giovedì 30 gennaio 2014

Ultima volta.

            

La palestra è sempre la stessa, lui ormai non ha neppure bisogno di ricordare come sono fatte le docce, gli spogliatoi, gli armadietti; anzi, là dentro potrebbe quasi girare dappertutto senza guardare, anche con gli occhi bendati. Da anni ogni giorno un pomeriggio intero di allenamenti, i pesi, il sacco, la panca, insomma i medesimi esercizi di sempre, ed in più, per una volta la settimana, una serata intera con  l'allenatore, quello vero, quello che per esercizio gli fa sostenere anche dei piccoli incontri con altri ragazzi più o meno come lui, interrompendo continuamente ogni match solo per dire: stai più basso, schiva, colpisci adesso, non scoprirti, tanto che sono tutti continuamente a fermarsi, ad interrompere sul più bello qualsiasi azione, e ad ascoltare da quell’uomo un po’ brusco come correggersi, cosa evitare, quando attaccare, in questo modo lasciandosi togliere la voglia e il momento per dare libero sfogo ai veri istinti.
Forse dovrebbe persino smettere, ci ha già pensato più di una volta; ma quei quattro incontri piuttosto seri, sostenuti da quando ha iniziato, li ha vinti tutti, anche se ai punti, e gli è parsa addirittura quasi una semplice passeggiata: certo, tutti quanti subito dopo si sono complimentati con lui, e la poca gente presente lo ha anche applaudito, incoraggiato, ed a lui è piaciuto moltissimo tutto questo, quasi più di qualsiasi altra cosa. Sei una promessa, gli ha detto il suo allenatore senza guardarlo, però anche lui sa che non può andare sempre così, prima o poi qualcuno sarà pronto a rompergli il naso, forse riuscendo addirittura ad umiliarlo, e lui allora si sentirà un niente, uno che non è riuscito a fare nulla di buono.
La palestra è il posto dove lui si sente bene, si è sempre sentito bene là dentro, ed ultimamente ha anche allungato i tempi per farsi la doccia, quasi a cercare di trattenersi di più, così come sempre più spesso si è fermato senza motivo a pensare qualcosa, qualcosa che adesso non sa neanche lui come poter definire, mentre lentamente sta li a guardarsi nel suo piccolo specchio e a rivestirsi davanti all'armadietto di ferro. Quando fa gli esercizi invece si sente impegnato, ma non riesce a pensare, fa tutto in un modo meccanico, ascolta i suoi muscoli che poco alla volta si sciolgono, poi che si induriscono, e lo spingono ad andare più avanti, continuando con i medesimi movimenti fino a quando non sente dolore.
Forse c'è una vita anche fuori, immagina mentre saluta tutti come sempre sulla porta della palestra, ma è tanto tempo che neppure più la desidera, che non si interessa di altri argomenti che non siano vitamine, carboidrati, proteine, qualsiasi cosa che possa migliorare la sua forma fisica. Non desidera niente che sia più importante di quell’impegno, e in questa maniera per tutto il resto non rimane altra possibilità che cancellare qualsiasi diversivo. E poi ci sono anche quelle pasticche che gli hanno consigliato di assumere, da prendere sempre agli stessi orari, e gli integratori, i sali, tutto quel corollario di usi e abitudini che sembrano sempre di più far parte della sua giornata.
            Forse l’allenatore si è anche accorto che qualcosa non va, pensa una sera. Lo guarda, dice qualcosa senza importanza, gli gira le spalle, poi torna a scrutarlo. Lui prosegue a colpire usando la tecnica che ha messo a punto ma senza mai dimenticare la forza. Poi si ferma, si immobilizza, forse d'improvviso vorrebbe addirittura piangere, ma non lo fa, anche se con un certo sforzo. L’allenatore è lì, non dice niente, sa perfettamente che quei momenti arrivano sempre per i ragazzi così. Lui allora si accosta al suo angolo, prende il suo asciugamano, non trova niente da dire, non guarda nessuno, sa solamente che deve andarsene, non c’è nient'altro da fare, perché adesso è assolutamente convinto che quella è stata davvero la sua ultima volta.


            Bruno Magnolfi

lunedì 27 gennaio 2014

Decisioni importanti.



La sorella di Laura resta seduta a parlare con suo cognato. È trascorso del tempo dall'ultima volta, Laura è quasi commossa da quella visita inattesa. Lei è stata all'estero con il suo lavoro, sono diversi anni che vive in una grande città internazionale, ma alcune discussioni durante gli ultimi giorni di vita del loro padre ormai anziano, avevano incrinato i rapporti già ben prima della sua partenza. Il marito di Laura con i suoi modi calmi invece spiega come fa sempre le loro abitudini di coppia e la loro vita di provincia, sorridendo della monotonia che inevitabilmente appare, e la sorella di Laura ascolta suo cognato sorridendo e dicendo al contrario poco di sé, limitandosi anzi a schernirsi ed a rivolgere a loro due soprattutto delle domande generiche, anche se spesso piuttosto personali. Bevono tutti il tè preparato poco prima da Laura, mentre restano seduti sulle poltrone di pelle del  salottino di casa, ma non sembra ci sia tra le sorelle un vero e proprio imbarazzo, forse soltanto la vaga impressione di non riuscire del tutto a dirsi reciprocamente le cose maggiormente importanti.
La sorella di Laura dovrà ripartire tra qualche giorno, però almeno stavolta vorrebbe restare in contatto con quei suoi affetti di famiglia, anche se la vita che conduce all’estero adesso è così diversa da quella di sua sorella e suo cognato, che è difficile persino soltanto parlarne. Lei nutre una grande simpatia per il marito di sua sorella, lo stima come una persona buona, pacata, accondiscendente, tutto il contrario di Laura, che seppure sia pronta alla commozione per motivi a volte anche un po’ futili, in certe occasioni riesce con facilità a mostrarsi quasi una vipera, senza che la maggior parte delle volte neppure se ne comprenda appieno le ragioni scatenanti. Forse è soltanto il suo carattere, dice tra sé la sorella di Laura, ma poi una volta di più le mette rabbia sentire le maniere un po’ antipatiche che riesce a tirar fuori quando cercano di parlare di certe cose.
La sorella di Laura ad un tratto si alza, vuole il soprabito, dice che adesso deve proprio andare, forse tornerà prima di ripartire, resto ancora per tre giorni dice, anche se devo fare un sacco di altre cose. Ho preso una stanza in un albergo nella città vicina dice, forse ci sarà il tempo per rivedersi, e in quel caso ve lo farò sapere. Laura dice che non sa come trattenerla, forse però neppure vuole, capisce al volo che passeranno probabilmente molti altri anni prima che riescano a vedersi di nuovo, così interviene il marito, ma sostanzialmente dice quasi le medesime cose, anche se poi ambedue si placano, inutile insistere, pensano, quello che lei ha deciso è sempre stato legge per tutti gli altri.
La sorella di Laura sorride con una certa amarezza anche se non sa comprenderne il motivo, si avvia quasi di furia verso la porta, e Laura l'abbraccia, si baciano in modo quasi commovente, poi tocca al marito, e lei gli fa scivolare dentro una mano un piccolo foglietto con il suo numero di telefono portatile. Si augurano loro tre tutto il bene del mondo, naturalmente, non c’è bisogno in questo caso di nessuna lacrima, forse semplicemente non ce n'è neppure il tempo, e la sorella di Laura sale sopra l'auto che ha preso a noleggio in aeroporto, sparendo subito, velocemente. Il marito la guarda dalla porta senza dire ormai più niente, abbraccia leggermente la moglie, aspetta che la macchina sparisca alla sua vista. Infine ormai da solo apre la mano, guarda per un attimo il foglietto, e senza dire niente a sua moglie, lo accartoccia e poi lo getta via.

