venerdì 29 aprile 2016

Finale sbagliato.

           

            Io non sono sempre lo stesso. Certe sere esco da casa per fare due passi, ed immancabilmente arrivo fino al solito caffè. Non c’e niente di male, penso per incoraggiarmi, e così con una certa noncuranza mi appoggio al bancone per lasciarmi servire un bicchierino. Oggi tutto è difficile, dico senza impegno al barista, e lui subito annuisce, anche se non sa neppure a cosa mi possa riferire: però capisce al volo che potrei avere ragione, e questo probabilmente gli basta. Mi volto, non ci sono motivi, rifletto, per intrattenersi troppo a lungo in questo locale senza caratteristiche, perciò poco dopo pago la mia consumazione e torno di nuovo per strada.
            Non c’è niente che mi attiri stasera, perciò posso riprendere la strada di casa. Lungo la via, però, appena uscito, incontro un tizio che chiede del fuoco per accendersi una sigaretta. E’ naturale che lo aiuti, anche se proprio in quel momento lui fa: io la conosco. Ne dubito, dico senza alzare lo sguardo. Eppure so per certo come lei fino a qualche anno fa frequentasse abbastanza assiduamente la casa della famiglia Spagnoli. Non è vero, faccio senza enfasi, anche se è normale che conosca quelle persone, e magari che le abbia salutate qualche volta passando davanti alla loro casa, che so perfettamente peraltro dove sia ubicata.
            Non so, fa lui allontanandosi subito di un passo: qualcosa mi dice che di lei non c’è da fidarsi, neppure nel parlare senza alcun impegno di cose persino poco importanti. Va bene, fo io, tanto vale salutarsi in questo momento, e poi andarsene ognuno per la sua strada. No, mi dice questo tizio, lei sa benissimo che adesso possiamo scambiarci delle informazioni preziose per ambedue, e senza che nessuno sospetti mai un nostro incontro. Verissimo, faccio io, anche se in questo momento non saprei proprio cosa dirle. Non si preoccupi, fa lui, si limiti a seguirmi fino al caffè.
            Torno così sui miei passi, seguendo questo signore che neanche conosco, forse per parlare di qualcuno per cui nutro persino poco intereresse. In ogni caso niente mi spaventa, e sono disposto come sempre ad affrontare qualsiasi novità.  Ma dopo pochi metri lui tira fuori una chiave, apre il portone di un palazzetto identico agli altri lungo quel marciapiede, e dice che quella è proprio casa sua, e se mi va posso salire con lui per parlare con calma nel suo salotto.
Accetto, e mi ritrovo in un appartamento modesto ma decoroso. Lui mi fa sedere, dice che non c'è niente di cui preoccuparsi, e che adesso possiamo parlare di tutto. Cosi spiego che certe sere mi sento annoiato, e qualche volta, proprio come adesso, esco da casa soltanto per abitudine, senza avere mai in mente qualcosa di preciso. Lui annuisce, e lo fa nella stessa identica maniera in cui si è comportato il barista al caffè poco prima. Per questo mi innervosisco, così inizio ad alzare la voce, e a dirgli che intorno a me girano soltanto dei falsi e dei perdigiorno dei quali non c'e neppure da fidarsi, e che gli Spagnoli sono soltanto una famiglia di gentaglia senza neanche morale.
Lui mi guarda, dice sottovoce che non gli va di parlare delle persone in questi termini, e che forse è meglio per tutti se io me ne vado subito da casa sua. Certo, gli urlo; con grande piacere, e nello stesso momento mi alzo, torno ad indossare la giacca che avevo, ed arrivo fino alla porta senza neanche voltarmi, anche se all'improvviso sento che mi dispiace essermi comportato in maniera sgarbata: perciò mi giro verso di lui quasi per chiedere scusa, ma l'altro ormai non vuole più neanche ascoltarmi, ed in questa maniera io esco da lì in modo definitivo. Forse è una serata sbagliata, penso, forse il mio cruccio è che vorrei piegare la realtà fino a renderla maggiormente gradevole, ma questo non sempre è possibile. Tanto vale tornare al caffè per un bicchierino finale.


Bruno Magnolfi

mercoledì 27 aprile 2016

Rinuncia cosciente.



