martedì 31 agosto 2021

Intenso soffritto.

 

            Nel lungo periodo in cui mi sono ritrovata a lavorare, anche con una grande passione ed un forte impegno specialmente iniziale, presso il sempre affollatissimo ristorante “da Mario”, non ho praticamente mai avuto un filo di tempo in più per fare qualcosa che non fosse preparare e cuocere le carni, le verdure, il pesce, gli antipasti, tutto quello che ha sempre deciso di testa propria il nostro capocuoco con i suoi vari aiutanti, spesso senza chiederci mai neppure un piccolo parere, a noi che in fondo portavamo avanti materialmente tutto quanto il grande locale. Si iniziava già dal mattino con le preparazioni e le precotture che dovevano servire poi per tutto il giorno, e così si andava avanti occupandoci del pranzo almeno fino al primo pomeriggio, quando a quel punto ci veniva permessa una pausa di circa tre o quattro ore, a seconda dei giorni e dei ruoli, naturalmente una volta lavati e messi al proprio posto tutti gli utensili adoperati fino a quel momento. Quindi più tardi si ricominciava a sminuzzare, a soffriggere, a riscaldare, a cuocere pietanze e contorni per la preparazione della cena, proprio come prima, tenendo sempre pronti molti dei piatti indicati nelle liste come per farli apparire ai clienti cucinati esattamente proprio all’istante. In quegli anni non ho quasi mai visto mio figlio, che praticamente è cresciuto per conto proprio, non avendo neppure conosciuto suo padre, ed almeno per tutto il lungo periodo in cui sono rimasta a lavorare in quel ristorante, tenuto d’occhio ogni tanto solamente da una nostra cortese dirimpettaia del condominio, senza che io potessi fare nulla per indirizzarlo in qualche modo, se non chiedergli ogni tanto che cosa avesse fatto durante la giornata, o come gli andassero le cose a scuola. Però era bravo, serio, io mi fidavo di lui, e all’epoca lo trovavo anche studioso, piuttosto attento nel tenere in ordine il nostro piccolo appartamento, perfettamente cosciente dell’impegno di sua mamma per tirare avanti.

            Adesso poi che avrei più tempo anche da dedicargli, lavorando soltanto nella cucina della villa dei signori Neri, lui ormai si è fatto grande, e in casa nostra non si trattiene molto, sempre in giro chissà dove, con gli amici, le ragazze, il lavoro, le storie che mette in piedi di continuo. Non mi trovo male dai Neri, con la signora poi si riesce facilmente ad essere in accordo praticamente su qualsiasi cosa, ma è il marito che ogni tanto si fa avanti con delle richieste a dir poco assurde, o spesso mostrandosi scontento con noi di qualcosa che viene cucinata sui fornelli della sua cucina, come ama sottolineare piuttosto spesso. La figlia invece non dice niente, si accontenta di quello che riesco a mettere insieme per i pasti senza mai battere ciglio, accettando il lavoro degli altri sempre con grande rispetto, proprio come peraltro dovrebbe essere per tutti. A me piacciono molto le sue maniere, e quando certe volte la sento suonare seduta al pianoforte nel salone del piano terra, mi pare quasi impossibile che riesca ad essere davvero così brava. <<Signorina Franca>>, le dico a volte sottovoce quando la incrocio nel corridoio; <<lei è fenomenale>>, anche se alza una spalla e rifugge subito dai complimenti, perché si vede che sta già pensando ad altro.

            Con la cameriera attuale che si occupa della casa e serve anche a tavola, sempre impeccabile nel suo abbigliamento imposto coi colori di bianco e di grigio, non mi trovo neanche male devo confessare, considerato che prima di lei ne sono già passate da queste parti almeno altre tre che purtroppo non andavano mai troppo bene al signor Neri. Lui è il nostro vero padrone, quello che riesce a farci trascorrere una serata infame solo con una frase velenosa messa lì ad arte, oppure scagliando un’occhiata esauriente magari soltanto per una piccola macchia di sugo sulla mia bianca divisa da cuoca, quasi uscisse d’improvviso dalla sua proverbiale indifferenza verso tutti, soltanto per lamentarsi di qualcosa a suo parere del tutto irrimediabile, naturalmente senza mai lasciarsi andare ad un complimento qualsiasi. Non importa, rifletto ogni giorno mentre sto davanti ai fuochi con le padelle che sfrigolano: io cerco sempre di fare il meglio di cui sono capace, con la mia modesta esperienza; so benissimo che a lui sta bene avere assunto una come me soltanto perché lo stipendio che mi concede è meno della metà di quello per un vero cuoco. Però resisto, ed almeno quando non ci sono ospiti in villa, me la cavo alla svelta nell’occuparmi di tutte le cose della cucina. Poi torno a casa mia, da mio figlio se c’è, e mi sento a posto con la mia coscienza, mentre comunque cerco di riprendere in mano quel poco che resta della mia vita vera.

 

            Bruno Magnolfi

              

domenica 29 agosto 2021

Serata straordinaria.

 

Generalmente entrano dentro alla spicciolata e sorridendo tra di loro, subito dopo essersi ritrovati in piccoli gruppi proprio davanti alle cancellate perimetrali oppure direttamente nei pressi delle biglietterie, lasciando purtroppo la macchina a distanza di due o tre isolati, perché si sa, da queste parti non si trova mai un parcheggio. In fondo non hanno neppure una gran fretta di entrare all’interno, tanto i posti sono regolarmente numerati, e poi comunque la cosa più importante è quella di essere qui ad assistere proprio a questo evento, e di poter mostrare agli altri amici ai conoscenti, che si riesce benissimo a decidere quali occasioni scegliere per uscire qualche volta, ed alla fine ovviamente è giusto dire che quello di stasera non era assolutamente un appuntamento da saltare. La musica è il nutrimento dell'anima, certo, però domani andrà anche commentato quasi per forza questo momento magico con gli altri, perché proprio anche loro si sono radunati qui per applaudire, magari spersi in mezzo alla gran calca, sempre pronti nei prossimi giorni a sfoderare dei superlativi anche piuttosto ricercati, osannando coralmente insieme a tutti quanti l'ottima scelta effettuata, alla faccia di coloro che per un motivo oppure l'altro non hanno potuto farsi vedere anche stavolta in questi paraggi, per poi spiegare con naturalezza in quale zona della platea essersi ritrovati, cosa sia stato possibile gustare più del resto in questa splendida serata, ed anche quali siano stati, secondo un modesto punto di vista, i momenti più densi e più salienti di tutto questo bel concerto, imperdibile, naturalmente. Chissà cosa mai sarà ancora possibile raccontare oltre questi dati essenziali, quelli che in fondo si dicono generalmente quasi tutti: forse magari la combinazione di essersi immaginati proprio a due passi da qualche personaggio tra quelli maggiormente in vista, oppure la buffa vicenda di aver perduto in mezzo a tutta quella gente il braccialetto a cui si teneva così tanto, ma che alla fine è stato prontamente ritrovato, perché era proprio lì, per terra, a poco più di mezzo metro da una parte, bastava giusto guardarci, mentre veniva ovviamente rispettata la lunga fila per vidimare quei preziosi tagliandi già acquistati più di una settimana prima in una semplice prevendita dove fortunatamente ancora si trovavano diversi posti liberi.

La qualità della musica ascoltata però rimane evidentemente l'elemento più essenziale, anche se in fondo non se ne capisce poi molto di questo stile così particolare: ma nonostante in certi momenti il fluire degli assolo a tratti pareva farsi un po' noioso, ed anche a dire il vero decisamente ripetitivo, tutto nell'insieme sembra sia stato comunque assolutamente qualcosa a cui non era proprio il caso di rinunciare, anche perché, a dirla con chiarezza, artisti di questo grosso calibro, con dei nomi così noti, riescono a passare da queste parti soltanto una volta o due ogni chissà in quanti decenni. Già i manifesti che reclamizzavano questa serata erano subito parsi a tutti all’altezza della situazione, ed aver scelto di affiggerli proprio dappertutto, tanto per non poter lasciar sostenere da nessuno che non ne sapevano un bel niente, è stata assolutamente una trovata adeguatissima. E poi i colori delle immagini bellissime, con la scritta fluorescente in forte rilievo che evidenziava la data assoluta di questo evento davvero unico. Ed anche soltanto essere riusciti ad avere anche una semplice locandina di quelle che sono state messe in bella mostra sulle vetrine dei locali in tutta la città, deve essere stata, per chi davvero c’è riuscito, una gran bella cosa ed anche una forte emozione, perché poter esporre una reliquia di quel genere da sistemare in casa anche dentro una cornice su di una parete quasi vuota, non è certo una cosa che si riesce a fare tutti i giorni. Soprattutto perché alla fine, riportando sulla carta il nome dei musicisti ed anche di quella musica ascoltata, non si corre poi neppure il rischio in nessun caso di dimenticarsene, e quando si rammenterà, magari tra qualche tempo, qualcosa riferito proprio a questo evento, con una semplice occhiata si potrà spiegare facilmente a chi sta per l’appunto ascoltando le nostre parole in quel momento, tutte le caratteristiche di una serata davvero straordinaria.

 

Bruno Magnofi

venerdì 27 agosto 2021

Inevitabile attrazione gravitazionale.