Bruno Magnolfi


venerdì 24 gennaio 2014

Scissioni usuali.

            
Certe volte non riesco neppure a pensare. A pensare niente di utile, intendo. Me ne sto dentro un locale in disparte con una bella birra, e cerco solo una teoria buona per tirare fuori almeno un principio positivo. Parlare con qualcuno è inutile, si dicono sempre le medesime scempiaggini. Ma anche alleviare i dolori con qualche riflessione consolatoria mi sembra non serva proprio a un bel niente. Arriva una ragazza che conosco, mi saluta, si avvicina, alla fine mi guarda e forse questo comportamento sembra apparentemente sufficiente.
            Non so, vorrei dire, gira tutto male; lei si volta, mi lascia in pace, ha capito subito che non è serata. Frega niente di chi dice che sei soltanto un musone, che ti rompe con le chiacchiere sull’antipatia o sul tuo riuscire ad essere sempre scostante. Ci vuole qualcosa che ti faccia cambiare le carte in tavola, pensi, poi ti alzi dalla tua sedia e lentamente ti avvicini alla ragazza di prima. Forse dovresti pagare la tua birra ed uscire, ma ti senti dentro un fragile equilibrio, vuoi cercare una svolta che ti faccia almeno immaginare di stare dalla parte giusta. Così dici: scusa, se non hai altro si potrebbero fare due passi all'aria fresca. Lei accetta, allora ci incamminiamo senza fretta verso la zona della vecchia dogana. Non c'è molta gente in giro a quest'ora, la ragazza aspetta paziente che sia tu a parlare di qualcosa.
Certe volte mi pare non ci sia niente da salvare, dici; ma in genere poi passa il momento e tutto riprende un andamento più normale. Lei annuisce, poi racconta forse soltanto per solidarietà che le sono andate male un paio di faccende. L'ascolto, penso non abbia capito proprio niente, ma non importa, tiri avanti e cerchi di essere sociale. In fondo non ti interessa un fico secco delle sue storie, però potresti farle capire quanto sia possibile spingersi oltre quei discorsi.
Resti in silenzio camminando, poi lei si appoggia con le mani ad un muro e tu la baci, ma si capisce come non ci sia da parte di entrambi alcun impegno. La passeggiata si conclude poco dopo di fronte al locale dov’eravate poco prima. La saluto, me ne vado, è molto meglio se cerco in solitudine di digerire tutto il mio malumore, se così si può chiamare. Penso non ci siano molte alternative, nessuna possibilità di scelta, devo accettare tutto quanto e basta.
Mentre mi allontano ripenso alla ragazza, e improvvisamente provo un certo dispiace per lei, cosi aspetto ancora qualche minuto e infine le telefono, dico qualcosa dentro al portatile cercando di scusarmi nella maniera nebbiosa che so usare io, ma mi rendo subito conto che lei mentre mi ascolta sta quasi piangendo. Provo dispiacere, è evidente, non potrebbe essere diverso; comunque non importa, penso: non lo dico, ma in qualunque caso vada tutta la faccenda, per quanto potremmo cercare di sforzarci, alla fine inevitabilmente rimarremo soli.


            Bruno Magnolfi

mercoledì 22 gennaio 2014

Il ragazzo e la strada. 2.

           

Non ci sono le tende alle finestre nella sua aula scolastica, eppure il ragazzo se cerca di guardare fuori da quei vetri non riesce a vedere niente, niente che possa essergli utile per scrivere sul foglio di carta a righe almeno qualche frase. Si sente quasi di maledire quel tema attorno al quale l'insegnante li ha obbligati ad esprimersi, ma da una persona come sembra quel loro professore, pensa con molta convinzione, c' è ben poco da aspettarsi. Fuori, vorrebbe dirgli, oltre quel pezzetto di giardino con degli alberi brutti e spelacchiati, ci sono solo le case popolari al bordo della strada di fronte, e in più soltanto qualche vecchia che a quest’ora tende i panni per farli asciugare a questo sole pallido d’inverno, e poi nient'altro, niente di adeguato per un compito, niente di serio su cui scrivere qualcosa. L' unica possibilità, in qualche maniera, rimane quella di inventarsi qualcosa che non c'è, pensa adesso rincorrendo con un dito la linea del suo banco, un panorama che forse non c'è neppure mai stato da queste parti, e magari anche qualche personaggio preso chissà dove, intorno al quale tentare semplicemente di fantasticare.
L'insegnante di italiano però intanto incalza tutti: descrivete, dice, descrivete, dovete osservare il più possibile questa realtà che avete attorno, fino a quando non riuscirete a coglierne il senso, le motivazioni più profonde. Ma il ragazzo, anche se insiste, continua a non vedere niente, se non forse due operai che stanno allestendo una giostra per bambini piccoli. Non ci sono veramente, lo sa bene, però una giostra in questo spiazzo periferico, se continua a rifletterci, non ci starebbe neanche male. Quelli lavorano per montare gli ingranaggi, e c'è un motore grosso che fa girare una puleggia su cui si avvita il piano circolare; lui immagina tutti i bambinetti che rideranno tra due o tre giorni su quei cavallini e dentro le automobiline colorate. Forse gli piacerebbe anche a lui farsi più piccolo, una volta allestiti i giochi, ed andare insieme agli altri sopra quella giostra, lasciandosi magari accompagnare dalla mamma sorridente.
Potrebbe forse scrivere anche questo: insieme agli operai c’è adesso anche un ragazzo, avrà più o meno la mia stessa età, ma lui forse non frequenta più la scuola, lavora da tempo al luna park, forse fuma di nascosto qualche sigaretta, ed è già molto più grande di tutti gli altri nati insieme a lui. Lavora, sa cosa vuol dire mettere le mani dentro agli ingranaggi, farli funzionare come degli orologi, far andare bene tutte le cose, e riuscire proprio a far viaggiare quelle automobiline colorate, per poi guardare ancora quei bambini piccoli che ridono e si divertono per qualcosa che forse neanche riescono del tutto a immaginare.
E’ un ragazzo già adulto quello là, lui lo invidia per quel suo modo d’essere deciso, per quei comportamenti già da grande, eppure vorrebbe andargli accanto, toccargli un braccio, dirgli che si sente più fortunato di lui perché ancora può osservarlo dalla finestra della scuola, e magari immaginare i suoi pensieri, sapere che se per quel ragazzo ci saranno sempre e comunque soltanto ingranaggi da ingrassare o poco più, per lui sarà diverso, anche se adesso non sa come sarà davvero. C’è un tizio con i baffi lì accanto che lo guarda, che gli dice a quel ragazzo cosa fare, e magari alza la voce con le mani sopra ai fianchi, e gli spiega a gesti come deve comportarsi. No, vorrebbe dirgli lui a quel ragazzo, per me non sarà in questa maniera, ne sono già sicuro. Però so vedere i tuoi pensieri se ti guardo attentamente, so immaginare persino i tuoi sentimenti sotto a quelle tue mani tutte unte, e magari cercherò di spiegarlo anche a questo professore mezzo tonto, e forse se mi impegno riuscirò anche a fargli capire che ti ho visto veramente, che eri qui poco fa, davanti a questa scuola, davanti a me, e stavi facendo qualcosa per davvero, qualcosa forse di importante, anche se non riuscivi ad essere davvero felice mentre lo facevi.


