giovedì 30 novembre 2017

Pellicola iniziata.

           

Dopo averle suonato il campanello e fattasi quindi aprire il portone condominiale, lei affronta piuttosto velocemente i gradini che la separano da quell’appartamento del terzo piano, come non ci fosse proprio alcun tempo da perdere, mentre intanto riflette che senz’altro non si tratterrà a casa della sua amica molto più a lungo del necessario, giusto il tempo di sedersi e prendere un caffè insieme ad Anna, fare due chiacchiere con lei per capire come le vanno le cose ultimamente, e poi mettersi d’accordo per andare al cinema domani o magari il giorno dopo ancora. Chiara è il tipo di persona sempre di fretta, a volte sembra persino difficile parlare con lei in modo disteso, però le sue maniere di andare subito al punto anche se non lasciano scampo, mettono sempre tutti però in condizioni di rivelarle quello che pensano veramente, senza alcun giro di parole. Loro due si conoscono da molto, dai tempi della scuola, ed anche se ci sono stati dei periodi in cui non si sono affatto frequentate, adesso non passa settimana senza che non cerchino di fare qualcosa insieme, fosse anche scambiarsi un semplice saluto veloce.
Va tutto bene, o almeno come al solito, dice Anna, anche se Corrado in questo periodo mi sembra un po’ assente, con la testa dentro le nuvole, e spesso mi risponde soltanto a monosillabi, salvo raccontare ogni tanto le solite storie sui colleghi di lavoro, degli attriti che si scatenano nei corridoi tra gli uffici, e altre cose del genere per niente nuove. Mentre conversano rimangono sedute vicino ad una finestra, e parlando Chiara guarda continuamente fuori, verso la strada, come ci fosse qualcosa di interessante. Lei insieme a suo fratello gestiscono una cartoleria, un vecchio negozio di famiglia apprezzato e frequentato da molta gente del quartiere, e così Chiara conosce molte persone, anche se quasi tutte soltanto superficialmente; ma spesso in questa maniera, anche senza andarselo a cercare, viene a sapere di qualche pettegolezzo che in certi periodi circola su qualcuno o su qualcun altro tra i suoi conoscenti.
Sembra ci siano in giro dei padri di famiglia indebitati fino agli occhi per il gioco d’azzardo, dice ad Anna, e forse ho dei sospetti su un tizio sempre nervoso che a volte vedo attorno al mio negozio, e che in questo momento è proprio qui davanti, laggiù, lungo la strada. Va bene, dice Anna sorridendo, visto che adesso ti sei messa a studiare i problemi economici delle persone, questo tizio per te è senz’altro qualcosa di estremamente interessante. Tu non sai fino a che punto si può spingere una persona assillata dai debiti, fa l’altra, e dietro a questa gente quanti strozzini ci siano sempre pronti ad approfittarsi della situazione. Poi resta in aria un attimo di silenzio, Chiara termina il suo caffè, guarda l’amica, quindi si alza: devo andare, dice mentre già si infila il soprabito. Allora ci vediamo domani. D’accordo, fa Anna, passo da te, ma cerchiamo di essere puntuali: non mi piace sedermi al cinema quando già hanno spento le luci della sala, e  soprattutto al momento che la pellicola è oramai iniziata da un pezzo.

Bruno Magnolfi


martedì 28 novembre 2017

Adolescenza variabile.

            

Quando Anna in fondo era ancora una piccola ragazza proprio come tutte le altre, studentessa non troppo brillante dell’istituto commerciale della sua città, durante gli anni in cui quasi ogni giorno passava un sacco di tempo davanti allo specchio per pettinare i suoi capelli anche se erano già abbastanza belli e curati, qualcuno le aveva già detto in privato che era piuttosto carina, anche se a lei quando tornava a casa per specchiarsi di nuovo, non risultava scoprirsi esattamente così, limitandosi comunque timidamente a sorridere a tutti quanti nello stesso momento in cui riusciva soltanto a schernirsi magari di fronte ai suoi compagni di classe che le stavano maggiormente vicino. Spesso si divertiva addirittura, non prendendolo nemmeno sul serio, quando qualcuno le diceva di volerla conoscere meglio, e il suo momento migliore in ogni caso era dato semplicemente da quegli attimi in cui ragazze e ragazzi le si mettevano intorno, come a farne il polo d’attrazione di quei suoi amici più stretti.
Le piaceva essere al centro in quelle occasioni, magari senza troppo esagerare, anche se in genere provava un certo disagio quando qualcuno la guardava in quel certo modo, perché lei nel profondo si sentiva ancora infantile, sempre pronta magari a giocare e a farsi qualche timida risata, ma senza mai fare niente che fosse preso dagli altri troppo sul serio. Era il sorriso la sua vera arma, quella maniera particolare di sentirsi ottimista, e di trovare che tutto fosse quasi sempre plausibile, visto che nella realtà, almeno secondo il suo semplice parere, non si sarebbe davvero mai potuto manifestare qualcosa di brutto.
A quindici anni il primo bacio le era stato dato di fretta, sul retro del bar in quel momento deserto vicino alla scuola, e comunque aveva acceso in lei un gran desiderio, come qualcosa di cui non siamo per bene riusciti a provarne tutto il piacere presunto, lasciandole in questo modo dentro se stessa una notevole curiosità, regolarmente delusa durante una seconda prova effettuata qualche mese più tardi con un altro ragazzo, una persona più calma, forse un tipo più adatto, ma probabilmente un po’ troppo serio per mettersi davvero con lei. Di sicuro proprio per questo era seguito un lungo periodo in cui quasi esclusivamente le amicizie femminili per Anna sembrava avessero preso un’importanza maggiore, in quanto i ragazzi le parevano in genere troppo distanti, persi spesso dietro cose per lei incomprensibili.
Quando smise di guardarsi allo specchio lo fece per una specie di strana ripulsa: in fondo decise soltanto che non c’era poi niente di veramente importante in quell’immagine sempre un po’ statica. Aveva bisogno di scavare dentro se stessa, questo era il suo proposito da ora in avanti, e comprendere appieno che cosa desiderasse davvero, così come iniziare a studiare i gesti e le espressioni degli altri piuttosto che i propri capelli o il suo viso. Poi arrivò Corrado, inaspettatamente, e niente in sostanza fu più come prima; neppure per lui.


