giovedì 31 gennaio 2019

Mai, ogni giorno.



La corriera passa ogni ora, è sufficiente stare accanto al segnale della fermata e fare un cenno all'autista per indicare la propria volontà di salire a bordo. Marisa si è vestita con cura per uscire da casa, e quando sale sul mezzo sferragliante sente di essere assolutamente a proprio agio, nonostante tra i pochi viaggiatori presenti, non ci sia a bordo neanche una persona che lei conosca o che abbia già visto in altre occasioni. Sa che non le viene del tutto naturale, però sente che per lei è giunto adesso il momento di compiere un passo importante: andare fino al negozio di sua figlia, acquistare qualcosa accettando i consigli di lei, e farle dei sentiti complimenti per le ultime collezioni di vestiti che ha messo in vendita, qualsiasi essi siano.
Avverto in questo momento la necessità improrogabile di trovare maggiore sintonia con Clara, pensa con determinazione mentre guarda distrattamente gli sprazzi di campagna fuori dal finestrino. In fondo è mia figlia, e se ci siamo un po’ allontanate negli ultimi tempi, è soltanto per una specie di prova di carattere che abbiamo voluto mettere in campo vicendevolmente, qualcosa che in fondo, lo riconosco, non ha avuto assolutamente alcun senso. Probabilmente lei nei prossimi anni sarà impegnata sempre di più con il suo negozio, e forse troverà qualcuno che la porti fuori la sera qualche volta, ed un giorno non lontano verrà magari a dirmi che vuole sposarsi, o che desidera andare a vivere da sola in qualche appartamento vicino al suo lavoro.
E’ giusto, non posso dire niente, pensa ancora Marisa; adesso è il suo momento, deve trovare la forza per fare le scelte maggiormente opportune per la sua vita, anche se spero che le adotti in maniera più pacata, senza trovare nessuno che la pungoli, come probabilmente ho fatto io in certe occasioni; e poi, se lo vorrà, sua madre qualche volta potrebbe forse tirar fuori la propria opinione, un parere obiettivo e assolutamente non vincolante per la sua bambina, limitandosi altrimenti a mostrare sempre e comunque il gradimento di tutto ciò che lei potrà desiderare, senza mettersi in mezzo. Anche perché sono più che sicura che mia figlia non farà mai dei grossi errori, ed io nei limiti del possibile dovrò sempre e comunque fare la mia parte di madre, e riuscire anche a starmene di lato, se Clara desiderasse così.
In fondo molte cose non mi sono piaciute durante la sua crescita, pensa ancora Marisa; ad iniziare dal fatto di non essersi dedicata affatto agli studi, nonostante tutto il mio sostegno ed il mio incoraggiamento. Ancora non capisco quale sia stato lo sbaglio secondo il quale niente di buono è uscito da lei durante la scuola superiore, tanto da farla decidere per l’abbandono senza nemmeno aver preso il diploma. Certo, quella è stata per me una bella batosta, in ogni caso adesso non è più nemmeno il caso di ripensarci, visto che tutto in qualche modo si è sistemato, e che l’intervento di sua madre è stato risolutivo, almeno per lei.
Infine scende dalla corriera, Marisa, sulla piazza principale del centro abitato, quindi si guarda un attimo attorno, sistema qualcosa nella sua borsetta, e poi si dirige con la solita determinazione che la contraddistingue verso il negozio di merceria e di abbigliamento: sarà sorpresa Clara di questa visita, pensa con passo nervoso; in fondo non le capita certo ogni giorno.


Bruno Magnolfi  


martedì 29 gennaio 2019

Invenzioni libere.



In serate come questa preferisco girare per strada da solo senza incontrare nessuno, con il giaccone abbottonato fin sopra al collo, le mani sprofondare dentro le tasche, il passo cadenzato e quasi indifferente. Non è che non trovi qualcosa da fare o che non abbia degli amici con cui magari fermarmi per scambiare quattro parole; è solo che niente mi va bene di tutto questo, e preferisco di gran lunga soltanto mandare avanti le mie scarpe, quasi per una sorta di automatismo, e possibilmente non pensare a un bel nulla.
Credo proprio che a nessuno interessi davvero quello che faccio, come mi guadagni da vivere, quale futuro forse stia cercando di mettere a frutto; alla televisione mi dicono continuamente di pensare a me stesso, di fregarmene completamente di tutti coloro che mi circondano, anzi, di sfruttare a mio vantaggio ogni possibile debolezza degli altri, in maniera che le cose girino meglio per me, proprio nel confronto con le altre persone. Quando poi giungono quelle rare volte in cui mi fermo nella piazza di questo paese, davanti al bar Soldini per essere precisi, e se decido di entrare all’interno del locale, so da subito di trovarci dentro soltanto dei disperati che si attaccano con volontà a quanto hanno intorno: alcuni senza riuscire neppure a comprendere appieno la loro condizione, altri invece, pur essendone a conoscenza, lasciandosi andare alla monotonia di ogni sera, forse per cercare di dimenticarla.
A me al contrario non interessa un bel niente dei loro problemi, perché sono distante da quelle persone, tanto che meno riesco a comportarmi come un animale sociale, meglio riesco a sopportare queste giornate a mio parere senza significato. Qualcuno dice di me che sono un po’ rustico, troppo sulle mie, e forse quando succede che mi viene fatto presente qualcosa del genere, magari con delle battute di spirito, provo subito un leggero dispiacere, anche se in ogni caso non posso certo essere diverso da come mi descrivono, soltanto per avere delle persone che coltivano per me un moto di simpatia. So che non è facile oggi rimanere neutrali: ci si deve schierare, è inevitabile, e trovare sempre la colpa di tutte le cose, indicare un nemico, e spiegare con poche parole per chi si possa mai spendere la propria fiducia. Alla fine mi sento un estraneo, le mie riflessioni restano sempre come al di fuori di quanto si dovrebbe pensare davvero. 
Infine mi decido ed entro nel bar. Un caffè ristretto, dico davanti al bancone, e subito mi si accosta uno che mi fa dei complimenti generici, e sostiene che era un pezzo che non mi si vedeva da quelle parti. Lo saluto, poi dico che non sono stato troppo bene in questo ultimo periodo, tanto per trovare qualcosa da dire, ma quello insiste e comincia a spiegarmi tutto quello che, secondo lui, mi sono perso della vita di questo quartiere. Vengo a sapere così che due ragazzi si sono scazzottati proprio là davanti, e che lo hanno fatto stupidamente per una ragazza, quella del negozio di merceria ed abbigliamento, la figlia di Marisa Carraresi, e che dopo questo lei sembra si sia dileguata e che non voglia più vedere nessuno dei due. Annuisco, tanto per dare importanza alla cosa, poi butto giù il mio caffè e lascio dei soldi accanto alla tazzina, spiegando al tizio che ho accanto che me ne vado perché ho qualcosa da fare. Esco così dal locale, mi guardo bene attorno, infine riprendo tranquillamente per la mia strada: cosa mi importa di questi stupidi pettegolezzi, penso; ci sono altre cose ben più importanti di queste; e se proprio per caso non ci fossero, bisognerebbe almeno sforzarsi per provare a inventarle.


Bruno Magnolfi 


domenica 27 gennaio 2019

Cambio di atteggiamento.


