giovedì 30 settembre 2021

Sostegno per me.

 

            Quando sono da sola nella mia stanza, mi prendono mille dubbi. Metto le cuffie allora, accendo il mio pianoforte elettronico, e poi metto giù alcune note e qualche accordo, con molta calma, tutto lentissimo, meditando ogni singolo suono che esce dalle mie dita. Non so bene verso dove io stia dirigendo tutte le mie energie, e la paura che provo di sbagliare completamente direzione certe volte quasi mi paralizza, mi rende incapace di sentire ancora in me quell’entusiasmo che è riuscito così bene a trascinarmi in avanti almeno fino adesso. Tra poche settimane si terranno gli esami di ammissione al Conservatorio, sono pronta a sostenerli, nonostante non sappia più neppure se sia davvero questo ciò che desidero intraprendere. Non posso neanche affrontare con Lorenzo un argomento del genere, so che mi influenzerebbero troppo le sue opinioni, così sono già diversi giorni che non gli rivolgo neppure la parola, nonostante sia il mio compagno di banco al liceo. Lui non insiste con me, sa come sono fatta, e mi accorgo benissimo del suo profondo rispetto per il mio silenzio. Però sta accanto a me, e certe volte mi piacerebbe voltarmi di scatto e poi baciarlo mentre lo guardo dentro gli occhi, lasciando a lui tutte le decisioni da prendere, quasi annullandomi. Potrebbe persino essere il mio ragazzo, se mai provassi il desiderio di averne uno.

            Ieri ho incontrato Simone, il figlio della nostra cuoca, mentre sostava qua davanti aspettando sua madre. Io stavo rientrando, ero quasi davanti al cancello di casa mia, e lui mi ha chiesto qualcosa sui miei studi di pianoforte, tanto per dire qualcosa, e a me guardandolo è venuto improvvisamente quasi da piangere, non sapendo proprio come parlargli, cosa rispondere, quali spiegazioni tirare fuori, come se il mio linguaggio all’improvviso fosse incomprensibile, a lui come a tutti gli altri. Simone ha notato subito il mio sconforto, perciò mi ha detto soltanto che non dovrei abbattermi, che ho del talento, che devo andare avanti, insistere, senza preoccuparmi d’altro. L’ho ringraziato, gli ho chiesto scusa, poi sono rientrata. Certe volte penso che questo per me sia uno dei periodi fondamentali. Da ciò che decido forse cambierà totalmente il mio futuro, ma non è che mi manchi la convinzione in ciò che desidero per me. Soltanto ci sono delle cose che mi sfuggono, a cui non so dare un seguito tra tutti i miei pensieri. Ma in fondo, pur con qualche incertezza, so che non vorrei fare a meno di nulla, e mandare avanti comunque ogni interesse, senza abbandonare alcun progetto. Così, quasi d’impulso, appena in casa, ho subito telefonato al caro maestro Bottai, e gli ho detto che dalla prossima settimana riprenderò ad andare a lezione da lui.

            Mia madre ha capito benissimo che sto attraversando un periodo complicato, e non insiste, non mi chiede niente, lascia che io faccia tutto da me sola. Chi mi preoccupa è mio padre, intransigente in tutte le sue cose, che tollera a malapena che io sappia suonare il pianoforte, secondo lui soltanto un passatempo, e che vorrebbe vedermi laureata magari in Legge, ad inseguire una carriera proprio come la sua, di affarista e incantatore di serpenti. Devo scegliere il futuro, anche se sono sicura già da adesso che dovrò compiere errori e passi falsi, prima di avere chiara la mia prospettiva. Poi ho iniziato a suonare qualcosa su una scala modale, spingendola così al limite da farle quasi perdere il centro tonale. Mi sento sempre più intrigata dai percorsi ardui, dalle scelte complesse, dall’espressione del carattere nelle cose a cui mi applico. Forse le mie opinioni mancano di maturità, devono ancora scontrarsi con la realtà vera, con ciò che agli altri forse è già evidente, ed anche suonare il pianoforte per qualche sparuto appassionato, piuttosto che avere davanti una platea di gente, potrà mostrare solo in seguito la profonda differenza nel percorso.