Bruno Magnolfi

domenica 26 novembre 2017

Svendita di opinioni.



Lo guardo, mentre sta rientrando in casa da fuori e compie nel piccolo ingresso i suoi soliti gesti di sempre, quando mancano ormai appena pochi minuti all’ora di cena, mettendo a fuoco i suoi modi con tutta calma, nella stessa esatta maniera con cui si segue con gli occhi, restando sopra la riva, lo scorrere di un piccolo placido fiume, naturalmente per ciò che riesco a malapena a vedere dallo spiraglio di questa porta rimasta nel pomeriggio quasi sempre socchiusa, preparandomi senza alcuna furia ad alzarmi dalla sedia della mia cameretta per andare a salutarlo come faccio ogni sera, pronto a mantenere comunque davanti a lui la mia solita espressione essenziale. Lo studio, qualche volta ne scruto persino i più minuti gesti che compie, per riuscire a capire magari che cosa dirà, quando forse vorrà dire qualcosa, o quali espressioni vorrà conservare nel suo consueto contegno, in quel rigido personale perenne silenzio leggermente venato in qualche momento da chissà quali pensieri.
Sono curioso di lui, dei suoi atteggiamenti, e mi piace quando la mamma lo saluta per prima andandogli incontro con un leggero sorriso, mentre lui guardandola appare sempre un po’ goffo, quasi mancante delle espressioni più adatte, ricacciandosi immediatamente nelle abitudini più che assodate. Come va, chiede spesso in modo generico, toccandosi le mani che avrà bisogno di lavare energicamente nel bagno tra un attimo, guardandosi attorno, come a cercare qualcosa che prima non c’era, forse una novità che per lui sarebbe più che apprezzabile, magari anche una semplice variante al solito normale andamento che regna per casa. Ecco, è proprio questo il momento in cui, come una chiocciola negli attimi in cui sta proprio iniziando a piovigginare, io lentamente esco fuori dal mio consueto rifugio, apro per bene la porta e però lì mi fermo, soltanto per lasciare che le cose in qualche maniera vadano avanti da sé.
Anna, dice lui qualche volta, questo ragazzo mi sembra sempre più chiuso dentro se stesso, e poi mi guarda, come se avesse parlato di chissà quale scoperta sensazionale. La mamma allora mi viene in soccorso: ma che dici Corrado, gli fa, ha preso un ottimo giudizio anche oggi dall’insegnante di lettere. Perciò gli argomenti più utili per mandare avanti in qualche modo la cena, in questo modo sono già vagamente delineati, e poi non resta che qualche ulteriore preliminare prima di andare a sedersi intorno al solito tavolo.   
La radio ci viene all’improvviso in soccorso come sempre capita in queste serate, e con sommo studio mio padre, piuttosto che ritrovarsi ad espandere le proprie riflessioni nel rispondere a dovere alle domande di Anna che vanno un po’ a curiosare sulla sua giornata lavorativa, commenta con impeto qualche notizia politica o di costume del notiziario, soffermandosi su certi dettagli generici che forse alla fine non interessano quasi per niente almeno noi di questa famiglia. Tutto a posto, finirà poi per dire come sempre Corrado, lasciando che ognuno nella propria testa si formi un’opinione diversa da quella di lui appena svenduta.


Bruno Magnolfi

giovedì 23 novembre 2017

Aiuti collaborativi.

           