        

            Mi dispiace, dice Clara a lui con una certa fermezza; ma in questo momento non me la sento di mettere in piedi con te una relazione che non sia costituita esclusivamente dalla nostra amicizia. E poi, anche per quanto riguarda proprio l’amicizia, negli ultimi tempi sento di preferire la frequentazione di diverse persone, almeno quando mi va, piuttosto che  incontrarmi soltanto con una. Non è che non mi piaccia la tua presenza intorno a me, o che per qualche motivo ti voglia tenere distante: tu mi piaci, e mi va a genio quasi sempre il tuo modo di essere, però qualche volta vorrei fermarmi in maniera spensierata anche dai ragazzi che si ritrovano sulle panchine, ad esempio, e ridere con loro mentre sostiamo tutti insieme davanti al bar Soldini, senza dover pensare che in questo modo rischio di mettermi contro qualcuno.
Tommaso la guarda un momento, sembra riflettere appena per un attimo tutto quanto l'argomento che lo riguarda; poi decide che in fondo non gli dispiacciono troppo queste parole, e gli sembrano, al contrario di quanto avrebbe potuto pensare solo qualche tempo più addietro, addirittura di buon senso, equilibrate, anche perché, nei giorni immediatamente precedenti questo, si era sentito addirittura preoccupato per essere giunto anche troppo velocemente al punto di dover stringere una relazione seria con lei, in considerazione anche di come erano andate le cose tra loro fino a quel momento. Perciò adesso, tirando quasi un sospiro di sollievo, dice soltanto: d'accordo, per me non ci sono problemi. Ho molto da fare con l’università in questo periodo, tanto che il mio tempo libero si preannuncia davvero ridotto. E poi, a parte questo, probabilmente dovremo conoscerci meglio prima di affrontare delle scelte di una certa importanza. Non c'è niente di male, pensano tutt’e due quasi nello stesso momento in cui si guardano: non escludiamo niente così, considerato che tutte le possibilità per un eventuale nostro futuro, rimangono aperte.
Perciò, quando poco dopo si salutano, loro due lo fanno in maniera estremamente cordiale e amichevole, forse addirittura alleggeriti da quel chiarimento di cui senza dubbio sentivano ambedue la necessità. Clara  resta in macchina ancora per un attimo, mentre Tommaso si allontana a piedi senza voltarsi, poi lei avvia il motore e guida con calma e leggerezza per tutto quel tratto buio di pochi chilometri, fino a giungere alla sua abitazione nella località Il Platano: riflette adesso che non ha parlato per niente con sua madre delle ultime novità che riguardano la sua unica figlia, e che ultimamente ha sempre cercato di lasciarla al di fuori persino dalle sue preoccupazioni, ma forse in questo momento, anche se non sa proprio come potrebbe fare, e nonostante le risulti qualcosa di assolutamente non facile, considerando anche che non è affatto evidente come certi argomenti a sua madre le possano davvero interessare, vorrebbe finalmente parlarle. Perché, se ci pensa proprio con intensità, anche nell’attimo stesso in cui sta parcheggiando la sua macchina lungo il vialetto di casa, forse ciò che pesa per lei più di tutto, è proprio quella distanza che immancabilmente si pone sempre tra loro due, in qualsiasi momento della loro vita in comune, all’interno di quella abitazione in cui vivono da sempre, ed anche tutte le poche volte che si trovano a scambiarsi delle semplici opinioni. È come se cercassero continuamente di scansarsi, pensa lei, o di evitare di sentire davvero ciò che l’altra ha da dire. Ma adesso Clara si sente grande, matura, autonoma, non ha più bisogno di rifugiarsi in un angolo soltanto per sfuggire ad una personalità troppo forte come quella di sua madre. Cambieranno le cose, decide; o almeno devo proprio provare a farle cambiare.

Bruno Magnolfi

giovedì 24 gennaio 2019

Sempre perdente.


           

            Non lo so, dico io; mi metto in un angolo, senza dare fastidio a nessuno. Al massimo chiedo se ci sia un tizio per caso che abbia una sigaretta anche per me. Quando poi rimango più a lungo dentro al bar del Soldini, trovo sempre qualcuno che mi offre anche qualcosa da bere; ma in certe serate durante le quali magari sono riuscito a rimediare qualche soldo extra, allora mi faccio versare due o tre bicchierini di fila dal cameriere, tanto per riuscire a darmi la spinta che serve. Non credo di dare disturbo, nessuno comunque si è mai lamentato della mia presenza.
            Non lo so, ce l’ho anche io un posto dove passare la notte: è un piccolo capanno di legno in fondo ad una strada che non porta da nessuna parte, dove mi sistemo rinvoltato ogni volta in mezzo a tutte le mie coperte, e dormo tranquillo, senza che nessuno generalmente si prenda la briga di mandarmi via. Cerco del lavoro ogni tanto, ma ogni volta che chiedo a qualcuno, quello scuote la testa, e dice sempre che non ce n’è. Però una volta la settimana o quasi, vado a dare una mano al legnaiolo che sta alla fine di questo abitato, e se c’è da scaricare un autocarro o anche il rimorchio del suo trattore, lui mi lascia fare, senza chiedermi niente, anche se poi mi mette sempre in mano un paio di banconote, senza aggiungere nulla. Io non lo ringrazio, non dico niente, ma giusto per non farlo sentire un po’ in imbarazzo, però siamo amici, ci fidiamo l’uno dell’altro.
Non lo so, ma qualche sera fa freddo, ed è allora che vorrei proprio andarmene da questo luogo poco ospitale, che tanto qua in mezzo non so proprio che farci. Mi piacerebbe andare da qualche parte dove fa un po’ più caldo, magari sul mare, e trovare qualcosa da fare, e metterci un briciolo di entusiasmo, tanto per provare a rimettermi in carreggiata. Non lo so, sono soltanto pensieri quelli che mi vengono in mente, però un giorno magari mi gira tutto in un verso e prendo davvero ogni cosa e poi me ne vado. Non mi piace molto parlare con le persone. Le parole servono soltanto quando vuoi riempire il tuo tempo, o prendere in giro qualcuno; per il resto basta scambiare un’occhiata con gli altri per capirsi davvero. Non lo so, ma io sono fatto così.
E poi non lo so, vado a mangiare ad una mensa una volta ogni giorno, e lì certe volte qualcuno di loro mi avvicina cortesemente per chiedermi se ho bisogno di qualcos’altro, se voglio fare una doccia, di qualche vestito, o di starmene un po’ in compagnia. Non ha importanza ragazzi, io penso mentre sollevo le spalle; tiro avanti bene anche così: mi conoscono tutti, non voglio dare fastidio, ma quelli insistono e allora mi fanno lavare, e dicono dopo che sembro più giovane, e qualcuno si offre per tagliarmi i capelli e la barba, ed io lascio fare quello che vogliono, perché tutto serve quando si vive in questa maniera, anche un aspetto decente.
Non lo so se qualcuno abbia di nuovo la voglia, come è successo una volta, di venire a farmi gli scherzi: mettersi davanti al mio capanno, vicino a questa mia cuccia dove ogni volta sto bello tranquillo, e d’improvviso dar fuoco a qualcosa lì accanto, tanto per farmi paura, magari per affumicarmi e costringermi ad uscire all’aperto. Non capisco, non dare fastidio a nessuno sembra proprio non sia più sufficiente, anche se in questo piccolo centro abitato ho compreso che qualcuno coltiva il disprezzo degli altri, ed io adesso non lo so per davvero, ma un giorno di questi dovrò proprio andarmene, oppure smettere di essere buono. Perché chi è più buono, proprio come mi sento io tante volte, e questo lo so per davvero, è sempre perdente.

Bruno Magnolfi

mercoledì 23 gennaio 2019

Brutte persone.