 

            Franca è tranquilla. Qualche volta riflette che al fine di ottenere la possibilità di librarsi nell’aria, superando la semplice forza di gravità terrestre, per lei praticamente pare sufficiente quella sua rara ma indiscussa predisposizione che sente nel proprio spirito; così come ritiene di essere perfettamente cosciente del fatto che giusto con un’abile concentrazione del suo stesso pensiero, applicato ad un qualsiasi piccolo oggetto il quale si trovi per combinazione davanti ai suoi occhi, sia capace di riuscire a spostarne, magari anche soltanto di poco, quella stessa momentanea collocazione che mostra. Non ci sono gravi difficoltà: basta essere del tutto convinti di quello che si vuole ottenere, ed il resto è soltanto determinato dallo spessore magnetico del proprio pensiero. Poi comunque sorride. Il gioco di alzarsi nell'aria le risulta possibile soltanto per un tempo estremamente limitato purtroppo, ed oltretutto solo per pochi sciocchi centimetri, e per ottenere questo bel risultato le occorre persino trovarsi completamente da sola. Così già in una strana occasione ha cercato di spiegare a due o tre compagne di classe del suo liceo, durante una pausa delle lezioni, ciò che con un piccolo impegno era in grado di fare, ma naturalmente nessuna di loro ha preso sul serio le parole di Franca, e lei perciò si è messa subito a ridere delle proprie parole, per mostrare a tutte in questa maniera che il suo era soltanto uno scherzo.

A casa, nel silenzio che c’è intorno alla propria scrivania, lei certe volte si muove davvero sollevandosi sopra la sedia su cui sta seduta, magari proprio mentre impegna tutto il tempo pomeridiano nello studio concentrato di una delle tante materie scolastiche, ma forse questa è semplicemente una sensazione che prova soltanto in alcune occasioni, magari proprio nell’attimo stesso in cui i suoi pensieri si fanno davvero colmi di intensità. Nell'angolo quasi dietro la porta, all’interno della sua grande stanza ben arredata, ha sistemato da poco il suo nuovo pianoforte elettronico, una tastiera di concezione molto avanzata, in tutto e per tutto quasi identica ad uno strumento di tipo acustico, anche se il fatto di poterla suonare in qualsiasi momento senza produrre alcun suono, oltre quelli che lei può ascoltare tramite una cuffia collegata tramite il cavo, non può certo attirare la sua voglia di esercitarsi in qualsiasi momento del giorno. Franca si è data dei tempi precisi perciò, con orari ben prefissati, e se sopra al tradizionale piano verticale del salone di casa prosegue ogni tanto a scaldare le dita con le solite Sonate di Schumann, lasciando persino ai suoi genitori la possibilità di ascoltarla, la sera tardi, poco prima di coricarsi nel letto a dormire, accende quella sua nuova tastiera elettronica, naturalmente dopo averla sfilata dalla custodia, e nel silenzio quasi completo dei suoi libri e dei tanti oggetti da cui è circondata, tenta di affrontare qualche partitura di Boulez per piano solo, oppure la sequenza IV di Luciano Berio.

            Franca è curiosa. Aver imparato a leggere la musica e a suonare il pianoforte in età adolescenziale, non le è mai sembrato sufficiente a riempire la sua voglia di nuovo, di maggiormente attuale, di più aderente agli anni che vive. Così, dopo aver provato a forzare le cose con il suo maestro di piano, che dovrebbe farle acquisire i rudimenti utili a sostenere il prossimo esame di ammissione in Conservatorio, ma che finora è stato soltanto capace di sottoporle al massimo lo Scherzo o la Tarantella di Stravinskij, si è decisa a farsi spedire a casa, da una certa editoria specializzata, le pagine musicali più particolari che si possono trovare in commercio, fino a cercare, su alcuni manuali di armonia, i limiti verso cui risulta possibile spingere tutto ciò che si desidera suonare. Lei sa che è nascosto proprio lì dentro l’impulso per volare a mezz’aria, e certe volte riesce persino a sentirne la forza di trascinamento, anche se poi le rimane spesso il sapore di qualcosa che ancora non è riuscita minimamente ad ascoltare, qualcosa che la spinga ancora più avanti, oltre le cose intorno alle quali riesce oramai a destreggiarsi in maniera dignitosa.

            Poi c’è Lorenzo, il suo casuale compagno di banco, che le ha solo accennato, ovviamente senza alcuno scopo segreto, di suonare del jazz modale con il suo gruppo di amici, ed è Franca adesso che si trova a provare grande curiosità immaginando di poter ascoltare direttamente con le proprie orecchie, un giorno o l’altro, quello che loro riescono a fare, anche se l'indubbia riservatezza di lui, assommata al proprio timido atteggiamento a volte anche troppo evidente, risultano insieme ad un tale livello da riuscire a frenare qualsiasi volontà nel porgli delle domande dirette sulla sua musica, che rimane così, per quanto al momento poco ne sappia, assolutamente qualcosa ancora da scoprire, forse mostrandosi addirittura come un traguardo di conoscenza verso cui aspirare al più presto possibile, quasi un inevitabile punto di arrivo, magari qualcosa capace di farle provare un senso del tutto nuovo, tipo il superamento totale della stessa forza di gravità.

 

            Bruno Magnolfi   

mercoledì 25 agosto 2021

Definizione d'uomo.

 

            Durante certi giorni in cui, per qualche incomprensibile motivo, mi sento più vuoto e scontento, mi ritrovo a camminare per  strada senza pensare a nient’altro che non siano queste scarpe eleganti ai miei piedi, o i calzoni costosi perfettamente stirati sopra le gambe, mentre questi miei arti proseguono ritmicamente a procedere in avanti, quasi per una forma di autonomia, o forse soltanto per una normale abitudine. Indosso regolarmente una bella cravatta, una giacca di sartoria, ed oggi anche degli occhiali con le lenti oscurate, come in tutte quelle poche volte in cui mi muovo per strada sopra ai miei piedi, cercando così di creare uno schermo tra me e la realtà che pare scorrermi attorno, al punto che, proprio come desidero, immagino di vedere tutto quanto un po’ più distante, più irreale, soprattutto estraneo al mio corpo, quasi stessi attraversando un mondo inventato, come fosse una specie di concretezza apparente quella che vedo, proseguendo con passo monotono ad incedere senza voltarmi da alcuna parte, senza mai arrendermi ad una considerazione più attenta, curiosa, o diversa dal solito, ma osservando superficialmente tutte le cose che noto, o forse soltanto quelle che mi pare così di notare. Fortunatamente non dura molto tutta questa vertigine: mi fermo spesso poi in un caffè vicino al mio ufficio, mi siedo subito ad un tavolino appartato, e faccio subito un piccolo cenno al cameriere che mi conosce benissimo, il quale immediatamente viene verso il mio angolo a prendere l’ordinazione, oppure a dirmi se qualcuno in precedenza avesse chiesto di me. Sono piuttosto in vista in questo quartiere, o almeno in diversi che contano sanno perfettamente che sono un uomo importante, uno a cui piace molto essere trattato da tutti con il dovuto rispetto. Però sento la voglia, durante certe volte improvvise, di sentirmi da solo, quasi isolato dagli altri, e di azzerare per un momento le decisioni che poi devo prendere, senza che ad alcuno venga alla mente di disturbare questa mia intimità.

            Va tutto bene, i miei affari procedono come sempre, praticamente in un attivo progresso, però sono sicuro che se per qualche motivo perdessi di vista le cose di cui ogni giorno mi occupo, o i contatti che mi servono per avere le informazioni più adatte, come anche il personale profumatamente pagato che sta sotto di me per eseguire ogni mio ordine, tutto quanto andrebbe velocemente a perdere di qualsiasi consistenza. Mi sembra, quando penso così, come di restare attaccato ad un sostegno precario, a qualcosa di incerto e di instabile che in questi casi riesce a mostrarsi evidente, anche se continuo a nutrire una grande fiducia negli affari che ogni giorno tengono occupato quasi tutto il mio tempo, ed è un senso che soltanto rare volte mi prende, nonostante sia proprio in questi momenti, forse per una sorta di stanchezza mentale, che vorrei non essere qui, ed avere la possibilità di andarmene via, in solitudine, a godermi quei tanti bei fondi che sono riuscito a mettere insieme in pochi anni di impegno completo. Lo so che le mie società agiscono sempre un po’ al limite di quanto sia del tutto legale, però in questa realtà così condizionata mi ci sono ritrovato senza volerlo, ed il resto è venuto da solo, poco per volta.

            <<Signor Neri>>, viene subito a dirmi il cameriere a cui allungo sempre qualche mancia pesante; <<hanno chiesto di lei al telefono poco fa, e naturalmente ho subito detto che è già qualche tempo che non la vediamo; però mi sono fatto dettare un numero da richiamare, nel caso>>. Prendo il foglietto, mi lascio servire il caffè dal ragazzo, poi inoltro la telefonata. Questo è il mio mondo: decidere oggi di stare dalla parte di qualcuno, ed osteggiare così in ogni maniera qualcun altro, fino a cambiare le carte sopra la tavola ed andarmi magari ad alleare domani con i nemici passati. Nessuno deve mai poter contare in modo convinto sul mio appoggio sconsiderato, i margini per sostituire l’uno con l’altro sono facili da superare, e niente è mai duraturo, se non questo continuo galleggiamento su delle alleanze fittizie, precarie, direi quasi del tutto momentanee. Poi, mentre sono qui, mi vengono a mente mia moglie e mia figlia, e certe volte mi sembra che in qualche maniera io le continui ad esporre al pericolo, ed allora mi prende un sottile rimorso per non aver scelto una vita più semplice, o anche un mestiere qualsiasi, l’avvocato magari, proprio come mio padre, sicuramente con meno soldi dentro le tasche, però anche con tante minori preoccupazioni.