Certi giorni sembra sia difficile persino stare fermi e seduti alla solita scrivania, a compilare i modelli e le schede di sempre, mentre sullo schermo ci scorrono davanti agli occhi colonne di nomi che a malapena riusciamo ancora a distinguere, inseriti nel tempo per ordine alfabetico, per tipo di polizza, per scadenza, per forma di pagamento, per puntualità, per abitudini, per inclinazione, e chissà ancora per quanti altri motivi, visto che sul programma restano ancora decine di campi del tutto vuoti, ma che potremmo rendere attivi se solo riuscissimo ad avere delle altre informazioni ancora più personali sui clienti che abbiamo. Sono Torrini, e come ogni giorno inserisco con diligenza quanto sta nel mio dovere di impiegato ordinario, ma in certi casi non so nemmeno dove trovare tutte quelle forze che servono, oppure quel briciolo di entusiasmo che sempre ci vuole per mandare ancora avanti le cose.
Lo stipendio è fermo da vari anni, non si è mai vista nessuna possibilità per fare carriera, e qualsiasi idea migliorativa sul lavoro spiegata da noi che ci occupiamo di certe cose ai nostri dirigenti, viene regolarmente abortita con qualche risata o peggio con un’indifferenza umiliante, salvo ritrovarne più avanti, in mezzo alle cose di sempre, una qualche camuffata variante. Tra gli ufficetti coi vetri ed i lunghi corridoi della nostra sede, sembra che il tempo ogni giorno si prenda quasi una sosta, per poi lasciarci ritrovare regolarmente con i colleghi davanti alle macchinette per il caffè, a ridere spesso con evidenza di qualcosa di sciocco, ma certe volte più velatamente anche di qualcuno che magari sta proprio lì in mezzo a noi, e che sembra il bersaglio di turno perfetto per tutti gli sfoghi che servono.
Non c’è mai stata una vera solidarietà tra gli impiegati in questo settore, salvo mostrarsi del tutto finti trattenendo l’invidia di fatto evidente quando qualcuno di noi va in pensione, oppure al momento in cui facciamo ampio uso delle solite identiche parole di sempre quando a qualcuno arriva un lutto in famiglia. Qualche volta ci guardiamo in cagnesco l’un l’altro, ma anche questo atteggiamento alla fine dura ben poco: troppa fatica stare contro qualcuno, perlopiù è sufficiente limitarsi a qualche battuta sagace quando l’occasione ne fornisce la possibilità, ma altrimenti va bene anche niente. Si lascia scorrere il tempo, misurandolo generalmente con il metro delle varie stagioni che qui si rincorrono, e per il resto naturalmente si tenta sempre di essere più furbi degli altri, ed approfittare immediatamente di qualche situazione favorevole quando raramente questa ha la grazia di presentarsi.
Corrado Renai, il mio collega diretto, riesce ciclicamente ad inguaiarsi in qualcosa, che poi tradotto in concreto vuol dire soltanto per lui bisogno immediato di soldi, piccole cifre generalmente, ma che lo portano a divenire arrendevole e mansueto con tutti i suoi collaboratori almeno in quei momenti, tanto da lasciarsi tranquillamente fregare con dei piccoli prestiti che paga ad un prezzo degno quasi dello strozzinaggio. Non è colpa di nessuno se lui è così, certi incasinamenti sembra proprio che se li vada a cercare, ma in ogni caso è sicuramente una fortuna per il Renai avere alle spalle dei colleghi che in certi casi lo sanno aiutare; ed in certe giornate lo trattano proprio quasi fosse un amico.


Bruno Magnolfi

mercoledì 22 novembre 2017

Abitudine alla normalità.

          

I propri essenziali banchi individuali non sono lontani tra di loro, e quando certe volte in quell’aula del liceo vanno avanti alcune ore di lezione forse anche più noiose delle altre, ogni tanto Francesco getta un’occhiata, rapida anche se esauriente, verso il suo amico Neri, immobile in terza fila, a tre o quattro metri di distanza dal suo posto a sedere, che per scelta è sempre stato fin dall’inizio dell’anno scolastico il primo banco alla sinistra della classe. In fondo è accaduto sostanzialmente solo ieri, durante un cambio di insegnante, proprio quando tutti gli altri stavano in piedi a chiacchierare, che lui si sia spostato appunto in quella terza fila tanto per scambiare col Neri qualche parola senza impegno, e mentre gli diceva quello che aveva pensato nei minuti precedenti, sorridendo forse della propria timidezza mentre cercava l’attenzione, Francesco abbia quindi posato la sua mano, forse con un gesto per lui assolutamente naturale, sulla mano dell’amico ferma sopra al piano di quel banco, lasciandola proprio in quella posizione su quel morbido tepore piacevole e così rassicurante, magari leggermente troppo a lungo per evitare che qualcuno tra i loro compagni subito se ne accorgesse.
Nessuno ha detto niente, almeno sull’immediato, e persino il Neri non gli ha dato proprio alcun peso, ma in seguito, quando è suonata l’ultima campanella ad indicare la fine dell’orario scolastico, il suo compagno Carlo Pieri, mentre tutti camminavano lungo l’ingresso principale, ha appoggiato delicatamente una mano sulla spalla di Francesco, sfoderando un acceso senso ironico, e quando lui si è voltato per guardarlo gli ha sorriso in modo quasi claunesco, con un’espressione che non lasciava dubbi su quanto lui stesse pensando. Nessun problema, Francesco se lo aspettava da un momento all’altro che qualcuno iniziasse ad essere un po’ entrante nei riguardi delle sue cose, così lo ha solo osservato un attimo con neutralità senza ribadire niente, e poi ha continuato a camminare rivolgendo subito lo sguardo indifferente avanti a sé: non c’è da preoccuparsi, forse ha pensato; i ragazzi se vogliono sanno essere cattivi, ma a lui non interessa, lui resta uguale a come è sempre stato, oltre certe sciocchezze.
All’uscita si è incamminato verso casa sua Francesco, le mani nelle tasche, lo sguardo rivolto verso il marciapiede di fronte a sé, ma poco per volta ha cominciato a sentirsi come più leggero, praticamente rassicurato dagli eventi, quasi che l’esternazione delle idee e dei propri sentimenti gli avesse proprio provocato una sensazione di sollievo, quella di chi in un attimo si è liberato l’animo, e oramai si trova ben lontano dall’uso consuetudinario dei gesti e delle espressioni, e soprattutto oltre le abitudini della normalità. Un percorso lungo e complicato, pensava raggiungendo con calma la sua abitazione, però del tutto inevitabile, quasi una strada già tracciata che è inutile cercare di abbandonare in qualche modo: soltanto la sensibilità di chi si incontra lungo questa via può fare davvero una evidente differenza; il resto delle scelte che possiamo fare è già dentro di noi, fa parte del bagaglio che ci portiamo dentro, e non serve a niente in un modo oppure nell’altro cercare di adattarsi alla realtà, così come tentare di rendere più lisce le situazioni ruvide che spesso ci troviamo ad affrontare.


Bruno Magnolfi

lunedì 20 novembre 2017

Senza delusioni.

