sciocchezza, una minuzia, appena un piccolo aiuto da dare ad una pratica che giace  su qualche scrivania da tempo immemorabile. Lo guardo meglio: effettivamente lavoro nell’ufficio che lui ha citato, ma personalmente non svolgo un’attività aperta al pubblico, mando avanti tutto il mio mestiere nelle stanze dell’archivio, per cui non può proprio avermi visto da nessuna parte, a meno che qualche collega non gli abbia indicato, a questo tizio che mi sta adesso di fronte, proprio la mia figura come quella in grado di aiutare chicchessia. Ribadisco che la mia etica lavorativa non mi permette di fare distinzioni tra le persone, per cui, anche se è vero che lavoro negli uffici che lui ha citato, ciò non significa che io possa né che sia in grado di aiutarlo.    

            Quello si placa per qualche attimo, sembra quasi convinto, poi però mi chiede a quale stazione io debba scendere. Non mi sento assolutamente nelle condizioni di spiegare ad un tipo del genere tutti i fatti miei, ma nella speranza che almeno poi mi lasci perdere, gli dico tra i denti in quale fermata abbandonerò questo maledetto treno di pendolari, ma lui a quel punto dice che allora scenderà con me, che mi accompagnerà per tutto il tragitto fino a casa mia, ed in quel tratto di strada proseguirà a spiegarmi dettagliatamente tutta la situazione che io assolutamente devo conoscere. "Non ho il minimo interesse per la sua situazione", gli fo secco; "e poi quando torno a casa voglio starmene da solo". Silenzio. Adesso sembra offeso questo tizio. Tira fuori delle carte da una tasca ed inizia a guardarle senza degnarmi più neppure di un’occhiata. Ci fermiamo ad una nuova stazione e lui niente, lo sguardo perennemente incollato alle sue cose e la consegna del silenzio che prosegue a rispettare. Infine mi alzo dal sedile, “devo scendere”, gli dico; e lui ritrae le gambe per lasciarmi passare più agevolmente. “Mi dispiace per il suo problema”, gli fo. “Se vuole posso segnalarlo ad un mio collega che smista le pratiche”. Lui mi guarda, riflette per un attimo, sembra quasi confabulare qualcosa tra di sé, ed alla fine dice soltanto: “no, la ringrazio; in fondo non importa, scusi anzi se l’ho importunato. Le cose in qualche modo si risolveranno; la mia pratica prima o dopo verrà ripresa in mano da qualcuno, ed allora sarà tutto più chiaro. In ogni caso”, dice dandomi un foglietto ripiegato, “questi sono gli estremi della pratica in questione, e dietro c’è il mio nome ed anche il numero di telefono a cui rispondo. Senza impegno, ma ciò che riuscirà a fare per me, sarà comunque sempre meglio del niente che ho ricevuto fino ad oggi.

 

            Bruno Magnolfi

lunedì 28 settembre 2020

Va dietro quell'altro.

 

        

 

            Certe volte lui la incontra, la saluta, le sorride, scambia con lei qualche parola di circostanza, e questo gli basta. Però non ci sono ancora state delle nuove vere occasioni del genere questa settimana, lui lo sa bene, ed adesso un po’ se ne inizia a dispiacere, perché si potrebbe anche dire che ogni volta in cui esce da casa, o magari quando vi rientra, oppure quando va a fumarsi una sigaretta per rilassarsi davanti all’ingresso del palazzo, lui continui sempre ad osservarsi attorno, nella speranza di accorgersi se lei per combinazione proprio in quel momento sia davvero in quei paraggi, o da qualche parte: lungo le scale magari, oppure sul marciapiede davanti al condominio, forse nei pressi di quel grande caseggiato dove abitano in appartamenti purtroppo distanti tra di loro. Quando poi la vede, come sicuramente succederà magari questa sera stessa, oppure al più tardi anche domani, prova subito il desiderio di andarle vicino, di sorriderle, di dirle addirittura le prime cose che gli passano in mezzo alla testa, anche se a volte sono proprio delle sciocchezze spudorate. Ma lei lo ascolta ugualmente, gli sorride sempre, dice qualcosa a sua volta, sembra davvero contenta anche lei di incontrarlo, almeno quanto lui. Lui crede persino di averla sognata qualche volta, e forse è proprio così, considerato il desiderio che ha maturato in questi ultimi tempi di suonare il campanello del suo appartamento, magari accampando una scusa qualsiasi, pur di vedere di nuovo sulla sua faccia quella espressione sorridente che gli piace davvero e che lo incoraggia a ricercarla, e poi a dirle qualcosa di carino, qualcosa di semplice e di spontaneo.

            Quando una donna ti guarda in maniera simile a come tu cerchi di guardare lei, gli ha detto qualche tempo addietro un suo amico, significa che prova le tue stesse sensazioni, e lui adesso si è quasi convinto che sia esattamente in questa maniera, anche se non ha mai avuto il coraggio fino ad ora di fare un passo di più. In fondo cosa importa pensa, mentre cerca con le proprie parole di convincere se stesso: queste persone spesso sono tutte uguali, indifferenti agli altri, ed anche se in apparenza fingono di tenere conto di uno come posso essere io, poi nei fatti non se lo filano per niente. Così lascia trascorrere i giorni senza combinare un bel nulla, però continua a pensarci, immagina che le cose potrebbero aggiustarsi in un solo attimo, magari con un semplice pizzico di fortuna. Va a fumare sulle scale, affacciandosi alla finestra che dà sul retro, e intanto la cerca; rientra a casa ed osserva sulle scale se lei fosse lì; va a comperare qualcosa per la cena nel negozio di fronte, ed intanto guarda se per caso lei sia là fuori. Una settimana infernale, quella che si sta concludendo, trascorsa così, nel niente, senza riuscire ad incontrarla.