Bruno Magnolfi

lunedì 20 gennaio 2014

Verso un'idea.

            

È ancora buio quando esce di casa. Un passo dietro l'altro, chiuso in un cappotto scuro, direzione la piazza centrale del piccolo paese. La corriera staziona alla fermata con il motore che si sta scaldando, è già aperta l'edicola dei giornali lì vicino, con annessa la rivendita dei biglietti di viaggio per andare fino in città, poche decine di chilometri lungo la provinciale. I pochi passeggeri che giungono prendono posto, in due sembrano parlare tra loro dei soliti argomenti quotidiani. Sono pendolari, ogni giorno compiono quel tratto di strada fino al posto di lavoro, procrastinando l’idea della somiglianza dei giorni tra loro, nella naturale sfumatura progressiva delle stagioni.
Lui sale, un cenno di saluto all'autista, gli occhi già affondati dentro un giornale. Tutto normale, si pensa, come ogni giorno, neppure una minima variazione. Eppure lui ha dentro la testa qualcosa di nuovo, qualcosa che molto probabilmente lo farà andare soltanto in avanti, senza cercare il ritorno, almeno per la giornata di oggi, o per tutto il prossimo mese, o per chissà quanto tempo, almeno da ora in poi.
Buffo guardare le ultime case del paese che si allontanano, buffo pensare di dover memorizzare queste immagini tanto per averne almeno un ricordo, come qualcosa da portarsi dietro per molto, forse per sempre, anche se probabilmente non servirà mai a nulla. In fondo andarsene non è poi neppure così difficile, si tratta di evitare di voltarsi indietro, e di affrontare ogni cosa momento per momento, senza preoccuparsi di altro.
La corriera segue con fedeltà le curve della strada, tutti i risparmi sembrano quasi cuciti, infilati e nascosti come sono nella fodera del suo cappotto. Tutto da vedere, tutto da affrontare, come un gioco divertente quasi da prendere senza gran serietà, senza dare gran peso a ciò che potrà essere; come una catena di tanti elementi che da ora in avanti dovrà snodarsi quasi da sola, quasi come per uno strano incanto che dimora nelle persone che stanno cercando qualcosa, che si mettono in cammino per necessità, e che scrutano sempre l’orizzonte, anche se certe volte rimane a pochi metri da loro.
La città come un trampolino di lancio, il resto solo persone straniere, terre mai viste, abitudini di cui è bene imparare velocemente ogni variante. Via, senza fermarsi, anche una volta giunto a destinazione, continuando a far tutto senza neppure pensarci, a testa bassa, lo sguardo vigile, come la voglia di cose nuove, di esistenza nuova, di vita. Oltre qualsiasi frontiera, come se non ci fosse niente di buono quando non c’è niente di nuovo, fino a trasformare se stesso in qualcosa che forse assomiglia appena e soltanto a ciò che era prima, ma che adesso ha sicuramente acquistato qualcosa di impareggiabile.


Bruno Magnolfi 

domenica 19 gennaio 2014

Soltanto debolezza.



In questo letto d’ospedale rimango sotto le coperte, avendo cura di tenerle ben tirate fin sopra al mio viso, nascondendomi così alla vista degli altri. Annuso il mio odore qua sotto, lo trovo familiare, caldo, umido di un leggero sudore, rassicurante: forse proprio per questo so di essere vivo. Anche i dolori che provo sono stabili, starmene qui fermo mi porta a sopportarli meglio, neutralizzandone quasi la forza dirompente.
Oltre le vetrate della stanza la città si muove come sempre, le cose procedono, tutti hanno qualcosa di cui occuparsi, e da qualche parte in un ufficio del tutto anonimo, lei in questo momento probabilmente rimane seduta alla sua scrivania, e forse risponde al telefono. Se ci penso la vedo, le sue mani prendono appunti, si muove sulla sua sedia, si impegna come sempre nel suo lavoro.
Cancello tutto, mi giro nel letto, qualcuno nella stanza sta parlando di miglioramenti, ma non si riferisce al mio caso. Forse dovrei pensare qualcosa di positivo, tirarmi su di morale, ma il punto fondamentale è che quando riesco ad allontanarmi da questo corpo sto bene, anche qui, solo, in questo giaciglio che risulta così estraneo ai miei pensieri, alla mia vita, a tutto di me.
Arriva un infermiere, mi chiede qualcosa, si è accorto che non è venuto nessuno a trovarmi, non ho scambiato neppure una parola con i miei vicini di letto. Lo guardo, sorrido, gli spiego che sto migliorando, lo sento, ne sono sicuro. Quello mi dice che deve farmi un prelievo, si accomodi dico, sono a sua completa disposizione. Che cosa importa, penso, una cosa o quell’altra: sono abbandonato a ciò che deve succedere, lascio che ogni trattamento previsto abbia il suo corso, non trovo nessun motivo per preoccuparmi, il procedimento avrà un seguito, sono assolutamente disposto a lasciare che tutto avvenga, senza anteporre alcuna perplessità.
Provo piacere nella preoccupazione dell’infermiere per me; ma poi se ne va, ritorno ai miei pensieri, ma anche quelli hanno perso di lucidità, mi sento confuso, non so più neppure su cosa riflettere. Un ammalato della mia stanza si è alzato dal letto, ha ciabattato con lentezza, poi è uscito nel corridoio. Lo osservo per un attimo, lui guarda me, ci tolleriamo a vicenda, penso, magari più tardi se riuscirò a trovare tra le mie cose un briciolo di spirito, gli chiederò qualcosa di sé.
Vedo passare ancora l’infermiere, non dice niente, neppure si avvicina, ha capito il tipo di soggetto che sono, verrà da me soltanto quando sarà sicuro che ho ormai raggiunto la soglia della sopportazione. Torno a girarmi e a concentrare i pensieri sulla città fuori dai vetri, ma sembra che adesso quella realtà non riesca ad ispirare niente alla mia immaginazione, così rimango stordito senza alcun materiale su cui far girare la mente. Non so di che cosa possa avere bisogno, tra qualche momento suonerò il campanello per le urgenze, anche se poi non saprò cosa chiedere.
Torno a girarmi, con il lenzuolo sul naso che lascia appena uno spiraglio per gli occhi, guardo la porta spalancata ed il corridoio dove passa qualcuno, ogni tanto. Forse vorrei che uno di loro chiudesse la porta, che non giungessero le chiacchiere sottovoce di dottori e infermieri. Mi concentro per fare in modo che una qualche forza trascendentale arrivi ad aiutarmi, tra poco è l’ora del passo, e penso che non resisterò a sentire i parenti degli altri che giungono in visita. Poi arrivi tu, e tutto d’improvviso appare completamente diverso.