            

Certe volte sono distratta; non so per quale motivo questo succeda, ma in questi casi è come se fossi da sola dentro un’altra stanza, e quindi le cose che magari inevitabilmente possono accadere proprio davanti alla mia persona non mi arrivassero per niente, o al massimo in un modo molto più attenuato di quanto sarebbe prevedibile. La mia giornata scorre quasi sempre in maniera estremamente abituale, lasciandomi soffermare solo su pochi elementi che generalmente la caratterizzano, quelli più importanti ed evidenti: forse sono una persona estremamente semplice, una che probabilmente non vuole mai vedere completamente la realtà con i propri occhi, però in tutti i casi credo che ognuno di noi debba essere sempre sincero con se stesso, e lasciare che gli avvenimenti anche vicini scorrano con la propria normalità.
Penso spesso comunque che tutto vada bene, e che le piccole increspature che a volte si formano sopra ad un mare calmo non indichino necessariamente l’arrivo impellente di una tempesta che qualche pessimista forse ha subito previsto. Mi piace camminare per la strada mentre penso alle mie cose, e non credo ci sia quasi niente di cui per forza ci si debba preoccupare veramente. Sono sicura che tutto sia di per sé già fin troppo complicato e spiacevole per pretendere di intorcinarsi la testa con idee e paure ancora più complesse di quanto tutto il resto sembra spesso costellato. Mio figlio Francesco è l’elemento essenziale rispetto a qualsiasi sforzo mi trovi ad affrontare, ed il suo percorso di crescita, almeno fino ad oggi, assieme anche ai suoi risultati scolastici, mi riempiono di piacere e di grande soddisfazione.
Mia madre quando ero giovane spesso mi diceva: Anna, non fidarti mai degli uomini; ma io adesso non credo fosse un avvertimento valido per qualsiasi donna. Sono tranquilla, le cose mi pare vadano avanti senza grandi intoppi: conservo il mio piccolo lavoretto al mattino che mi permette ogni tanto anche qualche spesa superflua, e di Corrado non mi pare neppure il caso di lamentarmi troppo, anche se il suo tempo appare tutto assorbito dalla sua occupazione in ufficio e dai suoi amici. La mia amica Chiara dice certe volte che forse dovrei sognare di più, cioè puntare più in alto per migliorare davvero la mia quotidianità, ma a me quando ascolto queste sue parole viene semplicemente da sorridere: se tutto si mantiene in questo modo, le dico, io sono contenta, non mi pare proprio di aver bisogno d’altro oltre quello che mi ritrovo già. Non ho pena o grande dispiacere per coloro che continuano perennemente a lamentarsi, ognuno logicamente può comportarsi sempre come gli pare meglio; però credo che certe persone dovrebbero guardare con attenzione e magari anche più a fondo in tutto ciò che già tengono stretto dentro le proprie mani. Forse io non ho grandi aspettative, questo può darsi; però credo che chi ne ha persino troppe finisca prima o dopo per vivere delle grandi delusioni.


Bruno Magnolfi

giovedì 16 novembre 2017

Spie.

          

Avrei bisogno di parlarti nel mio ufficio; anche adesso se non hai cose particolarmente importanti da sbrigare, dice al Torrini mentre gli passa distrattamente accanto, appoggiando una mano sul piano della scrivania e osservandolo appena per un attimo negli occhi. La mattinata è una di quelle solite, fotocopia esatta di mille altre, gli impiegati dicono qualcosa tra di loro sorridendo quando si incrociano lungo i corridoi, e per il resto ognuno se ne rimane piegato sopra al proprio piano di lavoro oppure al telefono, a sistemare le pratiche a lui affidate ed a contribuire alla gestione di tutta la clientela assicurativa del gruppo societario. Il capufficio non è il tipo di persona che parla molto con gli altri, però sicuramente è un astuto osservatore, uno che scruta le persone con attenzione dietro ai suoi occhiali, cercando di comprendere anche da piccoli particolari le cose che non vanno. Non capita di frequente che inviti qualcuno a raggiungerlo dentro al suo ufficio, perciò il Torrini si mette subito sulla difensiva, pronto ad affrontare una nuova grana, a questo punto praticamente quasi sicura.
Vorrei chiederti qualcosa di Corrado Renai, dice lui senza giraci attorno. Per me è solo un collega, fa il Torrini, peraltro neanche uno di quelli con cui ho più confidenza; non so che cosa devo dire, ma a parte qualche piccola incomprensione che viene fuori ogni tanto tra me e lui, per il resto mi sembra uno come gli altri. Vuoi dire che con il Renai non hai rapporti privati fuori dall’orario di lavoro, e che magari non lo conosci neppure oltre questi uffici, mi pare di capire. Esatto, dice il Torrini, niente di niente. Credo che tu non mi dica la verità, fa il capufficio: in ogni caso non ho elementi per smentirti, anche perché quello che accade fuori da queste mura non sono certo affari miei. E’ esatto anche questo, fa il Torrini, comunque se c’è bisogno di qualche spiegazione sui miei compiti sono pronto a darli, però sugli altri impiegati del palazzo non mi piace proprio parlarne troppo.
Va bene, dice l’altro alzandosi dalla scrivania, è chiaro il concetto, in ogni caso se ci fosse bisogno di cambiare in meglio le mansioni ad un impiegato del piano, o magari affidare un portafoglio clienti un po’ più corposo a qualcuno dei nostri, tu non indicheresti certo lui. Torrini sorride, annusa il trabocchetto, pensa che non ci sia niente di vero in tutte quelle parole, e che sia soltanto uno stratagemma per tirargli fuori degli elementi che probabilmente il capufficio già conosce, o che subodora, ed immagina oltretutto che qualcuno in quei corridoi, incapace di badare ai fatti propri, lo abbia subito avvertito del recente scambio di soldi che c’è stato.
Fondamentale è negare, negare sempre, lasciando che almeno un dubbio prosegua a girare nella testa di tutte le persone. Va bene Torrini, dice il suo capo, vedremo in seguito. Durante la giornata Torrini fa avere un biglietto a Corrado, e all’uscita dal lavoro loro due si incontrano sul retro di un caffè poco distante. Devi rendermi i quattrini che ti ho prestato, gli dice quello, la faccenda si è fatta troppo pericolosa. Il capo pensa che ci sia tra noi una compravendita di clienti o anche di polizze, così è capace di metterci alla porta tutt’e due. I patti sono chiari, risponde secco Corrado; ti renderò tutto nei tempi stabiliti. Torrini evita di alzare la voce, lascia correre, non ha strumenti per arrivare a pretendere quello che ha appena chiesto, quindi se ne va e basta. Quando escono comunque lo fanno uno per volta, a distanza di diversi minuti, soprattutto perché oramai ambedue non si sentono tranquilli affatto: chiunque intorno sembra che continui come ad osservarli di nascosto, e gli pare d’essere tenuti d’occhio da chissà quanti passanti anonimi, come se il capo nello spazio di un solo pomeriggio avesse assoldato delle spie per dare loro una spietata caccia. Forse non succederà un bel niente, pensa Corrado mentre se ne va verso casa sua; in ogni caso occorre adottare una gran cautela, e lasciare che le cose si sgonfino, come è normale in casi come questi: poco alla volta. 