 

            Bruno Magnolfi  

lunedì 23 agosto 2021

Soltanto i musicisti.

 

Arriva, nel nostro negozio di strumenti musicali che poi è anche il più grande e fornito della città, questa ragazza minuta che sinceramente non ho mai visto prima; entra e si guarda un po' attorno, come in genere fanno quasi tutti quelli che entrano qui, anche se subito si rivolge a me per chiedermi senza mezze misure di vedere una tastiera elettronica con le caratteristiche di suono e di dinamica dei tasti il più possibile fedeli ad un pianoforte tradizionale. Le sorrido, sono in molti che vengono qua con queste stesse identiche pretese, e qualcuno si mostra certe volte anche dubbioso sul fatto che esista davvero uno strumento del genere, ma in mezzo a tutto quello che offre il mercato al giorno d’oggi, io so perfettamente che c'è una sola tastiera con queste precise caratteristiche, naturalmente anche la più costosa di tutte le altre, per cui la maggior parte dei clienti mostrano subito di non potersela minimamente permettere, e dopo qualche tentativo per trovarle qualche difetto, in genere alla fine ripiegano con facilità su un buon compromesso, qualcosa che in fondo non sia troppo caro e che non abbia neppure un suono del tutto ignobile. Per me è facile consigliare i clienti ed indirizzarli su un acquisto o sull’altro, però questa tizia davanti a me adesso non batte ciglio, e mi segue immediatamente per farsi mostrare questa tastiera da tutti reputata come la migliore, fino a chiedermi se sia possibile anche provarla. <<Naturalmente>>, le dico conservando ancora qualche dubbio sul fatto che un ragazzetta di questo genere possa permettersi davvero una spesa importante di questo tipo, però poi inserisco lo spinotto e collego un cavo ad un piccolo amplificatore di qualità, regolando il volume quasi al minimo, e accendendo gli interruttori e le spie relative. Lei si siede alla meglio su uno scaletto a tre gradini, ed attacca subito con la sonata n. 5 di Beethoven, andando avanti con piglio ed energia, fino a mostrare, senza comunque strafare, di sapere perfettamente il fatto suo. Mentre lei suona io cerco di non perdere mai di vista le sue dita sopra quegli ottantotto tasti bianchi e neri, e mi rendo conto immediatamente che c'è della stoffa in quelle mani, anche se lei ad un tratto si interrompe, e senza neppure guardarmi, prova anche i suoni delle ottave più basse, piantando lì qualche accordo ravvicinato a cinque dita, nel tentativo forse di far collimare le sue idee con i suoni che intanto escono dal piccolo diffusore.

Alla fine si alza, mi ringrazia, e senza commentare né darmi speranze, dice soltanto che ci deve pensare, e così, senza nessun’altra spiegazione intorno al suono o alle altre caratteristiche, se ne va. In fondo ero quasi sicuro che sarebbe successo qualcosa del genere, ci avrei quasi giurato, perciò rimetto a posto i vari cavi e richiudo la tastiera dentro la propria custodia, andando ad occuparmi di un giovanotto trafelato che sembra desideri comprare una chitarra. Ma non passa molto tempo, ed ecco che torna la stessa ragazza di prima, accompagnata stavolta da due facchini in divisa. <<La prendo>>, mi dice senza perdersi in chiacchiere e quasi senza emozione, tanto che tira fuori una carta di credito e paga la cifra senza chiedermi niente, acquistando naturalmente anche il diffusore più adatto a questo pianoforte elettronico, e pure una cuffia da studio, mentre gli uomini di fatica prendono tutto quanto tra le loro braccia professionali, incaricati da lei di portare via tutto quanto. Cerco dentro di me una maniera per congratularmi e ringraziare la cliente dell’acquisto, ma non trovo alcuna parola da dirle, se non, come in genere spiego a tutti quanti, che se insorgessero dei problemi di qualsiasi natura, il nostro negozio resta a sua completa disposizione.

Poi se ne va, ovviamente dietro ai facchini e agli acquisti, ed io mi volto appena un momento ad osservare la faccia del mio collega che adesso è poco lontano da me, impegnato a spiegare a un signore il motivo per cui su quella chitarra acustica si montano tre corde sintetiche e tre di metallo. Lui mi getta un’occhiata e poi mi sorride, e come sempre succede, confermiamo giusto in quell’attimo di condividere il mestiere più bello del mondo, quello che ci porta a conoscere certe persone meravigliose, quali possono esserlo davvero soltanto dei musicisti.

 

Bruno Magnolfi

sabato 21 agosto 2021

Fretta indissolubile.

 

            Un agile tempo dispari tenuto sul ride e sul rullante con piccoli colpi alternati e veloci, con deboli variazioni che mostrano ogni battuta sempre leggermente diversa dalla precedente, calcato da sottili bacchette di legno con la punta ad oliva, rigorosamente impugnate asimmetricamente tra dita che comunque non le stringono mai, lasciando loro sempre la possibilità di vibrare leggermente all’interno della parte più carnosa delle due mani, mosse soltanto dagli agili polsi, andando avanti per semplici e rapidi rimbalzi successivi, quasi autonomi, e procedendo in apparenza senza un vero impulso muscolare, nella percussiva e leggera ripetizione del gesto protratta praticamente all’infinito, quasi inarrestabile, soltanto incidendo con un colpo più forte all’unisono ogni poche misure con ambedue gli arti, impresso quasi ogni volta su un tempo debole. Questo pensa Lorenzo mentre cammina, e sente come vivo dentro di sé quel suono ronzante sul tamburo a cordiera della sua batteria, accompagnato dallo sgocciolio metallico e continuo sul bronzo del piatto. Il timbro del sax soprano, e quello della tromba ovattato dalla sordina, disegnano invece in quel brano delle linee melodiche lungo una scala esatonale, mentre il basso acustico sottolinea alcune dissonanze irrisolte, operando però su settime con la quinta alterata, naturalmente senza avere nessuna nota di tonica su cui appoggiare gli accordi del fluire del pezzo. Certe volte lui si ritrova a cantare quel tema sottovoce, oppure a fischiarne addirittura qualche nota tra quelle corrispondenti a quel pezzo difficile che continua a provare ogni volta che si ritrova con il suo gruppo. Certe volte vorrebbe quasi dimenticarsi di tutta questa sua attività, tanto gli pare quasi una vera ossessione quella da cui si sente preso completamente, ma in seguito, ritenendo impossibile tralasciare questa parte fondamentale di sé, prosegue a ritenere la musica jazz come la madre diretta di ogni suo altro interesse, quasi che dentro quel brano, come anche negli altri, ideati e arrangiati direttamente da loro quattro, ci stesse già molto del resto di sé, e quasi un compendio di ogni propria giornata.

            Lui non si sente mai solo, continuamente accompagnato così da questa sua musica, e certe volte gli pare impossibile che agli altri ragazzi della sua classe di liceo, non giunga il medesimo impulso a sentirsi migliori e completi, lasciandosi prendere da una passione almeno paragonabile alla sua. Franca gli ha rivelato da qualche giorno che spesso lei ascolta la musica del tardo ottocento, e che sa anche suonare piuttosto bene il pianoforte, ma che tutto questo non le è più sufficiente. Vorrebbe interessarsi di più ai compositori contemporanei di musica seriale, ad esempio, ma tutto è difficile, sfuggente, troppo intellettualistico per riuscire a definirsi all'interno di una vera passione. Sussiste in ogni caso, proprio ad iniziare dalla diversa sensibilità musicale, una grande distanza tra loro due: Lorenzo non comprende quasi nulla di quello che Franca sostiene tramite il suono del pianoforte, mentre lei non riesce proprio a capire come sia possibile improvvisare con piena libertà di ritmo e di melodia su delle strutture armoniche certe volte risalenti addirittura ai modi gregoriani, con l’introduzione persino di intervalli minori del semplice semitono. Comunque si sono detti almeno qualcosa sulle proprie diverse esperienze, anche se ancora non hanno approfondito mai nulla delle loro idee più salienti, probabilmente nel tentativo fortemente interessato di non creare una vera divisione marcata tra le loro diverse attitudini alla musica, ed anche se comprendono, pur sedendo su due banchi affiancati nella loro classe di liceo, di essere in qualche modo agli antipodi l’uno dell’altra, ugualmente provano una curiosità e un’attrazione reciproca che pare quasi indissolubile.

Franca non si volta quasi mai verso Lorenzo nelle ore in cui cercano di assistere alle lezioni delle varie materie, però sa che c'è, che è lì accanto, con lei, e sa anche che dentro la sua testa risuonano spesso quelle curiose dissonanze da cui forse anche lei si sente incuriosita, se non attratta. Anche Lorenzo avverte costante la presenza di Franca, ma il desiderio di parlarle con una maggiore profondità di quanto gli sia minimamente possibile durante la mattinata scolastica, lo porta certe volte a desiderare fortemente di incontrarla, magari proprio del tutto casualmente, forse durante un pomeriggio qualsiasi, proprio loro due soli, soprattutto senza alcun rimasuglio di quella fretta che pare attanagliare continuamente tutti quanti, o perlomeno tutta la loro generazione.

 

Bruno Magnolfi

giovedì 19 agosto 2021

Ascolto cosciente.

