martedì 31 ottobre 2023

Giornate ordinarie.


            Da molti giorni, sullo schermo del suo terminale, appaiono, in zone diverse dell’immagine ed in rapida successione, alcuni punti luminosi e anche delle piccole frecce, che poi spariscono subito dopo così come sono arrivate, quasi ad indicare un probabile degrado del programma informatico in uso. Achille osserva ogni tanto quei disegni stilizzati e quelle piccole righe che si formano, immaginando che anche agli altri impiegati in ufficio giungano sotto gli occhi i medesimi disturbi, nonostante fino adesso nessuno ne abbia fatto parola con i colleghi, tantomeno con lui che non parla mai con gli altri collaboratori, almeno mentre si trova sul posto di lavoro. Prosegue come sempre a riversare i dati sulle schede elettroniche predefinite, ma quei disturbi sul video appaiono sempre più fastidiosi, anche se appare evidente ormai che ci debba essere un malfunzionamento del servizio informatico che gestisce tutta la rete degli elaboratori. Così, mentre si alza per andare a prendersi il solito caffè alla macchinetta in fondo al corridoio, Achille ne approfitta per sbirciare lo schermo, del tutto identico al suo, di un collega che opera nella sua stessa stanza, e si accorge immediatamente che su quel terminale non c’è niente del genere, e che nessun punto e nessuna freccia disturbano la ricezione video del programma che gira su quell’elaboratore.

            In seguito, prova a spengere e a riaccendere la propria macchina, a spostare per quanto possibile i cavi di collegamento che spariscono all’interno della scrivania per perdersi subito dopo nel pavimento dell’ufficio e poi chissà dove, e persino a premere con forza tutti gli spinotti a cui riesce ad accedere, ma senza ottenere alcun risultato. Facendo queste piccole prove, si accorge che, se sposta la propria faccia di lato, come per guardare qualcos’altro, ed impegnandosi ad osservare lo schermo da una porzione laterale della propria visuale, tutta quella cianfrusaglia di segni e di punti sul proprio schermo improvvisamente si attenua e quindi scompare, lasciando la ricezione dell’immagine netta e pulita come peraltro è sempre stata fino a pochissimo tempo fa. Il terrore che una qualche strana malattia agli occhi lo porti rapidamente a non riuscire più ad esercitare la sua attività sospinge Achille ad affrontare con una certa preoccupazione quei suoi problemi, anche se presto si rende conto che non possono essere i suoi occhi la fonte di un disturbo del genere, considerato che semplicemente variando l’angolazione dello sguardo il difetto subito sparisce. Indaga, fa alcune prove, infine si convince di avere la necessità di un paio di occhiali con lenti schermate per la luce, in maniera da filtrare l’eccesso di chiarore delle immagini che si formano sui suoi globi oculari, ma inforcati nascostamente quelli da sole che usa di norma quando si trova all’esterno, dopo il lavoro in ufficio, si accorge subito che non rileva alcuna differenza.

            Indubbiamente, come aveva già iniziato a pensare, il problema è nella sua testa. Naturalmente, prosegue come sempre con il suo lavoro, anche se adesso è costretto ad uno sforzo ulteriore per riuscire a mettere a fuoco con correttezza le cifre e le parole che scorrono con rapidità sul suo schermo. Con attenzione riesce a non commettere errori, ma questo disturbo della sua vista lo preoccupa, lo affatica, lo rende sempre più vittima di un processo che non avrebbe mai desiderato. <<Tutto bene oggi, Achille?>>, gli chiede un collega che forse ha notato il suo disagio. Lui annuisce, si concentra, si convince che tutto è a posto, che le cose possono procedere, e non c’è niente capace di ostacolare i propri compiti lavorativi, ma quando infine, una volta terminato l’orario d’ufficio e scambiati i saluti con gli altri impiegati, esce dal suo posto di lavoro, immediatamente telefona al suo medico per richiedere una visita specialistica urgente. Gli vengono poste diverse domande per comprendere la vera natura del suo malessere, ma alla fine il medico gli detta un numero telefonico che Achille compone immediatamente. Risponde qualcuno che si occupa esattamente di disturbi neurologici alla vista, e gli fissa con celerità una visita medica di approfondimento. Lui si sente immediatamente più sollevato, quasi che aver messo il suo problema nelle mani di qualcuno estremamente esperto di cose del genere, corrispondesse già alla rapida soluzione del suo disturbo.  Così si ferma nel solito locale dove trascorre un po’ di tempo prima di rientrare a casa sua, e osservando lo schermo di un gioco elettronico presente nell’esercizio, si rende conto che nell’immagine che adesso ha di fronte non c’è più nessun punto luminoso, nessuna freccia, nessun segno particolare, se non quei disegni sintetici previsti dal programmatore.

            Achille spesso ha desiderato ardentemente di condurre un’esistenza senza alcun problema all’orizzonte, e in certi casi si è addirittura prodigato per prevenire almeno una parte di quelli più eventuali, ma la forte soddisfazione che prova ogni volta che riesce rapidamente a risolvere tutto quanto quasi senza occuparsene, è qualcosa a suo parere impagabile, un’improvvisa iniezione di fiducia addirittura nel destino, che in certi casi riesce a mettersi in gioco per risolvere le pesanti situazioni che il cittadino comune molte volte si trova ad affrontare completamente da solo, fino purtroppo a soccombere di fronte a quei tanti guai che paiono affollare le giornate ordinarie.

 

            Bruno Magnolfi

lunedì 30 ottobre 2023

Soltanto Freddy


            Ognuno ha un soprannome, in questo ambiente. A me hanno affibbiato subito quello di Freddy, e siccome sono l’ultimo arrivato, tutti mi chiamano da ogni parte e non mi lasciano neppure il tempo per riuscire a respirare. Poi mi dicono di andare in via Scialoja solo per tre pizze, visto che a nessuno interessa fare una scarpinata fino lì per una sola consegna. Mi battono una mano sulla spalla ridendo, mi caricano lo zaino contenitore, e via, di corsa sui pedali. Resto collegato con gli auricolari nella speranza che mi richiamino indietro per aggiungere qualche altra consegna da effettuare nella zona, ma non succede niente del genere, e allora vado avanti, senza mai voltarmi. L’indirizzo mi ricorda qualcosa, ma è come un elemento remoto nella mia memoria, e non ci faccio neppure troppo caso. Invece, quando arrivo sul posto, mi rendo subito conto che il palazzo è proprio quello dove abita Cristina con i suoi genitori. Secondo piano, mi hanno detto in sede, ma il portone sulla strada è chiuso, così faccio suonare il campanello e subito scatta l’apertura elettrica per farmi entrare. Salgo le scale con il fiato grosso, e quando giungo sull’ampio pianerottolo, lei è lì, davanti a me, che mi guarda con sorpresa e con un inizio di sorriso sulle labbra. <<Ciao>>, dico sprecando quasi tutta l’aria che mi è rimasta nei polmoni; <<ti ho portato le pizze>>. Lei si avvicina, mi accarezza il viso, ma capisco che vorrebbe anche abbracciarmi, se solo fossi meno sudato e accaldato, come dimostro con grande evidenza. <<Sono contenta di vederti>>, dice Cristina mentre mi aiuta a liberarmi dallo zaino e a prendere i cartoni. <<Anche io>>, dico in un soffio.