Lei ha sempre avuto qualcosa da fare in tutto questo tempo. Forse potrebbe essere accaduto così soltanto perché è tipico del suo carattere essere persino troppo disponibile nell’occuparsi di tutto ciò che le capita di avere sotto gli occhi; oppure, bisogna anche aggiungere, semplicemente per una serie ineguagliabile di combinazioni particolarmente sfortunate per lei, delle quali in ogni caso neppure si è mai resa conto, visto che ci si è sempre trovata nel mezzo a doverle affrontare. Se non avessi di che cosa occuparmi, ha pensato sorridendo tra sé qualche volta, probabilmente starei qui ad inventarmi di sana pianta qualche nuovo impegno, e come sempre senza minimamente preoccuparmi del tempo per me stessa che viene costantemente a mancarmi. I suoi giorni in questa maniera scorrono spesso in modo nevrotico, saltando da un’attività all’altra, quasi senza possibilità di tirare un vero respiro tranquillo, soffocati da tante piccole operazioni che riescono a riempire tutto quanto il tempo a sua disposizione.
E forse, magari proprio per questo, in una giornata qualsiasi come quella di oggi, attraversata dalla coscienza improvvisa di come stiano andando veramente le cose per lei, oppure per chissà quale altro motivo, all’improvviso, contravvenendo ai suoi ordinari comportamenti, di colpo si mette seduta nella sua stanza, restando per qualche minuto quasi immobile; e giusto dopo avere appoggiato le sue borse sul tavolo, una volta rientrata a casa dal lavoro, e sentendosi esausta da tutto ciò di cui si è dovuta occupare, si concentra, come mai le è capitato, ad osservare di fronte a sé qualcosa di apparentemente ordinario, come la pioggia fine di primavera di questo pomeriggio, o anche le nuove foglie verdi di una pianta sopra ad un balcone di fronte, tenendo le mani a riposo distese sul tavolo, senza avere più né la volontà e neppure la forza di occuparsi di altro.
Allo stipite della finestra una piccola sconnessione dell'intonaco, mai notata prima, pare improvvisamente il profilo di qualcosa che tende verso l'aria; o che magari sembra un elemento che stia lì ad indicare qualcosa di significativo ed anche sfuggente. Lei apre i vetri, guarda l'aria fresca e pulita del pomeriggio, ascolta il rumore leggero del traffico lungo il viale poco più avanti. Qualcuno allora sembra chiamarla dalla strada giù in basso, così lei si volta, guarda verso un lato del suo campo visivo, ma non stanno cercando di lei, sono soltanto dei ragazzi che giocano, qualcosa che appare del tutto normale, ma anche un elemento del quale lei forse non si sarebbe mai accorta.
Rientra, e di colpo sente di avere perduto qualcosa, sicuramente qualcosa di una certa importanza, così torna ad affacciarsi a quella finestra, ed a sorridere a tutto ciò che riesce a vedere. Un uomo da un terrazzino la nota: buonasera le dice, e lei gli risponde con tutta l’allegria che riesce ad avere. Poi torna ad osservare lo stipite, che adesso sembra quasi cambiato, come fosse un’orma scolpita nella muratura di un palazzetto anonimo come quello, a mostrare qualcosa di impalpabile ed insieme necessario. C’è da mettere a posto le cose, pensa di seguito; ci sarebbe da preparare la cena, naturalmente dopo essermi lavata accuratamente le mani, ed indossare qualcosa di comodo, poi il grembiule per evitare le macchie, e dare una ravviata all’appartamento rimasto deserto da stamattina; ci sarebbe da pulire anche il bagno, vuotare la lavastoviglie, controllare che la lavatrice abbia completato il suo ciclo, tendere i panni sopra al balcone, controllare che tutto sia in ordine, che non abbia dimenticato qualcosa, ed infine decidere che cosa mettermi a cucinare.
Torna a sedersi: nessuno si occuperà mai di quelle minime cose al suo posto, riflette; tanto vale affrontarle come assolutamente necessarie, come cose da fare, e basta così. Magari potrebbe fare tutto quanto solo con un po’ più di calma del solito, apprezzando qualche passaggio, e forse tornando a guardare lo stipite che adesso lei non riesce proprio a capire che cosa mai le ricordi. Forse non le rammenta un bel niente, se ci pensa davvero; o forse addita tutto ciò a cui lei sostanzialmente ha già rinunciato da tanto.


Bruno Magnolfi 

giovedì 21 aprile 2016

Astrazione obbligatoria.