Lo ha notato quasi immediatamente, di poco avanti a sé, una volta uscito da casa e incamminatosi lungo la strada. Tra le ombre del tardo pomeriggio spesso non è facile rendersi conto di cosa sia un piccolo oggetto scuro che sguscia, che si insinua tra le auto parcheggiate, che si nasconde alla vista di tutti: forse un gatto, uno di quei tanti che girano intorno ai caseggiati camminando sulla cima dei muretti e attraversando le sbarre dei cancelli e delle recinzioni, per poi rientrare nella casa di qualche vecchia che li accudisce e che li fa dormire su una sedia impagliata o sulla poltrona; o anche un semplice pezzo di giornale magari, mosso dal vento freddo di queste sere invernali, sfuggito di mano a qualche passante poco attento, o gettato via da chi non è interessato a lasciare pulite le strade e le piazze della propria città.
Renato si è sentito subito incuriosito da quella macchia di sporco mobile e quasi incomprensibile, quasi fosse ai suoi occhi una chiara dimostrazione di diversità, una differenza palpabile, una variabile insolita, all’interno di un panorama cittadino spesso anche troppo ordinato, fatto e finito, regolamentato da ordini troppo precisi, costituito secondo una logica insopportabilmente esatta, almeno per il suo modo ribelle di vedere le cose. Così si è avvicinato lentamente, badando a non produrre rumori, stando ben attento a dove appoggiare le suole delle sue scarpe, e scorrendo con molta calma il marciapiede di quella strada deserta; ed ha aperto gli occhi nell’oscurità della sera precoce, fino a cogliere ogni più piccola sfumatura di ciò che andava osservando, all’erta per ogni rumore avvertibile.
Poi, un piccolo cucciolo di cane dal mantello chiazzato, finalmente, è uscito con rapidità allo scoperto, scodinzolando verso di lui e fermandosi vicino ai suoi piedi, sprovvisto di collare e senza niente che lo rendesse in qualche modo identificabile.  Renato gli si è avvicinato ancora di più, gli ha fatto una carezza, lo ha trattenuto un momento con sé, ed il cucciolo si è mostrato subito riconoscente di quelle attenzioni, pur magro, denutrito, sporco, probabilmente privo di padrone e perfino di un posto dove andare a rifugiarsi la notte. Non ha avuto bisogno di convincerlo troppo, il cane appena lui si è mosso gli è andato subito dietro, come se riponesse proprio in Renato tutta la fiducia per il suo futuro. Allora lui lo ha preso in braccio, lo ha accarezzato e se lo è portato fino a casa, deciso a tenerlo con sé.
Gli amici più tardi gli hanno fatto corona sulla piazza insinuando qualche immancabile battuta di spirito nel vederlo presentarsi al ritrovo delle panchine con quel cucciolo trattenuto da un guinzaglio un po’ estemporaneo, ma Renato si è mostrato felice del suo nuovo amico da sfoggiare tra i compagni di sempre, quasi fosse quello che segretamente aveva sempre desiderato. Lo ha visto così Clara, passando in modo quasi distratto attraverso la piazza, e salutando tutti da lontano con un semplice gesto: e le è piaciuto molto rendersi conto di come dietro a quei ragazzi mezzi sbandati, privi di un interesse preciso, poco inclini ad integrarsi con gli altri, forse si rannidasse una sensibilità addirittura insospettabile, e di come quel Renato, osservato da un particolare punto di vista, alla fine non fosse affatto una brutta persona.


Bruno Magnolfi


lunedì 21 gennaio 2019

Ala luce del sole.




15 gennaio
Mi sento sempre più confusa. Non capisco più come dovrei comportarmi. E’ come se i fatti di questi ultimi giorni mi inviassero continuamente segnali contraddittori. Non voglio starmene ferma a guardare, magari nell'attesa che tutto quanto per un colpo di fortuna insperato si vada chiarendo; voglio agire, sono convinta sia questo il mio momento, e che il mio futuro prossimo derivi esattamente da ciò che riuscirò a desiderare adesso.

16 gennaio
Il mio lavoro non è più tale. Adesso è una scelta fatta, un impegno preciso di esistenza, una prova delle mie capacità. Non devo ascoltare più nessuno intorno, se non me stessa e la mia sensibilità, pronta ad interpretare tutti i segnali che mi possono giungere.

17 gennaio
Tommaso non si è fatto più vedere. Non ha importanza, devo essere capace di rinunciare a lui, e di mettere a punto la capacità di fare a meno della sua intelligenza forse un po’ infantile. Farò qualche tentativo nei suoi confronti, ma niente di più.

18 gennaio
Non posso fingere con me stessa che non sia successo niente. Qualcuno si è comportato come se io fossi il premio per qualcosa, trattandomi da sciocca, e forse la colpa di tutto questo è stata la mia presunta ambiguità. Però non deve essere così, o meglio: non voglio che le cose siano poste in questa maniera. Per questo motivo ho deciso che per qualche tempo farò a meno degli altri, e mi comporterò come se non avessi bisogno assolutamente di niente, come se nulla ci fosse che mi interessa veramente, se non il mio lavoro, e rilanciare il negozio di merceria svecchiandolo da quella patina di risaputo da cui in qualche modo risulta ancora composto. Forse potrei voler bene a Tommaso, ma adesso proprio non riesco a capire se sia così, e probabilmente non mi interessa neppure troppo saperlo. Anche gli altri ragazzi che si ritrovano alle panchine della piazza magari hanno anche loro delle buone doti: sono simpatici, sanno stare in compagnia, spesso si pongono anche loro dei problemi come me li pongo io stessa. Andare a parlare qualche volta con questi ragazzi non mi comporta però nessun problema, non mi fa sentire in obbligo con nessuno, non sottintende nessuna scelta specifica. Uscire con Tommaso, o con Renato, o con chiunque altro, invece, mi incastona in uno spazio ristretto agli occhi di tutti, e non è questo quello che voglio, almeno in questo momento, anche se è mia necessità essere chiara con chiunque di loro, ed agire come sempre ho fatto alla luce del sole. Farò qualcosa in questo senso, nei prossimi giorni, e forse, se riuscirò anche ad avere tutto il coraggio che serve, chiederò un’opinione di tutto quanto a mia madre, con la quale in fondo trascorro ancora una parte cospicua del mio tempo libero, ed il cui parere è sempre stato in fondo onesto e moderato.

Bruno Magnolfi

domenica 20 gennaio 2019

Difficile comunicazione.



Il nostro è un mondo piccolo, dice quasi tra sé la giornalaia da dentro al suo chiosco ricoperto di riviste ed edizioni di ogni tipo, ogni volta che qualcuno tenta di decifrare grossolanamente la realtà a voce alta, mentre guarda i titoli principali dei quotidiani esposti, sottintendendo in questo modo che quanto accade veramente è sempre troppo lontano da lì, dove di ogni avvenimento esterno che pur dimostri una certa rilevanza, se ne sentiranno delle vere conseguenze in modo talmente diluito da riuscire comodamente anche a passarlo sotto silenzio.
Conosce tutti lei, filtrando la realtà da dietro quella feritoia da cui riesce ad osservare tranquillamente tutta la piazza principale del paese di Borgo San Carlo, e soprattutto dei suoi tanti abitanti che sostano o passano da quelle parti, riuscendo anche a mandare a memoria i nomi di una quantità smisurata di persone che vengono da lei per acquistare qualcuno dei suoi giornali. Il più affezionato tra tutti è senza dubbio è il signor Soldini, che già al mattino presto, spesso per primo, quando lei ha appena aperto la sua edicola, prende sempre almeno due copie dei quotidiani: uno per essere sfogliato rapidamente da lui dietro al suo bancone, e l’altro per essere messo a disposizione di tutti i clienti del suo bar.
            I frequentatori della piazza sostengono che la donna sappia tutto quello che ci sarebbe da sapere in un paese come il Borgo, e spesso qualcuno le si rivolge sottovoce per sapere qualcosa di quello o di quell’altro, anche se la giornalaia ben difficilmente si lascia andare a dei pettegolezzi veri e propri, restando generalmente sul generico e barricandosi dietro al fatto di non essere a conoscenza di parecchie delle cose che le vengono richieste. Qualcuno sorride, altri alzano le spalle, in ogni caso lei non si lascia facilmente tirare dentro a certi meccanismi.
            Conosce Clara, che quasi ogni settimana va da lei per acquistare qualche edizione delle poche riviste di moda e di abbigliamento che l’edicola si fa consegnare insieme a tutto il resto, e conosce abbastanza bene la sua storia di negoziante e di figlia di Marisa, ma non ha mai parlato quasi di niente con lei, escluse le poche frasi di circostanza che si possono usare in quei casi. Perciò le risulta subito strano che questa ragazza oggi pomeriggio, prima di riaprire la sua merceria per il turno della sera, passi da lì quasi con indifferenza, e con una scusa le chieda se conosca quel ragazzo ricciolo, Tommaso, e se per caso l’abbia visto ultimamente da quelle parti.
            Lo conosco, fa la giornalaia, viene sempre per comprare delle riviste di cultura, ma è da un po’ di tempo a questa parte a dire la verità che non si vede più, forse starà studiando per qualcuno dei suoi esami all’università. Va bene, dice Clara mentre si fa dare una rivista di vestiti, ma se dovesse passare da qui, avrei piacere se lo avvertisse che lo sto cercando. D’accordo, fa l’altra, se lo vedo non avrò problemi a dirglielo. La ringrazio, dice ancora Clara, e buona serata. Poi si allontana, in parte soddisfatta del suo tentativo, anche se peraltro le pare di aver sciupato qualcosa con quella sua richiesta sempliciotta. La giornalaia nello stesso momento la guarda allontanarsi: non c’è niente di strano, pensa in mezzo a tutte quelle parole e frasi scritte da cui risulta circondata; certe volte purtroppo viene a mancare la comunicazione tra di noi, anche se crediamo sempre che tutto sia persino troppo facile.