            Mi alzo e spengo la tastiera. Esco dalla mia stanza, percorro il corridoio con un libro in mano, infine vado verso lo studio di mia madre. Sta lì, mi guarda, mi sorride. “Non dire niente”, penso; “non hanno importanza in questo momento le tue parole. Però ho bisogno di sapere che ci sei, che stai dalla mia parte, in qualche maniera, e che quando le cose si faranno più difficili, saprai guardarmi ancora come adesso, e mostrarmi di nuovo tutto il tuo sostegno”.

 

            Bruno Magnolfi      

martedì 28 settembre 2021

Fatti che non mi riguardano.

 

            Nel corso degli anni, da quando ho messo i piedi per la prima volta qua dentro, ho maturato un comportamento, soprattutto mentale, che a mio parere si dimostra il migliore per resistere a lungo alla monotonia deprimente data dallo scorrere di giorni lavorativi identici l’uno all’altro, come tante fotocopie. Annullo me stesso, osservo le cose con gli occhi degli altri, ed anche se resto tutto il mattino nella mia solita postazione lungo il corridoio del piano terra di questo liceo, incoraggio sempre i ragazzi delle varie età che frequentano la scuola, nel venirmi a dire delle cose, anche le più sciocche o qualche volta anche assurde, che passano dalla loro testa. Conosco i liceali quasi tutti per nome, e certe volte chiedo a qualcuno come gli vadano le cose, tanto che quelli con cui ho più confidenza passano da me di propria iniziativa per parlare dei loro guai, oppure per confidarmi le storie che vivono, i loro problemi scolastici, o di famiglia, e molte volte anche per parlarmi degli attriti che purtroppo si registrano in classe tra loro e i compagni. Per tutti sono Mario, il bidello sempre presente in questa scuola, che forse ha un’età anche maggiore di quella dei loro genitori, ma che si comporta con ognuno dei ragazzi come fosse un fratello maggiore. Perché sono loro il mio mondo, ed io mi lascio assorbire interamente da quello che vengono a confidarmi.

            Durante l’orario delle lezioni, quando resto da solo al mio tavolo per rispondere ogni tanto al telefono, rifletto sugli aggiornamenti recenti che magari sono venuto a conoscere, senza che mostri mai interesse al pettegolezzo oppure ad una eccessiva curiosità, fornendo comunque ogni tanto, quando mi vengono richiesti, persino dei buoni consigli. Con qualcuno dei ragazzi naturalmente sono più in sintonia che con altri, ma ciò non toglie che nutra affetto per tutti, nessuno escluso. Il nostro istituto non è enorme, e gli alunni totali delle sezioni rientrano in un numero abbastanza contenuto. Certe volte viene Lorenzo da me, specialmente quando esce dalla sua aula per riprendere fiato durante l’orario di qualche insegnante pesante, e così, lungo il nostro corridoio un po’ anonimo, mi confida sottovoce quali siano gli ultimi sviluppi delle sue sperimentazioni musicali che affronta assieme al proprio gruppo di jazz. L’ultima volta poi mi ha spiegato che probabilmente entrerà nel loro quartetto un nuovo componente, una pianista con esperienza di musica classica, e che lui si sente addirittura entusiasta di questa possibilità, anche se mi ha riferito subito che non è una ragazza di questa scuola, e quindi non la conosco.

            A me fa molto piacere l’entusiasmo che Lorenzo mostra nelle cose che affronta, e spero davvero che tutto per lui proceda per il meglio. Non mi reputo molto intelligente, però ho un cuore e dei sentimenti, e certamente faccio il tifo per i ragazzi come lui, soprattutto per la loro intraprendenza. Ma oggi arriva questa ragazza, la signorina Neri, come la chiamo io, una tra le più timide e riservate che siano mai passate sopra questi banchi scolastici, e mi chiede se per favore io possa riferire a Lorenzo che lei sta ancora aspettando una sua risposta. <<Mi scusi>>, dico io, <<ma non potrebbe dirglielo di persona, visto che se non ricordo male siete anche vicini di banco?>>. Lei sorride senza guardarmi, dice che è soltanto un piccolo favore quello che mi chiede, giusto per evitarle di affrontare l’argomento in modo diretto con lui. Annuisco, anche se non comprendo del tutto il problema, però, mentre la ragazza si allontana, inizio a riflettere su quali possono mai essere le risposte che Lorenzo ha promesso di darle. Decido infine che proprio non lo so, o non ci arrivo, anche se alla prima occasione riporto al ragazzo esattamente quanto richiesto.

