giovedì 30 agosto 2012

Un libro per volta.


           

            Mio marito è ormai anziano, e certe volte si sveglia durante la notte. Lo sento che si gira, sbatte gli occhi nel buio, cerca una costruzione di pensieri che gli possono essere utili per riaddormentarsi. Non capisco del tutto il motivo di un comportamento del genere, credo non sia assillato da grandi preoccupazioni, e neppure da gravi problemi da affrontare e risolvere....

Questo racconto non è più fruibile su questo blog in quanto sotto contratto con Lillibook Edizioni.
         

            Bruno Magnolfi

mercoledì 29 agosto 2012

Amico di tutti.


            
            Certe volte potevi incontrarlo nei pressi della stazione ferroviaria, sulla vasta piazza antistante, per esempio, oppure addirittura dentro l’edificio, mentre con attenzione seguiva il tabellone con gli orari delle partenze dei convogli, oppure, con il medesimo interesse, quello degli arrivi. In fondo, poi, tutto questo non aveva molta importanza: girando per strada avevi la sensazione che lui fosse perennemente lì, ad ogni angolo, con il suo sguardo attento, l’espressione seriosa di chi prende ogni cosa con scrupolo, lasciando i rumori, la confusione, il mescolarsi continuo delle cose in ogni via della città, ad uno stadio inferiore ai suoi interessi, come qualcosa da non prendere per nessun motivo in considerazione.
            Pareva perennemente da solo, ecco il punto, ma non tanto da solo perché in mezzo alla gente, quanto perché la sua persona mostrava, rispetto a tutti, di mantenersi in una differente dimensione. Potevi fermarlo per strada, se ti andava, offrirgli un caffè, chiedergli come andassero le cose, ma non potevi sperare di ottenere delle risposte esaurienti. C’era indifferenza nei suoi occhi, certamente per tutto ciò che tu potevi dirgli, ma molto probabilmente anche per ciò che avrebbe potuto dirti lui.
            Certe volte ti ritrovavi a cercarlo, come se la sua presenza in qualche modo fosse una rassicurazione, un elemento della realtà capace di far andare tutto per il verso giusto. Nessuno però chiedeva davvero di lui, quasi non esistesse.

            Bruno Magnolfi

lunedì 27 agosto 2012

Meditazioni sul niente. 7.


            