Non mi sento troppo bene in questo ultimo periodo, dico agli altri una sera che stiamo assieme; è come se all’improvviso non trovassi dentro di me alcuna volontà per mandare avanti le cose in cui ho sempre creduto. Non è possibile, mi rispondono subito tutti quanti: devi procedere, mostrare ancora il tuo evidente valore, dare un seguito chiaro a quanto sei riuscito a fare almeno fino adesso. Non ha più senso, dico, credetemi davvero; non è niente quello che ho cercato di fare in tutto questo lungo periodo della mia vita: mi sono sbagliato, questo è il punto, forse non ho mai avuto alcun talento, probabilmente non riesco nei miei lavori a trasmettere più niente, se mai ci sono riuscito qualche volta; e poi negli ultimi tempi è anche arrivato qualcuno con piena ragione a dirmi che se pure non avevo certo combinato qualche danno, in ogni caso nulla di mio era stato recepito dagli altri come davvero utile, tanto che tutto ciò che mi è riuscito di mettere insieme con fatica è soltanto un risultato buono appena per essere passato in fretta nel dimenticatoio.
Sono quasi increduli loro, hanno persino delle espressioni strane, però sembrano accettare poco per volta l'opinione che ho cercato così di esprimere, ed in breve riescono anche a convincermi, senza neppure rendersene conto, che probabilmente non aspettavano altro che sganciarsi da quei complimenti e da quelle lusinghe che hanno sempre avuto per il mio lavoro; ed improvvisamente nutro il sospetto che forse si sentivano addirittura costretti in qualche modo ad esternare quegli aggettivi che usavano, ma soltanto per acquiescenza o anche giusto per una abitudine assodata oramai nei miei confronti. Basta appena un attimo, un piccolo periodo, una volta affrontato e risolto tutto questo argomento, e nessuno poi sembra volermi chiedere più niente, tanto che la mia scelta di smetterla una volta per tutte con la mia attività appare pienamente rispettata, al punto che ciò in cui ho cercato di impegnarmi così a fondo fino ad oggi, in questo momento sembra addirittura non sia neppure mai esistito.
Così mi viene da ridere riprendendo a dipingere da solo senza farlo presente neanche agli amici miei più stretti. Anzi, proseguendo con loro a dichiararmi esausto, addirittura incapace di riprendere persino parzialmente quella mia attività di sempre, vengo adesso quasi compreso, interpretato forse appieno. Ho chiuso, dico a tutti, c’è soltanto da farsene una santa ragione. Così non c’è più nessuna richiesta di opinioni, niente più scambio di posta elettronica previa scansioni antipatiche e mortificanti, nessuna piccola mostra degli ultimi lavori fatta agli amici e conoscenti all’interno del mio piccolo studio. Solo immagini mie, private, indivulgabili: disegni senza scopo, colori da scegliere senza alcuna preoccupazione, libertà completa priva di alcun subdolo e strisciante asservimento psicologico a qualcun altro giudicante.
Come va? mi chiede un conoscente. Benissimo, dico: da qualche giorno mi sento molto meglio, i miei malesseri di poco tempo fa mi hanno abbandonato completamente. Sto bene, ecco il punto, non sento necessità di nulla e tutto mi pare vada oltre senza grandi impedimenti. Ma dei tuoi lavori di un tempo cosa pensi ora di farne? Non so, rispondo sibillino; magari mi deciderò a regalare tutte le tele solo a chi ha mostrato indubbiamente di apprezzarle. In questo modo qualcuno torna a farmi visita, altri chiedono di rivedere qualcosa che ho dipinto nel passato, ed alcuni addirittura chiedono di poter acquistare a poco prezzo qualche mio lavoro. Chissà, penso tra me, in fondo farsi un nome certe volte dipende proprio e unicamente da come riesci a comportarti: forse non c’è niente di male nel negarsi a tutti, però sembra un’ironia che la scoperta del valore di qualcuno passi proprio dalla sua astrazione nei confronti di ogni altro.


Bruno Magnolfi

martedì 19 aprile 2016

Pesi e misure.

           
            Le cose devono cambiare, non c’è più alcun dubbio. Qualcuno si accalora al solo parlare di argomenti del genere, in diversi invece si limitano a fare soltanto delle ironie, mentre altri poi sorridono e basta, magari subito dopo aver ascoltato dalla voce alta dei più spiritosi qualche sagace battuta di spirito. Al solito caffè della sezione di partito dove loro si ritrovano, ci sono serate in cui non si fa praticamente altro che questo, salvo le volte in cui invece tutti si trascinano in giro con le mani sprofondate dentro le tasche, quasi senza parlare, al punto che pare proprio nessuno abbia voglia nemmeno di ascoltare altri discorsi che secondo la loro opinione non portano necessariamente da alcuna parte. Il disinteresse in questi casi è evidente: non c’è bisogno di discutere ancora di cose di quel genere, sembra suggerire qualcuno, tanto non sarà certo da qui che partiranno i cambiamenti di cui tutti sentono il bisogno. Così basta abbassare per un attimo i toni, smorzare un po’ le frasi, e tutto improvvisamente sembra perdere quell’importanza che un attimo prima appariva quasi fondamentale.
            Certe volte arrivano anche i soliti tre o quattro che sono aggiornati sempre su tutto, e non gli puoi neppure dire mai alcuna minima cosa, perché in un attimo ti coprono di parole seccate sparate a voce alta, che spesso lasciano gli altri persino senza più possibilità di controbattere. Non va bene, dice uno di noi, con tono fermo. Gli altri si voltano: la sua frase sembra soltanto una maniera per ridere di qualcosa, una volta che è stata pronunciata, però lui è serio, continua a guardare i tizi che ha di fronte con grande intensità e sembra proprio voler tenere la propria posizione. Che cosa non va bene, gli chiedono. Lui prende tempo, si volta, si avvicina ad un tavolino, poi d’improvviso dice che non è più il caso di dire scempiaggini tanto per dire. Le cose sono serie, aggiunge, non possiamo essere noi i più superficiali di tutti quanti.
            Così anche quell’argomento viene subito archiviato con grandi pacche sulle spalle ed offerte di caffè al bancone, ed in questa maniera velocemente si passa ad altro. Ma che le cose siano tutte in bilico è evidente oramai a tutti, e che le scelte affrontate oggi avranno sicuramente un peso effettivo tra pochissimo, è talmente chiaro che se anche si spara qualche affermazione, subito si aggiunge con timore che comunque sia quella è soltanto un’opinione personale. In questo modo si tira avanti cercando la rotta giusta in un mare forse troppo burrascoso, ed alla fine la scelta del silenzio per molti appare spesso la migliore.
Infine a tarda sera ognuno se ne va per i fatti propri, salutando con cortesia amici e conoscenti, e magari mentre cammina spera dentro di sé per il prossimo futuro che giungano velocemente momenti anche migliori di quello attuale: qualcuno poi mentre se ne sta sopra al marciapiede ancora si trattiene con altri a scambiarsi le ultime opinioni, ma è evidente che sono cose che ormai non potranno più avere un qualche peso.