Bruno Magnolfi

martedì 14 novembre 2017

Felice giornata.

       

Anna, le aveva detto Corrado la mattina stessa della cerimonia, parlando a voce bassa e continuando a sorridere a tutti: mi sembra di essere immerso dentro un film girato dentro una casa di produzioni cinematografiche; come se tutto quanto intorno a noi si mostrasse falso, irreale. Sono contento, certo, e poi ci sei tu che mi appari meravigliosa come sempre, ma è tutto così strano che in certi momenti non mi sento proprio sicuro di niente. Non preoccuparti troppo, aveva risposto lei: anche a me sembra tutto un po’ anomalo, però mi è sufficiente concentrarmi su due o tre cose importanti, quelle che contano davvero, ed il resto poi mi sembra vada avanti anche da solo; prova anche tu a fare il medesimo piccolo sforzo mentale.
Erano usciti dalla chiesetta di quel quartiere in mezzo ad una ventina di parenti ed anche qualche amico, e a Corrado tutta quella accelerazione che avevano preso all’improvviso le cose, una volta liberatosi il vecchio appartamento di famiglia dove loro due sarebbero subito andati ad abitare preparandosi alla impellente nascita del loro figlio, gli era parso persino eccessivo, come se dovesse mancare forzatamente in quel disegno già addirittura troppo completo e forse impermeabile a qualsiasi variazione, persino il tempo di riflettere su quanto stava accadendo.
Più tardi loro due si erano seduti per quel pranzo di nozze forse cercando in mezzo a quegli invitati che avevano di fronte qualcosa che desse in qualche modo il senso della normalità, ma Corrado, anche quando le cose si erano portate più avanti, aveva continuato a sentirsi un estraneo in mezzo a quel tavolo, provando ogni poco la voglia profonda e insinuante di fuggirsene via. Aveva bevuto, certo, aveva brindato, e aveva lasciato naturalmente che tutti continuassero a congratularsi con lui, ma fin da subito si era sentito sbagliato, senza neppure il coraggio di dirlo davvero, quasi perfino a se stesso.
Quando alla fine della giornata erano rimasti da soli, lui ed Anna, Corrado avrebbe voluto quasi chiudere gli occhi per sperare che tutto si rivelasse soltanto un sogno, un’invenzione della fantasia, qualcosa di cui dimenticarsi, prima o dopo. Ma c’era da guardare avanti, c’era da affrontare ogni passaggio, perché  soprattutto c’era quel figlio che stava maturando dentro al corpo di Anna, e non era possibile fare nient’altro se non spianare la strada alla sua nascita, e mettere tutte le cose in maniera che quella in formazione fosse davvero la sua famiglia.
Tutta una serie di passaggi obbligati, una catena di cose che avrebbero marcato, una per volta, la strada precisa verso qualcosa di diverso da ciò che erano state le giornate ordinarie fino a quel momento. Corrado ad un tratto si era chiuso nel bagno, si era guardato a lungo dentro lo specchio, forse si era posto delle domande, e alla fine probabilmente aveva preso coscienza di quanto stava davvero accadendo fuori e dentro di sé. Poi era uscito, aveva abbracciato Anna di getto, si era inebriato del profumo di quei suoi capelli, l’aveva stretta con grande dolcezza, e alla fine aveva detto soltanto: sono felice.


Bruno Magnolfi 

domenica 12 novembre 2017

Giornate difficili.