 

            Lontano, quasi in una diversa dimensione, si potrebbe probabilmente evitare di affrontare delle questioni puramente formali nei riguardi di certe concezioni ormai stratificate dalle abitudini. Però qui resta comunque difficile stabilire quanto si debba riflettere prima di cambiare qualcosa, o se al contrario tutto venga predisposto all’improvviso da un semplice scatto in avanti, da un colpo di testa, da un’idea improvvisa e del tutto poco razionale, qualcosa che in un attimo riesca a spostare ogni regola, come una semplice intuizione, forse neppure troppo ricercata, un fatto che in seguito magari qualcuno si incaricherà di rendere dimostrabile persino teoricamente. Il suono appare un amico, spesso dolce, anche carezzevole, quasi un elemento che sembra il frutto spontaneo della natura stessa, e quindi immodificabile per decenni e per generazioni, fino a quando qualcuno non inizia a forzarlo, a scalzarlo, ad attaccarlo da ogni lato, e inevitabilmente interviene così, fino a farsi additare da tutti come un nemico della purezza e della castità. Ma non basta, quando poi quello arriva a smontarne completamente la struttura nella forzata ricerca di proporne una nuova più vicina all’angoscia contemporanea, ecco che fatalmente si accorge di essere ancora nell'alveo dello stesso identico materiale, e di averlo soltanto portato in questa maniera alle sue più estreme conseguenze. Anton Weber accantona tutto questo e propone qualcosa di diverso: la serializzazione integrale dei parametri uditivi, ma anche tutto questo funziona solo fino a quando non ci si pone il problema più grande, quello del tempo. La musica ad un tratto non è più narrazione, ma fissità.

La dottoressa Cecilia di questi argomenti è andata a parlarne già qualche volta in passato con il maestro Bottai, ed adesso gli ha spiegato dettagliatamente quale vorrebbe essere il suo prossimo saggio al momento ancora soltanto nella fase di semplice progetto, in considerazione soprattutto del fatto che il maestro ha sempre accolto i suoi ragionamenti senza cercarne aprioristicamente i difetti; lei però ha mostrato in più di un caso l'intento nei suoi confronti di una velata provocazione, quasi una maniera per cogliere forse anche in lui come in altri quel disagio di ciò che ovviamente ai suoi occhi una certa cultura prosegue a rappresentare, cioè il classicismo, la tradizione, la resistenza della tonalità, e quindi dei fondamenti musicali stessi nella loro continua interpretazione, almeno fino a quando, esattamente durante l'ultima breve visita che gli ha fatto nell'oscuro appartamento adibito da sempre a suo studio, si è accorta con una certa meraviglia che non c'era quasi più alcuna resistenza, da parte del maestro, a quella velleitaria proposta accampata da parte della studiosa, dell'accantonare forzatamente con un solo colpo di spugna tutte le regole, indicando questa semplicemente come la strada migliore per il superamento della vecchia musica.

Impossibile, ha pensato la dottoressa Cecilia, da parte di un illustre esecutore del passato come il Bottai, evitare adesso di attaccarsi con tutte le proprie forze a ciò che praticamente si è mostrato come il corso fondamentale nella sua vita di interprete e di pianista; a meno che un tardivo rigurgito per tutti quei ”ritardando” romantici, e quegli sviluppi essenziali sulla nota sensibile della scala, non abbia portato improvvisamente il maestro ad abbracciare qualcosa di diverso, una necessità dello spirito, prima ancora che della forma. Infine però, proprio lui stesso, quasi parlasse da solo e usando anche un tono di voce basso e pacato, le ha chiarito che: <<l'attività pedagogica della musica non può limitarsi alla riproduzione alienante e distratta dei materiali sonori, ma deve prenderne presto coscienza, fino ad integrare in questo comportamento anche i motivi specifici della sua evidente disgregazione. Alla facilità d'uso e consumo del prodotto musicale, noi oggi dobbiamo contrapporre l'ascolto cosciente>>. La dottoressa non ha saputo ribattere nulla al riguardo, e la sola cosa che si è trovata nell'immediato a mettere in pratica, è stata quella di radunare tutti i suoi appunti e ringraziare a lungo il maestro Bottai, quasi come colui che all’improvviso riesce a dimostrare con semplicità che nessuno può a lungo permettersi di rimanere immobile nell’arco del proprio tempo, almeno senza affrontare prima o dopo quello che con evidenza il flusso del mondo contemporaneo porta con chiarezza davanti allo sguardo proprio e a quello di chiunque.

 

Bruno Magnolfi

martedì 17 agosto 2021

Superficiali distanze.

 

            Tutti insieme certe volte si ritrovano seduti davanti ai tavolini in plastica di una birreria senza pretese, poco lontano dalla scuola che frequentano. Non si danno mai un vero e proprio appuntamento, soltanto passano da lì, a piedi o coi motorini scarburati, e poi si fermano magari per un’ora, o anche due, oppure giusto il tempo di scambiare quattro chiacchiere con gli altri, generalmente nel tardo pomeriggio, tanto per attendere il momento di rientrare ognuno a casa propria per la cena. Forse non hanno molto da dirsi che non sia già venuto fuori ogni volta durante la mattinata nelle classi del liceo da molti di loro frequentate, in ogni caso si trova sempre qualche motivo nuovo per lamentarsi di qualcosa, prendere di mira qualche insegnante, sentirsi stufi dell’andazzo delle cose, o spiegare in tre parole un disagio che forse è più profondo e poco comprensibile di ciò che persino si vorrebbe. I genitori non si rendono conto mai di nulla nelle loro parole e in mezzo a quei ragionamenti un po' scontati, anche se alla fine non se ne sente neppure un gran bisogno, visto che appare sufficiente per quasi tutti dire che ognuno all’interno della propria famiglia si deve limitare a svolgere la propria parte come da copione, senza varcare mai la soglia del ruolo stabilito. Franca ogni tanto si ferma giusto un momento in mezzo agli altri, e solo nelle occasioni, quando termina la lezione di pianoforte presso il maestro Bottai, prima di riprendere un mezzo pubblico e ritornarsene nella casa dove abita. Qualcuno, come fosse una cosa di cui lei è ben informata, le ha già chiesto di Lorenzo, anche se Franca si limita in questi casi ad alzare una spalla senza cambiare mai la sua espressione, e così generalmente nessuno prova a insistere. Perché a lui non piace andare lì, vedere gli altri con le cuffie mentre ascoltano musica insignificante e forse continuano a sbuffare per la noia che non riescono in alcuna maniera a scrollarsi mai di dosso.

            A Franca piacerebbe molto ascoltare qualcosa dei pezzi che suona Lorenzo con il suo gruppo jazz, ma comprende che per lui forse è una cosa troppo intima, troppo sentita, e magari probabilmente anche sofferta come scelta, per non supporre di lasciargli avvertire subito, con una semplice richiesta di questo genere, un senso rude e antipatico di stupida ingerenza, buttata lì proprio da una come lei, che fin da quando era bambina cerca di suonare Schumann e Chopin sul pianoforte della sua famiglia. C'è sempre un gran rispetto, da parte di Lorenzo, sulle scelte musicali di tutti gli altri ragazzi che conosce, a maggior ragione di chi si impegna a fondo sopra gli spartiti, proprio come Franca, e qualche volta lui manifesta anche una certa curiosità per le scelte e per le passioni degli altri, di qualsiasi tipo si mostrino: perché per uno come lui ogni corrente può andar bene, anche le fusioni più sperimentali tra gli stili, basta che tutto questo non porti inevitabilmente, come invece succede quasi sempre, verso il ronzio ritmico di sottofondo che accompagna ormai in modo normale le giornate di molti tra tutti quei ragazzi della sua stessa età che vede a scuola.

            Così Lorenzo non si fa vedere mai ai tavoli in plastica di quella birreria, e per il suo poco tempo rimasto libero dagli altri impegni, preferisce fare scelte più intellettuali e più sentite, come studiare meglio un certo passaggio ritmico, oppure l’attacco di un pezzo difficile sulla sua batteria, in maniera che ogni volta in cui deve presentarsi nella sala prove insieme agli altri, sia assolutamente pronto a dare seguito a tutte le novità sulle quali si è esercitato, apportando idee e modifiche ritmiche che mostrano inevitabilmente l’impegno delle scelte effettuate. Franca non comprende fino in fondo tutto quanto ciò che trapela dal suo compagno di liceo, però ne è incuriosita, ed anche se per lei, almeno fino adesso, la musica è stata soltanto una ripetizione, ogni volta sempre più sciolta e appassionata, di certi brani che conosce oramai quasi alla perfezione, ugualmente si sente fortemente attratta dalle possibilità che offre una qualità musicale come quella che trapela da Lorenzo, ed anche se ancora non si sente capace di esprimere con lui la sua forte e segreta volontà di sentirne con le proprie orecchie i risultati, attende in pratica solamente il momento più adeguato per mostrare direttamente a lui quel suo forte interesse tenutogli nascosto.

 

            Bruno Magnolfi 

domenica 15 agosto 2021

Piccoli aquiloni.