            Lei tira fuori i soldi, ma io ormai mi sento immobile, incapace di fare o dire qualsiasi altra cosa. Forse vorrei restare così, davanti a lei, per almeno una mezz’ora, magari anche di più. Mi angoscia pensare che questa sia davvero la mia occasione buona per ricucire i rapporti con questa ragazza che ho di fronte, e per nessun motivo al mondo vorrei sprecarla per stupida timidezza, o per chissà cos’altro. Cristina mi mette nella mano alcuni soldi, forse dovrei anche fare il resto, ma sono completamente imbambolato, e non so più neanche riflettere su quello che sto facendo o che invece dovrei fare. <<Ho tanta voglia di baciarti>>, le dico senza misurare affatto le parole; ma lei sorride ancora di più: <<tieni pure il resto>>, mi dice svelta; poi si avvicina e mi sfiora la bocca con le labbra. Soltanto un attimo più tardi arriva alle sue spalle il padre di Cristina, ed io rientro immediatamente nel mio ruolo; impacciato, stordito, incapace come sono, mi carico di nuovo il contenitore sulle spalle. <<Grazie, buonasera, arrivederci>>, dico senza dare importanza alle parole, e torno svogliatamente a scendere le scale, mentre lei, passati i cartoni a suo padre che sparisce nell’appartamento, resta sulla soglia a guardarmi andare via, silenziosa, immobile, forse felice di questo nostro inaspettato incontro. Mi volto: <<adesso il mio nome è Freddy>>, dico tanto per ridere, anche se mi rendo subito conto di aver fatto bene a calcare la variazione. Poi sparisco.

L’amore è solo egoismo, dicono in molti, però la vertigine che riesce a provocare ti fa dimenticare persino chi sei e che cosa stai facendo. Prendo un giro largo e lento con la mia bicicletta, mentre negli auricolari hanno già cominciato di nuovo a chiedere di me: <<Freddy, Freddy>>, urlano per chiamarmi, come sapessero già che me la sto prendendo comoda, cercando di farmi passare questa sbronza che sembra qualcosa che mi attanaglia persino i muscoli. Infine, rientro in sede, e i tre o quattro ragazzi che sono presenti mi guardano come se vedessero un fantasma. Poi prendo i dati della prossima richiesta, sperando quasi per assurdità che Cristina voglia ordinare ancora delle pizze, e mi permetta di trovarla di nuovo in cima a quelle scale, dolce, bellissima, meravigliata del mio arrivo nei panni di un ragazzo pieno di buona volontà. <<Siamo tutti degli sciocchi>>, penso all’improvviso a voce alta, e chi mi è accanto adesso mi guarda con ancora maggiore incredulità. Carico il contenitore, lo metto sulle spalle, guardo l’indirizzo; quando mi avvio con la bicicletta tutto d’improvviso è più leggero, e sparisco nella notte cittadina rincorso da qualche macchina e da un mezzo pubblico vuoto per metà. <<Ci sono delle speranze>>, rifletto; <<non credevo che mi importasse così tanto di Cristina, ma ora che qualcosa si è sbloccato so con certezza che dovrò fare di tutto per evitare di farla allontanare ancora da tutti i miei pensieri>>.

La serata è ancora lunga: bici, pizze, soldi, facce ignote, indirizzi da cercare, campanelli da suonare, mance, saluti, portoni chiusi alle mie spalle. Un filo sottilissimo lega i miei gesti a quelli di una ragazza come lei, forse come tante, ma che si dimostra essere tutto il mio sostegno adesso, l’impulso vivo a migliorare, a cercare in me anche la sua preziosa approvazione, l’unica che spesso sembra mancare nelle mie giornate, mentre nella testa sento la sua voce ridente che mi chiama: <<Freddy, Freddy>>, e subito col pensiero so di volare verso lei.

 

Bruno Magnolfi       

domenica 29 ottobre 2023

Inutili farmaci.


            È buffa una famiglia che si ritrova tutta al completo nella propria abitazione soltanto per una volta al giorno, e normalmente per di più appena per alcuni minuti, durante l’ora di cena, davanti al tavolo dove i componenti consumano i loro pasti. Ovviamente, c’è più tempo durante il fine settimana, ed in genere al sabato è anche quasi assente quella fretta e quella nevrosi che accompagna di normale ogni altro giorno feriale, di modo che diventa facilmente possibile scambiare almeno qualche parola, guardarsi con più attenzione, osservare maggiormente le espressioni di ognuno, e poi comprendere se magari ci sono dei problemi che assillano l'uno o l'altro. Ma adesso che Federico ha iniziato a lavorare con la sua bicicletta per la consegna delle pizze a domicilio proprio durante il fine settimana, questi momenti magici del sabato e della domenica sembrano inesorabilmente perduti. Persino Marco, in assenza di suo fratello, sembra quasi restio a sedersi davanti ai suoi soli genitori, come se fosse rapidamente calato in mezzo a loro tre un senso di estraneità di cui nessuno fino a poco tempo prima si era mai minimamente reso conto, o che forse, con ancora maggiori probabilità, nei pensieri di ciascuno si era mai verificato. <<Non ho molta fame>>, si giustifica lui ora; oppure: <<ho ancora da studiare alcune cose, non posso trattenermi troppo a lungo insieme a voi>. Suo padre emana come sempre dal proprio comportamento la stessa indifferenza che ha sempre manifestato, e in modo speciale negli ultimi tempi, ma la mamma assume rapidamente l'espressione di chi intimamente soffre di fronte a certi atteggiamenti, anche se già per carattere lei è sempre stata una persona anche troppo attaccata ai propri figli e a suo marito.

            Ultimamente, insomma, qualcosa sembra abbia perso di significato in quella casa, ed ogni parola adoperata per comprendere meglio il motivo di quanto accade, in questo periodo pare soltanto un fastidio, tanto è evidente a tutti la situazione che si è creata. <<Come vanno le lezioni in facoltà?>>, chiede a Marco la mamma, tanto per vedere se riesce a smuovere una piccola conversazione. Ma la risposta ogni volta è estremamente sintetica: <<tutto bene>>, risponde suo figlio; oppure: <<le solite cose>>, evitando così qualsiasi spiegazione ed anche delle ulteriori domande su quel tema. Di fatto, in facoltà gli studenti hanno quasi deciso di occupare l’ateneo, e di manifestare così la sofferenza di un corso di studi che non porta facilmente ad uno sbocco lavorativo, ma Marco non ha alcuna intenzione di affrontare con i suoi genitori degli argomenti di quel genere. Perciò, anche in questa serata di domenica, lui si limita ad ascoltare distrattamente le notizie a basso volume che vengono trasmesse dalla televisione, e a fingersi pensieroso.

            D'improvviso però Achille, padre di Marco e marito di Celeste, dice che il giorno seguente non potrà andare in ufficio. <<Ho fissato un appuntamento dal medico>>, spiega ad occhi bassi, <<quindi mi sono preso la giornata libera dal lavoro>>. Sua moglie resta per un attimo in silenzio, quasi perplessa, poi gli chiede: <<che cosa c'è che non va; hai forse dei disturbi?>>. Lui mastica l'ultimo piccolo boccone rimasto nel proprio piatto, quindi pare riflettere con calma su qualcosa di difficile, mentre si pulisce la bocca con il tovagliolo, ma infine dice soltanto: <<non riesco a dormire bene, la notte. Poi mi tormentano dei pensieri che non so neanche spiegarmi>>. Marco scambia un rapido sguardo con sua madre, attende ancora qualche momento, poi si solleva dalla sua sedia, prende il proprio piatto ormai completamente vuoto e va ad infilarlo nel lavastoviglie, e spiegando che stasera voleva rileggere con attenzione alcuni appunti, scusandosi sparisce nel corridoio verso la sua stanza, come a voler lasciare la possibilità ai suoi genitori di spiegarsi meglio tra di loro. Anche suo padre si alza dalla tavola, la moglie lo osserva per un attimo mentre lui inizia a sparecchiare, poi chiede se potrebbe fargli piacere essere accompagnato all'ambulatorio. Lui solleva le spalle, in genere non gli piacciono le domande, poi dice semplicemente: <<come vuoi>>.

            Niente di buono in tutto questo, pensa Celeste mentre si occupa delle stoviglie e della cucina. Forse però le cose potrebbero migliorare con una terapia mirata, e far uscire Achille dall'astenia in cui negli ultimi tempi sembra caduto inesorabilmente. In ogni caso lei adesso già si sente contenta che si sia reso conto da solo che almeno qualcosa in lui non sta più andando per il verso giusto, e lo stato depressivo in cui sembra caduto da qualche tempo possa essere rimosso anche facilmente con un po' di buona volontà. <<Nel prossimo periodo noi però dobbiamo aiutarlo>>, pensa ancora; <<sicuramente cercare di farlo parlare, e poi di farlo anche svagare, insomma distoglierlo il più possibile dalle preoccupazioni in cui sembra sprofondato. Perché alla fine può essere soltanto la famiglia a prendersi davvero cura di ogni suo componente, e questo è proprio ciò di cui tutti noi adesso dobbiamo occuparci, indipendentemente da tutto ciò che può fare un misero farmaco>>.