            Lui mi ringrazia, anche se sembra confuso, ed io naturalmente non pongo alcuna domanda, anche nell’attesa che sia direttamente Lorenzo, come è suo uso, a chiarire qualcosa su tutto quanto. Invece no, se ne va e poi basta, lasciandomi soltanto un grosso punto interrogativo. E’ soltanto questione di qualche giorno, penso tra me, poi in una maniera o nell’altra verrò certo a sapere tutto quanto, come sempre succede. E se proprio non sarà direttamente Lorenzo a venirmi a confidare cosa stia bollendo nella sua pentola, sarà magari qualcuno tra coloro che conoscono bene lui o la Neri a venirmi a dire qualcosa. E comunque non sarà certo Mario ad andare in giro a fare delle domande e a mostrarsi entrante, o peggio, curioso, dei fatti degli altri.

 

            Bruno Magnolfi   

domenica 26 settembre 2021

Opera aperta.

 

            Non si sono parlati molto nel corso degli ultimi giorni, pur essendo vicini di banco nella classe del liceo. Sarà perché nessuno dei due desidera vedere sciupata l’atmosfera di sospensione e di attesa che in questo momento si è creata, da quando hanno deciso di provare sul serio a suonare assieme, ed anche con gli altri ragazzi della formazione. Però è stato pubblicato da poco un trafiletto su un giornale locale che recensisce le sorti della serata all’interno del piccolo locale in cui si è esibito qualche giorno addietro il quartetto jazz di Lorenzo, e lui sul banco lo ha mostrato a Franca, quasi senza aggiungere alcuna parola. Lei lo ha letto subito con interesse, durante la pausa per il cambio di insegnante, approfondendo così qualche notizia che fino adesso le era parsa vaga. Si spiega là sopra, da parte del giornalista, come la musica ascoltata in quella sera affondi le proprie radici, pur con tante variazioni verificatesi in periodi più recenti, in ciò che è accaduto dopo gli anni sessanta, quando molti musicisti in ogni parte del mondo avvertirono un fremito di libertà soprattutto dai vincoli armonici e ritmici, inseguendo così dei nuovi modelli da sperimentare.  

            <<Si tratta di un processo musicale, quello ascoltato l’altra sera>>, prosegue quindi il giornalista nell’articolo, <<in cui il fluire delle note avviene tra i suonatori di questa band quasi per una sorta di telepatia, tanto si avvertono vicini e solidali i loro modelli, introducendosi insieme oppure a turno, ma quasi in punta di piedi, nell’arte sacra dell’improvvisazione, e ritrovando solo ogni tanto dei punti fermi melodici, ritmici o armonici, che in ogni caso non ne frenano affatto l’espressività>>. Per Franca è quanto di più bello ed invitante possibile il definire così, con poche e semplici parole, quel materiale musicale di cui ha ascoltato le registrazioni; un mondo sonoro a cui improvvisamente sente, ed ogni volta con maggiore intensità, il desiderio forte di contribuire personalmente con il suo pianoforte, nonostante la paura comprensibile di non essere all’altezza della situazione. Poi entra in classe l’insegnante di lettere, ed in lei le cose d’improvviso assumono un senso diverso, come se l’aspirazione alla libertà in quel tipo di musica avvertisse comunque la necessità improvvisa di regole, di studio, e di condizioni più concrete e precise, alla stessa maniera di come la storia del pensiero e della letteratura sia molto spesso da ricondurre a coloro che hanno sempre avuto le idee più chiare, ferme e definite, rispetto a tutti gli altri.