            Bruno Magnolfi



giovedì 17 gennaio 2019

Spirito pratico.


            

            Certe volte non vorrei neppure uscire di casa. Accatasto i miei libri sopra al piano della scrivania, mi metto accanto tutti gli appunti delle lezioni in facoltà, poi le matite, i fogli di carta, i miei quaderni, e mi pare quasi che sia tutto lì, vicino a me, ciò che m’interessa maggiormente. Fuori dalla finestra la giornata di sole prosegue il suo corso come sempre, eppure, chino sopra al mio tavolo, io modello poco per volta il mio sapere, assumo la coscienza di quanto sicuramente potrà servirmi nel futuro, mando avanti il mio più forte convincimento, quello per cui tutto è migliorabile, e la positività potrà svolgere un suo ruolo, prima o dopo.
            La strada che si snoda là sotto è comunque un forte richiamo anche per me; un insieme eterogeneo di elementi negativi e positivi che gridano spesso la loro urgenza, come la necessità che molti provano di mostrarsi delle vere persone, di sentirsi perennemente coinvolti in qualcosa, di essere chiamati tutti ad una scelta, pur sbagliata che possa dimostrarsi. Osservo sopra al davanzale qualcuno che cammina lungo il marciapiede, e non so decidermi a pensare quanto sia meglio svagarmi, piuttosto che continuare a riflettere ancora su tutte le mie cose. Poi chiudo i libri ed esco.
Intendo passeggiare, soffermarmi su qualcosa che attiri i miei interessi, ma non posso certo ridurmi a transitare sempre davanti al negozio della merceria, come solo un fissato potrebbe fare; cosi è meglio se prendo la bicicletta, per pedalare in silenzio senza grandi pensieri, e fare un giro verso la campagna circostante, spingermi magari fin dove iniziano i boschi rigogliosi, magari fermarmi sopra un poggio più in alto ad ascoltare il vento, ad osservare i merli che si rincorrono, guardare le pecore al pascolo se oggi ci sono, radunate in qualche campo poco lontano.
Poi torno indietro: non c’era niente che non conoscessi già lungo quei viottoli, tanto vale andarmi ad infilare tra le case del paese, nella ricerca di qualcuno che forse già conosco. In fondo mi piacerebbe anche incontrare di nuovo Renato, magari da solo, a distanza ravvicinata, senza un pubblico a sommuovere i nostri comportamenti, e fermarmi di fronte a lui con grande calma, anche con profonda serietà, e dirgli con voce leggera che non mi ha fatto niente quando mi ha colpito, perché niente avrebbe mai potuto farmi, visto che le nostre divisioni non esistono davvero, sono frutto soltanto di una maniera distorta di vedere tutte le cose.
Ho colpito la tua incapacità di tenerti da una parte, risponderebbe forse lui; quel tuo metterti in mezzo a qualcosa che sembrava già prendere per me una direzione favorevole. Non ce l’ho con te, non ce l’avevo neanche prima: è ciò che rappresenti il vero problema che poni adesso, quella presunta diversità superiore che manifesti in ogni attimo, lasciando sentire tutti noi soltanto dei poveri sciocchi. Clara è una ragazza che facilmente si lascia incantare da qualcosa che forse neppure comprende fino in fondo, subendo una fascinazione effimera dai tuoi comportamenti. Però è lei che in qualche modo simboleggia al meglio la nostra cittadina, non certo uno come te.   
Va bene, potrei dire io, in ogni caso ricorrere a dei mezzi estremi non lascia certo spazio a molte fantasie, e se tu hai deciso di porti in questo modo, sei tu che adesso ne paghi tutte le conseguenze. Clara credo sia una persona libera, sceglierà cosa desidera senza che siano i pugni o la violenza ad imporle qualcosa. Comunque hai ragione almeno su una cosa: io non mi sento parte attiva di questo paese, mentre lei lo è, a tutti gli effetti, e forse per questo motivo dovrà essere uno proprio come te a farsi avanti con lei, e magari ricordarle che lo spirito pratico è il migliore.

Bruno Magnolfi


martedì 15 gennaio 2019

Tutta per sé.


           

            Lei va sempre da sola fino alla scuola. O meglio, senza la mamma, oppure il babbo, al limite giusto con qualche compagna di classe vicina di casa che volentieri si affianca a lei durante quel breve tragitto. Però in certi giorni, con la sua cartella ben chiusa stretta dentro la mano, lei cammina in solitudine a passo cadenzato e gli occhi bassi, sfiorando quasi le case, come le hanno detto di fare, senza mai fermarsi, fino a quando non si ritrova a varcare il cancello, con tutti gli altri alunni dentro al cortile, e ad aspettare quel suono martellante della campanella, prima di salire le scale.
Marisa, la chiama in quei minuti il suo compagno di scuola preferito, e lei subito lo cerca con lo sguardo e gli sorride, scambia con lui le sue sensazioni di bambina, parlando della maestra, dei giochi, anche dei propri genitori, toccando con semplicità gli argomenti più comuni, prima di entrare in una classe purtroppo diversa dalla sua, che è già più grande di un anno. Qualche volta si sono tenuti la mano, di nascosto, e a lei è piaciuto parecchio, tanto che adesso, a distanza di oltre cinquant'anni, riesce ancora a ricordare perfettamente quei deliziosi momenti.
Poi la sua adolescenza è un lento passaggio quasi insignificante, percorso nel tentativo di ritrovare in qualcuno la stessa dolcezza provata negli anni della scuola elementare, fino ad arrivare a conoscere Ernesto, che diverrà suo marito, quasi come per una forma naturale di tutte le cose. Per lei innamorarsi è stato sempre cercare di riprovare delle sensazioni che nel passato avrà già conosciuto, o almeno tentare di avvicinarsi proprio a quello struggimento indimenticabile.
La scuola elementare è grande, piena di bambini entusiasti e divertenti; c’è anche la Martini in classe con lei, e tra loro ci sono così tanti alunni che riusciranno sicuramente a trovare la loro strada, ma ce ne sono anche di quelli che purtroppo non combineranno mai nulla di buono. Marisa adesso, quando si sdraia sul suo letto, nel buio solitario della camera rimasta la stessa da tanti anni, a volte li elenca nella sua mente, e li ritrova parecchi, come non fosse trascorso tutto quel tempo, come se fossero tutti ancora lì, a portata di mano. Poi torna a casa, dopo l’ultima campanella, dopo tutta la confusione dei bambini che escono correndo in mezzo al cortile, alla ricerca dei genitori o dei nonni, dopo aver salutato lui, di nuovo lì, a dirle: ciao Marisa, vediamoci dopo, ai giardinetti, posso aiutarti nei compiti che ti hanno dato da fare. Va bene, fa lei, siamo d’accordo.
In certi momenti, nella sua mente, lei sa che un’eclisse solare abbuia tutto il resto per una manciata corposa di anni, e la sua malcelata durezza dell’età adulta, è forse soltanto il bisogno di tenere nascosto da qualche parte dentro di sé, qualcosa di prezioso e di assolutamente non condivisibile. Quel bambino, di cui in seguito non vuole più ripetere neppure il nome, si perde più avanti, quando saranno più grandi, e lei non lo cercherà più, perché è assurdo tentare di cambiare qualcosa che il destino ha già definito, e non potrà mai neppure assomigliare a ciò che era stato.
Ciao mamma, dice Clara rientrando in casa; e di colpo tutti i bambini dentro di sé si prendono per mano e subito se ne vanno, fingendo di non essere neppure mai stati da quelle parti. Non si può neanche desiderare di sentirsi diversi, pensa Marisa certe volte. Si è così, bisogna piegarsi a quanto ci capita. Ho una storia ufficiale da raccontare, naturalmente, dice all’ombra di sé sotto al sole; ma anche una diversa, che vorrò sempre tenere soltanto per me.