 

Bruno Magnolfi

mercoledì 25 ottobre 2023

Nascosto e segreto.


            <<Forse sono solo una sciocca>>, dice Celeste mentre si trova in casa da sola. <<Ho sempre voluto essere esattamente quella che adesso finalmente sono diventata, e proprio ora, quando niente sembra che mi possa più mancare, qualcosa non quadra più, e a me non appare esattamente come lo desideravo>>. Poi si scuote, gira per le stanze, osserva i letti vuoti dei suoi figli, ed un velo di tristezza le passa davanti agli occhi. <<Sono cresciuti troppo in fretta. Probabilmente sognavo che rimanessero per sempre dei bambini, ma loro hanno avuto poco tempo per esserlo davvero, almeno secondo il mio parere, ed adesso che si sono fatti già quasi degli uomini, io non posso più mostrarmi agli occhi di questi miei figli la mamma che avevo sempre desiderato essere per loro>>. Poi indossa la giacca, prende la sua borsa ed infine esce, senza aver chiaro neppure verso dove dirigersi, ma soltanto per prendere una boccata d’aria, per riflettere meglio tutto quanto, mentre si trova in mezzo alla gente, e per farsi passare di mente quelle idee tristi che negli ultimi tempi hanno iniziato sempre più spesso a girare continuamente dentro la sua testa, quasi senza la sua volontà. <<Tutto è andato avanti, ed io in questo momento della mia vita mi trovo in casa tre uomini che sembrano essere sempre più distanti da quella famiglia che avevo sempre sognato, tanto che ognuno di loro persegue soltanto le proprie idee, sta dietro a certe differenti aspettative, ed individualmente non si appoggia più, come io stupidamente avrei sempre voluto, a tutti gli altri che abitano tra queste mura. Quasi non siamo più una cosa sola come una volta, ciascuno è come se vivesse in un mondo a parte, ed io, per quanto mi possa sforzare, non ce la faccio più a tenere tutti uniti nella maniera che avevo sempre desiderato>>.

            Casualmente Celeste entra nel mercato rionale, passeggia per un po' senza meta tra i venditori e gli acquirenti, e in mezzo alle bancarelle colorate, si guarda intorno quasi per cercare, tra le tante facce di persone forse indifferenti a lei, qualche risposta ai quesiti che proseguono a martellare tra i suoi pensieri. C’è un’osteria in fondo alla piazza, e Celeste arriva fino là, dove tre o quattro uomini ridono e bevono seduti davanti al bancone del locale. Lei si fa dare un aperitivo alcolico, mentre si siede ad un minuscolo tavolino; <<Bello forte>>, dice al cameriere sorridendo, e quando lo ha buttato giù fino in fondo, se ne fa subito versare un altro nello stesso bicchiere. Non ha mai bevuto niente del genere fino ad oggi, si è sempre limitata a tre dita di vino al massimo durante i pasti, ma adesso le sembra che ci voglia qualcosa di questo tipo per riuscire a sollevare più in alto il proprio morale. Infine, paga la consumazione, e poi esce con calma da questo posto, mentre niente attorno a lei sembra sia cambiato. Non avrebbe mai creduto, fino a poco tempo fa, di riuscire a fare cose del genere, ma adesso si sta convincendo sempre di più che anche le sue riflessioni forse stanno cambiando rapidamente, ed anche lei deve adeguarsi ad ogni variazione. Poi, tornando verso casa sua, si ferma per fare degli acquisti nel piccolo supermercato dove va quasi sempre, e nella busta che in poco tempo riempie di generi alimentari, adesso non fa mancare neppure una bottiglia di un superalcolico, <<tanto per tenerla in casa>>, dice poi tra sé, come per giustificare l'acquisto. 

Quando rientra nel suo appartamento appoggia i viveri sul tavolo di cucina e si siede, perché adesso si sente soprattutto stanca e accaldata, quasi spossata, però tranquilla. <<Nessuno in questa casa si accorgerà mai di qualche piccola differenza nei miei comportamenti, ed io devo cambiare qualche cosa, almeno certe abitudini, o alcune di queste mie usanze rimaste per troppo tempo sempre identiche, perché devo trovare la maniera per sopportare una nuova realtà che indubbiamente non è più quella che sognavo. E poi devo assolutamente convincermi di un fatto preciso: niente resta uguale all'infinito, e comunque ogni trasformazione so per certo che comporta sempre dei lati negativi quasi inevitabili>>. Poi riflette meglio sui benefici dati dal bere un goccio ogni tanto. <<Mi sento meglio, più forte, più allegra, disposta ad affrontare a testa alta almeno i piccoli problemi>>.

Quando accende la televisione, tanto per riempire quel vuoto evidente che prova attorno a sé, le viene quasi da ridere. <<Nessuno potrà mai immaginare che io mi metta a bere, ed anche io stessa non credo proprio che in fondo lo farò. Però un bicchiere ogni tanto è forse esattamente quello che ci vuole per una povera donna che sta nelle mie condizioni>>. Poi sistema nel frigo tutti gli acquisti di generi alimentari, e va a riporre la bottiglia di liquore dentro l'armadio della camera da letto, ben nascosta dietro a tutti i suoi vestiti. Quando richiude il mobile si sente subito meglio, quasi al sicuro, come se finalmente anche lei avesse qualcosa di personale, qualcosa tutto per sé stessa, un segreto, insomma, un piccolo elemento soltanto suo e da tenere assolutamente nascosto.

 

Bruno Magnolfi

domenica 22 ottobre 2023

Grandi indecisioni.


Al cellulare lo incalzano di continuo, mentre lui continua a pedalare il più velocemente possibile, e sulla sua schiena il contenitore caldo delle pizze è ovviamente un fastidio quasi terribile. I clienti dicono grazie, ma non sempre, e qualcuno fortunatamente gli lascia il resto come mancia. Se la serata è buona e non c’è da spostarsi troppo con gli indirizzi, in genere è possibile riuscire a mettere in tasca qualche soldo, ma non è sempre così. Si capisce che nello svolgere un lavoro del genere si deve prendere rapidamente la mano con tutte le operazioni da affrontare ogni volta, e poi imparare anche qualche trucco per risparmiare il più possibile del tempo prezioso. Purtroppo, non c’è mai il momento giusto per parlare con gli altri, scambiare delle vere opinioni, conoscersi, ed anche quando lui rientra alla base sa già che c’è un nuovo ordine che subito lo aspetta, non lasciandogli neppure la possibilità di respirare. In ogni caso, pensa Federico, se ci riescono gli altri, sicuramente posso riuscirci anche io, basta farci l’abitudine. Le ultime consegne avvengono sul tardi, quando comunque nessuno ce la fa quasi più a pedalare, specialmente chi non è molto abituato, e a quel punto ognuno ha soltanto voglia di smettere ed andarsene verso casa propria. Federico si è formato l'idea che per qualche tempo potrà tirare avanti con questa attività, ma non per tantissimo.