            Poi eccola, insieme ad un tizio mai visto prima. Fa la sciocca, ride, poi incrocia in un attimo il suo sguardo mentre lui rimane immobile accanto al portone. L’espressione che lui nota di lei adesso è seria, forse si sente dispiaciuta di essersi fatta trovare non da sola. Quasi si ferma nel momento che arriva proprio davanti a lui, sembra quasi che con il suo sguardo adesso sia impegnata nel tentativo di cancellare di colpo la persona che si trova accanto, come se tutto potesse essere come è sempre stato in quel loro incontrarsi, proprio come è apparso ogni altra volta. Ma adesso non è così, e le cose appaiono evidenti. L’altro alza una spalla, come a farla decidere su che cosa voglia fare, lei si spinge da una parte, poi affronta l’ingresso, e senza una parola fa entrare prima l’altro, lasciando in aria un’ultima occhiata tutta per lui che continua ad osservarla, e forse in quella pausa infinitesimale lei vorrebbe fermarsi a dirgli qualche frase, e spiegare in qualche modo quella situazione, per chiarire come stiano davvero adesso le cose, perché forse non sono proprio così come sembrano apparire, e lei magari vorrebbe proprio dirlo forte, precisare che cos’è che più di tutto le interessa veramente, oppure manifestare con un gesto quali siano sempre stati i suoi veri sentimenti. Ma poi abbassa gli occhi, allunga il passo, ed entra nel portone, dietro quell’altro.

 

            Bruno Magnolfi 

giovedì 24 settembre 2020

Prezioso collezionismo.

 

        

 

            Sto impazzendo, non c’è dubbio. Mi guardo per un momento in uno degli specchi di casa, e sembra che in questo momento neppure riesca a riconoscere il mio volto. Poi di nuovo vado a frugare in quei soliti cassetti del mio tavolo, dove fino ad oggi ho tenuto gelosamente custodite quasi tutte le mie care pagine, ma non ci trovo più assolutamente niente di quello che sono riuscito ad accumulare in tutti questi anni. Inizio a ridere sguaiatamente: non è possibile quello che stia accadendo penso; poi butto all’aria tutte le mie collezioni di minutaglie minori raccolte in scatoloni: sassolini, conchiglie, mozziconi di lapis, bottigliette di medicinali scaduti, ed adesso non ci trovo quasi più niente di interessante, almeno non come una volta. Torno a riaprire i cassetti, dove ci dovrebbero stare tutte le preziose lettere che ho ricevuto in tanti anni, le pagine di libro strappate nelle biblioteche, gli appunti di diario vergati da me nelle giornate particolari, ed anche certi ritagli di giornale, alcune notizie che credo utile rammentare in qualsiasi momento, gli scontrini dei negozi dove ho acquistato certe cose, le liste dei prodotti da comprare; tutto adesso sembra sparito, peraltro insieme ad altri fogli sparsi di minore importanza. Mi muovo per casa, cerco di riflettere velocemente, ma sembrano perdersi i miei pensieri nel momento in cui transitano nella mia testa.

            Incontro un altro specchio della sfilza che sta appesa lungo il corridoio della mia casa, e attorno a un occhio, osservandolo con una certa attenzione, mi osservo con fastidio un tremore della palpebra che denota ovviamente un grande nervosismo. Su di un tavolo lì accanto ci sono anche dei pezzi singoli di piccoli oggetti perlopiù inutili, ma che rappresentano altrettanti inizi o progetti di nuove collezioni, che naturalmente possono essere portate avanti in qualsiasi momento ne abbia la voglia. Poi però torno ai cassetti. Sento che la pazzia mi sta salendo, ho la fronte sudata, le mani che non riescono più neppure a rimanere ferme per il bisogno di scuotere, di afferrare, di cercare qualcosa che ho il terrore non troverò mai più. Riapro lentamente tutta la cassettiera della scrivania, spalanco le ante delle librerie coi vetri: è tutto vuoto, tutte le cartelline che contenevano ogni elemento della mia stessa esistenza, non ci sono più. Può essere stato riposto tutto quanto da qualche altra parte penso, ma adesso non saprei neppure dove guardare, così torno a consolarmi riprendendo in mano una serie di tappi di bottiglia, anche se con scarsi risultati.

            Considerando che nello studio posso entrare solamente io però, sicuramente posso aver spostato tutto quanto soltanto mentre ero preda di un attacco di pazzia del tutto incontrollabile penso, e tutti i materiali cartacei accumulati, nel momento in cui la razionalità mi era venuta meno, li posso aver sistemati chissà dove, magari in un armadio di vestiti, oppure in un baule. Mi siedo, devo riflettere, piuttosto che lasciarmi prendere da questa agitazione penso. Non capisco quale possa essere stato il motivo scatenante che mi ha portato a mettere mano proprio alle collezioni dei materiali cartacei, lasciando invece intatte tutte le altre. Infine apro il ripostiglio delle scope: in una confusione assurda di fogli accatastati alla rinfusa, le mie carte sono tutte lì, almeno mi sembra, come se le avessi prese sopra le braccia in un lungo impeto di follia, e le avessi scaraventate a terra in quel piccolo stanzino, senza curami d’altro. Raccolgo adesso le prime cose che mi capitano in mano: dovrò riordinare tutto quanto penso, rifarmi da una parte e ritrovare la giusta collocazione di ogni foglio, di ogni appunto, di ogni ritaglio. Posso farlo penso, posso risistemare tutto quanto con calma nei cassetti e nelle librerie, e ridisegnare un percorso cartaceo che indichi ogni mio passaggio, salvando dall’oblio le mie giornate che in caso contrario diverrebbero una nullità. Posso farlo, devo farlo penso; perché sono queste mie collezioni la mia stessa esistenza, e nient’altro.