            <<Va bene>>, dice poi Franca a Lorenzo sottovoce; <<sono contenta che tutto questo stia davvero avvenendo, qualsiasi possa essere il risultato del nostro tentativo>>. Lui sorride e apre il quaderno dei propri appunti sopra al banco, proprio mentre l’insegnante Sarti, dietro la sua cattedra, intercetta, come peraltro era già accaduto altre volte, questa loro invidiabile sintonia, tanto che, anche per introdurre l’argomento previsto per la sua lezione del giorno, pone d’improvviso un interrogativo fondante proprio ai due ragazzi, riportandoli subito a riflettere, con le proprie capacità, su quanto la letteratura italiana abbia giocato un ruolo all’interno del romanticismo europeo, anche se quasi esclusivamente come anelito alla libertà dall’oppressione degli altri popoli sulla propria nazione. <<Credo che nel momento in cui un letterato, o in generale un artista, si ponga al servizio di un’idea diffusa e pressante data dal bisogno della libertà>>, dice Franca Neri adesso in piedi, con impeto, e quasi di getto, <<questo suo comportamento si mostri immediatamente come la chiave di volta più importante a cui è possibile dare un seguito; allo stesso modo in cui, ad esempio nella musica attuale, sia da ricercare per assolutamente encomiabile colui che sfugge per evidente scelta a delle idee puramente commerciali, come da parte di chi, avvertendo la costrizione del mercato imperante, ricerca il senso vero delle note che sta racchiuso all’interno del linguaggio sonoro>>.

            <<Benissimo>>, dice subito la Sarti; <<così in questa maniera abbiamo collegato rapidamente la storia della letteratura con gli argomenti segreti di cui la nostra alunna Neri si confida a volte con il suo compagno di banco>>. Qualcuno ride tra i ragazzi della classe, ma in fondo non c’è neppure molto di cui discutere, considerato che l’argomento principale sfiorato in queste tematiche, non risulta esattamente qualcosa da prendere troppo alla leggera. L’insegnante inizia così la sua lezione intorno alle spinte risorgimentali della letteratura italiana nell’ottocento, e tutti quanti nel silenzio generale prendono i loro doversi appunti, compreso Lorenzo, rimasto colpito dall’argomentare di Franca: qualcosa che forse dentro di sé ha sempre provato, ma che in questo momento, senza di lei, non sarebbe mai stato capace razionalmente persino di riflettere.

 

            Bruno Magnolfi         

venerdì 24 settembre 2021

Disagio da sciocchi.

 

            Mi accade a volte, durante l’attesa paziente del sonno ristoratore, mentre trascorrono quei silenziosi momenti in cui, con le luci già spente, resto coricato nel letto a sera tardi, che la mia mano sinistra vada a posarsi quasi per automatismo sopra le palpebre dei miei occhi ormai chiusi, quando le dita distese trasmettono alla mia espressione facciale, ormai già pronta al riposo, quel calore e quella protezione che forse durante il giorno è sembrata mancarmi. Sorrido a pensarci, in fondo è soltanto un gesto del tutto infantile, qualcosa a cui normalmente non darei neppure troppa importanza. Sempre che non avverta la necessità di racchiudere in quel comportamento automatico qualcosa di me che in quegli attimi pare come sfuggirmi. Il mio riposo poi non è neppure caratterizzato da nottate particolarmente agitate, oppure da una qualche forma di insonnia; sto bene, riposo bene, tutto si presenta per quanto mi riguarda in maniera quasi ordinaria, anche se la mia mano tiepida prosegue per parecchi minuti ad infondere in me quella sicurezza che sembra desideri per prendere sonno. Non sono il tipo di persona che si ritenga un intimista, oppure uno tra coloro che mostrano forme di evidente paura nell’affrontare a fronte alta le cose di ogni giorno: mi sento anzi, al contrario di molti, un vero combattente, un osso duro, uno che non si tira mai indietro quando si trova davanti qualcosa da fronteggiare.

            Allora ho pensato che questa specie di automatismo racchiuda in sé qualcosa che non faccia parte esattamente della mia personalità, e che forse deriva da qualche elemento che a me è più vicino, qualcosa che ruota intorno alla mia giornata ordinaria, e che senza provocare tra i miei pensieri una coscienza precisa di quanto sta accadendo, riesce a sfuggire comunque al mio controllo razionale, andando però ad inserirsi in una zona debole della mia sfera istintiva. Rifletto: un gesto di protezione verso un futuro che non so prevedere, forse. Oppure il simbolo del desiderio di chiudere gli occhi per non vedere qualcosa. Ma non saprei cosa, considerato che gli affari che maggiormente interessano me e le mie società sembrano procedere bene in questo periodo, e che la mia famiglia sembra unita e solidale attorno a me e al mio lavoro. Decido di parlarne con Rosa, mia moglie, appena possibile, non tanto perché nutro dei dubbi sui suoi modi di essere e di comportarsi, quanto per tentare di capire insieme a lei qualcosa di più, e per ascoltare la sua opinione.