Bruno Magnolfi

            

domenica 17 aprile 2016

Interferenze minimali.

           

            Proprio in questo momento, con le dovute accortezze, si stanno scrivendo delle relazioni continuamente aggiornate proprio su di lui, su questo personaggio così timido e sfuggente, un uomo che oltre queste evidenze non ha neppure altre caratteristiche, ma che vengono comunque corredate perfino con tanti piccoli filmati proprio indirizzati ad indagare sui suoi comportamenti e su quegli ordinari modi che ha di fare e di muoversi, arrivando a dettagliare le maniere che adotta per interagire con gli altri. Lo scopo finale di tutto quanto è solo e semplicemente quello di avere una visone completa e realistica delle cose, proprio per prepararsi a quanto magari potrebbe avvenire.
            C’è già stato chi ha avuto da lamentarsi di tutto questo interesse verso una sola persona che secondo alcuni non meriterebbe neanche tanti riguardi, ma in generale quasi tutti sono convinti che se mai ci sarà un risultato positivo da tutto un lavoro del genere o da altri simili, questo lo si tirerà fuori soltanto da alcune metodologie di indagine che generalmente vengono adottate in casi proprio ed esattamente di questo genere. Perciò si prosegue, indubbiamente, e nelle giornate più tranquille, in questo modo, è già risultato con grande evidenza che lui normalmente tende a muoversi con calma, in una maniera, si potrebbe persino dire, del tutto naturale, senza sforzare mai troppo i suoi arti superiori e neppure quelli inferiori nelle attività che si trova quotidianamente ad affrontare; ma, al contrario, durante i momenti del giorno giudicati più neri ed avversi, le cose per lui paiono cambiare completamente di significato, e la realtà sembra farsi rapidamente più densa di elementi difficilmente interpretabili, tanto che spesso si è già ricorsi a chiedere degli illuminati pareri ad uno studioso specializzato in questa materia.
            Pare sia nervosismo, si dice e si scrive alla fine di quasi tutte le relazioni, anche se c’è naturalmente chi cerca di negare addirittura un’evidenza del genere. Per questo si prendono in esame i piccoli documentari al riguardo, e si scandaglia con una certa meticolosità qualsiasi elemento possa scaturire anche da una visione distaccata e soprattutto neutrale. La commissione designata nel compilare un dettagliato responso sul materiale accumulato fino adesso, indicando naturalmente quali strategie usare nel futuro più prossimo, sembra convinta che tutto quanto questo organismo sociale che pare costantemente girargli attorno, sia esattamente, in qualche maniera, il semplice ostaggio delle sue diverse sfuriate, e proprio per questo del tutto inaccettabile.  
            Infine lo si affronta direttamente, il personaggio oggetto di tutto questo interesse, ed un operatore scelto appositamente per interpretare il ruolo dell’intervistatore, lo ferma improvvisamente per strada, chiedendogli, naturalmente con l’ausilio di un finto microfono che in realtà ne nasconde uno vero ma molto più piccolo di dimensioni, cosa mai ne pensi della realtà. Lui si schernisce: forse non pensa, potrebbe dire qualche malizioso; oppure persino: non è neanche abituato a farlo, c’è soltanto da comprenderlo. Ma infine dice: lascio che tutto accada, senza minimamente interferire. I due naturalmente a questo punto si sorridono: l’intervistatore non è neppure preparato per affrontare una risposta del genere, e quindi non sa neanche come riuscire ad andare avanti, e lui al contrario lo guarda senza esagerazioni, come se cercasse addirittura una condivisione su ciò che ha appena finito di sostenere.  
            I due si salutano, le telecamere del quartiere e quelle allestite appositamente per riprendere il personaggio sfumano a questo punto sulla sua immagine: lui riprende a camminare come sempre, la medesima andatura di ogni volta, l’espressione di sempre sopra la faccia, la stessa direzione di ogni giorno per la sua passeggiata; eppure a nessuno sfugge che qualcosa sia inevitabilmente cambiato.


            Bruno Magnolfi

giovedì 14 aprile 2016

Miglioramenti possibili.