Suo padre non ha espresso alcuna opinione, come se fosse indifferente all'idea di suo figlio minore di mettersi a lavorare, anche se soltanto durante il fine settimana. Sua mamma invece è stata contraria fin da subito, anche se lei non si rende mai conto di quanti soldi ci vogliono per una famiglia come la loro, ed avere una pur piccola entrata in più nella casa, non è del tutto secondario. Marco è rimasto in silenzio, ma se da un lato prova piacere per il fatto che suo fratello inizi a toccare con mano lo sfruttamento ed il lavoro sottopagato senza garanzie, dall'altro è perplesso sul fatto che questa iniziativa di Federico porti anche lui stesso a dover cercare qualcosa da fare per riuscire ad avere qualche soldo in più. <<Ieri ho portato in giro ottantatré pizze>>, dice Federico, <<ed ho compiuto all'incirca una ventina di viaggi, per mettermi in tasca alla fine quasi cento euro>>. Tutti in famiglia ascoltano le sue parole, ma nessuno ha voglia di commentarle, né in un senso positivo e nemmeno negativo. È come se in qualche modo fossero soltanto affari suoi, oppure che la sua attività fosse qualcosa di poco importante, un passatempo, una maniera per trascorrere le serate del sabato e della domenica. Però Marco aveva già iniziato a pensare di proporre delle ripetizioni a domicilio per qualche studente di liceo del quartiere poco studioso, ma in ogni caso adesso gli sembra troppo presto, troppo ravvicinata una mossa del genere a ciò che sta portando avanti suo fratello.

Poi ha pensato che questa attività della consegna di pizze potrebbe cambiare le cose per Federico anche nei confronti di quella ragazza, quella Cristina a cui non piacevano affatto le sue simpatie politiche del momento. Magari, la cosa più complicata, se in questo periodo lei nemmeno più rivolge la parola a suo fratello, potrebbe essere quella di farle avere notizia in qualche modo di questa novità, e magari farle capire che le cose per Federico stanno radicalmente cambiando, sempre che questo sia del tutto vero. Forse è proprio in questo senso che la ragazza potrebbe convincerlo del tutto che la verità oggettiva, il baricentro della società e della storia, resta all'interno della lenta marcia verso l'uguaglianza, lo sforzo e la ricerca di un sistema che dia delle pari opportunità a tutti quanti. Suo fratello si è semplicemente lasciato influenzare da qualche facinoroso di Destra che gli ha detto delle cose non vere, qualche facile menzogna che lo ha ingabbiato fino a credere di essere dalla parte del giusto. Certo, è semplice trovare un nemico sociale e far credere a tutti che è da lì che nascono i più grossi problemi per una nazione. Difficile invece è mostrare della solidarietà, della tolleranza, della comprensione, ma alla fine Marco è più che sicuro che suo fratello riuscirà da solo a comprendere l'enorme differenza, e che parteggiare per un lato invece che per l'altro non è certo come fare il tifo per una squadra sportiva oppure un'altra.

            Federico ha già iniziato a dire che si sente in una forte condizione di sfruttamento nell'ambito dell’attività che sta svolgendo, e riferendo anche ciò che dicono tra i denti i suoi colleghi, tutti pensano che nessuna parte politica fino adesso si è presa davvero a cuore la loro situazione. Però ritengono che il mondo del lavoro sia dominato da pochi imprenditori senza alcuno scrupolo, e che il miglioramento del loro futuro potrà emergere soltanto cercando l'appoggio dei partiti della Sinistra. Lui è rimasto perplesso a queste parole. Ha ascoltato con attenzione queste opinioni, poi ha deciso di pensare a qualche soluzione. Però l'unico sindacato in grado di ascoltare le loro rivendicazioni sembra sia di estrema Sinistra, e questo fatto lo ha subito posto in una condizione di grande indecisione.

 

Bruno Magnolfi

giovedì 19 ottobre 2023

Quasi sempre insieme.


            Due passi o tre, proprio davanti a dove cammino io, è lì che c’è sempre quel profilo scuro, quel contorno di persona ombrosa e scarsamente visibile di cui non riesco mai a notare nient’altro se non quella sua sagoma inespressiva, composta da un unico colore, che a tratti scompare e poi riappare, in modo rapidissimo, come una debole luce elettrica a cui in maniera intermittente venga a mancare il contatto. Un fantasma, un replicante, non saprei dire, in certi momenti sembra addirittura del tutto trasparente, ma ciò che mi turba di più osservando questa figura, è che precede sempre ogni mio passo, e in qualche maniera mi anticipa, lasciandomi evidentemente una sola possibilità di scelta, cioè quella di seguirla. Lo so, lo so perfettamente che gli altri non la vedono, che forse per loro non esiste, che è solo qualcosa che riguarda me stesso e i miei pensieri, ed è per questo che non ne parlo mai, in alcun caso, con nessuno. Però so altrettanto bene che a me in qualche modo indica la strada, che mi sostiene nel momento in cui mi trovo da solo, e che bene o male funziona quasi come un cane guida, guardando per me qualcosa che probabilmente io non sarei capace di vedere. Quando sono in ufficio a lavorare non si fa vivo quasi mai, se non rapidamente lungo il corridoio mentre vado verso le macchinette del caffè. Non ho bisogno di parlare mai con lui, perché so che è in grado di leggere tutti i miei pensieri, e di sapere già praticamente tutto di me.

Poi, in un attimo, questo mio doppio se ne va, e non si fa più vedere magari fino al giorno successivo, ma io annuso l'aria, sento il suo odore, percepisco che c'è da qualche parte, anche se non riesco ad avvistarlo. Quando ne sento il bisogno, quando vorrei averlo davanti, lo penso intensamente, ma non è detto che giunga davanti a me solo per questo, anche se sto camminando da solo per la strada. Vorrei parlarne con qualcuno, un giorno o l'altro, chiedere magari ad un tizio che si intende un po' di queste faccende, che cosa ci sia da dedurre da tutto questa cosa. Con mia moglie in generale non ho parlato mai di niente fin da quando stiamo insieme, figuriamoci se inizio adesso col rivelarle una cosa di questo tipo. I nostri figli poi sono grandi, ed hanno già le loro preoccupazioni, inutile mettergli in testa qualche altro pensiero. Così tiro avanti, più per abitudine che altro, e quando mi soffermo ad osservare attentamente questa figura che mi appare davanti con la mia stessa sagoma, comprendo che c'è qualcosa che non va dentro di me, ma fingo con tutti di essere soltanto stanco, di non aver mai voglia di parlare, di provare la necessità di starmene da solo.

Sempre più spesso compio dei lunghi giri sopra ai marciapiedi del quartiere dove abito. Mi rilasso, aspetto che la solita figura che conosco si faccia vedere, poi la seguo senza più pensare a niente, neppure per scegliere la strada da percorrere. Sto bene quando sono così, è inutile che lo neghi, e forse potrei perdermi completamente, anche se questa è l'unica preoccupazione che conservo. Già, perché il pericolo più forte, secondo il mio modo di vedere, è quello che tutta la faccenda mi prenda un po' troppo la mano, e giunga fino ad un punto estremo dal quale io non sia più capace di tornare indietro. Così conservo dentro di me questa piccola tensione, come quando si chiudono gli occhi da soli per il forte sonno, ma non si vuole del tutto abbandonarsi e dormire, o forse non si può, e per questo motivo ci si mantiene su una linea di demarcazione flebile tra sonno e veglia, quasi una sofferenza e basta. Infine, trovo sempre la maniera di rientrare a casa, però di malavoglia, come fosse una forzatura, un dovere, un obbligo al quale non riesco proprio a sottrarmi.

Non credo che qualcuno si sia mai accorto di niente. Non ritengo neppure di essere una persona troppo strana agli occhi di chi mi conosce, almeno non più di tanti altri che vedo parlare con sé stessi muovendo le mani e le braccia, come riferendosi a chissà chi. Forse anche io bisbiglio qualcosa qualche volta, ma lo faccio quasi in silenzio, tenendo le mani sprofondate nelle tasche, senza guardare nessuno intorno a me, senza riferirmi a qualche persona in particolare, tantomeno il mio compagno, quando continua imperterrito a camminare davanti ai miei piedi. Non sono un pazzo, anche se sono convinto che ci sia una profonda relazione tra me e lui, come se fosse una mia invenzione vera e propria, un personaggio della mia fantasia che riesco a modellare a mia immagine di fronte a me, quasi a sottolineare qualcosa che però mi sfugge, che non riesco a comprendere del tutto. Non so a che cosa serva il mio compagno, non so perché mi stia sempre così intorno, però sento di soffrire quando non lo vedo; ed è per questo che aspetto sempre con una certa impazienza il momento in cui finalmente deciderà di tornare insieme a me.