Bruno Magnolfi 

sabato 18 gennaio 2014

Socialità.

            

È tutto uno schifo, dice qualcuno per strada. Altri ridono, forse sono soddisfatti del coraggio che hanno dimostrato quelli che si lamentano. Poi a gruppetti tutti entrano dentro al solito caffè del quartiere, ed ogni cosa sembra terminare con grandi pacche sulle spalle e altrettante strette di mano. Alcuni restano in silenzio, paiono disinteressarsi di qualsiasi argomento, ma in definitiva sono soltanto coloro che non vogliono scegliere apertamente da che parte schierarsi.
Lui osserva tutti, molte volte gli sembra che regni su tutto un certo atteggiamento superficiale, ma in altri casi si fa coinvolgere proprio da quei luoghi comuni diffusi, concordando con ampi cenni del capo su un argomento o sull'altro. Certe volte interviene in qualche capannello dove già si discute, ed in genere lo fa soltanto per sottolineare qualcosa forse sfuggito agli altri, e quasi mai per illustrare la propria opinione. Ritiene non ci sia nessuna necessità di dipanare un intero argomento: la realtà è composta da piccole cose, pensa quasi sempre, tanti dettagli che mostrano nel loro insieme qualcosa di più di una sola opinione.
Di fatto trova poco edificante passare intere serate a discutere di una faccenda o dell’altra; gli sembra molto più corretto sparare una sola battuta magari graffiante su qualcosa che è sotto gli occhi di tutti, e con quella definire le cose, almeno secondo il suo modesto parere. Qualcuno tra gli altri sbotta in una risata, un’altro lo osserva con intensità almeno per un attimo; dopo appena un momento però si riprende a parlare nella stessa maniera di prima.
Questo è quanto ci si deve attendere, pensa lui, la realtà è composta in questo modo, crearsi delle aspettative diverse da quanto realisticamente può emergere è una pura sciocchezza. Per questo cerca sempre di portare ogni discorso sulle cose che più lo interessano: quelle leggere, immediate, senza troppo impegno, che mettono tutti d'accordo, e non hanno necessità di grandi discussioni.
Infine se ne va per i fatti propri, sa che sarà tutto uguale il giorno seguente, quando gli altri si ritroveranno ad alzare la voce sulle solite questioni di sempre. Intanto lui si impegna a farsi un bel giro da solo anche per togliersi dalla memoria l'eco di tutte quelle chiacchiere insulse. Domani sarà pronto per ricominciare tutto da capo e partecipare di nuovo a quei discorsi, come se tutto si azzerasse in poche ore, concedendo la possibilità di riparlare di tutto: in fondo si deve essere sociali, pensa spesso, è un principio sacrosanto a cui non vorrebbe per nessuna ragione sottrarsi.


Bruno Magnolfi

mercoledì 15 gennaio 2014

Irripetibile documentario.

            

Osservo il profilo delle colline, poi guardo il tuo viso, e trovo una meravigliosa continuità che non so neppure spiegarmi. Tu dici qualcosa, io sorrido, mi verso ancora un dito di vino, infine sottovoce pronuncio parole che cercano di chiarire in qualche maniera tutto questo mio pensiero così difficile da descrivere.
Però ti alzi dal tavolo dove abbiamo appena cenato, su questa grande terrazza vetrata investita dagli ultimi bagliori del tramonto, dici che torni tra un attimo, io sorrido guardando altrove, poi accendo con noncuranza una sigaretta. Penso in questo caso che non ti interessi troppo il mio punto di vista, ma tu, quasi leggendo nella mia mente, prima di andare ti fermi, ti volti verso di me e mi dici che vorresti conoscere perfettamente ciò che riguarda questo mio modo di vedere le cose.
Resto da solo per qualche minuto, mi sembra difficile affrontare un argomento come quello che è rimasto nell’aria, spero di riuscire a svicolare velocemente da questa strozzatura in cui sono andato ad infilarmi, ma tu torni persino troppo in fretta, ti siedi, e mi guardi come se aspettassi da adesso in avanti delle risposte precise.
Spengo la mia sigaretta schiacciandola nel posacenere, ed inizio col dire che il cielo, non ancora del tutto scuro, colora il fondale con qualcosa che appare perfetto per indicare il giusto equilibrio: qualcosa che forse può accompagnare addirittura noi due verso un’intesa più completa e gratificante. Ti volti a guardare nella stessa direzione in cui mi sono soffermato in contemplazione, e forse vedi qualcosa che rimane persino oltre il mio indicare quella zona di cielo appena dopo il tramonto, così dici svelta, senza voltarti verso di me, che ti senti preoccupata per qualcosa, e poi basta.
Vorrei non avere mai iniziato questo discorso, sospetto immediatamente che non porterà niente di buono, così nella mia malcelata incertezza ti insinui dicendo che senti come la necessità di essere maggiormente realistica piuttosto che inseguire romanticismi risaputi e inconcludenti.
Temo che tu abbia ragione, ma non trovo motivo per dirti che sono d'accordo, così prendo tempo spiegando che nelle sfumature della natura avverto qualcosa di graduale come potrebbero essere le cose tra noi, se solo cercassimo di trovare un maggiore collante. Questa sciocchezza naturalmente non me la passi: ti muovi nervosamente, ti schiarisci la voce, dici che io sono pronto a perdermi dietro cose che alla fine non contano nulla.
Finisco il mio bicchiere di vino, vorrei fermarti, ma so che tu sei già in corsa, stai bruciando la strada per giungere forse proprio dove non riuscirò mai a seguirti. È tutto semplice, morbido, eppure ho la certezza che non riuscirò a cogliere l'elemento che serve, dovrò soccombere, lo sto già facendo, non perché ci sia mai stata una battaglia tra noi, ma forse solo perché non sono riuscito del tutto a mettere a fuoco le parti essenziali di questo nostro confronto.
Tu mi lasci a lungo nel mio silenzio, infine sorridi in maniera leggera, mi guardi, dici semplicemente che i colori del tramonto stasera sono stati magnifici; come avessimo assistito alla proiezione di un documentario irripetibile, aggiungi. Poi basta.