            Qualche tempo fa mi ero seduto ad un tavolo libero di un ristorante. Non avevo molto appetito, a dire il vero, però mi sembrava un preciso dovere quello di prendermi cura del mio organismo, e quindi cibarlo, fargli sentire quel senso di sazietà che a volte riempie quasi per intero tutta una giornata ordinaria. Non avevo mai messo piede dentro quel bel locale, se non parecchio tempo più addietro, però mi trovavo casualmente a passeggiare proprio lungo quella strada, e questo era stato il motivo che mi aveva spinto là dentro più di qualsiasi altra cosa: non tanto la curiosità, osservare le sale, gli arredi, e i menu, soprattutto; quanto la certezza di non essere riconosciuto da nessuno, né dai camerieri, e neppure da qualche barboso cliente. 
            Un uomo, su un lato dell’ampia sala, seduto su un alto seggiolino, suonava melodiosamente la sua chitarra, intrattenendo piacevolmente i tanti frequentatori del luogo, e molti di loro per questo se ne stavano quasi in silenzio, e se avevano qualcosa da dire ai commensali, lo facevano sottovoce, per non disturbare l’arte di quel musicista. Tutto appariva celebrato con garbo, il personale si muoveva tra i tavoli con grande professionalità, gli avventori cercavano di far tintinnare il meno possibile le loro posate su porcellane e bicchieri.
            Avevo notato una donna, quasi di fronte al mio tavolo, elegante nel portamento e nei modi, voltata appena di tre quarti nei miei confronti, ed appena mi ero seduto, quella aveva gettato un’occhiata proprio verso di me, appena per un attimo, a dire la verità, per poi andare a chiudere immediatamente le palpebre, e tornare subito dopo ad interessarsi soltanto del suo tavolo e delle altre due persone che erano sedute con lei. Mi pareva interessante la sua figura, ma non potevo certo insistere ad osservare ciò che faceva e soprattutto verso dove volgesse lo sguardo, così con immediatezza mi ero interessato soltanto del mio pranzo e di nient’altro.
            Mentre gustavo con calma ciò che mi era stato servito dal cameriere, sentivo poco a poco la musica dare perfetto coronamento a quel cibo squisito che avevo ordinato, tanto da trasportare ogni mio pensiero verso altri luoghi, fino a lasciarmi rivedere dentro la mente, come esempio di altrettanta grande armonia,  alcune verdi e ondulate colline nei pressi del mare, dove mi ero dovuto recare per ragioni di lavoro soltanto poche settimane più indietro. Il chitarrista aveva iniziato a cantare qualche vecchia canzone della tradizione italiana, e le sue parole mi avevano portato in giro per tutta la penisola, come se l’immaginazione avesse bisogno soltanto di un piccolo invito per poter allargare le ali.
            Il mio pranzo proseguiva così nella maniera migliore, e le portate si dimostravano tutte all’altezza di un ottimo locale, tanto da invogliarmi nel futuro a tornare altre volte e più spesso in quella strada e in quel luogo. Il chitarrista, poi, aveva terminato tra applausi scroscianti la sua esecuzione, ma non per questo il comportamento di tutti, e le loro conversazioni tra i tavoli, avevano variato di tono o adoprato maniere diverse: il clima rimaneva disteso, la tranquillità sembrava perfetta regina di tutta la sala.
            Tornai ad osservare di nuovo la signora che avevo di fronte, ma soltanto per accorgermi che, aiutata alle spalle, si era alzata da tavola, lasciando il ristorante insieme alle persone con cui si era accompagnata. Mi dispiaceva non averla osservata di più durante quel pranzo: adesso che la vedevo in tutta la sua persona mi pareva ancora più interessante di quando stava seduta, e così, quasi per riparare, ne ammiravo adesso il vestito, i gioielli, l’acconciatura dei lunghi capelli nero corvino. Ma quando era passata vicino al mio tavolo in direzione del cameriere che le stava aprendo la porta: arrivederci, mi disse, con un largo sorriso, lasciandomi assolutamente di sasso.

            Bruno Magnolfi    

sabato 25 agosto 2012

Sotto al cappello.


            
            In ogni momento, ogni volta che compio un’azione, anche la più sciocca del mondo, ecco che mi dico: niente sarà più come prima!  Dico questo e subito ne ho quasi paura, come se ciò che di grande o di piccolo possa accadere, sono convinto abbia nelle sue mani il mio futuro, la vita, ogni possibilità. Poi succede qualcosa, un pensiero mi salta dentro la testa, mi alzo dal tavolo, indosso il cappello, esco da casa. Non ho una meta precisa, eppure so con precisione che devo muovermi, frequentare dei luoghi pubblici, incontrare le persone che affollano questa città....
           

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            Bruno Magnolfi

giovedì 23 agosto 2012

Le regole del gioco.


            
            Certi giorni il signor Guidi pareva triste. Si recava al circolino come ogni pomeriggio, ma invece di sistemarsi alle spalle di qualcuno che giocava al tresette, come in genere aveva sempre fatto, perché gli piaceva quel gioco di carte e ne conosceva bene le regole, anche se lui probabilmente mai si era lasciato convincere a fare anche soltanto una mano in prima persona, quelle volte, invece di starsene lì ad osservare gli altri che mettevano a punto le loro strategie, si piazzava da solo in un angolo, senza dar retta a nessuno....
         
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            Bruno Magnolfi


martedì 21 agosto 2012

Nessuna diversa maniera.


            
            Fuori da qui non c’è niente, mi dico, niente che possa minimamente interessarmi; osservo la strada dalla mia finestra per sincerarmene, e sento di odiare tutto ciò che laggiù si muove, il traffico e ciò che continua ad andare avanti e indietro, senza sosta. Scosto la tenda con circospezione, guardo la palazzina di fronte al mio piccolo appartamento, ci sono alcuni vasi di fiori ai davanzali, e i fili di plastica con i panni stesi ad asciugare, le serrande quasi tutte abbassate, ad evitare sguardi indiscreti, e solo un infisso aperto, a far prendere aria qualche stanza....
         