 

            Bruno Magnolfi

martedì 22 settembre 2020

Tirare avanti, lavorare, eccetera.

 

           

 

            Il cielo appare tutto striato di nuvole. Nuvole grigie, bianche, sbuffanti, voluminose, eccetera. Ci sono persone che girano a piedi senza uno scopo lungo le strade del centro abitato, altre che cercano cose da acquistare e curiosano nei negozi che incontrano. In un caffè un uomo sta seduto e si guarda attorno ogni tanto, mentre mangia senza fretta un panino. Dentro c’è qualche altro tizio, ma ognuno sembra pensare soltanto ai fatti propri, oppure a se stesso, eccetera. Non c’è neppure bisogno di dire che l’aria appare pesante, e i rumori e le voci soltanto dei fastidi lontani, con la città piena di polvere sollevata dalle macchine che partono di fretta dai semafori accesi di verde. Tutto identico a qualsiasi altro giorno. L’uomo si alza con calma dal suo tavolino, paga quanto dovuto alla cassa dove sta una ragazza truccata pesantemente, poi si avvia verso la porta per andarsene da quel locale, ma d’improvviso si gira come per aver scordato qualcosa.

            “Sono a terra”, fa ad un altro lì accanto. Questi lo guarda, l’espressione di chi non si cura di niente, e difatti dice soltanto: “puoi bere un bicchiere con me, se ti va”. L’uomo non risponde neppure, torna a girarsi verso la porta, la apre con naturalezza e si immette nella scia di altri che camminano lungo il marciapiede. Non sa con precisione verso dove recarsi, le cose per lui si erano messe male già qualche tempo più addietro, ma da ieri è rimasto d’improvviso senza il lavoro che svolgeva da più di un anno, così adesso si sente un po’ arreso, senza un futuro, con pochi soldi, eccetera. Cammina per qualche centinaio di metri senza fretta, poi decide di andarsi a sedere su una panchina al margine di una grossa fioriera. Non vorrebbe provare l’angoscia che gli sta montando, ma non vuole neppure gonfiarsi di birra tanto per cercare di non sentire il morso che prova dentro.

            Continua a guardarsi attorno con scarso interesse, poi decide di arrivare all’ufficio dove trattano lavoratori stagionali, contratti a termine, piccole occupazioni temporanee, eccetera, ma quando si ritrova quasi davanti a quella vetrina piena di scritte invitanti, vede che c’è una piccola coda di disgraziati di fronte alla porta, tutti che cercano qualcosa per tirare a campare. Osserva la scena, rallenta il suo passo, quindi si ferma un momento; poi riprende a camminare pensando che quell’ufficio in fondo sarà aperto sicuramente anche domani, e non c’è tutto questo bisogno adesso di rovinarsi per forza la giornata, eccetera. Riempire le ore con i pensieri non è tanto semplice se quelli che hai battono sempre sullo stesso punto parecchio doloroso. A lui forse piacerebbe svagarsi, ma in questo momento non gli è proprio possibile.

            Torna a sedersi sulla fioriera di prima, immagina di mettere in terra un cartello con scritto povero cieco, e vedere se qualcuno tra la gente che passa si ferma per dargli conforto. Poi pensa che il momento è difficile per tutti, chissà quanti tra questi che transitano avanti e indietro non sapranno neppure loro cosa fare già da domani, eccetera. Infine torna indietro lungo lo stesso marciapiede, e va ad infilarsi di nuovo nel caffè dov’è già stato mezz’ora fa. C’è ancora il tizio di prima seduto ad un tavolino, così lui si ferma, lo guarda, gli fa: “va bene, bevo una birra con te, tanto non ho altro da fare”. L’altro non dice niente, lascia che lui si sieda, si faccia portare una birra, ne prenda subito un sorso, e sorrida per aver mostrato avanti un comportamento da sciocco. “Avrei un lavoretto per te”, gli fa il tipo invece dopo qualche secondo. Lui adesso ride, gli pare che le cose siano meno complesse di quello che stava appena immaginando, poi attende che l’altro si spieghi un po’ meglio, gli chiarisca quella faccenda, eccetera. Tutto in un attimo pare sistemarsi: c’è da faticare per portare avanti e indietro degli scatoloni pesanti da un magazzino poco distante, ma per il momento è proprio quello che ci vuole per lui, in seguito vedrà di trovare qualcosa di meglio. Eccetera.

 

            Bruno Magnolfi

domenica 20 settembre 2020

Giornate qualsiasi.


 

            “Non c’è proprio niente di bello da vedere qua dentro”, gli fa lui con dei modi scocciati. “Anzi, mi sono già stufato di tutte queste idiozie. Se tu vuoi restare ancora, per me va anche bene, ma io ti aspetto fuori, magari mi prendo una bella birra al chiosco della piazzetta e mi metto a sedere in un posto dove stare un po' all'ombra”. Il piccolo museo è stato inaugurato da poco tempo, dentro sono stati esposti dei reperti storici ritrovati durante alcuni scavi poco distanti dal centro abitato di quella cittadina, e fino adesso hanno riscosso un discreto successo di pubblico, anche per l’importanza di tutti i frammenti pazientemente ricomposti, che segnalano la presenza stanziale di antiche attività manifatturiere proprio su quel territorio. L’altro lo guarda, “hai ragione, oggi qua dentro non ci sono neppure delle ragazze”, gli fa, “sembra impossibile che noi dobbiamo sempre ritrovarci a buttare via il tempo in questa maniera”.