Bruno Magnolfi

lunedì 13 gennaio 2014

Insegnamenti sbagliati.

           

La mia vicina di casa spesso oscilla la testa mentre parla. Le mani invece le tiene sempre ferme. È avanti con gli anni, ma si vede che ci tiene a non passare da stupida, e fa sempre in modo che ci si accorga di come lei riesce a notare le cose che le girano sotto al naso, e che ha sempre un'opinione su tutto, tanto che se proprio le viene richiesta, si mostra subito a disposizione per riferirla a chiunque ne chieda. Ma con tutto ciò non è assolutamente una chiacchierona, anzi, è una donna che si fa quasi sempre gli affari propri: certo, saluta inevitabilente per prima le persone che incontra, però non ama mai starsene sulle scale o in strada sotto casa a parlare a vanvera come invece fanno altri residenti di questo palazzo.
Io la osservo dalla finestra del mio appartamento mentre attraversa il cortile condominiale, e noto che ha sempre una borsa capiente con sé, come se dovesse ficcarci dentro chissà quali cose, ma poi tiene le mani sempre affondate dentro le tasche, e quando si siede ne posiziona spesso una dentro le dita dell'altra. Ci conosciamo da molto tempo ed io certe volte le chiedo qualcosa, tanto per scambiare qualche parola convenzionale. Lei però, quando le capita di affrontare un argomento a cui tiene, non prende mai le frasi che ascolta dagli altri con superficialità: esamina gli argomenti che le vengono prospettati sviluppandone ogni aspetto, e indaga su ciò che le viene detto con grande destrezza, prendendo a sua volta la parola senza interrompere, e completando sempre ciascun pensiero che riesce a sviluppare; ma in tutto questo è capace in genere di essere sempre incredibilmente sintetica, tanto da lasciare ai propri interlocutori, ed anche a me se devo essere sincero, molte più cose su cui riflettere di quante ne riesca pienamente a soddisfare.
Infine mi saluta, scivola via, senza mai lasciare nell'aria grandi saluti, ma limitandosi spesso ad un solo cenno, come si fa tra persone che hanno cose molto importanti a cui pensare. Anche se tra di noi esiste una grande differenza d’età, mi sarebbe sempre piaciuto un giorno avere qualcosa di veramente rilevante da chiederle, qualcosa che magari ne avesse potuto mostrare ancora meglio di ogni altra volta le sue indubbie capacità di analisi e di sintesi. Così quando è capitata la faccenda dell’arresto per frode del nostro amministratore condominiale, sono immediatamente andato a cercare traccia della mia vicina dalla finestra. Dopo poco l’ho vista, ha disceso le scale dal suo appartamento come sempre, ha poi attraversato il cortile tenendo sotto braccio la sua inseparabile borsa capiente, infine si è soffermata a respirare la deliziosa giornata di sole. Io mi sono subito precipitato lungo le scale, volevo vederla, sapere qualcosa da lei, ma infine sono riuscito a raggiungerla soltanto quando già lei era arrivata in strada.
Signora Bianca, le ho detto da dietro. Buongiorno, ha sentito che cosa è accaduto? Lei mi ha guardato a fondo, è rimasta per un attimo in silenzio come cercando qualcosa dentro di sé, infine ha aperto la sua borsa e dopo un attimo, sempre restando in perfetto silenzio, ha tirato fuori un piccolo libro, qualcosa che probabilmente aveva già in animo di consultare. Non ha alcuna importanza, ha detto oscillando leggermente la testa. Gli uomini sono spesso imperfetti, la cosa importante è non cercare insegnamenti da loro.


Bruno Magnolfi   

domenica 12 gennaio 2014

Sodalizio insano.

            

Marta e Simone si vedono quasi ogni pomeriggio, dentro al solito bar di quartiere. Trascorrono là dentro un bel po' di tempo, seduti ai tavolini di plastica della saletta sul retro, insieme a tutti gli altri ragazzi della loro comitiva. Si guardano, spesso si sorridono, certe volte appaiono persino ridicoli, anche se loro lo sanno perfettamente; ma è soltanto in quel modo che si sentono bene, perché è quella la loro maniera di stare con tutti gli altri, e per quei loro amici oramai appare quasi naturale quel loro comportamento, anche se qualcuno certe volte sbuffa, magari proprio quando loro due si piazzano nel mezzo a fare le loro sciocche effusioni.
Marta e Simone non stanno realmente insieme, non hanno una vera e propria relazione sentimentale, soltanto fanno così, quasi per gioco, certe volte tenendosi per mano come due fidanzati, altre volte abbracciandosi, restando seduti là dentro sempre e comunque vicini, come se cercassero tra loro un atteggiamento intimista che comunque non sa mai di forzato, anzi, con l'andare del tempo appare a tutti i ragazzi addirittura sempre più spontaneo. Sono amici, questo è il punto, e spesso si dicono qualcosa a bassa voce, come a cercare delle parole che abbiano importanza soltanto per loro, magari proprio mentre gli altri proseguono a bere le birre gelate senza nient’altro di cui occuparsi.
Marta e Simone ascoltano tutti, si accarezzano, parlano tra loro a bassa voce, ma sono presenti, è come se stessero in una dimensione leggermente diversa dagli altri del gruppo: il loro stare vicini dà loro la forza che probabilmente non avrebbero mai stando ognuno per proprio conto. I ragazzi li lasciano fare, quando non ci sono qualcuno a volte prova a parlarne come se fosse poco comprensibile il loro modo di essere, ma gli altri subito fanno cadere il discorso. Sono carini, questo è il punto, e mostrano un modo di essere che gli altri non saprebbero assolutamente affrontare.
Marta e Simone vivono una simbiosi tra loro, ma non cercano mai di stare separati dai loro amici: mostrano costantemente la voglia di stare in mezzo a tutti, di vivere le piccole cose che stanno nell’aria, esattamente come fa ognuno della loro comitiva. Poi qualcuno decide di andare da qualche parte, a fare un giro, ad un cinema, a sentire la musica, e loro ci sono, sono pronti, non c’è alcun problema.
Marta e Simone forse sono persino invidiati, probabilmente proprio per quella loro maniera spontanea che hanno di vivere insieme qualsiasi cosa, così uno della comitiva si fa avanti con Marta, per vedere se riesce a incrinare quel sodalizio per lui indigeribile. La ferma mentre sta arrivando, le dice che vorrebbe parlarle, lei dice che è pronta per ascoltarlo, e lui la invita a fare un giro con il suo scooter. La porta lontano, si ferma lungo un viale, la fa sedere su di una panchina, e le dice senza mezze parole che qualche volta gli piacerebbe prendere il posto di quel suo Simone.
Marta e Simone quel giorno non sono al solito bar. Qualcuno lo nota, ma nessuno ci fa realmente caso: Simone è arrivato da solo, è stato un po’ insieme agli altri ma poi se n’è andato; Marta invece non si è vista per niente. Il giorno dopo apparentemente tutto è normale: loro due sono lì, assieme agli altri, ma non stanno vicini, forse hanno deciso che era l’ora di finire quel loro strusciarsi senza neppure uno scopo, pensa qualcuno. Infine si fa tardi, tutti si salutano e ognuno riprende la strada di casa.
Marta e Simone vanno via; per loro non sarà più come prima, tutto è destinato a sciuparsi, prima o dopo.