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            Bruno Magnolfi

sabato 18 agosto 2012

Il progresso genetico (ritratto n. 7).


            
            Fruscia il vento tra le foglie degli alberi, quasi un richiamo, un incoraggiamento a fare, a pensare, a discutere. A motivare i propri comportamenti, anche, come se tutta quest’aria che si muove non portasse con sé anche qualcosa di diverso da accettare, così, senza il desiderio di ulteriori spiegazioni, accogliendo ogni idea, ogni soluzione, indipendentemente da qualsiasi altra possibilità.
            Giovanni pensa di sé di non essere adatto a cogliere quelle intuizioni che gli piacerebbe fossero alla sua portata. Ciò nonostante esce di casa, passeggia per le strade, a volte saluta qualche conoscente che incontra. Ci si muove sempre e solo su uno stesso piano, pensa, soltanto in casi rarissimi sembra che il dialogo riesca ad approfondire le nostre riflessioni, ma questa percezione generalmente evapora con rapidità, lasciando poco più che il niente dietro di sé.
            Lui entra in biblioteca, conosce l’impiegata, le dice che vorrebbe tanto leggere un libro che gli aprisse la mente, che gli desse qualche spiegazione su ciò che lui avverte, ma che non riesce mai ad afferrare. Non è un bramosia di conoscenza la sua, solo la volontà di venire a contatto con ciò che sente davvero dentro sé, quell’aspetto misterioso che lo fa sentire estraneo a tutto, quasi fuori dai comportamenti abitudinari che pur vorrebbe avere.
            Una frequentatrice della biblioteca, casualmente accanto a lui, gli dice che è strano che non si sia già riferito ad una disciplina mistica, in quanto sembrerebbe proprio ciò di cui lui sente il bisogno. Giovanni la guarda, lascia correre senza replicare niente, poi saluta i presenti ed esce dalla biblioteca. Non sente la necessità di rinchiudersi in qualcosa che stringa ancora di più la sua sofferta solitudine: ha bisogno degli altri, di parlare, di comprendere, di ascoltare le diverse concezioni, di valutare la sensibilità delle persone quand’essa si manifesta, e di confrontarla con la sua, ma soprattutto di dar fiato a quella voce che nasconde dentro, come ingrediente quasi estraneo alla vita e all’esistenza.
            Torna a girare per le strade, Giovanni, il suo sguardo chiede aiuto, i suoi passi cadenzati vorrebbe fossero una marcia di avvicinamento a ciò che gli sta a cuore, ma si rende conto che quel salto di qualità che forse ci vorrebbe per svelare i suoi interrogativi, è ben lontano dal farsi avanti. Infine si immobilizza sopra al marciapiede, si guarda attorno, ferma la prima persona che passa accanto a lui, e chiede: sono qui, resto immobile adesso, ho bisogno soltanto di sapere verso dove devo dirigermi, come posso fare per utilizzare il lavorio che sento dentro me, affinché magari sia utile a qualcuno, o almeno mi metta in contatto con chi sente la stessa mia inquietudine, con chi non vive appagato senza cercare qualcos’altro. La persona osserva Giovanni in fondo agli occhi, dice: non so, forse è soltanto dato da un’anomalia biologica quello che senti, probabilmente è un qualcosa destinato a scomparire nella coscienza delle generazioni che verranno, quando tutto sarà migliore, in quel futuro purificato dagli errori di adesso; devi crederlo anche tu, perché la genetica porterà senz’altro dei miglioramenti, anche il pensiero forse apparirà più semplice, e persino il tuo malessere di oggi infine scomparirà del tutto.

            Bruno Magnolfi

giovedì 16 agosto 2012

Distante, decisamente invisibile.


            
            Con una lenta e lunga parabola, il proiettile d’artiglieria aveva sfiorato dapprima alcune tra le case più vicine alle colline, per poi andare a scoppiare in un cortiletto polveroso senza alcun significato, circondato da abitazioni ormai quasi deserte, provocando soltanto una piccola voragine subito accanto ad un albero ormai rinsecchito. Dalle alture intorno alla città, grondanti sudore per via degli elmetti e dei giubbotti antiproiettile in dotazione all’esercito, soldati in uniforme e assetto da guerra, solerti nei loro compiti, con il semplice ordine di sparare un colpo ogni dieci minuti circa, giusto per tenere sotto pressione i rivoltosi del luogo e dare l’impressione di tenere sotto scacco tutto quel territorio, osservavano coi loro mezzi ottici di puntamento tutto ciò che pareva muoversi lungo quel quartiere....