            Così i due, con le mani sprofondate nelle tasche, escono dall’edificio che rimane nei pressi del palazzo comunale, poi sotto al sole perdono un po’ di tempo a ridere di qualcosa che hanno appena visto alla mostra dentro una bacheca, e quindi si vanno a sedere ad un tavolo all’aperto di un’osteria nei pressi del centro del loro paese. “Non c’è molto da fare in queste giornate di fine estate”, fa lui. “Mi chiedo come sia mai possibile che nessuno abbia la sacrosanta voglia di inventarsi qualcosa di interessante. Un concerto di chitarre elettriche, una sagra del cocomero, qualche gioco campestre dove ridere un po’ di qualche nostro concittadino. Il caldo durerà ancora per poco, poi partono le piogge e allora arrivederci al prossimo anno”. 

Due vecchi, concentrati in ciò che fanno, giocano a carte al tavolo accanto, e per il resto tutto appare praticamente immobile, proprio come l'aria, calda di sole e soprattutto ferma, senza neppure un alito di vento a scompigliare qualche ramo d’albero. "Vorrei soltanto avere una macchina per andarmene via da qui in giornate come questa", fa lui. “Pensare che ce ne sono un mucchio ferme qui vicino, accostate ai marciapiedi a prendere aria, che non aspettano altro che di essere avviate e fatte girare”. L’altro ride, comprende benissimo che basterebbe un niente per mettere in atto il colpo, ma preferisce non porsi neppure quel tipo di preoccupazione. Bevono, i due ragazzi, schiamazzano, si danno delle pacche sulle spalle, e uno dei due vecchi si gira ormai infastidito da quelle loro risate. Poi loro si alzano, devono pur fare qualcosa, non possono lasciare un pomeriggio come quello senza neanche un’idea da portare avanti.

"Si potrebbe prendere un motorino in prestito e fare una volata fino al fiume, tanto per vedere se almeno lì c'è qualche ragazza". L'altro ride, sa già benissimo che oggi non faranno proprio un bel niente, e lasceranno trascorrere anche questa domenica come parecchie di tutte le altre, senza riuscire a combinare nulla di particolare. Però gli piace stuzzicare il suo amico, così dice: "certo se avessimo qualche soldo nelle tasche tutto sarebbe diverso". Lui lo guarda, gli fa sempre male pensare che un limite così stupido si frapponga al semplice levarsi qualche soddisfazione. "Va bene", dice d'istinto. "Ci facciamo dare i portafogli da questi due vecchi qua accanto, e ci spassiamo la serata come si deve". Poi tira fuori un coltello, si avvicina al tavolo dei due che giocano a carte e li minaccia. Quelli sborsano i pochi soldi che tengono, non trovano neppure niente da dire, considerato che appare una cosa del tutto assurda quella che sta accadendo.

I ragazzi poi filano via, lo sanno che li hanno riconosciuti, che andranno subito dai loro genitori a chiedere di riavere il loro quattrini, ma cosa importa, loro saranno già a divertirsi a quel punto, perché la loro età non torna più, diranno in seguito con le orecchie basse, e qualche stupidaggine si può anche fare ogni tanto. “Nessuno dirà niente ai carabinieri”, fa lui sicuro; “non preoccuparti. E poi cosa ce ne frega: la vita è adesso, domani tanto saremo tutti morti”.

 

Bruno Magnolfi

         

giovedì 17 settembre 2020

Qua non c'è posto.

 

       

 

            E’ lui, è il colpevole, si dice in giro. Tutti hanno iniziato a parlarne negli ultimi tempi, dopo che per qualche anno era stato quasi ignorato dagli abitanti di questa cittadina, praticamente fin dall’epoca in cui si era trasferito giungendo da chissà dove per fare l’insegnante di musica nelle scuole di qua. Molti avevano mostrato un’indifferenza generale verso le sue stranezze, come se fosse normale vagare per la strada sempre da solo, o restare seduto a lungo su qualche panchina, oppure fermarsi per ore alla fine del centro abitato ad osservare semplicemente i campi di granoturco, o magari anche il semplice tramonto del sole nel tardo pomeriggio, quando chiunque al suo posto avrebbe sicuramente avuto qualcosa di meglio di cui occuparsi. Forse fino a ieri proprio per questo tutti avevano evitato di mostrarsi interessati ad uno esattamente come lui, per non doversi preoccupare di un individuo che sfugge alla logica corrente: un solitario, si diceva, anzi un isolato, uno praticamente differente da ogni altro cittadino di qua, un tizio innocuo, ma che ha solo adottato quel suo modo assurdo di guardarsi sempre in giro, di scrutare l’aria, quasi come un animale che si ferma per fiutare l’aria ed anche il vento, magari soltanto per sentirne l’odore.

            Ma adesso tutto sembra diverso: l’atteggiamento che quasi ogni paesano si sente di mantenere nei suoi confronti in questi ultimi tempi è, per la maggioranza, quella del sospetto, e per qualche testa più calda perfino la certezza che sia davvero soltanto lui a montare la testa dei ragazzi giovani, dei loro figli, quelli che tra poco avranno in mano il futuro e le sorti della propria cittadina, fino ad inculcare nella loro testa che la cosa più bella del mondo sia la musica, e che non ci sia niente di maggiormente importante che ascoltarne il più possibile, e poi anche comprenderla naturalmente, e soprattutto studiarla. “Sono sciocchezze”, ha gridato qualcuno dei genitori davanti alla scuola media Don Milani, ma intanto diversi ragazzi non vogliono parlare d’altro che di violini, di pianoforti, di clarinetti, e così via, come non ci fosse altro di importante davanti ai loro occhi. Farli appassionare alla musica secondo molte mamme e papà andrebbe anche bene, ma adesso questi allievi vogliono tutti studiare composizione, direzione d’orchestra, cimentarsi nello studio di uno strumento, e soprattutto sprofondarsi in un mondo che non è assolutamente il loro, quello per cui sono stati concepiti e per cui sono stati fatti crescere.