Io vedo i fantasmi. Loro si dimostrano sempre molto timidi, sfuggenti: tu volti lo sguardo e quelli escono subito di scena. Inizialmente pensavo addirittura fossero soltanto dei riflessi prodotti dai miei occhiali, sfumature di luce al bordo del mio campo visivo. Immaginavo anche qualcosa ai miei occhi, un’infiammazione alla retina, oppure un altro problema del genere. Ma poi mi sono dovuto arrendere all’evidenza, ed eccole là, quelle figure chiare e leggere che hanno iniziato poco per volta a dar conto di sé, forse rompendo definitivamente quegli indugi che mi era parso avessero avuto agli inizi. Da ormai qualche giorno io mi volto di scatto, e quando meno me lo aspetto loro, queste figure semitrasparenti, con tutta la tranquillità del mondo si lasciano quasi osservare da me, magari soltanto sulla soglia di una porta proprio quando stanno rientrando dentro una stanza, oppure mentre sembra stiano addirittura sfuggendo dietro qualche angolo. Le vedo giusto un attimo, per un solo istante, e poi quasi più niente, se non una debole luce nell’aria, ma loro sanno benissimo ogni volta che sono stato capace di avvistarle, e di distinguerle a volte persino con una certa chiarezza, anche se giocano continuamente a nascondersi. Le sento addirittura ridere un po’ sottovoce, in certi casi, come si stessero divertendo forse proprio del mio stupore, ma subito dopo lasciano sempre dietro al loro apparire soltanto il silenzio.
Poi cammino lungo il solito corridoio, guardo qualcosa davanti a me senza chiedermi niente, ed uno di questi fantasmi vestito di azzurro pare improvvisamente aspettarmi appoggiato ad una parete, voltato di fianco. Mi fermo, a poca distanza, attendo per un momento che se ne vada come ogni volta, però questo fatto adesso sembra proprio non voglia accadere: il fantasma continua a starsene li, e pare quasi sfidarmi ad andargli maggiormente vicino, forse per mostrarmi tutta la sua incorporeità, oppure per chiarire una volta per tutte che lui può fare tutto quello che in questo momento gli vada. Cosa vuoi, gli chiedo a voce un po’ alta, nascondendo un certo timore che improvvisamente mi sta quasi condizionando. Quello allora si gira completamente verso la mia posizione, mi guarda dritto negli occhi e in un attimo io mi sento praticamente quasi un'altra persona, come se all'improvviso qualcosa mi avesse cambiato: un fluido, una radiazione, non saprei; forse soltanto l’effetto di un momento talmente forte e suggestivo da togliere il fiato.
Poi il fantasma allarga le braccia, sembra quasi voglia che io vada da lui, che mi perda nella sua trasparenza, in questa sua assurda immaterialità, ma io non mi muovo, non voglio affatto confondermi con cose che alla fine neppure comprendo. Allora è lui che viene verso di me, si muove lentamente, pare quasi sfidarmi, mi tiene fermo con il suo sguardo magnetico, sicuramente è convinto di poter fare di me ciò che vuole. Ma io resto fermo e non cedo, e infine mi volto, lo ignoro, gli indico in qualche maniera di rimanermi lontano. Quando torno a girarmi quel fantasma ormai non c'è più. Mi guardo attorno, osservo ogni angolo, scruto qualsiasi possibilità, ma di lui non è rimasta più alcuna traccia. Mi dispiace, rifletto allontanandomi; forse non dovevo essere così sprezzante come mi sono dimostrato. In fondo non c’era niente di male in quello che cercava di fare, sicuramente se in tutto questo c'è una colpa è la mia, che non ho saputo apprezzare adeguatamente il suo gesto. Non so, rifletto ancora, forse si verificheranno delle altre possibilità, probabilmente ci sarà da affrontare anche altri casi, e magari riuscirò a comportarmi in modo estremamente diverso, e ad essere migliore di così come sono stato quest’oggi; adesso che ci penso con calma, poi, ne sono praticamente quasi sicuro.


Bruno Magnolfi

martedì 12 aprile 2016

Piano debole.

            