            

Non mi interessa niente di quello che possono pensare dei miei comportamenti questi colleghi di lavoro quando parlano nei corridoi davanti alle macchinette del caffè. So che personalmente devo soltanto seguire un percorso ormai più che tracciato dai fatti, e ormai lo faccio, vado avanti senza guardarmi troppo attorno, senza neppure pensare che forse ci potrebbero essere anche delle altre possibilità. Da qualche giorno giro a piedi, prendo soltanto un mezzo pubblico quando esco di casa al mattino per arrivare fino in ufficio, ma poi al ritorno percorro con le scarpe tutti i marciapiedi che mi trovo davanti, e non mi fermo più in nessun locale: risparmio, è chiaro, evito in tutti i modi persino la tentazione di mettere le mani dentro le tasche. Impiego circa un’ora in questo modo per tornarmene fino a casa, ma questo non avrebbe poi molta importanza, se non mi rendessi conto che il lato più triste della faccenda è che immediatamente comprendo come sia ancora troppo presto quando mi trovo a salire le scale di questo palazzo, e che mi sento subito nervoso quando arrivo ad aprire la porta del mio appartamento, avvertendo forte dentro di me la sensazione di non riuscire a sopportare nessuno, tantomeno mia moglie e mio figlio che aspettano il mio ritorno come ogni giorno.
Mi sento solo, distante dalla mia famiglia, come se mancasse sempre di più nelle mie giornate un vero legame con questa casa. Mi cambio d’abito in camera da letto, vado in bagno, prendo tempo fingendo di essere ancora immerso nei miei problemi di lavoro. Anna mi chiama, dice Corrado sorridendo, poi mi fa delle domande leggere, ma io rispondo a monosillabi e in certi casi appena con un grugnito; finirà che non avrò più niente da dire, e la mia scelta finale sarà il silenzio, giusto per troncare ogni possibile dialogo.
Prendo tempo, penso ancora alle mie cose, infine è ora di cena finalmente, non c'è molto di nuovo da mangiare, ma andrà tutto benissimo. Francesco ha sistemato le stoviglie sopra la tavola, c’è del pollo con le verdure che ha preparato la mia Anna, mi siedo, prendo una fetta di pane, mi concentro sul primo boccone che ingurgito, poi sul secondo, infine mi verso del vino dentro il bicchiere. Andiamo avanti quasi di fretta, nessuno di noi sembra abbia qualcosa da dire agli altri due, e il notiziario che esce dalla radio accesa con il volume al minimo parla delle cose di sempre, riempiendo fortunatamente quel vuoto evidente.
Si passa rapidamente alla frutta, quindi al caffè, ed infine abbiamo già terminato, penso con sollievo, anche se la serata sembra però ancora lunga, quasi infinita. Devo uscire, dico come parlando tra me, nessuno ha delle obiezioni, così mi alzo, mi cambio, mi pettino i capelli ed infine indosso il mio giaccone, poi saluto tutti ed esco di casa. Quando sono in strada tiro un profondo respiro di sollievo, non so neppure io il perché, poi prendo lungo il marciapiede senza neppure riflettere verso quale direzione sia meglio andare. Se guardo intorno tutto qua fuori sembra uguale, mi sento vagamente angosciato mentre attraverso la via ad un passaggio pedonale. Infine torno a salire le scale di casa, lo faccio con calma, poi giro la chiave, ognuno sembra immerso completamente nei fatti propri: devo andare a dormire penso, domani sarà un’altra giornata difficile.

Bruno Magnolfi


giovedì 9 novembre 2017

Ritratto d'amico.

           

Quando sta insieme a sua madre, tutto sommato Francesco si sente tranquillo. Sono usciti insieme di casa per fare qualche acquisto presso un centro commerciale poco lontano – a lui manca una giacca pesante -, ed Anna si sente piuttosto orgogliosa di andarsene in giro con quel suo ragazzone pieno di vita e anche di futuro. Ogni tanto vorrebbe quasi prenderlo per mano, come faceva quando lui era più piccolo, ma naturalmente si trattiene e sorride di sé, visto che è già molto se lui non le cammina due o tre passi più avanti, come fanno altri figli con i loro genitori, forse per non mostrarsi troppo solidali con la propria famiglia.
Lui si guarda attorno, la testa perennemente come in una nuvola grigia, ma non rifiuta mai quasi niente di ciò che gli viene proposto. È vago se Anna gli fa qualche domanda, non risponde mai in modo diretto, però non appare scontroso o ribelle. Forse avrebbe potuto essere diverso, pensa lei, magari più estroverso, maggiormente disposto verso gli altri; ma in fondo, se ci pensa con calma, a lei va bene proprio così. Entrano dentro un negozio, si guardano attorno, si fanno consigliare dei capi da una commessa carina, quindi cercano la giusta taglia ed il colore di alcuni indumenti già confezionati e pronti a provare.
Anna è contenta di vederlo specchiarsi, gli sembra il più bel ragazzo di tutti, e gli sorride, lo guarda in tutte le visuali che può mentre dice ad alta voce il proprio parere, apprezzandolo mentre indossa quella giacca che ha ormai scelto di prendere, e quasi si commuove per averlo davanti, lì insieme a sé, proprio un figlio meraviglioso, riflette. Ogni sacrificio, ogni momento difficile le appare immediatamente ricompensato da quel suo vederlo già uomo, persona completa di pregi e forse anche di qualche difetto, un po’ come tutti, però pacata, seria, forse soltanto un po’ troppo riservata. Ci vorrebbe magari una ragazza per tirarlo fuori dal bozzolo in cui si è rinchiuso, pensa mentre lo osserva, anche se subito ride di sé e dei suoi sciocchi pensieri. Poi pagano il capo acquistato ed infine escono da quel negozio.
Mi sono trovato un amico, dice Francesco guardando avanti a sé mentre camminano sul marciapiede. Non so se davvero sia un bene, in ogni caso mi piace parlare con lui, dirgli sempre tutte le cose che mi passano dentro la testa. Forse domani ci vediamo nel pomeriggio, passa a prendermi vicino casa con il suo motorino, credo mi porti in un locale per presentarmi alcune persone che lui spesso frequenta. E come si chiama, quest' amico, chiede sua mamma. Non posso dirtelo, spiega Francesco, poco per volta sono sicuro vorresti sapere di più, e questo non porterebbe a niente di buono. Presto però lo potrò disegnare, forse farò il suo ritratto, ci sto già pensando, ho già in mente tutte le linee caratteristiche del suo volto: il taglio degli occhi, la bocca, il collo, le sue espressioni maggiormente caratteristiche, sono sicuro che ne verrà un gran bel disegno, e magari ti farò dare un’occhiata a questo lavoro che ho in mente, probabilmente lo vedrai, quando sarà terminato.