 

            Credo non ci sia più il tempo per darsi delle vere prospettive, quando si è raggiunta inevitabilmente la mia età. Proseguo a dare lezioni di pianoforte, certo, ma forse soltanto perché è l’unica cosa che so fare, anche se oramai anche questa, come tante altre piccole attività che costituiscono la mia giornata, è diventata pressappoco un’abitudine, mostrando quasi sempre soltanto una reazione, quasi un piccolo scatto di orgoglio, un desiderio recondito di riconoscimento, nell'attimo stesso in cui mi telefona qualche genitore di questo quartiere per chiedermi di perfezionare la tecnica di esecuzione e la conoscenza musicale del figlio o della figlia. Bofonchio sempre qualcosa in un primo momento, forse vorrei prendermi del tempo prima di rispondere, poi spesso sostengo di essere già molto impegnato, ed allora ecco che subito quelli iniziano ad insistere, mi corteggiano, tirano giù degli apprezzamenti su di me a cui non riesco mai a mostrare indifferenza, per cui alla fine inevitabilmente propongo loro un appuntamento preliminare avanti di decidere, anche se alla fine inserisco naturalmente il nuovo allievo o allieva tra gli altri quattro o cinque che già vengono da me, ognuno per un’ora un paio di volte o tre alla settimana, fissando anche per quest'ultimo arrivato un comodo orario pomeridiano, addossandomi perciò un ulteriore impegno che potrà durare almeno qualche mese, riflettendo in seguito che queste sono un tipo di incombenze a cui non potrò mai riuscire a rispondere negativamente. Purtroppo però non vedo mai una grande passione dietro a questi ragazzi che vengono a studiare a casa mia, perché forse sarà anche scontato dirlo, ma nessuno di loro intende raggiungere dei risultati tramite la strada lunga e faticosa dell'esercizio e dei sacrifici. Il talento non è in discussione: qui da me sono transitati allievi con un ottimo orecchio, spesso con dita agili e anche pronte al tocco, persino con la giusta sensibilità musicale certe volte, ma tutto ciò, senza la corretta applicazione e soprattutto la costanza più ferrea, sia chiaro a chiunque che non porta mai da alcuna parte.

Nel mio appartamento alleggia un vago odore di cavoli bolliti e legno vecchio, e forse anche di altro che adesso non so più neanche distinguere, ed è indubbiamente colpa mia perché tendo a non far aprire mai le finestre alla signora Clara, che puntualmente arriva ogni mattina a prendersi cura di me e delle mie cose. Però non mi piace lasciar spandere nell'aria della strada, tra tutte le persone che camminano e le macchine che transitano proprio da qua sotto, le note preziose del mio caro pianoforte a mezza coda, che mi accompagna da tanti di quegli anni che non si riesce più neanche a contarli; perché ne sono geloso, ecco il punto che riconosco senza alcun tentennamento, e forse lo ero già molti anni fa, forse fin da subito, quando ancora da ragazzo mi esercitavo su di uno sbattuto piano verticale noleggiato chissà dove. Fosse per me, sarei pronto a custodire tutti i suoni che si riescono a produrre da questo prezioso strumento di legno e ghisa, che adesso troneggia nel mezzo del mio studio, dentro una semplice valigia dalla tenuta ermetica, tutti riposti con grande precisione, per andare a spanderli, spalancandone semplicemente il suo coperchio per una volta o due ogni mese, in una zona di aperta campagna piena solo d'alberi, di verde e un po' di cielo. C'è la mia vita in quelle note, questo è ciò che penso, impalpabile come la polvere che si accumula sopra la credenza, inutile ed insignificante come una sciocchezza, se non continuassi ad insegnare a questi ragazzi testoni e indifferenti quel poco che ne ho saputo fare, quell’esperienza che ne ho saputo trarre, quell’amore che c’è dietro, quella passione, quella voglia, perché forse non si rendono minimamente conto neppure loro delle possibilità che gli vengono offerte in qualche modo. Ma anche tutto ciò in fondo non ha molta importanza in questo attimo.

Poi arriva la signorina Neri, di famiglia facoltosa, sofferente del suo stato di ragazza bene, e si vede subito che ha voglia di esprimere questo suo disagio, si sente anche da come affronta gli spartiti che dentro ci mette molto della sua stritolata personalità; e allora: <<venga>>, le dico subito; <<agiti pure l’aria attorno a sé, lasci vibrare con comodo le corde della sua minuta sofferenza; saranno quelle e non altre a rendere importanti gli accordi che ricerca adesso sopra la tastiera, e forse saranno ancora quelli che porteranno in alto tramite le sue sonore onde musicali che produce, persino gli aquiloni che qualche volta appaiono i più piccoli, quelli più difficili da far sostenere dall’aria aperta di questo immenso cielo sopra di noi; ed io, comunque sia, starò sempre dalla parte che adesso lei recrimina, perché sarà sempre proprio questo, adesso più che mai, proprio il mio compito, quello che sento come il più vero e più importante.

 

Bruno Magnolfi

venerdì 13 agosto 2021

Uguale a niente.

 

            C’è una piccola saletta con delle macchine refrigeranti e luminose che distribuiscono caffè, bibite, birra, ed anche qualche panino già confezionato in certe buste di plastica, giù nel piccolo capannone di periferia dove sono ubicate le quattro sale prova di dimensioni differenti tra loro, ed attrezzate ognuna in un modo diverso. Spesso i ragazzi stazionano seduti là dentro almeno per un po’ di tempo, prima di decidere qualcosa sul loro futuro, sulle idee che hanno già, o anche su quelle di cui hanno sentito parlare da qualcuno, oppure semplicemente per chiarire agli altri la propria opinione su qualcosa che hanno già potuto ascoltare, oppure su altre cose di cui invece l’ascolto sta soltanto nei loro più reconditi desideri. Certe volte in quella stanza si prendono delle decisioni importanti rimanendo mezzo sdraiati su quelle sedie di plastica, e molti avvertono persino un piccolo brivido mente spiegano la loro idea di musica, di brano, o di quel semplice passaggio all’interno di un pezzo che cercano con fatica di mettere insieme, qualcosa magari da sottolineare con uno strumento oppure con l’altro. Alla prova dei fatti tutto suona sempre un po’ differente da come è stato precedentemente pensato, ma l’importante è saper riconoscere l’effetto migliore che provoca tutto l’insieme, quello più coerente con il resto e con lo stile del gruppo.

            Le pareti delle sale sono tutte naturalmente foderate in materiale fonoassorbente, come ad evitare che il suono possa uscire da là dentro e disperdersi tra la gente o chissà dove, e questo senso di pressione pneumatica che si respira in mezzo ai vari strumenti musicali, tra le aste dei microfoni, con i cavi collegati in mezzo ai piedi, e i numerosi amplificatori allineati sulle pareti, mostra un aspetto quasi da cospirazione segreta, come un pentolone adagiato su un fuoco di legna all’interno del quale far ribollire con calma degli ingredienti improbabili e qualche volta persino ripugnanti. Difficile spesso equilibrare timbri  toni e volumi, eppure la sensibilità individuale di ogni componente del gruppo molte volte chiarisce la cosa migliore da fare, fino ad ottenere un impasto abbastanza omogeneo, un fluire di note e di accordi che stimolano e crescono nel loro mostrarsi e procedere, fino ad ottenere qualche volta quel senso finale che magari convince e gratifica, spingendo naturalmente a migliorare ancora qualcosa, qualche ulteriore dettaglio, qualche piccolo elemento che ancora senz’altro va messo a punto dopo l’ultima prova.

            Poi c’è la tecnica di ognuno sul proprio strumento, certe volte acquisita in maniera del tutto autodidattica, e in altri casi al contrario imparata con l’ausilio di qualche corso specifico o durante delle lezioni impartite da nomi importanti nel campo di ciò che si è imparato a suonare; ma in ogni caso soltanto quando qualcuno non ha molte idee da mettere a disposizione del suono, ecco che inevitabilmente va a trincerarsi dietro la propria capacità di maneggiare con destrezza l’arnese che ha scelto prima o dopo per produrre qualcosa di musicale. Ognuno bene o male si ritiene un piccolo virtuoso in quello che suona, ed il bisogno costante di non rimanere stritolato sotto ai suoni degli altri, lo porta certe volte ad esagerare, nel proprio infantile tentativo di mettersi in mostra. Lorenzo invece è un ragazzo timido, anche se fa il batterista con un grande entusiasmo ed un certo talento, dopo aver ereditato da suo fratello maggiore, purtroppo volato all’estero tre anni fa per ragioni di lavoro, sia lo strumento completo, che i rudimenti tecnici per iniziare a suonarlo, anche se il suo tentativo costante, avanti a tutto il resto, è stato fino adesso quello di acquisire il più possibile dei metodi pratici che migliorino la sua padronanza su piatti e tamburi, nel tentativo di superare ogni volta gli impedimenti di esecuzione che si trova di fronte con gli altri ragazzi del gruppo. Loro sono in quattro e cercano di fare musica acustica, del jazz di ricerca che si muova su basi ritmiche molto aggiornate, ma sviluppandosi per modalità, cioè non seguendo l’armonia in una maniera tradizionale, con i classici modi maggiore e minore, bensì lavorando su delle scale prefissate e con dei nomi già definiti, che spesso permettono una libertà ben più consistente, ed un suono finale maggiormente aspro ed interessante. Loro provano da quasi un anno, ma non si sono dati mai alcun traguardo da raggiungere in fretta, vanno avanti soltanto per la loro passione, e almeno per adesso sembra sufficiente a tutti e quattro mettere insieme dei brani propri, pensati e studiati al massimo livello, che abbiano almeno il pregio di non assomigliare mai troppo ad altre cose del genere.         

 

            Bruno Magnolfi

mercoledì 11 agosto 2021

Regalo adeguato.