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            Bruno Magnolfi

mercoledì 15 agosto 2012

Diverso dal consueto.


           
            Ero uscito da casa mia per tempo: essendo invitato ad un pranzo di una certa importanza presso la residenza di una famiglia in vista della città, non volevo in nessun caso giungere in ritardo all’appuntamento, e quindi far pensare di me un’incapacità di giudizio adeguato a certe situazioni di indubbia rilevanza. Però non avrei mai neppure voluto arrivare da quelle persone con un anticipo tale da mettere a disagio i proprietari dell’appartamento, così durante la strada che avevo da percorrere a piedi, in considerazione della relativa vicinanza, mi ero avviato con un ritmo lento da tranquilla passeggiata, fermandomi addirittura in un caffè dove ero conosciuto per le numerose frequentazioni, e dove intendevo fare giusto due chiacchiere con il cameriere che conoscevo bene e da parecchio tempo, e magari bere qualcosa per prepararmi al pranzo....

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            Bruno Magnolfi 

sabato 11 agosto 2012

L'arbitro di sempre.


            
            Nel quartiere il ragazzo era conosciuto come un tipo serio, taciturno, che certe volte si metteva a guardare gli altri mentre in un campetto giocavano al pallone, senza chieder mai loro di far parte di una squadra o di quell’altra, evitando persino di avvicinarsi un po’ di più, tanto da permettere agli altri di chiedergli qualcosa: fare l’arbitro, ad esempio, contare i punti, calcolare i tempi di gioco, cose del genere. Lui stava lì, con estrema serietà, osservava la partita seduto con il viso tra le mani, oppure in piedi, con le mani sprofondate nelle tasche, l’espressione identica, immobile. Poi, appena prima che finisse la partita, se ne andava....

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            Bruno Magnolfi      

mercoledì 8 agosto 2012

Piccoli enormi progressi.


            
            Certe volte, improvvisamente, penso che tutto sia inutile. Osservo, seduto, il piano del tavolo che rimane di fronte, e sento in me come una febbre che distorce gli oggetti attraverso i miei occhi, fino a farli apparire comuni, familiari, gli stessi di sempre, forse soltanto offuscati da una patina di umido presente sotto le palpebre, forse vicini a me in un senso pratico, ma di fatto del tutto estranei al modo di essere che ho appena deciso di assumere da ora in avanti. Non trovo più alcun interesse nell’osservazione del tavolo e degli oggetti che ci stazionano sopra, penso, ho bisogno di vuoto, di assenza, di un nulla che adesso è oltraggiato da queste immobili cose.
            Ho tutto il diritto di rendermi conto, alla fine dei miei pensieri, che il comportamento che ho tenuto per anni sia senza scopo, ed è quasi un avvertimento quello che mi sento di dare, e probabilmente mi piacerebbe che almeno in questa stanza si giungesse a tenere conto di queste deduzioni precise. Allontano con la mano il bicchiere con due dita di acqua che mi è stato sistemato vicino, poi sento alle mie spalle che è entrata, socchiudendo come sempre con lentezza la porta, mia sorella Rosina, a rendersi conto che io stia ancora bene, che non abbia bisogno di niente e altre cose del genere. Vai via, penso in silenzio, e intanto bofonchio qualcosa come se la mia meditazione mi avesse trasportato in una dimensione diversa.
            Vuoi che ti sistemi un cuscino dietro la schiena?, sembra chiedere lei con quelle maniere sempre troppo dedite agli altri per non apparire del tutto insopportabili. Non dico niente, neppure tento di girarmi verso Rosina, non c’è alcun bisogno che io la veda per sentirmi certo della sua presenza, del suo modo di tenermi perennemente sott’occhio. Il nulla, penso, ho soltanto bisogno del nulla. Lei si avvicina, osserva i miei oggetti di sempre sparsi sul piano del tavolo, e li riordina, come se una disposizione diversa ne cambiasse il significato. Poi esce.
            Questo è esattamente il senso di inutilità di ogni sforzo che compio. E’ come se ogni volta che cercassi di uscire da una vecchia maniera di essere, per spingermi a trovare una dimensione migliore, un modo più giusto per comprendere questa realtà, tutto improvvisamente tornasse a riprendere le antiche fattezze, come non esistesse mai un oltre, ma soltanto un tentativo, perennemente sconfitto. Torna Rosina, porta una tazza di tè, come ogni sera a quest’ora. Ecco, dice con morbida voce, adesso scotta, la metto sul tavolo, tra un attimo torno per aiutarti, rilassati solo un momento, non aver fretta. Torna il silenzio dentro la stanza.
            Mi viene voglia di toccarmi col dito la punta del naso; c’è un’essenza di qualcosa che esala nell’aria, penso, mi piacerebbe poterla descrivere, ma è un compito ingrato, e poi ho deciso di non dare più alcuna importanza agli oggetti e alle cose che vedo e che sento. Torna Rosina, prende la tazza, soffia sul tè, poi me lo avvicina alla bocca. Lascio fare, sono soltanto normali consuetudini, penso. Infine va via con la tazza e col resto. Il tè mi ha scaldato, improvvisamente mi sembra di stare meglio. Se soltanto potessi muovermi da questa sedia a rotelle, muovere almeno le mani, liberarmi di questi stupidi oggetti che ho perennemente davanti ai miei occhi mi sentirei un’altra persona, rifletto; ma forse non ha neppure una grande importanza: se proseguo la concentrazione su questi pensieri riuscirò a modificare quanto ormai ho deciso, ne sono sicuro. E ‘ soltanto una questione di tempo, penso, il mio nuovo modo di essere porterà grandi vantaggi, e non ci sarà più neppure bisogno di ricordarsi com’era stato una volta.