            Qualche genitore ha affrontato direttamente l’insegnante in questione, e gli ha detto chiaro e tondo che tutto andava bene fino a quando non è arrivato lui. Il maestro di musica naturalmente si è difeso, ha detto a suo discapito che lui svolge soltanto il suo mestiere, parla della sua materia ai ragazzi nei termini in cui qualsiasi altro farebbe al posto suo, e che non è proprio una colpa se un sacco di questi allievi si siano appassionati alla disciplina che lui cerca di insegnare, tanto più che sono tutti giovani, avranno in seguito tutto il tempo per maturare anche altre passioni nel corso dei loro anni scolastici. Ma nessuno dei genitori è rimasto convinto da queste argomentazioni, tanto più che ognuno di loro spera di mettere un giorno nelle mani del proprio figlio la stessa attività che adesso porta avanti: chi fa il vetraio, chi ha un negozio di generi alimentari, chi ha un piccolo allevamento di suini, oppure coltiva intensivamente certe piante di ortaggi o di cereali.      

            Si è studiato persino un piano per far disamorare i ragazzi dallo studio della musica, spiegando loro le difficoltà, tutte le incertezze, il percorso complesso e accidentato di un’attività di quel genere, e nonostante si sia cercato di farlo applicare soprattutto al maestro, obbligandolo a parlare con loro in termini quasi dispregiativi della propria disciplina, alla fine non si è ottenuto proprio nulla, anzi, qualcuno tra gli alunni della scuola si è anche irrigidito sulle proprie scelte. Per questo si è pensato di far andare via il maestro dal paese, e considerata la fatica necessaria per ottenere un trasferimento da parte delle autorità scolastiche, si è fatto delle pressioni direttamente su di lui, minacciandolo persino di fargli del male, se non fosse ritornato subito là da dove era venuto.

 

            Bruno Magnolfi

lunedì 14 settembre 2020

Non sarò mai come le altre.

 

 

            Normalmente abbassano la testa mentre sono impegnate a rivestirsi, e qualcuna di loro accenna persino qualche piccola risata, anche se in generale tutte quante lasciano che ognuna prosegua comunque a coltivarsi la propria personale opinione su di lei, almeno in quei momenti in cui sono tutte assieme, mentre si ritrovano nello spogliatoio della palestra, dopo la lezione a giorni alterni di pilates a cui partecipano. Il fatto è che lei non si fa vedere tanto spesso là dentro, e proprio quando non si fa vedere, ecco che tutte quante sembrano pronte a lavorare di immaginazione, supponendo, per riderci sopra, i più incredibili motivi per cui non si sia fatta viva neppure questa volta. Di fatto, quando poi ritorna, magari alla lezione seguente, a nessuna viene mai voglia di salutarla o di rivolgerle direttamente la parola, a meno che non sia esattamente lei a chiedere qualcosa a qualcun altra, ma essendo con evidenza piuttosto timida e anche parecchio riservata, difficilmente avanza qualche chiacchiera senza un motivo preciso. Tutte dicono di lei che oltre ad essere piuttosto brutta nell’aspetto, ed anche a non manifestare alcun gusto nel vestirsi o nel tenere i capelli bene in ordine, lei non sappia neppure porsi in modo adeguato di fronte a tutte loro, e quindi il fatto di apparire regolarmente debole, fragile, facile da colpire con qualche frecciata spiritosa, mette le cose in maniera che a prenderla di mira siano alla fine quasi tutte, o almeno quella parte di ragazze che non mostrano di avere proprio altri argomenti.  

            Nessuna tra coloro che frequentano regolarmente quel piccolo centro sportivo, immagina il motivo principale che porti una persona come lei a sorbirsi quelle risatine e quelle occhiate ironiche, se non il fatto che non abbia proprio altro posto dove andare, nessun’altra attività, nessun interesse, e neppure un’amicizia pronta a difenderla o a prendere in qualche maniera le sue parti. Generalmente lei è silenziosa, seria, si guarda attorno furtivamente come sperando di non fare niente di sbagliato, e poi si cambia i vestiti rapidamente, quasi il più in fretta possibile, tanto che all’uscita quasi sempre è la prima ad essere pronta per andarsene. Tutte loro sanno che abita con la sua mamma, e che in casa si dividono i compiti per portare avanti le faccende domestiche; e poi lavorano, tutt’e due, in una fabbrica artigianale subito fuori dal paese, un grande capannone dove si producono piccoli utensili per l’agricoltura. Anche di questo ridono le ragazze, immaginando lei che svolge un mestiere praticamente da uomini,  mentre si cimenta al tornio, oppure assembla i pezzi di una falce, di una zappa, di un irrigatore da campo. Di fatto la posizione che lei assume per tutto il giorno sul suo posto di lavoro le procura dei dolori lungo la schiena, ed è per questo che il medico del loro paese le ha consigliato di iscriversi proprio ad un corso serale in quella palestra.   

            Sembra del tutto disinteressata ad apparire più carina di com’è con i ragazzi, al contrario di ciò che invece generalmente cercano di fare tutte le altre, e difatti non ne frequenta nessuno, e con ogni probabilità a nessuno di coloro che si mettono in mostra tra i locali e le birrerie del posto, salterebbe mai in mente di invitarla con sé da qualche parte, cosa questa che sembra quasi fuori discussione. Poi si mette sempre in fondo nello spogliatoio, quasi in un angolo, e durante la lezione cerca di non apparire neppure, facendo sempre gli esercizi che l’insegnante indica a tutte quante, ma mantenendo per tutto il tempo un costante basso profilo. Cerca di mostrare indifferenza ai risolini delle altre, però è come se si chiudesse sempre di più in uno spazio proprio, dove poco per volta nessuno possa essere capace di raggiungerla. Fino al momento in cui, durante l’ultimo periodo, smette improvvisamente del tutto di frequentare la palestra, e alle domande che le ragazze iniziano a porsi perdendo il loro argomento principale attorno a cui divertirsi, nessuna sa rispondere. Lei si è stufata a un certo punto, questo è quanto, e con il suo contegno di sempre ha deciso di non frequentare più quel luogo, anche se alla fine forse ne andrà di mezzo una parte della sua salute.