            Mentre se ne sta in coda allo sportello bancario, l’occhio elettronico di una telecamera piazzata in alto lo segue. Lui potrebbe avere in tasca una qualche arma impropria, magari un semplice taglierino, e con quello minacciare d’improvviso la giovane cassiera, farsi consegnare velocemente tutti quei bigliettoni che lei tiene nel cassetto davanti a sé, e poi scappare via dalla porta di entrata, senza che praticamente nessuno si possa quasi rendere conto di niente.
In seguito forse sarebbe sufficiente per lui rasarsi i capelli, oppure farsi crescere la barba, magari indossare un paio di grandi occhiali da vista, assumere una camminata leggermente claudicante aiutandosi presumibilmente con un appropriato bastone, e tutti i sospetti sarebbero dissipati rapidamente, fino al punto da avere la possibilità di costruirsi addirittura un’esistenza diversa. In ogni caso tutto potrebbe svolgersi in pochi minuti, quasi un battito di ciglia, ma le variazioni innestate sarebbero tali da allungarsi per tempi estremamente più lunghi.
In precedenza a lui non è mai accaduto di avere dei pensieri del genere, e poi se anche talvolta non si è forse comportato da vero cittadino modello, indubbiamente fino ad oggi quando gli è capitato di infrangere qualche banale legge dello stato, è risultato soltanto per piccole cose del tutto irrilevanti, ordinarie sciocchezze senza alcuna importanza, tanto che non ne è scaturita mai nessuna conseguenza. Soprattutto per questo motivo, con ogni logica, lui adesso si ritrova in una fase di estrema incertezza. Si tratta di dare un colpo decisivo a tutto il passato ed affrontare così all'improvviso qualcosa di nuovo. Ma non è facile: qualsiasi variazione tra le sue consuetudini potrebbe anche essere un trauma, e magari risultare soltanto un elemento indesiderato.
Una signora dietro di lui sembra sbuffare per quell’afflusso improvviso di gente nell’agenzia della banca, ed anche se tutti adesso sembrano ben ordinati ed estremamente corretti nel conservare le loro posizioni in quella fila, di fatto, a guardarli bene uno per uno, sembrano estremamente contrariati da quell’attesa e da quelle lungaggini. Lui si guarda attorno, non vorrebbe apparire nervoso come altri, così sorride a qualcuno che neppure lo guarda in fondo al lungo corridoio su un fianco della sala, e poi torna velocemente, per una pura azione riflessa, a riguardare le insulse carte che continua a tenere tra le sue mani. Avverte un leggerissimo sibilo nell’aria, e immagina sia l'occhio elettronico nella sua attività di memorizzazione di tutte le immagini monotone che si susseguono. Ma tutto gli pare improvvisamente soltanto una grande ironia.
Infine la persona di fronte gli sembra abbia finalmente terminato, ed adesso senza ombra di dubbio sta proprio a lui: così tentenna un momento, poi si avvicina allo sportello, sorride alla cassiera, cerca qualcosa con fare distratto dentro le tasche. Quella velocemente gli chiede: deve versare o ritirare dal suo conto? Lui si trova momentaneamente impreparato, si guarda un attimo attorno, immagina la signora rimasta dietro mentre sta forse ancora sbuffando, e alla fine dice solamente: devo ritirare, una piccola cifra, se non le dispiace. L’impiegata digita qualcosa, una macchina subito si muove, arriva in un attimo un foglio appena stampato, passa sotto al vetro blindato insieme alla penna per apporre la firma, lui compie tutto ciò che gli viene testé suggerito, poi tira fuori il taglierino che era pur cosciente di avere nascosto da qualche parte.
Niente, dice tra sé, questo adesso non ha più alcun valore; così intasca i pochi soldi che gli vengono consegnati, ripone tutti i suoi oggetti ed anche quell’inutile lama, infine saluta, e poi esce con calma, come tutti, da quegli uffici bancari. Sarà per la prossima volta, pensa; tanto ci sarà tutto il tempo necessario per studiare un piano più dettagliato.


Bruno Magnolfi

venerdì 8 aprile 2016

Oltre misura.

            