 

Bruno Magnolfi 

mercoledì 18 ottobre 2023

Assemblea decisiva.


            Il mezzo pubblico mi lascia a poche centinaia di metri dall'ingresso della facoltà di psicologia, un vecchio ed enorme convento completamente ristrutturato, e lungo quel breve tratto di strada che percorro a piedi generalmente incontro già qualche studente che conosco per averlo visto alle lezioni e con il quale per abitudine non scambio mai alcun saluto, ma con cui sono pronto a fraternizzare nel caso in cui questo atteggiamento fosse utile al nostro corso di studi oppure ad altro. Durante l’ultima lezione tutti coloro che seguono gli insegnamenti di base hanno deciso di incontrarsi oggi all’interno dell’aula numero otto, la più grande dell’istituto, in maniera da discutere a fondo ed infine decidere quale posizione tenere nei confronti delle prossime votazioni dei nostri rappresentanti, e soprattutto a quali conclusioni giungere per quanto riguarda la situazione universitaria attuale. Personalmente non mi sono espresso in alcun modo, pochi giorni fa, quando alla fine di una lezione è stata proposta questa riunione che ritengo piuttosto impegnativa, se non votare timidamente a favore della sua realizzazione, anche se per semplice alzata di mano, perché dentro di me ho provato subito un certo interesse a partecipare, attratto dall’idea di socializzare con coloro che hanno maturato delle idee politiche abbastanza simili alle mie, e sperando di trovare, all’interno degli iscritti, un collettivo già costituito di studenti di Sinistra. Se il Magnifico Rettore e tutti i suoi aiutanti da ora in avanti prosegue, proprio come sembra fare, a mostrarsi indifferente alle nostre modeste rivendicazioni studentesche, sono quasi sicuro che presto si andrebbe in piazza per manifestare, e forse si arriverebbe facilmente addirittura all'occupazione della facoltà. Sono assolutamente propenso a schierarmi dalla parte di chi porta avanti le svariate richieste degli studenti, e non provo alcuna remora nell’andare fino in fondo a ciò che sia necessario fare per ottenere dei concreti risultati.

            Così varco l’ingresso, dopo aver accolto dalle mani di una ragazza sorridente un volantino che parla di altre cose e che non mi interessa; ci sono già, sulle porte dell’aula adibita alla riunione, diversi studenti che dibattono qualcosa tra di loro, ma io chiedo, con una cortesia ignorata da tutti, il permesso per entrare all’interno, e poi vado subito a sedermi presso una panca rimasta ancora vuota, non troppo tra le prime file che sono peraltro già occupate, almeno parzialmente. Circola velocemente una piccola lista di nomi di studenti iscritti a parlare e a spiegare il proprio parere, e vicino a me qualcuno dice che purtroppo per le votazioni si dovrà attendere almeno un paio d’ore. Sono assolutamente propenso a prendere degli appunti, perché vorrei chiarirmi bene le idee sui vari gruppi di movimenti studenteschi, ed anche se intendo partecipare già da oggi alle votazioni, vorrei riflettere bene anche in seguito sulle eventuali affermazioni che avrò sentito fare questa mattina. Dopo qualche decina di minuti, quasi in sincronia, tutti quanti entrano e si siedono, anche se il forte parlare di ognuno crea un brusio molto accentuato, che sembra per adesso quasi impossibile attenuare. Invece basta che il primo studente porti alla bocca un microfono tra quelli che sono stati accesi sopra la lunga cattedra che tutti abbiamo di fronte, perché si formi rapidamente un insperato silenzio.   

Ognuno parla della propria esperienza, e la mette in condivisione con tutti gli altri in modo rapido, così da dare a chi desidera parlare la possibilità di esprimere i propri pensieri. I temi sono i soliti, le stesse rivendicazioni che appaiono scritte sui fogli attaccati ai muri dell'ingresso nella facoltà, e le medesime parole d'ordine che ultimamente si sentono addirittura scandite anche nell'aria, però adesso si comincia subito a comprendere la profonda differenza che si insinua sempre più tra alcuni moderati e gli estremisti di sinistra, e questi ultimi naturalmente sono coloro che accendono rapidamente tutti gli animi. Dicono che dobbiamo svegliarci, che nessuno ci regala niente, che la nostra laurea non conterà mai nulla se non riusciamo noi stessi a riempirla di concreti contenuti. Molti annuiscono, altri affermano il proprio consenso a voce alta, applaudendo ad ogni passaggio e mostrando tutto il loro sostegno. Poi arriva davanti al microfono un tizio qualsiasi, uno come potrei essere io, e con una voce scura, sottotono, senza minimamente urlare, dice che la situazione appare seria, e se non cerchiamo di comprenderla fino in fondo daremo la possibilità alla Destra di relegare noi tra gli ultimi, come se il nostro impegno e i nostri studi si mostrassero alla fine del tutto inutili.

Dice di chiamarsi Gianni, e finito di parlare si allontana subito dalla cattedra dei docenti, perché adesso qualcun altro ha preso il microfono, e lui viene a sedersi ad un paio di file dal mio posto, senza che nessuno si complimenti per il suo intervento. Allora mi alzo, prendo le mie cose, vado vicino a Gianni, gli dico in due parole che lui ha detto esattamente le stesse cose che avrei voluto dire io. Mi guarda, sa che è importante in certi casi trovare un collante tra di noi, così dice tra i denti che la lotta non sarà né facile né breve. <<Non importa>>, dico io, <<l'essenziale credo sia trovare la maniera per batterci, il resto lo vedremo nel prossimo periodo>>.

 

Bruno Magnolfi

domenica 15 ottobre 2023

Famiglia perfetta.


            Nel palazzo, ed anche nel quartiere dove abitano, qualche diffamatore sembra abbia messo in giro la voce che la loro famiglia sia un po' particolare, per non dire peggio, tutta composta da persone piuttosto strane. E che il marito, almeno a giudicare dai semplici comportamenti che il vicinato riesce a notare vedendolo salire o scendere lungo le scale condominiali, sempre con gli occhi bassi e con le mani sprofondate nelle tasche, secondo alcuni dei tanti pettegoli che compongono gli attigui, sembra proprio, per spiegarlo ad altri, che non abbia un aspetto troppo rassicurante. Pare che parli spesso anche da solo, a dispetto del fatto di non fare mai parola con nessuno dei conoscenti che incontra in quel palazzo. Sorridendo, come per dare poca importanza alle proprie parole durante una mattinata qualsiasi, lo ha spiegato persino il bottegaio del quartiere alla sua moglie, mentre acquistava qualche provvista, quasi fosse comunque una cosa non vera, a cui lui certamente non credeva, e poi, girando intorno all’argomento, chiedendole, mentre erano da soli lei e lui dentro al negozio, se per caso suo marito fosse ammalato, e alla domanda di lei che desiderava conoscere il motivo per domandare una cosa di quel genere, il bottegaio ha subito detto che in giro si parlava di lui come di un uomo probabilmente un po’ depresso. <<Ma no>>, gli ha subito spiegato Celeste, quasi ridendo. <<È soltanto una persona schiva, un solitario, uno a cui non piace chiacchierare, e poi pensi, non parla mai neanche in casa, neppure con me>>, e giù a prendere un’altra risata piuttosto fuori luogo. Il bottegaio non ha avuto niente da aggiungere, però non gli è rimasta una buona impressione di tutta la faccenda, ed anche quella signora Celeste, sempre così allegra, forse anche troppo, a cui sembra vadano costantemente bene tutte le cose, non gli è sembrata del tutto a posto. <<Non si può essere tutti fatti nello stesso modo>>, ha riflettuto lei mentre se ne tornava verso casa con la busta della spesa.