 

            Bruno Magnolfi

giovedì 10 settembre 2020

Non ho potuto che sbagliare.

 

         

 

            Quella volta credo mi fossi limitato sorridendo a fare appena un cenno affermativo con la testa, lo ricordo piuttosto bene anche se questo è accaduto oramai molti anni fa, ed era successo a margine di un famoso processo penale, proprio quando qualcuno in mezzo a tutti quei giornalisti che in quell’epoca pareva talvolta facessero quasi a gara ad intervistarmi, mi aveva chiesto d’improvviso, considerato che quello era come dire il tema del momento, se fossi stato davvero favorevole ad una limitazione ulteriore delle libertà carcerarie, cosa che in quel momento sembrava quasi un pensiero dilagante. Certo, pensavo all’epoca, ci vuole per tutti la certezza della pena, non un sistema di favoritismi o di blande regole per uscire rapidamente di galera e non tornarci più. Ma l’argomento non era semplice, ed in seguito ha continuato per molto tempo a tormentarmi, anche quando, dopo raggiunto il termine del mio mandato, ho dovuto passare ad altri colleghi il ruolo di responsabile della Commissione Giustizia.

            Adesso qualcuno ha voluto tirar fuori di nuovo quella storia, naturalmente solo per attaccare la mia parte politica, ed ha spiegato in questi giorni con parole semplici ma sicuramente molto efficaci, che la mia figura ed il mio comportamento, come espressione dello Stato di diritto, sono sempre risultati inquinati da un bisogno personale del tutto ingiustificabile e immotivato di giustizialismo. Si è mostrato inutile all’epoca aver chiarito meglio ed in varie occasioni il mio pensiero: la carta stampata spesso prende per vero e definitivo un semplice gesto poco meditato, piuttosto che un argomentare più esauriente e maggiormente chiaro, ma tant’è, devo accettare quello che si dice, visto che riprendere in mano l’argomento significherebbe soltanto dargli nuova forza, e quindi mostrare tutto quanto in modo decisamente ancora più concreto.

            In seguito mi sono disinteressato poco per volta della politica attiva, pur restando naturalmente con le mie opinioni che sempre mi hanno accompagnato, e tra tutti chi mi conosce meglio sa per certo, adesso come allora, che cosa io pensi veramente, lasciando da parte ogni speculazione giornalistica. Mi sono morso le mani tante volte, ripensando a quel mio gesto futile e così dannoso per la mia correttezza di uomo dello Stato, anche se credo che nella vita di ciascuno, scavandovi anche solo leggermente, sia quasi inevitabile trovarci tante piccole vicende di cui spesso ripensandole ci si trova a vergognarsi, o che in qualche maniera mostrano qualcosa che non va esattamente nella scia di ciò che realmente si desidera, tanto che a lungo andare quelle esternazioni appaiono addirittura come delle macchie nella nostra coscienza, e se per un colpo di fortuna nessuno tra chi ci conosce le ricorda, a noi fanno comunque ancora male, nonostante tutto.

            Per questo praticamente trovo assurdo adesso ritrovarmi la canna di una pistola spianata davanti agli occhi, proprio come mi sta accadendo. E non riesco neanche a prendere sul serio la logica con cui vengo affrontato, per cui ci sarebbero persone incarcerate che hanno trascorso chissà quanto tempo in più dietro le sbarre di quanto avrebbero dovuto, grazie alle mie semplici opinioni, o meglio, alle mie osservazioni distratte davanti a un giornalista. Sorrido, mi pare che niente di quanto stia accadendo sia realmente da prendere sul serio, e poi in questo momento non potrei proprio fare nulla per rimangiarmi le parole o i gesti con cui mi sono espresso nel passato. Chi mi parla però ha studiato a lungo i miei comportamenti, sapeva di trovarmi da solo oggi in casa mia, ed ha approfittato di questo momento per mettere a punto una giustizia personale che ha maturato nell’arco di chissà quanti anni dentro la sua mente. “Va bene”, dico allora; “Non ho niente da riferire a mia discolpa; se non che adesso ormai sono soltanto un vecchio, lontano dalle istituzioni, e non sono più neppure in grado di fare grossi sbagli”.

 

            Bruno Magnolfi 

lunedì 7 settembre 2020

Lui e l'altro, dopo il buio.

                    

 

            “Fino a questo punto ti ho sempre seguito, mi pareva andasse tutto bene”, fa lui; “ma ora parli strano, mi sembra incoerente quanto dici, con tutto quello che abbiamo passato e con lo sforzo fatto per uscire dalla melma. Non ti seguo, ecco”. Il mare oltre il molo foraneo del porto è una tavola azzurra: qualche anziano prosegue nel tentativo di pescare con la canna, dopo che le paranze sono tutte orami rientrate, restando seduto sui grandi massi sempre pronti a frangere l’acqua in spruzzi salati e schiuma viva durante quei giorni in cui l’onda si fa alta e impetuosa, ed il sole di fine mattina rende le spianate di cemento attorno alle tante barche che adesso appaiono ferme, silenziose, e ormeggiate con ordine una accanto a quell’altra, come bruciato dalla vampa del giorno, quasi bianco di riverbero, di sale e di luce. “Lo so”, dice l’altro; “non è facile a volte per gli altri seguire quanto mi passa dentro la testa, anche se io lo sento preciso, semplice, del tutto definito”. I due si fermano come per osservare una grossa fune che tira i colli ad una bitta su cui è stata fermata, mentre la piccola nave cargo di fianco si solleva leggermente sul respiro marino, lasciando scricchiolare leggermente i parabordi già mezzi schiacciati. “Non mi aspetto comprensione, comunque. Mi basta che qualcuno come te sappia cosa sto per fare”.