            Attendo a lungo il mio turno dietro alla porta richiusa, poi vengo chiamato per numero ed entro così nel piccolo ufficio, stringo velocemente la mano all’impiegato di turno che mi getta soltanto una rapida occhiata, e infine mi siedo davanti alla sua scrivania, mascherando, con un contegno il più possibile dignitoso, un leggero filo di tensione che inevitabilmente mi prende. Lui con calma ed in silenzio osserva qualcosa sopra il suo schermo, digita forse dei codici a lui noti, e magari attende che gli appaiano dei dati che molto probabilmente riguardano me.
            Tanto per rompere il silenzio gli chiedo con voce bassa se il colloquio per il quale sono stato convocato durerà a lungo. Lui mi guarda un momento, fa subito partire qualcosa sulla stampante alla sua destra, poi dice: quale colloquio; a me è già sufficiente che mi riempia in questo momento e da solo il questionario che adesso ho da darle. D’accordo, dico subito, con un leggero imbarazzo per non aver compreso la situazione, ed immediatamente prendo quei fogli che lui mi allunga sul piano chiaro della sua scrivania. A seguito mi porge anche una matita poco appuntata, e poi dice senza guardarmi che posso sistemarmi sul tavolinetto di fianco. 
            Mi alzo, torno a sedermi sull’altra sedia, poi osservo quelle carte che ho in mano, e mi rendo subito conto che risultano fitte di una scrittura a caratteri piccoli e composte da parecchie domande, tanto che ho un moto quasi spontaneo di repulsione dal quale naturalmente cerco di prendere immediate distanze. Vorrei anche chiedergli qualcosa ancora prima di iniziare, tanto per capire se devo davvero rispondere a tutto quanto quel questionario, oppure se posso saltarne almeno una parte; ma considerato che questo impiegato si è subito rimesso a digitare qualcosa sulla sua tastiera, disinteressandosi completamente di me, preferisco non interromperlo, tanto per non mettermi ulteriormente in una luce poco favorevole.
            Passano i minuti, mi sento perfino la fronte sudata, le domande mi paiono complesse e tutte un po’ ambigue, così rispondo ai diversi quesiti in maniera direi approssimativa, addirittura tralasciandone alcuni sui quali mi sento assolutamente impreparato. Ne soffro, penso che forse potrei spontaneamente mettermi a piangere per questo, ed improvvisare una crisi di nervi che forse, giocando bene la parte dell’emotivamente instabile, mi rilasci maggiori possibilità, ma in fondo mi pare una trovata di pessimo gusto, e così la scarto a priori. Facilmente verrò giudicato un idiota, rifletto, uno che non riesce nemmeno a distinguere gli elementi basilari della propria esistenza, ma dopo un lasso di tempo per me interminabile, decido che adesso non ha più alcuna importanza, visto che queste risposte saranno soltanto un ulteriore pezzetto da inserire tra i dati che sono già dentro ad una minuta porzione di memoria elettronica a me dedicata.
            Ho fatto, dico infine all’impiegato che immagino adesso sia stato completamente assorbito da un videogioco. Lui sembra sorpreso, mi guarda un attimo, prende i fogli che adesso gli porgo, li guarda ed a seguito sa solo dire: manca la data e anche i suoi dati personali al fondo dell’ultimo foglio; lo completi, altrimenti non potrò prenderlo in carico. Scrivo velocemente le cose richieste che immaginavo fossero già inserite da qualche parte, poi scusandomi ancora gli dico senza tornare a sedermi che adesso dovrei proprio andare. Va bene, fa lui, ma non gli interessa avere un risultato da quanto ha prodotto? Non lo so, dico io, adesso vorrei solo andarmene, e se devo essere proprio sincero, non capisco neppure come sia finito qua dentro nè per quale motivo. D’accordo, mi dice, però quando esce da qui richiuda bene la porta dietro di sé: ci sono persone che trovando un uscio socchiuso sarebbero capaci di qualsiasi espediente per approfittarsene.


            Bruno Magnolfi 

martedì 5 aprile 2016

Sufficiente così.

        
Lei pensa, anche se forse non dovrebbe neanche farlo. Tutt’ossa com’è, ormai alla sua bella età, si rannicchia sulla sedia e poi se ne sta da una parte, in silenzio, senza disturbare nessuno. Gli altri si muovono, camminano, parlano, vanno e poi tornano, e lei è sempre lì, con lo sguardo nel vuoto. Nessuno le chiede quasi più niente, se non raramente, e lei risponde soltanto con un gesto del capo e mezzo sorriso. Tutti immaginano che abbia tali ricordi dentro la testa capaci di tenerla occupata per tutto quel tempo, ma non è esattamente così. Nella sala da pranzo lei si sistema sempre allo stesso posto del medesimo tavolo, accanto ad una finestra che guarda il giardino, e mangia quello che c’è con una calma estenuante, tanto da farsi portare via il piatto anche se qualche volta non avrebbe neppure finito. Qualcuno la crede scostante, però sbaglia.
I suoi personaggi si muovono lentamente davanti ai suoi occhi, e lei studia le scene, riflette a fondo persino i costumi, e cambia le espressioni delle facce di tutti, quando si accorge che non sono opportune. I testi sono quasi sempre gli stessi, ma le battute vengono pronunciate in mille maniere diverse, lasciando scaturire da quelle poche parole che ripassa nella sua testa, significati ogni volta differenti. In genere agli inizi sono stati soltanto dei vecchi ricordi della sua smisurata passione teatrale, ma col tempo si sono ormai  talmente modificati, a forza di essere ripercorsi soltanto mentalmente, da avere mutato completamente di senso, ed essere diventati qualcosa di nuovo, di diverso, di inusitato.
Qualcuno del centro anziani che conosce almeno in parte quel suo interesse, certe volte le chiede qualcosa, se sia già stato aperto il sipario, per dire, o se gli attori stiano ancora provando le parti, ad esempio; ma lei in genere getta un’occhiata da qualche parte e poi lascia in aria un sorriso, riprendendo subito con grande pazienza la sua difficile attività tutta mentale di regista e scenografa.
Infine in un giorno qualunque arrivano tre strampalati di un’associazione nata per intrattenere i degenti. Hanno in mente di recitare alcune scenette, roba leggera, senza troppo impegno, soltanto qualche testo scolastico ulteriormente accorciato e semplificato. Lei si piazza seduta, lascia che si inizi, segue ogni cosa con grande attenzione, ma dopo il primo quadretto un suo conoscente girandosi verso di lei le chiede con voce alta se le sia piaciuto.
Allora, così tremolante e smunta com’è, lei si alza, va su quel piccolo palco improvvisato, fa spostare un attore, gli dice qualcosa con voce bassa, spiega ad un altro come essere maggiormente espressivo, fa togliere una giacca di scena e piazza una sedia più vicina agli astanti. Infine si siede e lascia che la recita riprenda il suo corso. Tutto si fa più attento e preciso, i deboli attori si impegnano al massimo, gli anziani seguono con attenzione ogni dettaglio. Quando termina tutto, gli applausi sono spontanei, i residenti del centro hanno apprezzato, anche se qualcuno guarda dalla sua parte con sufficienza, fino a chiederle con un sorriso quasi di scherno chi mai si creda di essere. Non sono niente, fa lei sottovoce in risposta; il mio nome è Lucia, e basta così.