Però, una volta tra le mura domestiche, ha riflettuto meglio su quello che le aveva riferito il bottegaio del negozio alimentari, e le è parso subito come molta gente riesca ad essere invidiosa persino della serenità in cui è capace di vivere una famiglia del tutto normale come la loro. <<Non ha alcuna importanza>>, ha dedotto però alla fine. <<Noi stiamo bene così, senza arrovellarci la testa per tentare di trovare dei difetti addirittura in chi ci sta vicino>>. All'ora di pranzo poi è rientrato Federico, ed approfittando così di trovarsi da sola a tavola davanti al figlio minore, gli ha chiesto, sempre un po’ ridendo, quasi come se gli stesse facendo uno scherzo, se gli sembrava che tutto andasse bene nella loro famiglia. Lui ha riflettuto a lungo, con serietà, e infine ha detto che forse qualcosa di storto personalmente lo aveva notato già da qualche tempo. <<Marco fa troppo l'intellettuale>>, le ha spiegato a bassa voce; <<e si comporta così da un sacco di tempo, come se solo lui fosse in grado di comprendere le cose, e tutti coloro che gli stanno attorno fossero soltanto degli sciocchi superficiali>>. La mamma è rimasta senza parole, quasi stupefatta, e lui ha continuato: <<Non riesco a sentirmi come lui, non so assolutamente trovare le ragioni per cui mio fratello si tenga così distante da me, dalle mie idee, da quanto sono stato capace di pensare fino ad oggi>>.

<<Ma siete fratelli>>, sbotta allora Celeste; <<ci sono valori più importanti di quello che si crede di poter essere>>. Resta in aria un profondo silenzio, come non ci fosse alcuna risposta possibile a quanto cerca di affermare la madre di Federico, tanto che lui adesso non la guarda neppure, quasi a sottolineare la distanza formatasi tra i suoi modi vedere le cose e quelli della sua famiglia. Nella mamma per un lungo momento cala l'angoscia di chi sotto ai suoi occhi sta assistendo alla perdita di unità del proprio gruppo familiare, e se non fosse per il suo ottimismo proverbiale potrebbe persino risultarne quasi sconvolta. Così tira fuori la carta finale, quella che a suo parere potrebbe riportare la tranquillità nella sua casa, non accorgendosi che oramai è troppo tardi, e che al contrario delle sue aspettative acuirebbe maggiormente persino quelle differenze. <<Parliamone tutti assieme, allora, e cerchiamo di trovare un punto di equilibrio tra di noi>>, dice ancora piena di speranza, ma Federico ormai si sente oltre ad un'idea del genere, e il suo distacco pare già quasi compiuto. <<No, mamma>>, le fa senza guardarla. <<È inutile sperare in qualcosa del genere, almeno per il momento>>. Lei lascia subito cadere l’argomento allora, e si mette a parlare d’altro, quasi che le sue maniere fossero comunque un collante da spargere sulle crepe e sulle piccole fratture che non vuol neanche vedere. <<Sembra appena ieri che uscivamo assieme la domenica, quando tu e tuo fratello eravate piccoli, e tutti ci guardavano con una grande invidia, come fossimo una famiglia pressoché perfetta.

 

Bruno Magnolfi

venerdì 13 ottobre 2023

Comportamenti sbagliati.


            <<Se ci guardiamo attorno ad osservare le cose utilizzando ogni volta il medesimo punto di vista, probabilmente tutto ci apparirà monotono, identico, senza cambiamenti; ma se invece qualche volta ci spostiamo nello scrutare la visione della realtà, preoccupandoci di variare l’ottica, l’angolazione, la sensibilità percettiva con cui ci lasciamo cogliere da ciò che ci circonda e che giunge fino ai nostri occhi, ecco che le immagini saranno sicuramente di altro tipo, diverse, maggiormente dettagliate, molto più interessanti e ricche di particolari>>. Questo ha iniziato a pensare Marco da qualche tempo, anche se in parecchi casi si sta dimostrando difficile, per quanto lo riguarda, adottare davvero questo semplice principio. Su suo fratello Federico, comunque, non ha mai cercato di avere un’influenza di alcun genere, anzi, lo ha praticamente ignorato per anni, immaginando che spinto da un moto del tutto naturale, prima o dopo, lui avrebbe in qualche modo seguito le sue orme, almeno su certi argomenti. Improvvisamente, si trova invece a rendersi conto di come le idee di suo fratello abbiano preso una strada del tutto differente dalla sua. Anche se i rapporti tra loro non sono mai stati per niente solidali, e in special modo negli ultimi tempi, questo non significa che un fratello maggiore non si preoccupi talvolta del più piccolo, riflettendo accuratamente anche su quello che eventualmente può passargli per la testa. Se fosse nei suoi panni, e se davvero come sembra l'unico ostacolo nei confronti di una ragazza che gli piace si rivelasse la propria frequentazione di un Circolo di Destra, così come sembra, lui lascerebbe immediatamente da parte la politica. Ma essendo Federico orgoglioso delle proprie cose, questo non succederà, riflette ancora Marco, e per giunta perderà poco per volta anche la stima di parecchie persone attorno a sé. Questo è ciò che pensa.

Adesso, però, fargli mutare punto di vista, fargli comprendere come quella Destra sia soltanto una sua ripicca per chissà che cosa, fargli capire come non abbia alcun senso, per un semplice ragazzo di liceo proprio come lui, accettare delle idee così sballate, è un percorso assolutamente complicato. Inutile scendere sul suo terreno, tentare di spiegargli quali significati nasconda l'appartenenza o la simpatia per una fazione del genere; Federico non ascolta nessuno quando gli si vuole far cambiare un'opinione. Marco ne è certo, l'unico modo che gli viene in mente è quello di non dare alcuna importanza alle sue scelte, pur assurde e sbagliate che si dimostrino. Però non trova una maniera differente per far giungere a suo fratello quel pungolo necessario per pensare bene a ciò che sta facendo. La cosa migliore probabilmente sarebbe che quella ragazza, che a Federico interessa tanto frequentare, lo facesse ragionare in modo serio, chiarendogli con attenzione quei punti che in lui sono offuscati dal bisogno di porsi costantemente in contrasto con chiunque, liberandolo da questa presa di posizione che sembra talvolta ricercata da lui soltanto per dispetto, quasi per dimostrarsi differente a tutti. <<Se soltanto potessi parlare, almeno per una volta, con questa ragazza>>, riflette adesso Marco, meditando a fondo sul problema principale.

Si sfiorano quasi, quando sono in casa, i due fratelli, eppure la distanza che si è creata poco per volta tra loro due è tale che sembra quasi non abbiano alcun collegamento. <<Come va con gli estremisti di Destra?>>, gli ha chiesto provocatoriamente Marco qualche giorno addietro. Ma Federico non ha dato alcuna risposta, evitando anche di commentare quelle parole. Eppure, era stato proprio lui a chiedere all’improvviso al suo fratello maggiore se una diversa visione ideologica del mondo potesse determinare una frattura nella conoscenza tra un ragazzo e una ragazza. <<Certo>>, aveva risposto Marco; <<Non è un gioco stare dietro a certi gruppi che hanno nella mente soltanto le varie differenze tra tutte le persone, e cercano sempre di sottolineare l’appartenenza geografica di ognuno. Eppoi c’è la violenza, con la quale riescono sempre ad esprimere questi loro ideali, e poi il bisogno costante che evidenziano, quello di avere dei nemici da combattere, degli avversari ai quali affibbiare ogni colpa possibile, dei loro estranei, così dicono, di cui al più presto liberarsi>>. Federico non aveva detto niente, anzi era uscito dalla stanza come per mostrare indifferenza a quelle parole forti. Però Marco aveva compreso subito il dilemma in cui si stava dibattendo suo fratello, anche se non avrebbe mai concesso a lui la soddisfazione di confermargli le parole che aveva ascoltato.

Non è semplice spiegare il concetto di delirio a chi sta delirando, specialmente se il carattere di quel soggetto sembra fatto apposta per non accettare mai alcuna lezione, e lo stesso poi si rivolta, mostrando sempre l’orgoglio di chi vuole esporre prima di tutto la propria personalità. Difficile attaccare un osso duro del genere, anche se Marco adesso è quasi sicuro che basterebbe un semplice cambio di prospettiva per Federico, per riuscire a fargli riconoscere tutto ciò che di sbagliato si sta ammucchiando nei suoi comportamenti e nelle sue idee.