            Quasi tre anni sono trascorsi dopo che i due hanno iniziato il percorso tormentato degli alcolisti anonimi, conoscendosi lì in mezzo e sostenendosi subito l’un l’altro, traendone alla lunga anche degli ottimi risultati da quella loro amicizia. “Adesso è semplicemente il momento di riprendere in mano le cose, ricominciando proprio da dove le avevamo interrotte, senza fare altro, dimenticandosi del tempo che oramai è stato già buttato via”. L’altro lo guarda, ripensa per un attimo a tutte quelle serate trascorse a raccontare a tutti gli altri il proprio malessere, quel dolore interno sfuggente e inafferrabile, quel bisogno profondo di affogare il proprio guaio in una sensazione immediata di leggerezza, e anche di quel sentirsi subito altrove, almeno per un po’, fuori da qui, come dicono in molti, dalla normalità tremenda. “E’ il momento per cambiare tutto, invece”, fa lui quasi parlando tra sé. “Non accettare passivamente la quotidianità, ma salire su una nave ed andarsene, fino dove c’è ancora un po' di mare”, prosegue mentre osserva qualcosa dentro al porto. Poi i due voltano i loro passi tranquilli, e tornano indietro, verso i magazzini del pesce ed i cantieri per le manutenzioni. "Devo andare", fa lui in un soffio; "da queste parti ormai non mi ritrovo più: è come se avessi già bruciato tutte le possibilità che potevo avere".

Dei ragazzi si chiamano per nome mentre ridono e corrono sul molo, e la giornata, intorno alle chiazze di colore delle magliette che indossano, appare quasi radiosa nell'accogliere quei giochi ed il loro mostrarsi spensierati, quasi per dare una cornice adatta a quei piedi veloci dentro le scarpe leggere, e a quelle espressioni abbronzate e divertite all’estremo. “Ho bisogno di mettere dello spazio vero tra il passato ed il futuro; e se in mezzo c’è anche l’acqua salata del nostro caro mare, decisamente, è anche meglio”. L’altro lo guarda, ma quasi per un gesto nostalgico, perché tanto ha compreso quanto non riuscirebbe mai in nessun caso a fargli cambiare quell’idea fissa di andarsene. Tornano indietro, fino alla strada, passano accanto ad una birreria che ambedue conoscono persino troppo bene, ma adesso non ci gettano dentro neanche uno sguardo di sfuggita. Poi si salutano, lui abbracciando quel suo amico con forza, con la coscienza di non rivederlo; l’altro cercando ancora uno spiraglio di possibilità che però adesso non riesce più neanche a vedere. Ed allora si separano, perché tutto ciò che c’era da dire adesso è stato già detto; le prove per ricostruire le proprie aspettative sono state tentate; ed ognuno, da ora in avanti, sa perfettamente cosa si porterà dentro.

 

Bruno Magnolfi   

 

       

venerdì 4 settembre 2020

Non c'è niente forse, alla fine.

 

         

            A volte se ne vanno prima che faccia giorno, di mattina presto, mentre ancora non sta neanche albeggiando. Caricano praticamente tutto quello che possiedono sopra al proprio mezzo, e sistemano alla meglio gli scatoloni che hanno preparato, e poi ognuna delle proprie cose, stipando tutto quanto ciò che hanno dove possono, spesso anche sopra i sedili della loro spartana vettura, mentre qualche vicino, svegliato dai rumori, senza farsi mai notare, li osserva con curiosità dalla propria finestra poco illuminata, forse provando dentro di sé un briciolo di pena, almeno in qualche caso, oppure tirando decisamente un bel sospiro di sollievo, in altre condizioni. Quando poi loro si avviano, senza neppure perdere troppo tempo per guardarsi attorno, sembra in qualche modo che tutto in quel momento sia come finito, dissolto dentro al buio, e che un periodo completo e denso di fatti e di situazioni le più varie si sia realmente concluso in questo modo, e che una divisione profonda adesso riesca all’improvviso a scindere in questo modo un prima ed un dopo, anche se i fatti non sono proprio del tutto in questa semplice maniera. Il tempo si fa asciutto, da quell'attimo in avanti, la strada del trasferimento adesso sembra stare ben distesa e ferma davanti a chi la imbocca, come se ogni cosa che è stata ipotizzata o prevista, confluisse completamente in quel trasferimento, nonostante, persino pochi istanti dopo la partenza, che le cose non sembrino mai cambiare troppo, almeno per coloro che rimangono. Resta un silenzio piuttosto teso dietro ogni partenza, come se si aprisse una grande incognita a cui nessuno riesce a dare una risposta.