            Bruno Magnolfi

venerdì 10 gennaio 2014

Respiro di vita.

            

Fa freddo fuori, penso, proprio come ogni notte. Non tutti hanno una fortuna come la mia. La grossa caldaia condominiale continua a pompare calore in questo scantinato. È un gioco da ragazzi aprire questo stupido lucchetto ogni sera, e la mia cuccia calda è assicurata. Domattina posso provare a sgattaiolare fuori da qui ancora più tardi degli altri giorni penso, e restarmene sdraiato su queste vecchie coperte fino a poco prima dell'alba, senza alcun problema. Mi viene da ridere se cerco di ricordare tutti quei posti gelidi in cui ho dovuto svernare fino ad oggi. Sembra un sogno adesso avere una bella caldaia qui di fianco tutta per me, costantemente in funzione. Potrei portare qua dentro addirittura anche un amico fidato, penso, ma forse non c'è posto a sufficienza, e poi devo essere prudente, se mi scoprono quelli del condominio passo un guaio: mi mandano via e si mettono anche a controllare che non torni più da queste parti.
In questo posto posso portare persino dell'acqua, se ne ho voglia, e poi scaldarla, lavarmi, lavare i miei stracci e le mie cose, che tanto per asciugarsi è sufficiente mettere tutto sopra le lamiere calde, poi basta una sola notte per sistemare le cose, mentre io magari me ne rimango steso a terra ben avvoltolato nel tepore di queste vecchie coperte. Si potrebbe obiettare che c'è dell’odore forte di gasolio qua dentro, questo è vero, e che c’è anche dello sporco di carburante sul cemento specialmente davanti al bocchettone di carico, ma non fa niente, penso, ho sentito dei puzzi ben peggiori. E poi c'è anche una piccola grata di areazione in fondo a questo vano, forse è quasi sufficiente per il ricambio di tutta l'aria della notte. Sarebbe il colmo per me tirare le cuoia in un posto come questo soltanto per mancanza di ossigeno sufficiente a respirare. No, non posso neppure pensarci: stramazzato qui come un topo di fogna, da vergognarsi, proprio nel momento poi che stavo così bene. Mi viene quasi da ridere.
Ci sto talmente bene qui che alla sera, appena riesco ad infilarmi dentro, mi viene subito voglia di dormire, di rimanermene coricato a riposarmi alla luce di queste piccole spie colorate di controllo, appena sufficienti per vedere qualcosa e lasciarmi muovere in libertà. Certo, non potrei far altro anche se volessi, però io so accontentarmi, dopo tutto un giorno trascorso per la strada starmene qui è senz'altro un gran sollievo. Forse sarebbe utile una bella ventola per muovere un po' l'aria, ma so che non è possibile, quindi devo accontentarmi di ciò che c'è.
Sempre più forte provo la preoccupazione di addormentarmi e di non svegliarmi più, con questo calduccio che culla dolcemente il mio trapasso. Ci vorrebbe più aria penso. Forse dovrei inventare qualcosa per respirare meglio, maggiore ossigeno. Ma questo calduccio è fantastico, non posso farne a meno, non voglio arrovellarmi per inventare chissà cosa, sto qui e basta, costi quel che costi. Si, il mio respiro forse si fa pesante, probabilmente dovrei spostarmi verso la grata di areazione, allargare i polmoni, tirare dentro un poco d’aria fresca, ma si sta cosi bene accanto a questa bella caldaia, un vero sogno, non ho proprio voglia d’altro; e poi in fondo, anche se cerco di pensarci, di ricordare quanto è possibile, non ho nulla da perdere.


Bruno Magnolfi

martedì 7 gennaio 2014

Respiro di libertà.

         