 

Bruno Magnolfi     

domenica 8 ottobre 2023

Onesta verità.


            Mi sono avvicinato lentamente a quello spiazzo con i tavolini davanti al chiosco dove spesso si ritrovano al pomeriggio le ragazze, ma senza farmi notare da nessuno, restando dietro qualche cespuglio e ad una siepe. Nella mattinata ho pensato diverse volte alla maniera migliore per parlare con Cristina, ma ho compreso rapidamente di non sentirmi in condizione di compiere di nuovo delle sciocchezze come quella di andare fino sotto casa sua, oppure di telefonare a lei direttamente. D'altronde è stata chiara con me, ed io vorrei essere ugualmente sincero nei suoi confronti, spiegando a lei con calma, magari mentre la guardo negli occhi, che non può essere una sciocchezza come quella di avere delle simpatie politiche diverse a definire il nostro frequentarsi o meno. Peraltro, a me non interessa neppure troppo farmi vedere in quel Circolo di Destra dove mi hanno trascinato quei due o tre ragazzi che ho conosciuto a scuola, anche se a questo punto non vorrei mollare tutto dimostrando una scarsa personalità ed anche di essere incapace a tirare dritto con le mie idee. Mi sento improvvisamente calato in una situazione piuttosto difficile, eppure se mi svago e smetto di riflettere per qualche momento, mi appare tutto quasi naturale, come se non ci fossero dei veri ostacoli da superare tra me e lei. Mentre ero sull'autobus per avvicinarmi al chiosco, ho pensato che le cose spesso si risolvono anche da sole, basta riuscire ad essere pazienti, e attendere con calma il momento giusto in cui le faccende iniziano a sistemarsi, e poi non dare troppa importanza a tutto quanto, anche se invece so benissimo che per mio carattere spesso mordo il freno in tutte le mie aspettative, di qualsiasi natura esse siano; così mi sono guardato attorno, ed ho visto tanta gente forse incapace di fare delle scelte decise, e così mi è sembrato di assomigliare a tutti quanti, persino troppo.

Probabilmente con Cristina potrei addirittura fregiarmi del fatto di avere un fratello di sinistra, attento studioso delle tematiche delle lotte operaie e di tutto il resto, ma ho paura di apparire ridicolo, e poi per nessun motivo potrei nascondermi dietro a qualcosa che non proviene direttamente da me stesso. Ho già preso contatto con una persona che mi può dare del lavoro durante il sabato e la domenica, anche se i miei non si sono mostrati troppo d'accordo. Mi piace però rendermi il più possibile autonomo, sapere che le cose che faccio, giuste o sbagliate che siano, derivano soltanto da me, da una mia idea, dalla mia esperienza, dai miei desideri. Portare delle pizze a domicilio, peraltro, a me sembra un rapporto piuttosto onesto e trasparente come prima introduzione nel mondo del lavoro, e forse Cristina, se e quando potrò spiegarle meglio queste mie intenzioni, potrebbe essere anche contenta della mia scelta di non pesare troppo economicamente sulla mia famiglia. Qualche giorno addietro sono andato a vedere l’interno del posto dove preparano e sfornano le pizze, e ho conosciuto qualche ragazzo che, proprio come dovrò fare io, le consegna a domicilio. <<Non c’è niente di male>>, mi ha detto lui e anche gli altri tizi presenti; <<è un lavoro come un altro>>. Nessuno mi ha spiegato che quasi non c’è alcuna tutela, e che si deve correre il più velocemente possibile se si vuol mettere insieme qualche soldo, ma questo ovviamente già lo immaginavo.

I giorni addietro li ho trascorsi cercando di non pensare troppo a Cristina, però mi sono ritrovato diverse volte nei dintorni del mio liceo, a vagare con lo sguardo tra le tante facce usuali nell'orario di entrata e di uscita, nella evidente ricerca di vederla spuntare da qualche parte. Poi un mio compagno di classe, mentre mi parlava di non so cosa, mi ha chiesto d'improvviso: <<ma chi stai cercando?>>, dimostrando con quanta evidenza io stessi frugando tra i gruppi delle ragazze sopra al marciapiede, e così mi sono quasi vergognato del mio comportamento. Lo so che le cose non sono mai troppo semplici, e più si desiderano, maggiormente paiono sfuggirci, così ho pensato che per ottenere un risultato concreto dovessi per forza mettermi in gioco, pur con un certo tatto. Conosco di vista una ragazza che sta spesso insieme a Cristina, la sua amica del cuore si potrebbe dire, così ho deciso di provare ad arrivare a lei tramite l’altra. Ieri sono venuto già a questo chiosco all'aperto con la mia bicicletta, e speravo, anche se non ci fosse stata lei, di vedere almeno la sua amica. Ma non c'erano nessuna delle due, così ho deciso di tornare da queste parti ogni pomeriggio, almeno fino a quando non riuscirò ad incontrarla. In fondo, non sto chiedendo molto, ho riflettuto già da ieri; devo spingermi in avanti, penso, mostrare il mio interesse, magari suggerendo con il mio comportamento anche il possibile bisogno di cambiare idee politiche. Qualcuno mi ha detto che con certe ragazze questo metodo funziona, anche se ancora io credo molto nella semplice ed onesta verità.

 

Bruno Magnolfi

mercoledì 4 ottobre 2023

Fuori posto.


            Adesso Achille si sente solo certe volte. Guarda sua moglie, i suoi figli, la casa dove abitano, e nella sua mente riesce anche a vedere l’immagine completa, ma come se lui si trovasse all’esterno, addirittura a grande distanza, quasi studiasse una fotografia stampata sopra un enorme manifesto, e il suo sguardo praticamente fosse forestiero a quel contesto pur così preciso. Se ci pensa attentamente non riesce nemmeno a spiegarsi bene come si sia costituita questa sua famiglia, e soprattutto come sia stato possibile per lui, così schivo, chiuso in sé stesso, ombroso, aver formato dapprima una coppia stabile con sua moglie, e poi aver contribuito con lei a fare quei due figli, forse senza neppure impegnarsi troppo, semplicemente rispondendo ai desideri di Celeste, realizzando tutti questi passaggi per una semplice serie di conseguenze quasi naturali, come il seguire una pista già tracciata, tenere dietro ad un percorso già ben noto, e ricalcare senza fretta ogni debole svolta prevista da chi prima di lui si era precedentemente trovato a compiere già tutto il tragitto. Alcune volte ha immaginato d’essersi solamente lasciato andare senza mostrare volontà, quasi tirato per mano dal solo tipo di donna che davvero poteva trovare qualcosa da salvare e da valorizzare in un ragazzone per metà allo sbando come doveva apparire Achille in quel momento; un uomo serio però, forse anche troppo, anche se poco incline alla socialità. Lei era solare, divertente, gli parlava sempre di cose positive, e gli metteva davanti delle possibilità come se fossero già praticamente realizzate, e a lui non restava da fare altro che abbassare la testa ed annuire a quelle scelte.

Quando decisero di sposarsi, Celeste gli disse che da quel momento in avanti tutto sarebbe assolutamente andato meglio, e che le loro serate sarebbero diventate meravigliose, perse nei progetti febbrili di futuro. Il primo figlio, Marco, non arrivò molto tempo più tardi, e quando infine giunsero gli attimi subito prima del parto, lei disse in confidenza a suo marito, con un’espressione gioiosa sulla faccia, che soltanto con quel figlio adesso si sarebbero potuti considerare una vera famiglia. Achille era stralunato in quel periodo, forse non riusciva neppure a mettere a fuoco esattamente quello che gli stava capitando, e in ogni caso cercò di essere all’altezza della situazione, ed anche se qualche volta forse non ne fu capace, comunque tentò di fare la sua parte, continuando come sempre sia a lavorare che a dare una mano in famiglia, almeno per quando gli era possibile. Il secondo figlio poi arrivò dopo qualche anno, quasi senza volerlo, e lui perse ulteriormente la bussola della situazione, fino a cercare di trattenersi fuori da casa il più a lungo possibile, per non dover essere sempre presente di fronte al peso familiare. Forse non era esattamente lo scopo della sua vita mettere al mondo dei bambini con una moglie che non sembrava comprendere le sue perplessità, e da quei momenti in poi Achille si ritrovò sempre più moralmente estraneo alla sua casa ed alla sua famiglia.