Bruno Magnolfi

martedì 7 novembre 2017

Alleati, se non altro.

          

Io resto in classe, come spesso mi accade, seduto dietro al mio banco, anche se sono questi i soli minuti di pausa intermedia delle lezioni in cui possiamo alzarci e girare un po’ per sgranchirci le gambe. Gli altri ragazzi difatti sono quasi tutti nel corridoio per parlare con maggiore scioltezza a voce alta e ridere spesso sguaiatamente, mentre molti di loro sbocconcellano le varie merende che si sono portati da casa. Carlo Pieri, per parlare soltanto del più accanito, mi tormenta ormai da qualche giorno perfino più del solito, per questo cerco di evitarlo con gli scarsi mezzi di cui dispongo. Lui ha sempre bisogno del pubblico intorno a sé prima di dirti qualcosa di sgradevole oppure di ridere in modo cattivo per qualcosa che sei o che stai facendo, così tende a spingermi sempre di più verso il mio isolamento di cui persino gli insegnanti ogni tanto mi chiedono conto, quasi fosse qualcosa di cui non avessi già una piena e precisa consapevolezza.
So perfettamente, al contrario, che in tempi piuttosto brevi devo trovare all’interno della mia classe almeno un alleato per la mia strenua difesa dagli altri; non è soltanto puro egoismo di sopravvivenza il motivo delle mie conclusioni, è anche il fatto che avverto profondamente il bisogno per il benestare completo della stessa aula in cui trascorriamo insieme tantissime ore del giorno, di rendere maggiormente fluida e socializzante la mia figura all’interno del gruppo, considerando il mio innaturale isolamento oramai un problema quasi per tutti.
Ci sono due o tre fra i miei compagni che ogni tanto mi vengono vicino per chiedere qualcosa, spesso giusto per farmi conversare, per ricordarsi come sia la mia voce, ma nessuno di loro mi pare adatto a quello che ho in mente. Poi ci sono quelli che mi ignorano completamente, come se non ci fossi per niente nella stessa stanza con loro, probabilmente per evitare qualsiasi contatto con una personalità che sentono completamente diversa da quella che sanno di avere. Certe volte li guardo, ci sono dei tipi differenti tra questi, con caratteristiche varie, ma uno di loro è il Neri, persona forte seria e scontrosa, tenuto di conto praticamente da tutti.
È lui quello che adesso mi serve, non ho dubbi in proposito, così esco nel corridoio, lo avvicino, gli chiedo se posso parlargli da solo. Lui si apparta leggermente dagli altri, ed io gli chiedo diretto se gli andrebbe qualche volta di fingere di essermi amico. Lui mi guarda con serietà corrucciando la fronte, quindi tira fuori una mano di tasca per spostare lo sguardo su quella. Vedi Francesco, mi fa, a me non piace mai fingere, non è nel mio stile, se è questo che chiedi; però non ho difficoltà a parlare con te, magari sapere davvero chi sei, che cos’hai nella testa, come mai te ne stai sempre da solo.
Lo guardo: va bene, gli dico, non so neppure io come mai sono finito in un ruolo che non sento più come mio, però ormai è così, anche se da un po’ di tempo tutto questo mi pesa. Tu hai la possibilità di tirarmi fuori da guai anche peggiori, visto che anche i nostri prof stanno iniziando a tenermi sott’occhio. Va bene, fa lui, da adesso sei mio amico, mi piace tirare fuori dai guai qualcuno che se lo merita. Mi dà il cinque ridendo di fronte a tutti, mi stringe alla vita considerando che lui è robusto ed io mingherlino: tutti gli altri ci guardano, forse sta davvero cambiando qualcosa.


Bruno Magnolfi

lunedì 6 novembre 2017

Costi quotidiani.

           