Bruno Magnolfi


lunedì 14 gennaio 2019

Coraggio di piazza.


        

            Clara è stanca. Rientra a casa anche stasera come sempre, dopo una giornata intera trascorsa dentro al suo negozio, e le pare proprio di non aver fatto niente di importante, neppure oggi. Pochi clienti, qualche chiacchiera di circostanza, nessuna buona idea, neanche per rendere più invitante la vetrina per coloro che passano a piedi lungo il marciapiede della strada di fronte. Ha trovato un biglietto quando è uscita, sotto al tergicristallo della sua macchina parcheggiata poco distante, e questo è stato l’unico dato positivo, almeno da un po’ di tempo a questa parte.
Lo ha letto subito, non poteva attendere; così è entrata in auto, ha aperto il foglietto, ha visto per prima cosa che c'era in fondo la firma di Tommaso, e già questo le è parso meraviglioso, quasi commovente. Solo una frase semplice vergata sulla carta: “Ciao, domani sera sarò davanti al tuo negozio, all'ora di chiusura”. Va bene, ha detto lei a se stessa, come per sentire la propria voce avvalorare meglio e maggiormente ogni suo pensiero a riguardo. Poi ha avviato il motore della macchina, ha innestato la retromarcia per compiere la manovra, e solo a quel punto ha notato nello specchietto retrovisore qualcuno che in silenzio la stava guardando.
Si è avvicinato dalla sua parte, senza che lei avesse fatto niente, se non restare ferma, con il cambio posizionato in folle. Poi Renato, vicino al finestrino, le ha detto qualcosa, forse una parola di saluto, e lei allora ha aperto giusto una spanna del suo vetro, proprio per capire bene cosa era venuto a dirle davvero quel ragazzo. Non ti sei più fatta vedere in piazza, ha spiegato lui appoggiandosi leggermente alla carrozzeria dell’auto. Mi dispiace, ha aggiunto, perchè non era questo il risultato a cui aspiravo. Mi piacerebbe trovare nuovamente la sintonia che eravamo riusciti ad avere tra di noi qualche tempo fa, anche se immagino che adesso sia diventato tutto più difficile.  
Clara spenge il motore, pur restando ferma, seduta al volante. Forse non avrebbe voglia proprio adesso di affrontare un argomento così difficile e spinoso, però sa che probabilmente non avrà un’altra occasione di vero confronto con Renato, e lei non vuole perdere questa occasione. Mi meraviglio, dice, che tu abbia la faccia tosta di venire così a parlarmi. In ogni caso sappi che non ho mai inteso essere la preda per alcuni litiganti. Non mi pare adeguato il tuo contegno, e non credo sia giusto il comportamento che hai tenuto. Però sono fortemente dispiaciuta per quello che è successo, e cercherò nel futuro di essere più accorta affinché una cosa del genere non si verifichi mai più.   
Non è questo, dice Renato con gli occhi bassi; volevo solo sapere adesso se possiamo ancora essere amici. Clara attende un attimo, lascia passare un tempo sufficiente a caricare di importanza le parole, poi dice in fretta: certo, tu non mi hai fatto niente personalmente, però il tuo comportamento è stato pessimo, come se i miei desideri dovessero piegarsi a delle questioni di forza bruta, e non mi pare il caso di spingersi davvero così in basso. Tornerò in piazza da te e dai ragazzi qualche volta se mi andrà, forse già uno di questi prossimi giorni, perché non voglio resti uno strascico negativo di questa storia; però non accetterò mai di passar sopra ad un atteggiamento come il tuo, privo completamente di qualsiasi riflessione, ed assolutamente fuori da qualsiasi razionalità.
Va bene, dice lui restando nella stessa esatta posizione. In ogni caso tu non c’entri molto in questa cosa. Ci sono ancora delle vecchie ruggini, che in certi casi tornano fuori senza che siano state previste, e comunque volevo solo dirti che secondo me tu sei la persona migliore che da tanto tempo ha avuto almeno il coraggio di farsi vedere in piazza insieme a noi.    

Bruno Magnolfi

domenica 13 gennaio 2019

Differenti pose.


            

            Non ce ne frega niente. Si sta bene nella nostra piazza, mezzi sdraiati sopra le panchine. Normalmente ci guardano tutti quanti nel momento in cui transitano da qui, ma noi non ci muoviamo mai, siamo sempre fermi nella nostra posizione. Ci fumiamo qualche cicca, si parla, si ride spesso, quasi di ogni cosa che ci viene detta, e come sempre si lascia passare lenta tutta la serata, esattamente come fa il ponte di pietra, nel mezzo del paese, con il fiumiciattolo che gli scorre sotto. Cosa importa il resto, questa è la nostra casa, il luogo in cui ci sentiamo meglio e più al sicuro, dove possiamo pensare e dire tutto quello che ci passa per la mente, senza frenare mai nessuna sillaba delle nostre parole.
Il tempo subisce a volte delle forti accelerazioni, lo sappiamo. Ma in altri casi rallenta fino a fermarsi, e lascia che tutto attorno si depositi, tanto da chiamare noi alla calma e alla riflessione su ogni semplice dettaglio, proprio come si fa con la sabbia bagnata in sospensione nell’acqua che decanta piano, dopo una tempesta sopra il mare. Accadono certe volte delle cose senza che si sia riusciti minimamente a prevederle, e magari ci colgono completamente di sorpresa, ci meraviglia la loro così improbabile comparsa, e in un solo momento capovolgono tutto quello che sembrava stabilito appena un attimo più indietro. I risultati spesso sono addirittura difformi e poco comprensibili, forse pretendono prese di coscienza particolarmente precise, decisioni che magari in piena tranquillità non si sarebbero nemmeno prese in considerazione. 
Ma sono soltanto dei pensieri senza lacci tutti questi, dei semplici retaggi della mente, possibilità mentali che forse non si realizzeranno mai, mostrandosi come sono senza alcun aggancio con la materia più realistica, anche se in ogni caso noi dobbiamo essere pronti anche per queste remote eventualità, in guardia però contro qualcosa che può sempre accadere da un momento all’altro, ed è proprio questo il senso più profondo che stilliamo in ogni momento dal nostro apparente sentirci indifferenti a quanto normalmente ci circonda.
Ci sentiamo annoiati, è evidente, di tutta questa terribile monotonia, ma ciò non significa che i nostri sensi siano ormai ovattati, o che non siamo in grado di reagire al momento in cui ce ne sia davvero il bisogno. Brace sotto la cenere, nervi tesi sotto alla calma apparente che pervade. Salutiamo chiunque senza mostrare enfasi, giudichiamo qualsiasi cosa si possa guardare usando una logica estremamente elastica, che forse manca a volte di definizione, ma che in generale non ha neppure per noi molta importanza. Cosa interessa prendere adesso delle vere decisioni: è sufficiente sentirsi distanti dai problemi, lontani da quanto sembra attanagliare tutti gli altri.
Sottolineiamo una diversità che spesso non sappiamo neanche noi quanto sia vera: eppure il nostro più profondo desiderio di non assomigliare mai a nessuno, ci fa sentire esattamente in questo modo, differenti dal giudizio che viene emesso su di noi, proprio perché ci sentiamo pronti a disconoscere ogni volta chi, in quel preciso istante, ce lo sta assegnando, limitandoci a mostrare il volto inespressivo e ambiguo del pensiero divergente, del tutto incomprensibile a chi non lo frequenta. Poi però richiudiamo rapidamente tutti quegli emblemi di cui abbiamo fatto gran mostra, e senza darne alcuna spiegazione, torniamo a riprendere le nostre esistenze normalizzate in fretta, lasciando indietro quanto saremo capaci di evidenziare ancora tra pochissimo, appena il tempo di tornare durante la prossima serata in questa stessa piazza, e di sedersi come sempre  in pose improponibili, con la testa sgombra dai pensieri che per qualsiasi altro sono tutto, e per noi niente.