            Bruno Magnolfi

martedì 7 agosto 2012

La salvezza.


            
            Nella oscurità quasi completa di uno di quei lunghi e tortuosi corridoi, un uomo aveva detto qualcosa a bassa voce, ed altri a seguito avevano espresso delle brevi risate, subito soffocando la loro ilarità decisamente fuori luogo, senz’altro per rispetto di quella assurda situazione, sicuramente avvertendo la sgradevole relazione con quanti, loro malgrado, si trovavano in quel luogo, alcuni di questi peraltro, con tutta evidenza, fortemente preoccupati. All’improvviso era venuta a mancare la corrente elettrica in quel vasto luogo pubblico, e dopo un iniziale susseguirsi di fiammelle degli accendisigari, naturalmente poco utili, che non erano neppure riuscite a dare la percezione della via d’uscita, tutto adesso era ripiombato in un buio a dir poco imbarazzante....

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            Bruno Magnolfi
           

sabato 4 agosto 2012

L'osservazione silenziosa.


           

            Michele Bandini osserva qualcosa muoversi lungo la strada, mentre rimane completamente immobile, seduto in maniera composta ad un tavolino sulla terrazza del Caffè Centrale, dove lascia trascorrere il tempo, alle diciotto di un giorno qualunque, sorseggiando il suo aperitivo preferito. A lui piace pensare che ci potrebbe essere qualcuno che venisse all’improvviso a cercarlo lì, a chiedergli magari la sua opinione su una cosa qualunque, oppure che il cameriere che si occupa di quella terrazza, lo avvertisse di una telefonata urgente, anche se di fatto questo non sta accadendo, e non ci sono motivi precisi affinché questo accada, e a Michele Bandini non resta altro che immedesimarsi in ciò che si sente di essere in quel momento, sperimentando quel lento e cupo ritrovarsi nei panni dell’osservatore della realtà....

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            Bruno Magnolfi

mercoledì 1 agosto 2012

La vita inutile.


           
            Ho visto volare un uccello nero, per pochi metri, di fronte a me che stavo seduto, e infine scomparire, di colpo, come dietro ad un paravento costituito dagli stessi colori dello sfondo. Così mi sono alzato, sono andato a cercare quel paravento, ho girato lì nei pressi in lungo e in largo, ma naturalmente non ho trovato niente, se non quell’uccello ormai morto, come per avere vissuto inutilmente.

            Bruno Magnolfi