Sono ferma, dice lei al telefono quasi con calma, mostrando addirittura un pieno controllo della situazione. Anzi, adesso sono seduta, ti ascolto Federico, non sto facendo proprio nient’altro, le mie mani sono ferme, non devi preoccuparti. Solo vorrei che non continuassi a ripetere le medesime cose, sono quelle che mi fanno montare di nervi, mi fanno perdere la lucidità, ma io sto bene adesso, non devi assolutamente inquietarti così, non succederà niente di brutto stavolta, stai pure tranquillo. Di fatto lei prosegue a starsene in piedi e a muoversi avanti e indietro dentro la stanza, ma ha imparato da tempo a far credere agli altri ed anche a Federico di essere comunque in quei casi nel pieno controllo di sé, se non altro fino a quando le è possibile, o almeno durante il tempo in cui parla al telefono.
Lui non si decide a terminare quella chiamata, se potesse o fosse più vicino a casa correrebbe senz’altro fin lì per sincerarsi di persona su che cosa stia effettivamente accadendo, ma in questo momento non gli è proprio possibile, anche se è riuscito fino adesso a farla conversare instillando nelle parole quella relativa tranquillità che gli fa sembrare di tenere in qualche modo in pugno la situazione. Ma lei d’improvviso dice che deve fare qualcosa, senza neppure spiegarsi meglio, poi appoggia il ricevitore da qualche parte e subito si mette ad urlare cose insensate dentro la stanza oppure nel corridoio lì accanto. Federico ascolta sconcertato quei versi che gli appaiono assurdi ed estremamente lontani, come fossero emessi da una persona che lui non conosce, così continua a chiamarla dentro al microfono, cerca in tutti i modi di farle riprendere in mano quell’apparecchio, ma trascorrono porzioni di tempo terribili, pieni di una tensione spasmodica, e niente di buono sembra accadere.
Federico si sente stremato da quella situazione, sa che non può fare quasi niente, ma d’improvviso lei dice qualcosa vicino al telefono pur senza riportarlo all’orecchio, e così lui si accorge che sta già piangendo; la crisi è iniziata, pensa cercando di interpretare quei comportamenti, ed è forse già nel suo pieno. Così, con tutta la calma che riesce a mettere nella sua voce peraltro piuttosto alta di tono per essere sicuro di farsi sentire, le dice per favore di prendere una delle pastiglie dentro al cassetto, ma lei urla dapprima che le ha già ingoiate tutte, poi cambia versione e dice che adesso gli darà retta, farà proprio come lui dice. Trascorrono ancora alcuni secondi, si sentono dei colpi più e meno forti dentro la stanza, infine lei torna, prende il telefono, dice che adesso non ha più tempo per lui, che deve uscire, ha bisogno di aria, non può permettersi di fare conversazione per tutto il giorno.
Federico cerca di convincerla a restare in casa, poi le spiega che adesso deve riattaccare, ma che la richiamerà fra dieci minuti, e lei dovrà rispondere alla telefonata, e non dovrà fare nient'altro in quel lasso di tempo. Lui abbassa il telefono con il cuore stretto dentro una morsa, e immediatamente chiama il servizio sanitario, spiega in due parole che è un'emergenza, devono correre subito, farsi aprire da lei o spaccare la porta se necessario, non si può fare altrimenti. Capiscono subito il caso, dicono che stanno precipitandosi, lui torna a comporre il numero di lei ma già non risponde nessuno. Federico, disperato, prova e riprova, ma il numero suona libero e basta.
Suonano il campanello di casa ma non risponde nessuno, lei è uscita, è fuggita ormai chissà dove. Quando la ritrovano sono trascorsi due giorni, è successo di tutto, qualsiasi possibilità è stata vagliata: lei invece sorride dalla terrazza in cima al palazzo dove nessuno ha pensato di andare a cercarla. Sto bene, dice, avevo soltanto bisogno di aria.


Bruno Magnolfi 

lunedì 6 gennaio 2014

Fuori comunque.

            
            Passa e ripassa con indifferenza davanti alla finestra della sua stanza, la ragazza dai capelli rossi. Durante il giorno, quando è in casa, approfitta al massimo della luce naturale che penetra dai vetri andando a rischiarare le pareti ed i mobili, indifferente al fatto che qualcuno, camminando per i fatti propri là davanti, la possa sbirciare proprio da quella strada di fronte. Spesso lei legge addirittura dei libri camminando coi piedi scalzi sul pavimento direttamente davanti a quella finestra, ma anche quando si siede resta comunque lì accanto, considerato che il suo tavolino rimane proprio accosto a quel davanzale, quasi proiettato verso l’esterno.
            Quando esce gli amici del quartiere le dicono che l’hanno vista, che si sono piazzati addirittura sul marciapiede per stare più a lungo ad osservarla, ma la ragazza dai capelli rossi si schernisce, lei è indifferente al fatto che qualcuno si interessi di quello che fa, e anzi trova che non ci sia niente di male nel comportarsi come lei si comporta. I ragazzi a volte la chiamano, lei allora apre la finestra, si affaccia, sorride, le piace che ci sia quella relazione continua tra l’esterno e l’interno, come se il mondo entrasse quando vuole nella sua stanza, o fosse magari la sua stanza stessa ad uscire insieme a lei nel mondo là fuori.
            Quel grande occhio di luce naturale spalancato su tutto quanto lei si metta a fare, o che pensi, o che cerchi di essere, è esattamente lo stimolo che cerca per sentirsi in equilibrio con tutto, per sapere che sta facendo le cose più giuste, pensando quello che deve, senza arroccarsi in un’intimità che reputa deteriore e spesso fuorviante. Qualcuno dice che è mezza matta, ma la ragazza dai capelli rossi rimane sempre indifferente a quanto dicono di lei. Anche quando è da sola nella sua stanza, le pare sempre di rimanere in relazione con tutti, anche con quelli che parlano male di lei, i sostenitori del fatto che voglia sempre farsi notare, coloro che dicono che quella ragazza è malata perché deve sentirsi al centro di tutte le loro attenzioni.
            Un giorno tira le tende pesanti e lascia la sua finestra completamente oscurata, come se la sua personalità avesse cambiato riferimenti. Qualcuno le chiede cosa mai sia accaduto, per quale motivo il suo comportamento sia variato così d’improvviso, ma la ragazza dai capelli rossi si schernisce, e forse a qualcuno probabilmente appare stufa di essere guardata da tutti, ma non è affatto in questa maniera: ha soltanto scoperto che la sua finestra anche chiusa rimane per lei il medesimo stimolo di sempre; sa che c’è, è semplicemente là sotto alle tende pesanti. Sono gli altri, quelli che hanno sempre cercato qualcosa da dire a sproposito, che pensano a qualcosa di differente. Lei si è soltanto scocciata, si sente stanca dei discorsi di tanti che poi non sono mai utili a nulla, sa perfettamente che le sue giornate proseguiranno come per lei è sempre stato, e niente nel suo comportamento sarà da ora in avanti in altro modo, se non per coloro che con la propria superficialità riescono soltanto a vedere sciocchezze, e a rendere col loro giudizio tutto mediocre.

            Bruno Magnolfi

            

sabato 4 gennaio 2014

Integrità.