Bruno Magnolfi

venerdì 11 gennaio 2019

Scelte di futuro.



Cammina lentamente lungo il marciapiede la signora Martini, in parte per la sua età ormai avanzata, in parte per alcuni modi di fare a cui si è assoggettata fin da ragazza, comportandosi spesso come se il tempo in fondo non avesse avuto mai per lei troppa importanza, e la pazienza risultasse sempre la vincitrice tra tutti i suoi valori di base. Si è trattenuta per sé la metà delle quote societarie, nei confronti del negozio di merceria di cui è stata da sempre unica titolare fino a poco fa; ma di fatto, sin da quando è stato firmato l'atto dal notaio, ha mostrato di voler cedere volentieri tutte le responsabilità dell’esercizio alla sua fedele commessa divenuta da quel momento comproprietaria insieme a lei, accontentandosi alla fine anche di una quantità piuttosto limitata di quattrini, cosa che peraltro l’altra le sta versando ratealmente.
Buongiorno, dice con voce chiara aprendosi la porta quando giunge infine sulla soglia dell’esercizio, dando seguito alle sue abitudini davanti ad ogni persona presente all’interno di quella bottega, dopo tutti quegli anni di esperienza con clienti di qualsiasi tipo, certe volte cortesi a loro volta, in altre occasioni proprio scontrosi. Clara sfodera così da dietro al bancone il suo abituale sorriso, andandole subito incontro fino alla grande porta vetrata, prendendole una mano con molta grazia. Là dentro ultimamente non si è vista spesso la vecchia proprietaria, ma si può star certi che la sua presenza di oggi non sia di tipo puramente formale o di cortesia. A lei interessano i libri contabili, sapere come vanno le vendite, se la clientela si ritiene soddisfatta della nuova gestione, insomma, se il suo negozio senza di lei va ancora bene.
Si siede, sistemandosi su una delle poltroncine imbottite che Clara ha acquistato ultimamente, ma lo fa senza volersi togliere il soprabito, come conservasse una qualche premura di andarsene tra breve, e comunque per non essere forse scambiata per ciò che era là dentro fino a poco tempo addietro. Clara, dopo i saluti e i convenevoli, le chiede con orgoglio la sua opinione sui nuovi arredi e sui manichini delle vetrine, ma la signora Martini sembra non voler esprimere troppo dei pareri, forse addirittura perché poco lusinghieri, limitandosi con un’occhiata generale ad assentire, accompagnando il gesto con un semplice sorriso.
Ho parlato con tua madre, le dice subito invece con un’espressione già più seria; e lei mi ha detto che è piuttosto preoccupata per te e per i tuoi comportamenti, che ultimamente sembrano quasi il frutto di una ragazza con poco cervello, come in verità non ti sei mai dimostrata di essere fino adesso, non mostrando più con lei quella serietà e quella posatezza che ti eri guadagnata almeno insieme a me durante questi brevi anni da commessa. Forse adesso essere più libera in questo negozio le ha dato un po’ alla testa, le ho risposto subito io, però sono sicura che farà presto anche a riprendersi, ed io sono disposta a darle tutta la fiducia che si merita, a patto naturalmente che le cose dentro alla bottega continuino ad andare come devono.
Con la mamma ci sono state delle incomprensioni ultimamente, dice Clara sottovoce con improvvisa serietà, ma tutto è già quasi superato, almeno per quanto mi riguarda. Nel negozio poi le cose stanno andando direi bene, e con questa ragazza che viene il pomeriggio ad aiutarmi mi trovo piuttosto in sintonia. Non c’è da preoccuparsi insomma, conclude in breve, e forse è mia madre che non si sta rendendo conto di quanto sia in errore, almeno in questo caso. Va bene, dice la signora Martini alzandosi dalla sua poltroncina ed avviandosi all’uscita; in ogni caso sappi che tutti quanti in questo momento ti stanno osservando con estrema attenzione, e tutto il paese qua attorno vuole vedere se sai essere all’altezza del compito che ti abbiamo dato; e da questo momento in avanti dipende soltanto da te quale potrà essere davvero il tuo futuro.


Bruno Magnolfi


mercoledì 9 gennaio 2019

Fatti sfumati.



Difficile durante dei periodi brevi essere sorpresi da vere novità lungo le strade del centro abitato di una cittadina come Borgo San Carlo. Anche quando si volesse proprio trovarne, in mezzo ai suoi cittadini, forse scavando fin nei risvolti di quelle deboli discussioni che a volte riescono ad infiammare qualche espressione nei capannelli della piazza, o lungo il corso di quel paese, sarebbero comunque sempre poca cosa, che dura giusto lo spazio di qualche momento, e dopo appaiono subito destinate a finire. Si può arrivare persino all'odio, da parte di qualcuno, notando l'immobilità insopportabile delle strade e dei vecchi edifici costruiti più di cinquant'anni prima e mai modificati nel tempo, anche se la maggior parte della cittadinanza sarebbe forse pronta a difendere a spada tratta l'aspetto di quei manufatti, come per una legittima nostalgia che a volte crea legami perfino con le pietre, anche se alla fine ci si abitua rapidamente ad ogni cosa, pur lasciando fedelmente aperta la porta a qualsiasi altro tipo di curiosità.
Perciò quando poi si viene a sapere qualcosa di interessante ed insolito che riguarda specialmente certe persone che sono conosciute da molti, allora ecco che nasce rapidamente l’interesse bramoso, ed in particolare, se la questione che sta passando dalla bocca di diversi individui sembra proprio destinata ad alimentare altri fatti ed ulteriori risvolti, un proseguo che magari sul momento potrebbe pur sembrare persino poco probabile, ma che nella fantasia di qualcuno diviene velocemente perfino possibile, allora è fatta, la cosa può crescere a dismisura, quasi senza alcun limite.  Che due ragazzi se le fossero date di santa ragione per colpa di quella signorina che lavora nella merceria della signora Martini, ad esempio, era una notizia che ovviamente non poteva restare racchiusa soltanto tra le opinioni di coloro che li avevano visti davvero, ma considerato che nessun seguito si era prodotto in quei giorni seguenti il fattaccio, qualcuno aveva presto iniziato a lavorare di fantasia, modificando, almeno in qualcosa, sia l’azione principale avvenuta, ampliandone la portata, sia i suoi risultati, ventilando clamorose vendette da parte di chi aveva maggiormente subito il pestaggio. Di Clara poi si era detto di tutto, ed era stato poco considerato chi aveva cercato di far presente che era lei la nuova proprietaria del negozio di merceria, o almeno colei che adesso lo gestiva, perché questo faceva risaltare due piani un po’ differenti. Altri allora avevano parlato addirittura di interessi nascosti, qualcuno di strani e poco chiari doppi giochi da parte di questi ragazzi, ma infine, come succede a molte delle cose nate soltanto da fantasie, presto tutte le voci si erano spente. 
In fondo tutti gli attori della questione erano più o meno di buona famiglia, e se non si manifestava qualche strascico polemico da parte di qualcuno di loro, non si poteva insistere troppo nel ricamare sopra a quello che alla lunga appariva soltanto uno scambio vivace di differenti opinioni. Purtroppo alla fine non si era saputo quasi più nulla di loro, anche se le cose erano rimaste più o meno le stesse, e proprio per questo era chiaro come ormai i fatti accaduti rappresentassero semplicemente il passato, e potevano essere lasciati rapidamente alle spalle nel grande libro della cittadina, proprio insieme alla pagina su cui erano stati disegnati da subito.