Sono Chiara, un’amica di Anna, dice Chiara al telefono; se è possibile vorrei soltanto parlare un momento con lei. Il titolare della carrozzeria risponde frettolosamente da un apparecchio a parete sistemato su un muro dell’officina, sorride a quelle parole che ascolta, poi dice soltanto: la chiamo subito; quindi appoggia la cornetta sopra un piccolo ripiano lì accanto, entra dentro l’ufficio dove sopra agli scaffali stanno i registri e gli archivi contabili, quindi spiega ad Anna che c'è una sua amica al telefono, e che le può passare subito la comunicazione al ricevitore sistemato sulla sua scrivania. Vorrei venire da te ad incontrarti alla fine del tuo orario di lavoro, dice Chiara, tanto stamani non è molto importante la mia presenza in negozio, così posso assentarmi, e magari quando sono lì da te puoi indicarmi quale sia tra gli operai questo Andrea che lavora là dentro e di cui parli tanto.
Va bene, fa Anna, tanto sai dove sono; ci vediamo alle dodici. Riattacca, poi riflette un momento, quindi riprende con il suo lavoro. Andrea a dire la verità non si è visto in tutta la mattina, e forse l’atteggiamento che aveva tenuto nei suoi confronti in quegli ultimi tempi è già tramontato, probabilmente ha altri pensieri che gli passano in testa, non ha più voglia di stare a guardare verso una sciocca impiegata un po’ sognatrice come sembra essere lei. Poi un cliente viene per ritirare la sua vettura, Anna ha già preparato il libretto di circolazione dell’auto e la fattura per il pagamento, ma qualcosa non torna, interviene così il titolare della carrozzeria, si discute di alcune cose, si tratta, alla fine viene trovato un accordo: va tutto bene, si sentenzia, e le cose procedono più o meno come sempre devono andare.
Verso la fine della mattina lei si alza dalla sua scrivania, indossa la sua giacca sopra le spalle e prende la borsa: devo passare di banca, dice rapidamente al titolare senza neanche guardarlo, lasciando che annuisca come fa sempre, poi lo saluta con maggiore cortesia, e quindi si avvia lungo la strada, la stessa che Chiara dovrà percorrere per venire da lei. Difatti dopo poco la incontra sul marciapiede: non hai voluto aspettare per farmi conoscere Andrea, le dice l’altra con un sorriso. Tanto non c'è, dice Anna, è fuori con un cliente, quindi non aveva senso che continuassi ad aspettarti ancora. Qualcosa mi sembra non quadri, dice Chiara, in ogni caso ti accompagno volentieri per un tratto, così mi parli di come vanno le cose.
Niente di nuovo, dice Anna, se non che in casa con Corrado non va molto bene: lui è spesso nervoso negli ultimi giorni, non so perché visto che non parla quasi mai, ed in compenso sembra continuamente perso tra i suoi problemi. Ho provato a fargli qualche domanda senza mai insistere e girando attorno alle cose, ma lui si trincera immediatamente dietro ai suoi soliti argomenti, e non dice niente. Anche con Francesco tiene un atteggiamento molto distaccato, e così il poco tempo che trascorre tra le mura domestiche non è incoraggiante. A volte vorrei proprio andarmene, dice Anna, e se non fosse per il mio bambino che ha bisogno di me, forse lo avrei anche fatto. Ma devo resistere, cercare sempre il lato positivo che c’è in tutte le cose, e tenere insieme le persone che siamo, ad ogni costo.


Bruno Magnolfi  

venerdì 3 novembre 2017

Coscienza indiretta.

           

La si può notare spesso mentre resta affacciata a quella solita finestra del suo appartamento che si apre proprio sopra la strada, la nostra vicina di casa del secondo piano, e lei in quelle volte sembra sempre osservare con un certo interesse chiunque per un motivo o per l’altro si trovi a passare da queste parti. Non mostra l’espressione di chi si preoccupa davvero di coloro che stanno transitando da qui, e forse non è neppure troppo curiosa delle cose che fanno o che accadono agli altri, in ogni caso spesso lei si fa vedere con le braccia conserte sopra al suo davanzale, a quella medesima finestra, ma con la testa forse perduta dietro chissà quali altri pensieri, ad osservare in modo generico ciò che succede lungo la strada. Certo, si sarà fatta senz’altro un’opinione completa di ognuno di noi, ma è anche probabile che non sia esattamente questo che la interessi davvero.
Sicuramente conosce abitudini e orari di tutte le persone che abitano in questo nostro palazzo, ma in fondo non c’è niente di male nel suo pensare qualcosa di tutti noi che abitiamo tra queste mura in comune. Anna per esempio la saluta sempre, quando torna da fuori, mentre Francesco e Corrado sembrano fingere di non vederla neanche, magari per motivi assolutamente diversi. Lei osserva senza insistenza, e forse pensa a quello che stanno facendo tutti gli altri lungo la via: persone che tornano da una passeggiata, oppure dal lavoro, o dalle normali faccende quotidiane, Probabilmente si immedesima in loro, riflette direttamente su quello che secondo lei stanno pensando, e magari riesce ad avvertire dentro di sé la stessa piccola emozione che può dare quel ritornarsene a casa di qualcuno, oppure la soddisfazione di aver fatto qualcosa di utile, da parte di un altro, oppure avere vissuto delle ore particolarmente importanti.
E’ una persona qualsiasi, indubbiamente, lei è un tipo di donna che generalmente non rimane neanche un attimo nella nostra memoria, perché è proprio una qualunque vicina di casa che puoi incontrare in ogni momento sul portone mentre stai uscendo, e magari in quel caso la saluti con un cenno del capo, ma lo fai solamente per ordinaria abitudine, perché devi pensarci almeno un momento per ricordare davvero chi sia. Invece quando sta là, incorniciata in quella finestra, sai perfettamente chi sia quella figura che adesso ti guarda, ed anche se possono darti fastidio i suoi modi di scrutare le tue abitudini e tutte quelle degli altri, è come se il suo sguardo si mostrasse in qualche maniera rassicurante, capace di ricordarti che quella è davvero casa tua, e che lei almeno virtualmente ne è la guardiana.  
Forse la nostra vicina riesce addirittura a vedere qualcosa che per noi non è più presente, e nel suo mondo di immagini è come se tutte le figurine che si muovono sotto quella finestra fossero comprese all’interno di una grande regia, di cui solo lei riconosce linee guida e dettami. Inutile sperare di sfuggire al suo occhio: il suo pensiero finale comprende probabilmente già ognuno dei nostri gesti di persone normali, e i nostri passi lenti o affrettati che siano, restano sicuramente all’interno di ogni sua considerazione preventiva. È soltanto una vicina di casa, questo è sicuro, ma nello stesso tempo è anche una parte della nostra coscienza.


Bruno Magnolfi