 

            Non sono mai completamente tranquilla. Sto in casa, controllo che tutto sia a posto, ed in generale mi pare non ci sia niente che appaia particolarmente in disordine. Eppure so che qualcosa mi sfugge, che la mia cameriera in questo stesso momento probabilmente è da qualche parte seduta a fumare, ad esempio, senza che io possa neppure dire niente a riguardo. Certe volte cerco di essere dura con lei, di farle provare le sue responsabilità verso di me e verso tutta la mia famiglia, ma già mentre le dico qualcosa, sento di esprimere dei giudizi fuori luogo, di pretendere da lei cose assurde, di criticarle comportamenti che in fondo, pensandoci con un maggiore distacco, forse in seguito troverei al contrario ben appropriati a questa situazione in cui siamo immersi. Lei comunque resta in silenzio ed ascolta i rimproveri senza mai ribattere niente. Il fatto è che non riesco a rivestire quel ruolo che mi sono ritrovata a dover interpretare, e poi mio marito quando rientra mi pone subito qualche domanda diretta, ed io sento che sta semplicemente mettendo alla prova le mie traballanti capacità. Persino i suoi affari di lavoro non riesco a comprendere. Questa continua precarietà data dalle azioni e dai titoli di borsa che scendono o salgono in poche ore, le faccende dei tanti appalti pubblici gestiti tramite dei piccoli o grandi favori, e poi regali, amicizie più o meno interessate, e i comportamenti sociali tra persone simili a lui che mi sembrano sempre un po’ al limite, mai con un’espressione chiara e alla luce diretta del sole, ma spesso piuttosto mescolati con altro, cose di cui non sono minimamente a conoscenza, e tutte queste per me appaiono solo delle maniere un po’ assurde di vivere, che non avrei mai scelto se non fossi capitata in una situazione già in essere, pur risultando comodissima, proprio un andamento da privilegiati. 

            Ancora oggi, dietro consiglio del medico, e già ad iniziare poco tempo dopo il mio matrimonio, una volta terminata la gravidanza ed avvenuto il parto di Franca, naturalmente sto assumendo dei tranquillanti per dormire la notte in un modo maggiormente profondo ed anche più riposante di quanto sarei normalmente capace, abbattendo in questa maniera quel carico d’ansia che caratterizza quasi tutti i miei giorni. Però non mi sento comunque a mio agio, non sto troppo bene, ed anche i tanti registri e gli elenchi che a tempo perso e senza impegno cerco di mettere in ordine, segnando là sopra i tanti proventi delle attività riconducibili ovviamente al funambolico mestiere di mio marito, si stanno rivelando sempre di più delle sciocchezze quasi del tutto prive di qualsiasi aderenza agli affari che vengono realmente portati avanti. Faccio finta di niente con lui, casomai cerco soltanto di avere delle notizie fresche e delle ulteriori informazioni su certe faccende, però ogni giorno di più mi rendo conto che il mio lavoro è oramai soltanto fine a se stesso, senza troppa importanza ai fini delle contabilità vere, che vengono tenute da uffici predisposti che non so neppure dove siano dislocati. Mio marito ovviamente ne è a conoscenza, so per certo che è perfettamente consapevole di tutto, perciò spesso mi sento niente più di un criceto che fa girare la ruota per rallegrare coloro che lo stanno guardando. Poi tento di trovare una situazione mentale più statica, tanto da non crucciarmi più del dovuto, e cerco di disinteressarmi il più possibile di quelli che sempre più spesso appaiono alla fine i fatti degli altri.

            Quando Franca suona il pianoforte posto nell’angolo di una parete nel nostro salone, mi sembra che niente di quanto mi possa lamentare abbia in quel preciso momento una vera importanza: il suo tocco sui tasti appare leggero, preciso, certe volte meraviglioso, anche se non oso mai dirlo a lei con voce alta, per non incoraggiare ulteriormente un’attività che le sta prendendo molto del suo tempo, e che a mio marito torna sempre leggermente indigesta. Da qualche tempo lei mi ha chiesto in regalo una tastiera elettronica molto evoluta, con i tasti pesati ed una risposta al tocco della mano esattamente pari ad un pianoforte tradizionale, capace però di non produrre alcun suono se non amplificato da un diffusore, e quindi nel suo caso ascoltabile solamente tramite una semplice cuffia da stereo, e quindi adattissima per le esercitazioni di cui necessita mia figlia. Potrebbe collocarla nella sua stanza, in un angolo poco vistoso, e in questo modo suonarla tutte le volte che vuole, senza alcun limite. Credo alla fine che le permetterò quasi senz’altro di acquistarla e di farsela consegnare con una pratica custodia, probabilmente dicendo la cosa a mio marito soltanto ad acquisto avvenuto, in modo da non permettergli di dirmi, come già immagino, che avrei fatto uno sbaglio, o che forse non gli sembrava fosse esattamente questo un regalo appropriato.

 

            Bruno Magnolfi  

 

lunedì 9 agosto 2021

Oscure intenzioni.

 

            Lui alla fine si era laureato in giurisprudenza, dopo esser stato fuori corso soltanto per qualche anno, ed all’età di trent’anni suonati, aveva comunque iniziato già a lavorare, almeno per alcune ore al giorno, in quel prestigioso studio del suo anziano padre, avvocato come lui, quando questi all'improvviso fu colto da un infarto, lasciandolo proprietario di una bella auto e della casa elegante dove abitavano, e soprattutto di una serie di investimenti fruttuosi, tanto che il suo mestiere fu subito assorbito completamente dall’amministrazione di questi beni ereditati, lasciando ad altri la gestione vera e propria dello studio legale. Sua madre, poco tempo dopo la celebrazione del funerale, purtroppo si dovette internarla in una clinica specializzata in demenza senile, e così per lui non ci fu bisogno di altro per intestarsi tutti i beni della famiglia, almeno fino al momento in cui incrociò lo sguardo con una segretaria gentile, dai modi cortesi, intravista in mezzo ai tanti uffici visitati in quel periodo, che non gli parve ricordargli nessun’altra tra tutte le ragazze conosciute fino a quel momento. Il matrimonio avvenne abbastanza frettolosamente, considerato che lei era subito rimasta incinta, ed il loro viaggio di nozze si svolse in mezzo a continue telefonate di lavoro da parte di lui, che stava vivendo economicamente un momento particolarmente felice, cavalcando con spregiudicatezza le molte società di affari intestate ormai a suo nome. Lei abbandonò immediatamente la sua vecchia occupazione, e trasferitasi timidamente in casa Neri, iniziò a dare una mano per tenere la contabilità in varie attività di suo marito. In seguito lui realizzò nella sua testa di avere oramai un certo giro di quattrini, iniziando per questo ad assumere atteggiamenti da gran signore, vestendosi sempre con una grande eleganza, scegliendo del personale impeccabilmente in livrea per governare la sua casa, e pretendendo dalla moglie un comportamento assolutamente adeguato al proprio stile borghese e signorile. La bambina, fino all'età di quattro o cinque anni, fu adagiata perciò in carrozzine meravigliose con fodere di seta, e quando in seguito iniziò a frequentare le doverose scuole, naturalmente furono scelte per lei le migliori di tutta la città.

Forse il pianoforte in casa Neri apparve proprio in quel periodo, ma non tanto come un vero e proprio strumento musicale, visto che nessuno sapeva minimamente suonarlo, quanto perché il suo bel legno scuro di pregio riempiva degnamente un angolo del salone di casa dando un certo prestigio a quell'ambiente. Franca iniziò a mettere le dita sopra la tastiera soltanto per gioco, ma quando festeggiò il suo decimo compleanno volle esibirsi davanti agli invitati suonando un piccolo brano studiato per settimane dietro l'incoraggiamento di sua madre. Suo padre si sentì abbastanza orgoglioso della sua famiglia in quell'occasione, ma quando in seguito sua figlia volle iscriversi ad un corso per imparare almeno i rudimenti della musica pianistica, pur non opponendosi, gli parve quella un'attività del tutto secondaria. In poco tempo lei risultò naturalmente la migliore tra tutti gli allievi che frequentavano la scuola di musica, ma non tanto perché particolarmente portata per quello strumento, quanto in virtù proprio del suo carattere piuttosto deciso, almeno in certe cose. In quel periodo iniziò ad esercitarsi praticamente ogni giorno sul pianoforte di casa, ma soltanto durante quelle ore in cui suo padre non risultava presente, in modo da non irritare il suo desiderio di vederla occupata in cose da lui giudicate più adatte per una ragazzina, e la musica parve così presentarsi sotto alle sue dita come la primaria strada per il proprio desiderio di libertà.

Sua madre non diceva quasi niente ascoltando le note e le scale che uscivano da quel pianoforte, ma a Franca in più di un'occasione le parve che fosse inconfessatamente felice di quelle scelte di sua figlia, tanto da giungere, qualche anno più tardi, ad incoraggiarla nel sostenere l'esame di iscrizione al conservatorio, passaggio che risultò purtroppo non positivo, ma anche tenuto nascosto il più possibile nei confronti dell'uomo di famiglia. <<Non importa>>, pare che disse a Franca sua madre in quell'occasione mancata; <<l'importante è individuare una direzione di marcia; i risultati sono elementi del tutto secondari>>. Intanto però lei aveva iniziato a prendere delle lezioni individuali presso un maestro di musica molto quotato, e la facilità con cui aveva iniziato a ripassarsi certe Sonate per pianoforte dei grandi classici, la incoraggiò sempre più spesso a studiare la maniera migliore per superare i limiti che ogni tanto avvertiva sotto le sue dita e dentro la sua testa. A suo padre parve sempre un capriccio di sua figlia quella parentesi musicale, e non immaginò mai fino a quale punto Franca avesse ormai potuto spingere le proprie intenzioni.