Bruno Magnolfi

venerdì 1 aprile 2016

Pagine insulse, quasi interessanti.



Non me lo sarei mai immaginato, dico io approfittando di una pausa mentre tutti gli altri sembrano subito seguire con grande interesse le mie parole. Il fatto è che, per una combinazione di cose tra le quali l’essermi ritrovato del tutto casualmente in questa libreria, mi sono improvvisamente alzato in piedi in mezzo ad una ventina di persone intervenute ad ascoltare la presentazione di un nuovo libro da parte del suo autore, ed a prendere la parola come se proprio avessi da dire qualcosa di importante in merito. Invece non conosco né il libro, né chi lo ha scritto, e di questo argomento appena accennato dall'autore, so esattamente quello che ne può sapere chiunque altro. Così immagino non mi resti che giocare sull’ambiguità, azzeccare nel mio discorso qualche parola vaga magari dall’apparenza significativa, e sperare di essere forse interrotto da qualcuno, in modo da intavolare un battibecco che in certe situazioni funziona sempre. Certe volte si verificano dei fatti, riprendo a dire mentre gli altri mi ascoltano in silenzio, compreso lo scrittore del libro che mi guarda addirittura con un certo interesse. Dei fatti quasi inspiegabili, dico, tanto che si è portati a pensare che tutto quanto sia costruito ad arte per farci cadere in un tranello.
Ma no, dice lui interrompendomi, non dovete affatto pensare questo: quanto ho cercato di descrivere nel libro è soltanto frutto delle mie idee riguardo all'argomento, ma non ci sono sotterfugi, non c'è niente che ho cercato di far passare come vero pur sapendo essere falso. Silenzio. Va bene, riprendo io, eppure solo osservando i colori della copertina di questo libro se ne trae facilmente un preciso senso di ambiguità. Altro silenzio. Ma i colori non li ho certo scelti io, fa lui con un mezzo sorriso sulla faccia. Me ne compiaccio, ribatto subito, ma probabilmente chi ha operato queste scelte ha forse cercato di interpretare in qualche modo il contenuto delle pagine.
Non è possibile, fa lui alzando leggermente la voce; ho impiegato tre anni di vita per scrivere questo libro, ed adesso devo all’improvviso rendermi conto di come tutto il mio lavoro venga giudicato soltanto sulla base dei colori di una copertina? No, non è così, fa qualcuno, gli argomenti sono tanti, e questo testo è complesso, si dovrà parlarne a lungo per averne un’idea precisa. Va bene, dico ancora io alzandomi di nuovo in piedi; ma in ogni caso si percepisce velocemente che qualcosa sfugge ad una normale comprensione: è come se dentro al testo si fosse voluto in qualche modo tentare di avvalorare qualcosa di indifendibile. L’autore abbassa il capo a questo punto, poi apre una pagina a caso, e forse per troncare qualsiasi discussione a lui nefasta, inizia a leggere qualche riga con un incredibile trasporto.
Quando smette prova forse il profondo desiderio che qualcuno inizi ad applaudirlo, ma questo purtroppo non succede. Si crea perciò un’altra imbarazzante pausa di silenzio. Non lo trovo adeguato, dico io senza più neanche rivolgermi direttamente a lui, che si cerchi di dare un senso quasi epico ad un testo che non riesce neppure ad essere realistico. Mi pare che la lettura delle frasi di questo libro debba essere effettuata senza tutta questa enfasi, ma quasi come fosse un discorrere del tutto naturale. Silenzio. Va bene, dice l’autore, allora adesso lascio circolare il libro tra le mani di tutti, ed ognuno, seguendo il segno, potrà a suo piacimento e con voce alta dare alle parole l’intonazione che maggiormente desidera e che gli sembra più adeguata. Qualcuno inizia effettivamente a leggere, ma in questa fase io mi alzo dalla sedia senza fare troppo rumore, e mi sfilo via dagli altri, fino a salutare con un sorriso la commessa dietro il banco, per poi uscire definitivamente dalla libreria. In fondo non c’era niente di divertente in tutto questo, penso. In seguito però potrei addirittura tornare indietro ed acquistare il libro, immagino. Forse solo perché qualcosa di particolarmente interessante è possibile trovarlo persino in mezzo a tutte quelle pagine sicuramente curate e anche ben scritte. O magari soltanto per curiosità.


Bruno Magnolfi