Il mattino poi, almeno un’ora più tardi, prende finalmente tutti i connotati di una giornata qualunque, ed ogni persona del vicinato dopo la sua sveglia, affronta come sempre i propri compiti a cui è chiamata, recandosi nei vari luoghi per riprendere le rispettive occupazioni, mentre qualcuno ancora si sofferma, magari mentre sta uscendo dalla propria abitazione, a parlare sottovoce con un suo conoscente, affrontando l’argomento  proprio riguardante tutti coloro che, pare impossibile, fino a ieri erano qui, insieme a noi e a tutti gli altri, ed adesso all'improvviso non ci sono più, ormai dileguati, svaniti, persi in chissà quale diversa situazione, come se ormai fossero morti, dispersi da una guerra che non conosce nomi e neppure delle vere fisionomie, tanto colpisce a caso, ammazzando qualcuno senza neppure consegnargli alcun preavviso. Si resta meravigliati nell'immaginare le stagioni che da adesso in avanti proseguiranno a susseguirsi come sempre senza la presenza di quelle persone che una volta per tutte se ne sono andate, come fosse rimasto quasi un buco incolmabile dietro ognuna di loro, un vuoto che rimane come un segno ad indicare a tutti coloro che rimangono, come sia facile prendere ed andarsene, senza voltarsi indietro, quasi non si fosse stati mai in mezzo agli altri, e non si fosse mai conosciuto davvero nessuno tra di loro, tanto da non lasciare dietro di sé neanche un saluto.

C’è una strada che porta chissà dove di fronte a quella gente, ma il suo selciato pare costituito da materiale perlopiù straniero, diverso da quello che tutti sono abituati a calpestare, e nessuno mentre li guarda andare avanti, pare augurare loro qualcosa di piacevole, come non ci fosse niente di buono da aspettarsi da ora in poi, come se tutto per loro fosse ormai perso, anche il nome, il modo d’essere, forse anche la dignità. Anche questi se ne sono andati, sembra abbiano voglia di dire tutti quanti; restiamo noi comunque a tenere duro per adesso, a dare un senso pratico alla nostra semplice giornata, a mostrarci cittadini di questa terra dove forse siamo nati, almeno fino a quando tutto durerà, fino al momento in cui il destino non ci riterrà obbligati anche noi a seguire quella via, e ad andarcene senza niente nelle tasche, vuoti di qualsiasi desiderio, solo affamati di qualcosa che probabilmente nessuno riuscirà mai a restituirci.

 

Bruno Magnolfi

martedì 1 settembre 2020

Che nulla sembra distoglierla.

 

        

 

            Lei a volte ti guarda, se proprio non può farne a meno, però difficilmente assume un’espressione che possa suggerire qualcosa o che comunque incoraggi gli altri a parlarle, perché se c’è un atteggiamento che più di ogni altro riassume i suoi modi di fare e di comportarsi, è proprio l’ostentazione dell’indifferenza, come se tutto quanto ciò che le avviene vicino o magari anche a qualche distanza, non riguardasse in nessun caso direttamente la sua persona, che rimane quasi sempre in una posizione praticamente di attesa, di stasi, senza protendersi mai in nessun gesto, qualsiasi cosa si possa verificare. Che probabilmente non lascia passare nella sua testa neppure per un attimo la possibilità di fare qualcosa di diverso, come non esistesse proprio un’occasione tale da farla impegnare in un’azione anche ordinaria, se non del tutto inconsueta. Che proprio in questo modo riesce così a far parlare di sé, mostrando un modo di comportarsi quasi mai visto, considerato che anche soltanto rivolgersi a lei con qualche parola azzeccata cercando di catturare un minimo di attenzione con quello che le si dice, generalmente non produce alcuna attività, nessuna reazione.

            Lei appare ferma, marmorea, tanto che spesso viene voglia di toccarla almeno con un semplice dito, tanto per vedere se in questa maniera potesse mai muoversi, cambiare la sua posizione, variare qualcosa nel modo costante che ha di stare seduta. Che assume così la capacità di essere presente proprio come un individuo che inquieta, senza lasciare la possibilità di alcuna trasparenza nella sua figura, siccome proprio al centro di quella scena, secondo un criterio ormai consueto, e al contrario di quanto avviene realmente, si dovrebbero svolgere i fatti, o perlomeno si potrebbe snodare con un minimo impegno un qualche dialogo, lasciando almeno alla parola la possibilità di guarnire con qualche espressione facciale delle opinioni anche semplici, poco impegnative. Che nessuno forzatamente richiede tra tutti coloro che le rimangono attorno, almeno quando si fa vedere al solito locale dove volentieri ci si siede nel tardo pomeriggio, giusto per bere qualcosa, e scambiare qualche battuta di spirito tra amici, nella speranza, fino ad oggi mai tramontata, di una sua partecipazione maggiormente decisa al generale ritrovo.

            Lei infine va via, mostrando di non averlo affatto deciso in precedenza, magari seguendo un orario che per combinazione le giunga improvviso, ma mettendo in atto la sua decisione, immediatamente improrogabile, soltanto nell’esatto momento in cui si verifica, senza aver neppure bisogno di dichiararla mentre si alza con calma dalla sua sedia, raccoglie la borsetta appoggiata lì accanto, ed esprime un “ciao” neutro e del tutto impersonale, lasciato in aria in modo indiretto a tutti e a nessuno, colmando improvvisamente l’aria ferma del luogo con la sua voce leggera, monotona, priva di qualsiasi inflessione. Che nessuno peraltro si aspetterebbe qualcosa anche di vagamente diverso, considerato il modo di essere ormai noto a molti, riguardo al comportamento adottato ogni volta che si lascia vedere là in mezzo alla solita compagnia. Che per quanto già imparato oramai da molto tempo, ogni presente non trova da mostrare alcuna meraviglia nell’improvvisa assenza di lei, che riesce, proprio in virtù di quella impagabile capacità di esserci senza mai però partecipare, ad allungare in qualche maniera la propria presenza, quasi che la sua ombra, o la sua forma, per meglio dire, restasse avviluppata ancora per diversi minuti su quella sedia dove era rimasta immobile per tutto il tempo, meravigliandoci ogni volta per quella sensazione rimasta sospesa, quasi una magia, come un disegno accurato tracciato nell’aria, neppure da lei, rimasto comunque in sua vece, quasi a ricordarci che c’era, era qui; e forse c’è ancora.

 

            Bruno Magnolfi