 

Bruno Magnolfi

sabato 7 agosto 2021

Opinioni diverse.


            Certi pomeriggi li trascorro quasi interamente dentro la mia stanza, uscendo da qui soltanto quando ormai è ora di cena, al momento in cui mi corre l’obbligo, così come desidera rigorosamente mio padre, di indossare le scarpe ed un abito adeguato prima di presentarmi in sala da pranzo all’orario stabilito una volta per tutte, sempre che non ci siano delle eccezioni di cui tenere conto. Mi piace il silenzio che si crea in certi orari dedicati allo studio: seduta alla mia scrivania tra le matite sparse davanti a me, continuo a consultare volentieri questi libri di testo delle mie materie scolastiche preferite, immersa come mi sento in una calma e in una sospensione del tempo che a tratti sembra quasi irreale, anche se spesso nella mia mente paiono inseguirsi per proprio conto intere scalate di note suonate al pianoforte, suoni che come sempre sembrano insistere per essere riprodotti al più presto possibile sopra la tastiera. Mi stuzzicano certi intervalli che appaiono strani persino dentro la mia testa, e soprattutto mi inseguono spesso gli accordi a sei suoni, che non si sa mai verso dove possono tendere. Ogni tanto, per fare una pausa, riapro il mio solito “piccolo manuale di armonia”, e cerco di capire qualcosa di più su quello che c’è da sapere avanti di presentarmi di nuovo al maestro Bottai per la lezione dei giorni dispari. Comunque mi piace pensare ed immaginare la musica ancora prima di avere la possibilità di eseguirla al pianoforte, è come sentissi dentro di me già risuonare quello che mi rimbalza nella testa, senza alcun bisogno di provare ed esercitare nessun suono. 

Credo che mia madre riesca a comprendere in qualche maniera cosa io provi, anche se lei vorrebbe per me che diventassi semplicemente una brava esecutrice di qualche brano classico e magari piuttosto consueto, niente di più. Ma sempre di meno sento la voglia di esibirmi di nuovo davanti alle sue amiche o ai miei parenti, per sentirmi ripetere ancora che sono proprio brava e colma di sensibilità. Ed anche il mio carissimo insegnante di musica, il grande maestro Bottai, sembra proprio voler esprimere la medesima opinione, anche se quando certe volte gli ho chiesto di fare qualche variazione nel repertorio dei miei studi, si è mostrato velatamente aperto ad alcune novità. In certi pomeriggi, quando mi trovo alle sue lezioni, mi chiedo se per caso lui nella sua gioventù non abbia mai affrontato, in mezzo a tutti i propri pensieri intorno alla musica, anche il problema relativo alla dissoluzione progressiva della tonalità, ad esempio; oppure se abbia indagato sul demone nascosto del tritono, sulla scomposizione inarrestabile della via armonica, ed infine riflettuto sulla dodecafonia e sulla pantonalità; o se invece abbia preferito concentrarsi sempre e comunque sull’interpretazione musicale delle pagine classiche, e quindi sulla sua rivalutazione, in ogni caso sempre attuale, nonostante tutto.

Rientra a casa mio padre, bussa alla porta della mia stanza per salutarmi, dice che stasera non ci sarà, andrà ad una delle sue cene di affari, e purtroppo saremo da sole a tavola, io e mia madre. Poi, dopo mezz’ora, torna ad uscire. Mi alzo, percorro il lungo corridoio ed entro nel salone: vado diretta al pianoforte ed alzo il coperchio con calma ed attenzione. Esiste un ambito di note, da suonare su di uno strumento come questo, che insiste su una scala esatonale, lasciandomi libera di scorrere a piacere con le dita sopra la tastiera, nella ricerca di un suono generale diverso dal solito, che quasi richieda una forma di ritmo per muoversi nel tempo in maniera più adeguata. Mi esercito, cerco gli accordi adatti da inserire sotto queste scale, ho letto da poco che con certi mezzi si accantona di colpo tutta la musica creata sui due modi classici, maggiore e minore, e questo mi piace, sembra sospendere improvvisamente una millenaria tradizione, e poi così si esalta qualcosa di diverso, si apprezza un materiale sonoro che difficilmente si riesce ad ascoltare tra tutta la musica che normalmente ci circonda. So che mia madre dal corridoio con ogni probabilità sta già ascoltando quello che suono e che provo in questo attimo preciso: forse proprio non le piace, o magari non le sembra troppo interessante; oppure, se magari si trovasse qui vicino a me, adesso potrebbe osservare le mie mani con la sua aria colma dei suoi forti pregiudizi, senza pronunciare neppure una parola; e se proprio volesse mostrarsi un po' più comprensiva di quello che quasi sempre appare alla mia vista ed alle mie orecchie, magari potrebbe accettare in silenzio ciò che ascolta, per sentirsi magari quasi appagata dalla mia evidente necessità di ricercare qualcosa che pare come sfuggire ad ogni facile opinione. Ed allora potrebbe proprio dirmi: <<brava>>.

 

Bruno Magnolfi

giovedì 5 agosto 2021

Coronamento delle illusioni.

 

            Al mattino generalmente sto abbastanza bene, anche se riesco a muovermi poco e male nel periodo prima dell’ora di pranzo, e quasi sempre comunque preferisco starmene per conto mio da solo in una stanza della grande casa famiglia dove abito, senza preoccuparmi di nulla e lasciando che gli altri si cimentino nello svolgere i compiti assegnati per mantenere il decoro e la pulizia, sotto la supervisione del nostro personale sanitario. Dopo aver comunque dato una mano in cucina, a fine mattinata, nel pomeriggio invece preferisco fare una piccola camminata per il nostro quartiere, senza alcun controllo, generalmente passando sempre lungo i soliti due o tre marciapiedi, e fermando i miei passi per alcuni lunghi minuti davanti ai medesimi luoghi di ogni giorno, tanto per vedere se tutto quanto è ancora al proprio posto, o se magari siano in corso dei cambiamenti di cui per curiosità devo assolutamente prendere atto. Naturalmente giungo fino al palazzo dell’anziano maestro di musica, perché so che in queste ore c’è lui davanti al pianoforte che sta impartendo le sue preziose lezioni di tecnica pianistica, ed io ogni volta mi fermo là sotto, ad ascoltare con calma le note che si riversano dalla finestra fin sulla strada. Da ragazzo suonavo il violino, ed ancora mi ricordo qualcosa delle pagine di musica che riuscivo ad eseguire. Forse non primeggiavo al mio corso confrontandomi con gli altri ragazzi che si mostravano veramente appassionati, però mi piaceva molto stare con loro per suonare come strumento di fila, e dare così il mio apporto per un suono denso e corposo della piccola orchestra con la quale facevo le prove. Poi purtroppo la mia malattia al sistema nervoso centrale mi proibì di proseguire, ed il resto arrivò poco per volta, per evidente conseguenza. Qualche volta ascoltando le note del pianoforte da sopra al marciapiede, ho riconosciuto anche dei passaggi di musica romantica per eccellenza, brani che mi hanno ricordato le linee portanti del mio violino quando eseguivo almeno le cose più semplici di Schubert e di Chopin, anche se negli ultimi tempi mi è parso che sia stato messo in atto dal maestro un salto in avanti negli anni musicali, un progresso tale da farlo giungere a dei brani già meno tonali.

            Poi mi volto per tornare indietro, con la mia camminata incerta e i tanti movimenti impropri di tutto il mio povero corpo, però mi piacerebbe incontrare il maestro un giorno o l’altro, e fermarmi un attimo con lui e magari anche qualche suo allievo, a scambiare qualche parola sulle scelte musicali e i materiali sonori su cui stanno lavorando in questo periodo, anche se oramai io posso ritenermi soltanto un distratto ascoltatore e niente d’altro. Qualche volta incontro invece il salumiere sulla soglia del suo negozio di generi alimentari, proprio di fronte al palazzo del maestro di musica, e mi accorgo dal suo sguardo che anche a lui piacciono quei suoni che giungono a folate fin dentro alla sua bottega, e forse gli rendono migliore almeno qualche minuto della sua giornata. <<Buon pomeriggio>>, mi dice certe volte annuendo qualcosa; <<andiamo bene oggi con il maestro Bottai che impartisce a tutti delle lezioni di buona musica, mi pare>>. Io gli sorrido, naturalmente con i miei soliti gesti goffi, e intanto cerco di indicare la finestra da cui si sente uscire il pianoforte, con la mia mano ossuta e malferma per via evidentemente della malattia. Però mi basta, c’è un senso comune che ci lega, non abbiamo bisogno di imbastire alcun dialogo, siamo dei buoni conoscenti, ancora riusciamo a gioire di queste piccole e preziose cose.

            Poi lo saluto e affronto con lentezza la camminata che mi separa dalla mia abitazione, ma mi sento bene, mi pare quasi di aver eseguito positivamente un compito, addirittura come essere riuscito ancora ad accordare perfettamente il mio violino, ed aver tirato fuori all’improvviso dal legno qualche nota lunga sopra una struttura di accordi del pianoforte da concerto, ed anche se non l’ho fatto veramente, mi sento come se fossi stato capace di suonare sul serio qualcosa insieme a questo grande maestro che ancora dà lezioni, probabilmente proprio come mi piacerebbe davvero fare, anche se riconosco ogni volta quanto il grande desiderio di qualcosa, rimanga spesso soltanto un’illusione amara, e non riesca esattamente ad esserne il suo coronamento.  

