sabato 11 aprile 2009

Dove vuoi tu.



La nonna veniva a prendermi generalmente nel primo pomeriggio. Avevo quattro o cinque anni, e in quelle giornate assolate andavo volentieri con lei ad accompagnarla nei suoi giri, che poi erano sempre i medesimi: una visita al cimitero, a pulire la tomba del nonno che non avevo mai conosciuto ma che in vita si era chiamato proprio come me; oppure in qualche vecchio negozio a far quattro chiacchiere con qualcuno che la nonna conosceva chissà da quanto tempo, oppure per comprare qualcosa che le serviva; e immancabilmente in chiesa, ogni giorno, però non alla messa, ma all’ora in cui non c’era nessuno, e giusto per stare lì in silenzio per cinque minuti o pochi di più. La chiesa era grande e i soffitti con volte a crociera a me parevano altissimi, e nel fresco silenzio dei muri e all’ombra del grande pronao di ghisa, rimbombava il formidabile colpo del maglio che spaccava le loppe di minerale e di pirite nella fonderia poco lontana. Era bello pensare in silenzio, senza alcuna fretta in mezzo a confondermi, e quel suono profondo, quello che arrivava immancabile ogni poco dalla fonderia, prolungato nel tempo dai muri e dagli alti soffitti, pareva una parte costituente la chiesa, come se fosse il lavoro, il sudore dei minatori che estraevano il minerale e degli operai che fondevano il ferro e la ghisa, a entrare là dentro, a parlare di loro, delle difficoltà della vita, e forse anche del nonno, morto per essere caduto da un’impalcatura mentre portava avanti anche lui il proprio lavoro. La nonna aveva cresciuto i suoi figli ancora piccoli tutta da sola, fin da quel giorno, chissà con quante e con quali difficoltà, ed ora che quelli erano grandi, aveva me, che volentieri le stringevo la mano callosa, e le facevo capire ogni volta che mi piaceva andare con lei, ero contento di accompagnarla in tutti i suoi giri, ed io davvero sarei andato dappertutto al suo fianco, in ogni posto dove lei avesse voluto.

Bruno Magnolfi



lunedì 6 aprile 2009

Per qualcuno che non ho mai conosciuto.



Si doveva partire in quell’estate di tanti anni fa, per andarcene all’estero, io e la mia fidanzata, a vedere qualcosa che non avevamo mai visitato. Il primo lungo passaggio in autostop era già definito prima della partenza: ci portava fino a Copenhagen, con una tappa intermedia a Karlsruhe, in Germania, giusto una notte per riposarci. Poi dalla Danimarca, saremmo scesi lentamente verso sud, sempre in autostop. Un itinerario vero e proprio non l’avevamo neanche studiato, ma sapevamo che sarebbe stato divertente farci trasportare dalla voglia, dagli eventi e dal caso. Ci mancava la tenda per affrontare degnamente il viaggio, così chiedemmo in giro agli amici se qualcuno poteva prestarcene. Giorgio ci disse, dopo qualche giorno, che un suo amico, Luca, pianista di jazz, ci poteva prestare la sua canadese. Fu subito all’inizio di tutto il viaggio che durò quasi due mesi, a Karlsruhe, in una buia piazzola di sosta dell’autostrada, sotto ad un temporale incredibile, che ci accorgemmo che quella tenda, tirata fuori dal sacco per la prima volta da quando ce l’avevano data, oltre ad essere piccolissima, era anche mancante di fondo, ed al suo posto, assieme allo stretto necessario per essere montata, c’era soltanto un semplice ritaglio di nylon trasparente. Odiammo Giorgio e il proprietario della canadese, ovviamente, soprattutto quando, dopo essere passati da Amsterdam e aver preso una grande nave da Vlissingen che dopo dodici ore di traversata notturna della Manica ci aveva traghettati in Inghilterra, ad un’ora di corriera da Londra, e dopo esserci spinti fino a Brixton, nei dintorni di Plymouth, in Cornovaglia, si dovette andare in un supermercato a recuperare diversi cartoni vuoti che ci isolassero meglio dal prato umido inglese. Era Luca Flores il proprietario della tenda, il grande pianista di jazz morto suicida, e noi, tramite Giorgio, la restituimmo intera al ritorno, dopo due mesi di giri per quella fetta d’Europa, con tanto di nylon dentro alla sacca, così come c’era stata prestata. Non lo ringraziammo mai di persona, Luca, ma ci piacerebbe farlo adesso, seppure in maniera così virtuale, e nonostante tutti quei sacrifici che ci trovammo a dover affrontare.

Bruno Magnolfi