            Così mi rigiro nervosamente nel letto, sposto la mano sinistra dagli occhi e vado a sfiorare leggermente un braccio di Rosa, mentre sta placidamente dormendo. Sbuffo leggermente per le preoccupazioni assurde che a volte mi pongo, poi mi volto di nuovo sistemando le lenzuola e cercando di prendere sonno al più presto, anche per non pensare più a tutta questa faccenda. Ma ad un tratto mi viene a mente mia figlia; Franca adesso non è certo più una bambina, ed anche se la sua giornata è quasi interamente dedicata al liceo, che prosegue a frequentare con ottimi profitti, preoccupata com’è soltanto dei propri studi, forse però è proprio da lei che mi deriva quest’inconscia preoccupazione, come se lei stesse iniziando a sfuggire in qualche modo dal ruolo a cui dovrebbe attendere, magari per via di una possibile infatuazione del tutto passeggera. Ci sono anche le lezioni di pianoforte per un paio di pomeriggi alla settimana, questo è vero, ma da quel settore non mi attendo nulla di particolarmente inconcepibile, anche se la sua fissazione di entrare in Conservatorio non mi ha trovato, almeno fino adesso, per nulla d’accordo.

            Ma certo, decido alla fine, devo assolutamente parlarne con mia moglie di questa impressione, e convincerla anche ad essere maggiormente presente con Franca, per comprendere meglio quali amicizie e compagnie di liceo possa aver iniziato a frequentare, non tanto per imporre chissà quali freni ad una ragazza brava e studiosa come lei, quanto per acquisire qualche esauriente informazione sui suoi comportamenti. Ci sono certe volte alcuni piccoli dettagli di una personalità che possono sfuggire persino allo sguardo più scrupoloso. Probabilmente potrebbe bastare anche soltanto parlare con Franca in maniera attenta e decisa, magari senza dare neanche troppo peso ad argomenti del genere, come per fare quattro chiacchiere, e in ogni caso valutando bene ogni risposta fornita a qualche domanda posta in modo adeguato. Potrei farlo io stesso, rifletto. Anche se riconosco che con la mamma potrebbe sentirsi sicuramente più a proprio agio.

 

            Bruno Magnolfi   

mercoledì 22 settembre 2021

Scelte importanti.

 

            La telefonata giunge in tarda mattinata, in casa Neri. La madre di Franca risponde subito all’apparecchio, ed è la voce gracchiante del maestro Bottai che timidamente la saluta e poi aggiunge, ingarbugliando qualche parola, che semplicemente c’è stato un errore comunicativo l’ultima volta che loro due si sono visti, poco più di una settimana prima, a proposito delle lezioni di pianoforte per la figlia. <<Mi dispiace>>, dice in fretta lui, <<di essere apparso forse un po’ duro nelle mie decisioni; e ripensandoci, anche in virtù delle indubbie qualità di Franca, è vero, sulla tastiera del pianoforte, ecco, vorrei dirle che, se vuole, se lo desidera, insomma se fosse una sua volontà, può tornare quando vuole da me, e riprendere le sue lezioni come prima, per la preparazione al suo esame, ecco, per l’ingresso in Conservatorio, via, che sono sicuro non mancherà, proprio per le sue capacità pianistiche>>. La signora Rosa sorride compiaciuta di queste poche parole, naturalmente, e risponde che al suo rientro a casa avvertirà subito Franca di questa sua telefonata, e che le farà sapere quanto prima quando intenderà riprendere con quegli ottimi insegnamenti del maestro. Quindi saluta il Bottai e lo ringrazia più volte, ma quando chiude la comunicazione le sembra ci sia qualcosa che sfugga alla sua comprensione.