Bruno Magnolfi


lunedì 7 gennaio 2019

Stanze quotidiane.


          

            Non so perché lei abbia accettato. Così come non capisco per quale motivo io, che non ne avevo minimamente voglia, le abbia chiesto di uscire insieme a me in questa giornata di festa. Però è andata così, quasi inspiegabilmente, ed io e mia figlia durante questo pomeriggio, come non succedeva ormai da tempo immemorabile, ci siamo spinte fuori con la nostra automobile per andare a farci una tranquilla passeggiata a piedi lungo le strade centrali della cittadina di cui facciamo parte. E naturalmente non potevo certo esimermi, in questo percorso senza alcuna meta prestabilita, dall’effettuare una breve visita al suo negozio di merceria, lungo la via principale, di cui lei porta sempre con sé la chiave, almeno per osservare con calma le variazioni agli arredi fatte apportare ultimamente proprio da Clara. Sono rimasta perplessa, inutile negarlo, anche se non ho fatto altro che apprezzare quanto è stato eseguito, sempre con naturali parole di elogio e di soddisfazione.
Mia figlia naturalmente si è prodigata subito a spiegare con parole e con gesti, a tratti quasi eccessivi, le scelte adottate, probabilmente nella stessa maniera che avrebbe fatto con chiunque, anche se io capisco benissimo, nello stesso esatto momento in cui lei tentava di convincermi, che neanche lei stessa era troppo soddisfatta del risultato che ha ottenuto. Ho pensato in silenzio, conservando un debole sorriso sulla faccia, che a volte si inseriscono anche troppe aspettative rispetto a quanto si vorrebbe vedere già finito, ed in certi casi in cui abbiamo impegnato persino troppa fantasia, i risultati non possono che apparire deludenti. Così quando siamo tornate sulla strada non ho neppure insistito troppo con dei complimenti ordinari e scialbi, che in questo caso sarebbero senz’altro sembrati anche falsi e fuorvianti. Forse per mia figlia in tempi diversi avrei immaginato un'altra vita, che non fosse quella di una semplice bottegaia di paese, ma questo è anche un pensiero da cui devo rifuggire ogni volta che mi si presenta, per evitare di riproporre alla mia memoria il percorso difficile e tortuoso che ha attivato tutto quanto.
Sono contenta, le ho detto in breve per chiudere la questione, le cose sembrano proprio si siano messe per il meglio, e nel passaggio di consegne dalla signora Martini fino a te, non sembra affatto che la clientela sia diminuita. Forse è presto per dirlo, mi ha risposto Clara, però le mie intenzioni sarebbero addirittura quelle di incentivare ulteriormente le vendite, svecchiando l'immagine di tutto il negozio e variando poco per volta sia gli articoli in esposizione, sia quindi l’età di tutti i clienti. Me ne sono rallegrata, questo è chiaro, però spero proprio che tutto questo non richieda nel futuro la disponibilità di risorse pecuniarie che non derivino direttamente dagli utili della piccola società che sostiene questa merceria. Io non firmerò mai nulla, in ogni caso, per avvallare coi miei risparmi delle scelte finanziarie in questo senso.
            Qualcuno ha salutato Clara, quando siamo andati al bar Soldini per sedersi ad un tavolino e prenderci un caffè, ma non mi è parso dalla qualità dei gesti e dalle parole di saluto messe in campo, che ci fosse in giro la persona che potevo immaginare di vedere. Così, tanto per mettere un pungolo a questo pomeriggio, ho chiesto a mia figlia chi fosse tra i ragazzi sulla piazza quello con cui lei si stava vedendo più assiduamente, ma Clara ha fatto soltanto un sorriso, ed ha chiuso frettolosamente con quello la mia curiosità. Deve essere qualcun altro, ho subito pensato, ma se parlassi intorno a questo argomento per qualche minuto ancora, probabilmente a lei le sfuggirebbe persino il nome, però non voglio certo apparire una curiosa sciocca, per cui mi va benissimo di cambiare l’argomento e di affrontare dei discorsi su tutt’altre cose. Più tardi perciò siamo rientrate a casa, senza grandi variazioni di tematiche, e quando alfine ci siamo messe comode, ognuna di noi due nella stanza che di fatto predilige, forse ci siamo sentite addirittura meglio.

            Bruno Magnolfi

sabato 5 gennaio 2019

Cambio d'anno.


       

            22 dicembre
            Trascorro ore di grande sofferenza in questi giorni, pur non riuscendo a comprenderne appieno neanche il motivo. Tanto che in certi casi non capisco neppure come possa poter sopportare, pur sforzandomi di mettere in mostra il mio solito ed invitante sorriso che spesso risolve tanti problemi, certe vecchie ed antipatiche clienti della nostra merceria, che sembra proprio si impegnino a giungere fin qui soltanto per mettere a dura prova le mie indubbie capacità di socievolezza e di pazienza. Il falegname ed il tappezziere sembra finalmente abbiano proprio terminato con i loro piccoli lavori di ammodernamento degli arredi del negozio, così come avevo chiesto loro di eseguire ormai da tempo, ma nonostante abbiano attuato quasi fedelmente ogni mia indicazione, adeguandosi al progetto generale ed anche ai disegni che avevo preparato, e lo abbiano fatto impegnandosi al massimo, proprio come avevo chiesto, soprattutto durante gli orari di chiusura dell’esercizio, adesso non mi hanno lasciato quell’entusiasmo che avrei voluto provare contemplando i loro risultati. Forse però è soltanto colpa mia che oramai riesco a provare maggiore soddisfazione dalle previsioni delle cose, che dalle cose vere e proprie.
            27 dicembre
             Tommaso per questi giorni di festa è andato insieme alla sua famiglia da una zia che abita lontano. Mi ha assicurato di voler approfittare di questo periodo, portandosi dietro tutti i libri e quanto gli serviva, per preparare un esame universitario che dovrà sostenere immediatamente al suo ritorno. Mi è parsa un’ottima idea razionalmente, anche se avverto ogni giorno di più la sua mancanza. Non vorrei sentirmi così legata alla sua presenza, e soprattutto non mi piace rendermi conto di avere necessità di qualcuno a sostenermi in queste mie giornate così ostiche. Ho sempre pensato che qualsiasi persona libera è solo colei che riesce a fare a meno degli altri, nel senso di avere la capacità di prendere qualsiasi decisione senza l’aiuto di nessuno. Però in questo momento mi prende spesso la paura sottile di allontanarmi un po’ da tutti, grazie a questo pensiero, e di mostrare un’indipendenza così totale che forse non è neppure data dalla mia vera natura.
            3 gennaio
            Con mia madre le cose posso dire che vanno meglio, nel senso che non abbiamo più litigato ormai da tempo, forse anche grazie a questi giorni festivi che abbiamo trascorso quasi totalmente in casa insieme, a parte il mio forte impegno lavorativo nella merceria. Non parliamo quasi più di nulla tra noi due, a parte le cose essenziali che definiscono la nostra convivenza in questa abitazione fortunatamente grande, dove possiamo fare contemporaneamente cose diverse, e se da un lato forse è questo il punto più dolente, probabilmente è pure quello che dall’altro ci fa anche andare più d’accordo. Lo so che lei a volte si sforza nel cercare di non mettersi in mezzo alle mie decisioni o ai miei pensieri, però comprendo come costantemente abbia su tutto ciò che faccio delle opinioni precise dentro la sua testa, e spesso anche solo misurare l’inflessione del suo sguardo, mi fa capire che non è affatto d’accordo con me. Che non sia più uscita la sera, e non abbia più fatto troppo tardi dopo l’orario del negozio, sicuramente le ha fatto piacere, anche se non ne sa il motivo. Non so, però penso che presto qualcosa dovrà cambiare inevitabilmente, così come senza neppure rendercene troppo conto, ormai abbiamo passato un altro anno.