 

            Bruno Magnolfi

martedì 3 agosto 2021

Prova del suono.

 

            Il ragazzo la guarda per un lungo momento, poi sorridendo le fa: <<sei più sfuggente di un’anguilla; persino se mi impegno non riesco mai a scoprire cosa ti passi per la testa>>. Franca ride, lui le fa un po’ il filo da quando si sono ritrovati casualmente vicini di banco nella loro classe del liceo, e tanto per riempire i vuoti dei cambi di insegnante tra un’ora e l’altra, si sono cimentati ogni tanto a parlare anche di musica leggera, naturalmente in maniera del tutto superficiale, come un qualsiasi argomento, in apparenza fondamentale ma poi di scarso impegno per tanti ragazzi come loro, usando così dei termini ed un argomentare semplice ed anche piuttosto scanzonato, proprio come farebbe qualsiasi altro compagno della loro età, quasi come se loro due non ne sapessero un bel niente, e l'unico parametro di giudizio nelle parole da adoperare fosse dato dai gusti per i nomi dei cantanti, o dalle diverse maniere dei vari gruppi di presentarsi al pubblico. Invece lui segretamente suona la batteria in un gruppo di amici, e per due o tre volte la settimana si impegna con loro ad inventare del jazz acustico molto attuale, anche se poi non rivela mai a nessuno questa cosa, un po’ per timidezza, un po’ perché sa bene come tutti attorno sarebbero pronti a sorridergli con la solita espressione scontata di sopportazione e di ironia, quasi per evidenziare la stupidità che c’è nel mettersi ad inventare cose di quel genere, o magari credere addirittura di poter fare della strada in un campo inflazionato e senza sbocchi come quello di far musica, magari riempiendo forse qualche serata inutile insieme ai propri amici. “Suonare non ha proprio alcun futuro, lo sanno tutti”, si dice sempre in giro; “tanto vale scegliere tra quella che c'è già come sottofondo ad ogni giornata, come normalmente fanno anche gli altri, e dopo basta”.

            Di fatto Franca è una ragazza introversa, una che preferisce stare per conto proprio avanti di tenere dei comportamenti troppo sociali, ed il suo compagno di banco, che invece avrebbe normalmente un atteggiamento più aperto e solare, quando sta con la lei tende ad assumere le stesse maniere di comportarsi che in genere evidenzia Franca, forse anche per una sorta di solidarietà. Lei non dice mai a nessuno che suona il pianoforte, le sembra scontato che nessuno per esempio conosca Schumann e le sue Sonate, perciò non le pare assolutamente quello un possibile argomento di conversazione. Ma poi lui canticchia un motivetto a voce bassa mentre fa dei disegnini sopra un foglio, e Franca accanto a lui lo ascolta interessata. Interviene l’insegnante che si è accorto di quel moto di disattenzione, e tutto termina esattamente in quel momento, ma soltanto per spostarsi in seguito verso quel briciolo di curiosità legittima. <<Certe volte mi capita>>, fa lui, <<che mi restino in mente delle frasi che usiamo nei pezzi quando si suona col mio gruppo. Facciamo musica modale, per cui spesso è anche difficile rendere orecchiabili dei brani che si muovono su accordi dissonanti. Però non dirlo agli altri, non vorrei proprio essere preso in giro da qualcuno>>. Franca resta colpita ed in silenzio, e all’improvviso le pare quasi che si stia aprendo per lei una nuova pagina, così attende la pausa più opportuna in mezzo alle lezioni, ed al suo compagno di banco gli rivela che a lei piacerebbe molto andare ad ascoltare una prova di quei brani.

            Lorenzo la guarda con attenzione, pur conservando naturalmente qualche dubbio ponderato sull’improvviso interessamento che Franca sta mostrando; non gli piace per niente essere commiserato in un’attività che invece lo prende, in cui si impegna, e che gli pare spesso mostri la porta migliore dei suoi anni a cui affacciarsi per interpretare la realtà. <<Va bene>>, le fa subito comunque; anche perché, con l’intuizione rapida di un semplice impulso, sente che quello può essere un fondamentale punto di passaggio verso qualcosa di importante tra di loro. Il resto della mattinata nella classe di liceo poi sfila ordinaria, senza troppe differenze dal suo solito, però qualcosa è sembrato muoversi all’interno della sensibilità di loro due, ed anche se non c’è nulla che possa definire con precisione quello che passa adesso nelle loro teste, Franca e Lorenzo sembrano contenti, fino a sorridersi con complicità, forse anche più di quello che magari dovrebbero mostrare.

 

            Bruno Magnolfi  

domenica 1 agosto 2021

Aspirazioni indefinite.

 

            Dalla casa dei Neri alla fermata del tram ci sono esattamente quattrocentottanta passi. Franca, quando esce per andare a prendere la sua lezione dal maestro Bottai, li conta ogni volta, ed ultimamente ha iniziato a dividerli in tanti raggruppamenti riferiti ai settori che si trova ad attraversare: il passaggio pedonale della strada principale, il marciapiede alberato dal negozio del rigattiere fino all’angolo, il tratto dalla casa gialla fino al giardinetto, e così via, in maniera da avere dei riferimenti abbastanza precisi ai quali affidare i propri pensieri. Ognuno di questi segmenti definiti sembra racchiudere nella sua fantasia un motivo musicale, cadenzato dalla sua camminata quasi costante, perciò, nella sua mente, è come se stesse suonando sulla tastiera del proprio pianoforte qualcosa che va ad inserirsi ogni volta nella struttura portante di un brano completo, con delle variazioni melodiche e armoniche esattamente in prossimità di ogni limite che ha stabilito, fino a concludersi in un grande accordo finale una volta raggiunta la pensilina dove in genere si trovano oltre lei delle altre persone, nell'attesa ognuna del  proprio mezzo pubblico, riuscendo ad utilizzare cosi un numero di battute anche abbastanza preciso. Spesso quei motivetti Franca lì ritrova anche in seguito quando ad esempio si mette a letto nella sua cameretta, lasciando risuonare nella testa quelle stesse note che ha immaginato di ascoltare nel tragitto durante la giornata, e così ancora le pare di affrontare quel percorso, camminare col suo passo svelto lungo la via che in qualche modo riesce a giungere fino alla conclusione dei suoi sogni. Quella musica, avanti che lei cada nel suo sonno letargico, trasporta gli ascoltatori della fermata tramviaria in una dimensione esoterica, ed è come se ognuno di loro avesse seguito ogni nota fin dall'inizio del suo percorso, fruendo di ogni passaggio e di tutte le variazioni dettate dalla stessa via. Ad un tratto, quando li ripensa, i suoi passi sopra al selciato stradale non esistono più, e c'è soltanto una enorme tastiera di pianoforte che vola con lei sopra le teste di tutti, i pedoni, i negozianti sulla soglia dei loro esercizi commerciali, gli autisti dentro le auto con i finestrini abbassati, le mamme coi bambini nei giardinetti, e le sue braccia e le mani si allungano a dismisura per arrivare ai tasti più lontani da sé, fino a permettere la risonanza di intere ottave di sovracuti distantissime alla sua destra, e anche quelle dei suoni più gravi alla sua sinistra, tanto che le sequenze delle dodici note sembrano come moltiplicarsi in orizzontale, fino a formare una specie di coppia di ali bianche e nere buone per un piccolo aereo delicato e vibrante, mosso da un motore musicale ovviamente ideato da Franca.

Il maestro Bottai osserva le solite partiture di Schumann davanti a sé, lei si siede con calma davanti al bel pianoforte a mezza coda che troneggia nello studio, tira un profondo respiro e poi attacca con tutta la sua solita determinazione. Ma qualcosa la distrae dopo la decima misura, in quel pomeriggio tranquillo che pare scorrere nella finestra come un cielo azzurro e senza nuvole, e forse è soltanto la consapevolezza che alla pagina seguente della scrittura musicale non c'è alcun intervallo che non sia stato già usato nelle battute precedenti, come una specie di stasi nell'ambito specifico della tonalità, forse quel senso di inutile attività nel suonare una musica del genere, nella considerazione che non si profili mai, in quella così come in altre Sonate similari, una vera e propria risoluzione radicale, tanto che a lei tutto ciò all’improvviso pare qualcosa che non riesce a portare alla fine proprio da alcuna parte. Il maestro avverte immediatamente la sua incertezza, le chiede quasi con ironia, interrompendola per un momento, se per caso volesse esercitarsi su qualcos'altro, e Franca senza distogliere gli occhi dalla tastiera, mette lì all'improvviso un accordo di settima diminuita che, pur in parte scontato, appare comunque già più aperto, come un ventaglio spalancato di differenti possibilità. Il maestro pare comprendere il bisogno della sua allieva, e addirittura per un momento non si sente forse all'altezza di affrontare una variazione di questo genere, però immaginando di impersonare la conservazione di fronte al bisogno del nuovo che incalza, si piega senza troppi indugi all'indicazione così suggerita. <<Allora signorina, su cosa vorrebbe quindi esercitarsi?>>, le fa con i suoi modi eleganti e quasi d’altra epoca. <<Forse questo, magari>>, le dice ancora, mettendole sotto agli occhi, quasi per una vera e propria sfida, una trascrizione per pianoforte solo del Pierrot Lunaire di Schonberg. <<Non saprei>>, dice Franca adesso con sincerità; <<forse devo soltanto mettere a punto le mie piccole aspirazioni>>.

 

Bruno Magnolfi