            Naturalmente la madre di Franca quello stesso giorno in cui il suo insegnante di pianoforte le aveva comunicato della propria decisione, aveva chiesto subito a lei il motivo per cui le lezioni di musica venivano interrotte da parte del maestro, ma sua figlia era stata forse piuttosto vaga in quel caso, e aveva detto soltanto di attendersi prima o dopo da parte del Bottai una mossa di quel genere, visto che in ogni caso per lei suonare sempre quelle stesse partiture ormai era diventata soltanto una pura consuetudine, e forse involontariamente aveva avuto in sua presenza qualche esplicito gesto di stanchezza. La signora Neri non le aveva chiesto altro, le era parso sufficiente sapere che non ci fosse più molto da studiare sul pianoforte del maestro, e che l’esercizio maturato da parte di Franca fosse oramai sufficiente per lasciarla presentare all’esame di ingresso del Conservatorio. Ma ripensando adesso al colloquio di una settimana addietro, quando lui le aveva detto, marcando le parole, che <<le loro sensibilità musicali apparivano diverse>>, forse intendeva dire con questo che gli interessi di sua figlia si fossero addirittura spenti o allontanati dalla musica classica che le insegnava il Bottai, oppure dalla tecnica pianistica prevista proprio per quegli spartiti?

            Quando infine Franca torna a casa, dopo il liceo, la signora Neri decide di affrontare immediatamente l’argomento, però in maniera edulcorata, remissiva, come se fosse semplicemente curiosa di conoscere quali fossero i veri motivi di quanto stava accadendo, non ritenendo in fondo troppo importante il gesto di un anziano pianista forse davvero soltanto immerso dentro un mondo proprio. La figlia però resta in silenzio, non vuole scoprire i suoi nuovi interessi per il jazz, né la sua voglia di provare a far parte del quartetto di Lorenzo. Alza le spalle, ci pensa a lungo, alla fine dice soltanto: <<è un vecchio solo e scorbutico, non intendo per il momento tornare da lui a prendere ancora delle lezioni, anche se in parte mi dispiace>>. La madre non ribatte niente, a lei sembrano già piuttosto sufficienti le competenze pianistiche che Franca in questi anni è riuscita ad acquisire, e in ogni caso le va bene che sia sua figlia a decidere, sempre che questa scelta non le faccia perdere delle opportunità. Lei comunque la rassicura in merito, sempre con le sue maniere distaccate, e poi sparisce dentro la sua stanza. <<Non dirò niente a tuo padre>>, le dice allora la signora Rosa sulla porta rimasta soltanto accostata; <<in fondo lui è sempre stato al di fuori da tutto questo, e poi non credo certo che gli interessi troppo essere a conoscenza  di certi dettagli. Però se in futuro accadesse ancora qualche altra cosa di questo genere, vorrei venire a sapere da te la verità di ciò che fai, prima che siano gli altri a doverlo spiegare a me>>. Franca annuisce e poi riflette: sa che è la prima volta che prende un’iniziativa di nascosto agli occhi di sua madre, e poi forse suonare con una formazione jazz per lei sarà senz’altro un vero e proprio percorso, più che un semplice tentativo di una prova o due. Però non può che essere così, Franca non conosce altre maniere per introdursi in un ambiente così nuovo; <<devo sentirmi sola adesso>>, dice allo specchio a voce bassa ; <<anche per comprendere davvero quanto tutto questo per me sia importante oppure no>>.

 

            Bruno Magnolfi

lunedì 20 settembre 2021

Concessione massima.


            In origine c’è il suono, semplice, diretto, lineare. I ragazzi sanno benissimo che la loro maniera di fare musica in quartetto, con quel progetto composto da un percorso sonoro di frasi contrappuntistiche che in seguito vengono ripetute e poi variate fino a giungere a dei momenti di vera improvvisazione, rende spesso complicata la loro attività, e difficile l'apprezzamento da parte degli eventuali ascoltatori, anche se ciò non significa affatto che non siano soddisfatti di ciò che solitamente riescono a mettere assieme. Il sassofono e la tromba si ritrovano costantemente come alla ricerca della nota migliore da eseguire, quella che spicca sopra a tutto il resto nel variegato tessuto di suoni, ed il basso assieme alla batteria si incarica di marcare il complesso e ricco tessuto delle battute, per costituire nella loro comune progressione un vero collante ritmico e armonico. Per Franca non è per niente assurdo quello che in questo momento sta ascoltando delle registrazioni che loro le hanno fatto avere. Le sembra interessante muoversi in un ambito dove certe difficoltà strutturali appaiono di colpo dissipate nella leggerezza dei suoni che con semplicità vanno ad intersecarsi tra di loro. Deve esercitarsi a fondo, questo è evidente, però non crede di mostrarsi del tutto incapace di suonare il pianoforte insieme agli altri, pur alla sua maniera, nonostante sia praticamente all’oscuro del jazz contemporaneo, e soprattutto del far musica insieme ad una vera e propria formazione come quella di cui è chiamata a prendere parte. Così si ritrova tentennando davanti alla tastiera, e a mettere giù un accordo di tredicesima incompleto con la sua mano sinistra, mentre con le dita della destra prova a spostare gli accenti, cercando una frase melodica che appaia almeno interessante e riconoscibile. Non si sente ancora pronta, certo; ma tra breve lo sarà.