            Bruno Magnolfi


giovedì 3 gennaio 2019

Variazioni in corso.




Soltanto un mazzolino di fiori direttamente dal mio giardino, ha pensato di dirle lui con semplicità, mentre ormai è già arrivato davanti al cancello della sua vicina di casa, con una mano ingombra da quelle piantine, mentre con l’altra preme il pulsante per farsi aprire da Marisa Carraresi, che dopo qualche attimo effettivamente gli apre il portone di scatto, e lo osserva seria da sopra il gradino, fissandolo quasi con un’espressione accigliata, anche se poi gli fa cenno, senza neanche tornare a guardarlo, di seguirla dentro la sua abitazione.
Vieni a sederti, gli fa precedendolo nell’ampia cucina. Devo chiederti un’opinione, dice nervosa mentre prende i fiori e ne infila velocemente i gambi in un vasetto recuperato dal mobile, dove ha subito messo dell’acqua. Lui si siede vagamente perplesso, poi dice: sentiamo, anche se sono qui soltanto per farti un saluto. Mia figlia Clara è sempre più distante da me, fa lei; forse si vede con un ragazzo, ma non è questa la cosa importante. Il fatto è che appare dal suo comportamento che non abbiamo quasi più niente da dirci, e così da qualche giorno i nostri argomenti di conversazione sono rimasti soltanto quelli deputati a comunicarci i rispettivi orari di uscita da casa oppure di  rientro, o anche i cibi da cucinare quando ceniamo o pranziamo assieme, o magari gli acquisti da fare per la prima di noi due che si reca in un qualche negozio.
Non provo del malessere anche se rimango tanto tempo da sola, dice Marisa, non è questo il punto; credevo però di avere un ruolo, e secondo la mia opinione parlare con mia figlia in questo era essenziale, almeno per farle confrontare le sue idee con le mie, darle una sponda, positiva o negativa che fosse, visto che le sue decisioni da prendere, alla fine, ho sempre cercato di lasciarle alla sua personalità e alle sue voglie. Lo so che ormai è grande e che può fare quasi tutto da sé, ma proprio per questo non riesco a comprendere il motivo per costringermi a tirarmi da parte, come qualcosa che tutto d’un tratto non serve più.
Vedi, fa lui, oramai noi due siamo arrivati all’età in cui renderci conto che non riusciremo più ad essere quello che si era, a fare pur quello che magari abbiamo sempre fatto, ma che adesso poco per volta non ci è più possibile. Dobbiamo riflettere bene, e renderci conto che dobbiamo tirarci fuori da certi giochi: è inutile battere i piedi con la convinzione di non accettare una realtà che ci piace poco. Le cose stanno così, ed anche se questo discorso non significa affatto che dobbiamo arrenderci alla vecchiaia, al contempo però deve portarci ad una consapevolezza più alta. Tua figlia ha bisogno di libertà, di scegliere sapendo di farlo da sola, di maturare delle convinzioni che sono soltanto le sue, non moderate o plasmate dalla sua mamma. Anche se la tua opinione è sempre e senz’altro a fin di bene per lei, forse in questo momento però è soltanto d’impaccio, Clara non ne ha più bisogno, e tu devi renderti conto di questo.
Va bene, dice Marisa alzandosi dalla sua sedia e girandosi verso la finestra: forse per troppo tempo ho pensato di non poter accettare la realtà se non modellandola come la volevo; ma adesso, all’improvviso, perdo me stessa così, non ho più niente da fare, non ho più una parte in questa commedia. Io credo di sì, fa lui, e notevolmente importante: devi soltanto riuscire a cambiare qualcosa di te, e lasciare che il corso delle cose non sia tu questa volta a deciderlo.

Bruno Magnolfi

martedì 1 gennaio 2019

Focaccia salata.


            

            Io abito assieme ai miei genitori in via Boito. In genere non esco molto di casa, mi piace rimanere nel mio angolo a sistemare con calma tutti i miei pensieri. Però al mattino sto sempre nel negozio di mio padre, che fa il fornaio, e che a seconda dei giorni della settimana lavora nel laboratorio per quasi tutta la notte, ed in parte anche al mattino, in negozio con me. Al pomeriggio invece lascio il banco delle vendite alla mia mamma, e così io posso fare ciò che più mi piace. Normalmente resto in casa in pratica da solo, rispettando il silenzio doveroso verso mio padre che si concede il dovuto riposo nella sua camera da letto, e soltanto verso le cinque generalmente esco in punta di piedi per raggiungere i miei amici nella vicina piazza del monumento. Poi resto lì seduto con gli altri, e ascolto le minute novità che vengono snocciolate dai ragazzi, oppure mi diverto ad ascoltare gli immancabili scambi di battute tra di loro. Tutti sulle panchine mi giudicano un timido, ma a me non interessa molto quello che dicono di me, basta che nessuno mi faccia domande troppo dirette, e che mi lascino in pace, senza tirarmi dentro ai loro problemi.  
            Stasera, da via Colombo, arriva improvvisamente questo tizio, Tommaso, che ogni tanto si vede alle panchine della nostra piazza, ma mentre attraversa lentamente, dritto verso di noi, Renato gli va incontro, come per sbarrare il suo passo. Non si dicono niente loro due, si guardano per un lungo attimo e poi basta, come se tutto fosse già chiaro, evidente, senza necessari approfondimenti. Renato prende l’iniziativa e colpisce l’altro, senza spiegazioni, facendolo cadere a terra, poi torna con espressione soddisfatta verso di noi. Nessuno ha niente da dire, nessuno si scuote, o si alza, o fa un minimo gesto di meraviglia. Sono fatti loro, sembra che sia il pensiero che attraversa la mente di tutti, a noi non deve interessare un bel niente.
            A me invece non piace quanto è successo, così aspetto qualche minuto in silenzio, quindi mi alzo dalla panchina, e come ricordandomi all’improvviso qualcosa da fare, me ne vado dalla piazza senza salutare nessuno, e giro attorno all’isolato riflettendo su quanto ho appena visto. Rientro in via Colombo da una stradina minore, e poi raggiungo il negozio dei miei genitori, ancora aperto, poco più avanti. Saluto mia madre che sta servendo qualcuno, le chiedo se tutto vada bene o se per caso abbia bisogno di aiuto. Poi torno sulla strada. Dopo un attimo arriva Tommaso da solo, con un fazzoletto sopra la bocca. Non mi guarda neppure, così mi supera con passo lento, ma io gli dico qualcosa da dietro, pronunciando delle parole che non so neppure io da dove mi giungano.
            Mi dispiace, gli fo, e lui si gira meravigliato. E’ da stupidi affrontare in questo modo i problemi, e lui annuisce. Si ferma, mi guarda, forse mette a fuoco meglio quanto cerco di dirgli. Difficile evitare di reagire, gli dico, ma credo sia da persone migliori. Ti ringrazio, mi fa, pensavo proprio che foste tutti uguali là in mezzo. Mi sbagliavo. Così mi stringe la mano, ed io la stringo a lui; poi non c’è altro da dire, così ce ne andiamo, ognuno dietro ai propri problemi. Forse non si dovrebbe essere troppo solidali con uno che non fa neanche parte della tua compagnia, però a me sembra giusto in questa maniera, ed adesso che ho fatto questo gesto mi sento meglio, mi pare di aver tirato fuori qualcosa di me stesso che normalmente tengo celato in mezzo a miei pensieri e alle mie giornate monotone, scandite dagli orari del negozio e della mia famiglia. Forse per qualche giorno non tornerò a farmi vedere dagli altri sulle panchine, ma non importa: tanto qualcuno dei ragazzi, quasi ogni sera, arriva fino al nostro forno per comperarsi del pane o anche della focaccia.

            Bruno Magnolfi