Adesso poi che i suoi ragazzi sono abbastanza grandi, ed hanno ormai anche la maniera di pensare le cose in maniera quasi del tutto autonoma, Achille si sente convinto bene o male di aver sempre adempiuto al proprio dovere di padre, non alzando mai la voce in casa, evitando qualsiasi discussione con loro, e poi soprattutto con sua moglie, rispettando tutti i criteri in base ai quali si potrebbe giudicare un comportamento non adatto al ruolo. Però la solitudine in cui nuota spesso la sua mente, quando per qualche motivo non si sente al posto giusto, magari proprio rientrando a sera in seno alla famiglia, gli fa provare sensazioni inadeguate a ciò che tanti anni prima aveva creduto possibile ascoltando le frasi di Celeste. Gli pare di non essere capace, almeno qualche volta, di spiegare a sua moglie i propri pensieri, le preoccupazioni che ogni tanto lo attanagliano, le piccole difficoltà in cui si sente immerso. Ed anche coi suoi figli non ritiene di essere riuscito ad avere un dialogo adeguato, tanto che preferisce non sapere come trascorrono la giornata oltre gli studi, piuttosto che dover affrontare con loro discussioni e chiarimenti che gli appaiono del tutto odiosi.

Perciò sceglie sempre più spesso di isolarsi, e di fingere costantemente di avere la mente piena di altre e più penose preoccupazioni, tanto da starsene in silenzio, seduto al suo solito posto quando si trova in casa, e mostrare improvvisi ritorni momentanei della propria attenzione solo quando gli viene chiesto qualcosa in modo diretto, che sia un parere, una semplice idea, oppure un’opinione generica sulle attività e sulle scelte che la sua famiglia si trova ogni giorno ad affrontare. Quasi una sofferenza la sua, durante la cena nella loro casa, quando persino gli sguardi attorno al tavolo su cui stanno appoggiate le stoviglie, sembrano farsi indagatori del comportamento e delle riflessioni che stanno dietro a quel suo sguardo spesso assente, come se qualcosa, anche della minima importanza, si trovasse almeno leggermente fuori posto.           

 

Bruno Magnolfi

lunedì 2 ottobre 2023

Dura memoria.


Erano ormai adolescenti, i due fratelli, quando, durante una sera in cui il papà, per ragioni di lavoro, aveva tardato a rientrare in famiglia per la cena, la loro madre prese a raccontare della vicenda in cui proprio lui, che all’epoca non aveva neanche vent’anni, si era ritrovato ad affrontare una situazione veramente complicata, proprio mentre svolgeva solo da poco tempo il mestiere di apprendista magazziniere presso un grosso negozio che commerciava ferramenta, dove spesso i commessi dovevano servirsi addirittura di alcuni piccoli carrelli elevatori per sistemare e movimentare i materiali confezionati sopra agli scaffali metallici che in pratica costituivano quasi tutto l'esercizio. Durante l’orario della pausa pranzo, lui e la figlia del proprietario si erano seduti quel giorno ad ascoltare la radio dentro al furgoncino che veniva tenuto sempre pronto per essere caricato dei materiali all’imbocco della porta carraia, sul retro del negozio. <<Con il muso della macchina rivolto verso l’esterno del magazzino, loro due mangiavano un panino, e intanto chiacchieravano>>, raccontava la mamma, <<quando all’improvviso la vettura iniziò a spostarsi lentamente all’indietro, forse solo per colpa del falso piano della pavimentazione, fino ad andare ad urtare i montanti delle scaffalature, senza che loro due, all’interno dell’abitacolo, fossero stati capaci di azionare il freno>>.

<<Gli scaffali allora si accartocciarono su sé stessi>>, spiegava con impeto la mamma, <<ed il materiale molto pesante sistemato sopra i piani andò a cadere di colpo sopra al tettuccio del loro furgoncino, schiacciandolo fino a far esplodere tutti i vetri dei finestrini. A parte qualche graffio dato dalle schegge, loro due non si erano neppure fatti troppo male, ma gli sportelli purtroppo adesso non si aprivano più, e per vostro padre e la ragazza era divenuto impossibile uscire da là dentro, oramai oppressi dal peso degli articoli caduti, e trattenuti così in una situazione del tutto assurda. Peraltro, in quei minuti, non era presente né il titolare, né alcun commesso dentro a quel negozio, e per quanto vostro padre e la ragazza fossero in forte difficoltà, non poterono far altro che aspettare con pazienza il momento in cui qualcuno fosse venuto a liberarli>>. Marco e Federico erano rimasti a bocca aperta ad ascoltare quel racconto, e la mamma, se fino a quel momento aveva raccontato la vicenda con trasporto ed emozione, adesso pareva presa all’improvviso da un moto di pena, come se il finale dell’avventura fosse qualcosa di maggiormente triste, difficoltoso persino a dirsi.

<<Dopo mezz’ora fortunatamente era rientrato il proprietario, e subito aveva chiamato i Vigili del Fuoco per liberare i due ragazzi, ma vostro padre, una volta fuori da quelle lamiere tagliate prontamente con attrezzi adatti, continuava a balbettare non riuscendo a esprimersi, come non avesse più la capacità di parlare correttamente con nessuno. Fu accompagnato a casa, noi ancora non ci conoscevamo>>, proseguiva la mamma, <<ma lui stette ammalato senza uscire dalla sua abitazione per parecchi giorni, e poi la prima cosa che fece fu quella di licenziarsi da quel posto di lavoro, perché non avrebbe sopportato, almeno così diceva, di tornare tra quelle scaffalature pur ripristinate e messe maggiormente in sicurezza>>. I due ragazzi continuavano ad ascoltare senza interruzioni, ma a questo punto la mamma si era presa una pausa, ed abbassando gli occhi e la voce aveva rivelato che lui, un tempo simpatico, gran parlatore ed estroverso nei confronti di chiunque, da quel momento aveva assunto una profonda serietà nei propri comportamenti, ed era stato lento e difficile farlo tornare a parlare con gli altri normalmente. <<Si era rinchiuso in sé stesso, quasi come ora, come non avesse più alcuna voglia di discorrere e di dar voce ai suoi pensieri. Ecco, questa è la spiegazione del carattere un po’ chiuso di vostro padre, la cattiva esperienza avuta in quell’occasione sfortunata>>.

I due figli erano ancora in silenzio mentre la mamma finiva di dire le ultime cose, ma dopo un attimo, Federico, che era già un po’ più spigliato del fratello, e considerata l’età minore poteva permettersi di dire qualsiasi sciocchezza gli passasse per la mente, chiese di colpo: <<Ma papà quindi è un pauroso, uno che non sa affrontare neppure un piccolo incidente, se gli capita>>. Sua madre rise: <<non è così>>, gli rispose subito, <<ma è come se quella vicenda fosse stata per lui un trauma improvviso, di cui non ha saputo facilmente scrollarsi di dosso tutte le implicazioni a cui ha dato seguito>>. Marco annuiva, forse riusciva a comprendere meglio di suo fratello lo stato d’animo in cui si era ritrovato suo padre, e magari adesso gli erano più chiari anche i tanti silenzi in cui lui si immergeva spesso, persino quando era in casa con la sua famiglia. <<Papà ha una cicatrice>>, disse all’improvviso quella volta, rivolgendosi a Federico; <<forse adesso si è rimarginata, però ha lasciato in lui un ricordo che risulta molto difficile da mettere alle spalle>>; e la mamma annuì.

 

Bruno Magnolfi