Intanto ha iniziato a studiare qualcosa sulla genesi di quel genere di musica, ed ha scoperto che la distanza attuale tra il jazz di quel tipo e la musica colta contemporanea per certi versi non è quasi apprezzabile. E poi ritiene che proprio la sua formazione completata sulle partiture dove tutto è già stato previsto, le abbiano causato un estremo bisogno di libertà d'espressione sul proprio strumento, una voglia profonda di sentirsi creativa, leggera, al di fuori da quella pesantezza che ha riscontrato spesso nella classica musica tonale. Non è facile parlare in questi termini con chi si ritiene purista di certe scelte, come ad esempio il maestro Bottai, ma ciò non significa che molte delle cose che è possibile intraprendere siano obbligatoriamente prive di una corretta progressione, e poco per volta non incanalino le idee verso certe strade che forse è giusto tentare di percorrere, pur nella loro incerta direzione. I ragazzi generalmente provano in una sala insonorizzata cittadina nel tardo pomeriggio di alcuni giorni dispari, e per Franca non sarebbe difficile raggiungerli, pur dovendo portare con sé la sua agognata tastiera elettronica che improvvisamente sembra esattamente ciò che di più utile abbia mai posseduto. Ma vuole essere pronta, preparata a non sfigurare, capace di apportare un valido contributo ai loro brani e alle loro tessiture musicali.

Vede Lorenzo davanti al liceo, pochi minuti prima di entrare, e in mezzo al capannello di ragazzi lui si accosta leggermente alla figura sottile e solitaria di Franca per conoscere quali mai possano essere le decisioni che ha preso. Lei però non dice niente, getta uno sguardo attorno, lo saluta timidamente, con i suoi soliti modi; infine lui non resiste, e le pone una domanda il più possibile diretta: <<forse>>, risponde lei con calma mentre guarda altrove, non certo per indifferenza. Lorenzo prova quasi un sottile ed immediato senso di delusione, anche se non saprebbe spiegare esattamente che cosa si aspettasse più di questo, se non un leggero moto di entusiasmo che Franca non è il tipo di persona capace di esternare facilmente. Forse tutto si presenta comunque su due piani davvero molto differenti: per lui la musica da suonare incarna la comunicazione stessa, l’essenza di ciò che Lorenzo da sempre desidera allargare verso gli altri; per lei invece probabilmente è soltanto un accessorio, la variante casuale di un percorso che improvvisamente sembra quasi perdere l’attrazione principale, il suo punto focale, anche se questo accade soltanto per lasciar spazio a stilemi più espressivi. L’emancipazione sonora per Franca è qualcosa che appare ancora un elemento troppo indeterminato per poter dichiararsi davvero attratta da quel mondo. In ogni caso, sottovoce, aggiunge poi, subito dopo, quasi come concessione: <<ci sto provando>>, e questo forse è già più di quanto Lorenzo dovrebbe attendersi da lei.

 

Bruno Magnolfi  

sabato 18 settembre 2021

Sono solo un presuntuoso.

 

            <<Non sono fatti miei>>, dice la signora Clara mentre serve la solita tazza di tè al maestro Bottai, che come ogni mattina, dentro alla stanza di casa adibita a studio, sta riordinando gli appunti per i suoi insegnamenti di pianoforte; <<però sono rimasta male quando ha deciso di non dare più delle lezioni a quella ragazza>>. Il maestro sul momento non dice niente: non gli piace neppure un po’ quella maniera della sua governante di girare attorno ad un qualsiasi argomento, piuttosto che porre una domanda diretta, e sempre con quel tono da persona indifferente a ciò che non la riguarda, toccando invece anche argomenti spinosi e difficili. Ringrazia con un cenno per il tè, quindi torna a sprofondarsi nelle sue partiture. <<Non è una ragazza qualsiasi>>, dice poi dopo parecchi minuti, mentre la donna spolvera un mobile. <<E’ la signorina Franca Neri, la migliore che sia passata da questo appartamento negli ultimi anni: attenta, curiosa, brava, sotto tutti gli aspetti. Forse talmente capace da riuscire a mettermi qualche volta persino in difficoltà>>. Clara intanto osserva il Bottai, riflette piuttosto a lungo su cosa potrebbe rispondere, magari ricordando al maestro quanto abbia in fastidio quei ragazzetti strimpellatori con cui continua ogni pomeriggio a perdere tempo, così come afferma certe volte lui stesso, ma decide alla fine di non dire nulla, ad evitare problemi.