           

La strada di casa mia è stretta, come sono strette le strade di tutto questo quartiere. Quando cammino sul marciapiede piccolissimo devo sempre scendere ogni volta che incrocio qualcuno, perché due persone non riescono a starci. Quando piove poi, tutto si complica per via delle pietre scivolose e degli ombrelli  ingombranti. Spesso ho paura di inciampare, di rimanere con un piede malfermo sopra uno spigolo, di affondare una scarpa in una di quelle scheggiature della pavimentazione che ti fanno perdere ogni equilibrio. Così, quando cammino per tornarmene a casa, cerco sempre di stare bene attento a dove vado a mettere i piedi, anche se talvolta me ne dimentico, e come un ragazzino senza cervello attraverso la via con la testa vuota di tutto e le gambe che quasi si muovono per conto proprio.
Poi qualcuno mi sfiora, cerco di scansarmi, appoggio male la suola della scarpa su un punto dove il lastricato è un po' instabile. Perdo l'equilibrio in un attimo, come già mi aspettavo, ma fortunatamente riesco a riprendermi e a non cadere, anche se subito avverto un sottile e antipatico dolore alla caviglia. Mi fermo, mi accosto al muro per controllare la situazione, cerco di riprendere le forze che paiono mancarmi. Non ricordo neanche più se dovevo passare dal negozio di generi alimentari prima di rientrare, ma penso che non faccia niente, per prima cosa sono certo che devo assolutamente tornarmene a casa.
Provo a camminare, ma non riesco neppure ad andare diritto, zoppico, ed è come se ondeggiassi mentre procedo, tanto che torno a scendere dal gradino del marciapiede più di una volta. Penso dovrò fermarmi al caffè poco distante, giusto per sedermi un momento ad un tavolino, ma intanto torno a sostare per un attimo proprio nel mezzo ad un gruppo di persone. Qualcuno di quelli che stanno passando mi spinge, tutti vogliono strada per sé, allora mi volto, non so neanche più cosa debba fare, se proseguire imperterrito per i fatti miei, oppure mescolarmi con gli altri, fingere di essere uno tra tutti.
La mia caviglia è sempre più dolorante, e adesso ho paura di mettere male il piede di nuovo e finire col cadere disteso lungo la strada. Chiedo qualcosa ad un passante, uno qualsiasi, ma quello fa un brutto gesto come se non avesse tempo per me. Mi rifugio in un ortofrutta lì accanto, la signora del negozio mi guarda, io non so cosa dirle e riesco soltanto a darle uno sguardo di supplica. Quella commerciante però mi conosce, sono stato là dentro altre volte a comperare l’insalata, la frutta, le patate, così mi faccio coraggio, le chiedo se ricorda per caso dove io abiti, perché in questo momento mi sento confuso, ho un piede ormai malandato, devo per forza raggiungere casa. La donna mi guarda, mi spinge verso la porta vetrata, mi indica qualcosa in fondo alla via.
Zoppico vistosamente mentre procedo lungo quegli ultimi metri, sempre più forte provo la paura di cadere, ma poi riconosco alla fine il portone del mio condominio, lo  apro, provo l'euforia di avere quasi raggiunto il mio appartamento, di essere in salvo, tirare un sospiro di sollievo, anche se ci sono quattro rampe di scale da fare; e mentre il portone si chiude automaticamente alle mie spalle, mi ritrovo da solo in quell'ingresso impersonale ed anonimo, ed ecco che d'improvviso le forze mi vengono a mancare del tutto, e cado come uno sciocco sul pavimento, senza più alcuna energia, privo della più elementare capacità per riuscire ad essere ancora integro, lo stesso di sempre.


Bruno Magnolfi

giovedì 2 gennaio 2014

Memoria impossibile.

            

            Ogni volta che lei passa vicino ad una finestra di casa sente la voglia di uscire, di andare a vedere cosa ci sia e chi ci stia sulla piazzetta in fondo alla strada, e magari capire di che cosa si sta discutendo, o quale sia comunque l’argomento del giorno. Non si può certo sostenere che lei sia del tutto una ragazza qualsiasi, in fondo lo si è compreso quasi immediatamente: la sua curiosità e quella sua voglia di conoscenza appaiono spesso e volentieri fuori del tutto dall’ordinario. Eppure non c’è niente di particolarmente strano in lei, se non quella sua vitalità, quell’intelligenza costantemente accesa e vigile, come chiunque si accorge stando con lei.
            La sua amica suona il campanello e la ragazza è subito pronta, non la fa neppure accomodare, tanto pensa sia del tutto un’inutile consuetudine. Quando poi torna spiega delle cose che probabilmente a molti sarebbero sfuggite, e ne deduce subito delle altre, come se da pochi dettagli riuscisse a ricostruire tutto un quadro complesso, anche se assurdo, quasi incomprensibile a molti, chiaro probabilmente soltanto a lei. Non si riesce a tenerla veramente a freno, ma in fondo non ce ne sarebbe neanche il motivo, visto che non c’è niente di male in quello che fa.
            Poi un giorno esce e non torna, la si va a cercare nei soliti posti, si chiede alle amiche, infine ci si vede costretti a denunciare a tutti la sua scomparsa. Il giorno seguente, dopo molte ricerche affannose, si ritrova la ragazza alla stazione dei treni di un paese vicino, coi modi di sempre, la stessa espressione, insomma come nulla fosse accaduto, tanto che lei si lascia riportare a casa dai suoi genitori in piena tranquillità. Adesso nessuno la perde più d’occhio, ci si aspetta da lei qualcosa di insolito, che se ne vada ancora, per esempio, o che si alzi la notte e si metta ad urlare, che rida per conto proprio, che si metta a parlare da sola. E lei, puntualmente, nel periodo che segue, fa tutto questo, forse per non deludere proprio nessuno.
            La si fa vedere ad un dottore importante, e questi dice che bisogna farla stare con gli altri, che si abitui a pensare le cose che fanno tutti, e che la sua mente eviti di vagare e sognare per conto proprio, priva di freni e di qualsiasi esitazione. Ma quella ragazza non è fatta per stare ferma, e anche piazzandola dentro una stanza controllata, sembra proprio che la sua mente non ci sia mai, vaghi chissà dove, alla ricerca di qualcosa che pare costantemente mancarle.
            Infine incontra qualcosa che sembra prenderla completamente: inizia a frequentare la biblioteca del suo quartiere, ma non per leggere semplicemente dei libri, quanto per consultarne contemporaneamente una moltitudine, saltando da un argomento ad un altro, da un testo ad uno completamente diverso, accumulando informazioni e pareri su tutto, fino a formarsi opinioni precise su tante materie differenti. Lui l’incontra lì, piegata su qualche volume, e così la prende per mano, la porta fuori, a confrontare quelle nozioni con le sue e con il mondo reale.
            Lei lo ascolta in silenzio per un tempo sufficiente a comprendere quasi tutto di lui e di loro due: poi lo lascia lungo la strada, un giorno qualsiasi, e gli spiega che non ha alcuna possibilità per stare ancora con lui. Ci sono altre cose, gli dice, mi chiamano, mi stanno chiamando, devo seguirle, non so dirti in nessuna maniera come tu debba sbarazzarti di me, del mio ricordo, della nostalgia che potrà forse scaturirti da questo periodo di tempo: devi comunque far finta che niente si sia mai frapposto tra noi, perché questa è la sola maniera che abbiamo per ritrovare ognuno il proprio indirizzo di vita, la propria integrità; non ci sarà mai un futuro per tutt’e due insieme, neppure a distanza, neanche plasmato sotto la forma ruffiana di un ricordo nostalgico. E via così.


            Bruno Magnolfi