            <<Lei potrebbe chiedermi adesso come sia possibile che per uno stupido orgoglio da vecchio insegnante, in questo preciso momento, io mi stia giocando la possibilità di contribuire alla formazione di una vera pianista, una ragazza che le note le pensa, prima ancora di eseguirle. Però lei non lo fa>>, dice ancora il Bottai alzando leggermente la voce, <<perché ha già deciso dentro di sé che è proprio così, e che quindi è persino inutile parlare con un presuntuoso quale io mi sto dimostrando ai suoi occhi>>. La signora Clara rimane immobile, colpita da queste parole, poi riprende con le sue piccole attività, limitandosi a portare la tazza da tè quasi vuota in cucina. Si sente subito colpita nel vivo da ciò che ha ascoltato, soprattutto perché, anche se non direbbe mai delle cose del genere, ciò che ha appena ascoltato ricalca esattamente quanto aveva pensato in precedenza introducendo quell’argomento, anche se adesso le dispiace ovviamente di aver fatto infuriare il maestro, comprendendo benissimo come quella che lui ha preso sia stata una decisione probabilmente ancora più sofferta di quanto si sarebbe realmente aspettata. 

            Dopo qualche minuto, forse anche per tutto questo, lei avverte con due parole il Bottai che sta per recarsi dal solito droghiere, di fronte alla strada, ad acquistare qualcosa che le manca per la preparazione del pranzo; ci impiegherà dieci minuti, gli dice, mentre indossa la giacca. Il maestro però non la guarda e neppure prova a risponderle, sempre immerso come prima nei propri pensieri, Clara non aggiunge altro e si limita a chiudere la porta alle sue spalle per poi senza fretta scendere le scale condominiali. Non ci sarebbe niente di male, pensa Clara, nel parlare qualche volta delle cose che più di altre sembrano tormentarci; però lui è un testone, crede sempre di poter fare tutte le sue cose come se certe scelte non ricadessero qualche volta proprio su noi stessi, mettendoci alla prova più di quanto ci saremmo mai immaginati. Nel negozio dei generi alimentari c'è il solito esercente, e quando Clara entra all’interno le viene quasi da sbuffare, come avesse qualcosa da dovergli per forza spiegare, qualcosa che non riesce più a tenere soltanto per sé. <<Con il maestro ci vuole pazienza>>, fa il commerciante; <<tanti anni passati davanti al pubblico, in teatri e sale da concerto, ne hanno fatto sicuramente una personalità difficile e scostante>>. La governante annuisce, procede con i suoi acquisti, forse avrebbe voglia di lamentarsi ancora di qualcosa, ma si trattiene. Poi prende la sua busta, paga il negoziante e infine se ne va.

Nella casa del maestro apparentemente niente si è mosso durante la sua breve assenza, e Clara entra dentro dirigendosi subito in cucina per sistemare i suoi acquisti. C'è silenzio nelle altre stanze, probabilmente il Bottai è ancora seduto davanti al suo pianoforte, pensa lei. E invece no, arriva alle sue spalle giusto un attimo dopo, con lo sguardo a terra, confuso e abbacchiato, e soltanto per dire: <<ho sbagliato, me ne sto rendendo conto soltanto adesso; dobbiamo richiamare al più presto Franca Neri>>, e Clara vorrebbe scoppiare a ridere, ma naturalmente si trattiene.

 

Bruno Magnolfi

giovedì 16 settembre 2021

Approvazione.


Lontano, in un'epoca diversa, anche la musica suona in altro modo. Quasi inutile cercare dentro se stessi una sensibilità affine, le condizioni purtroppo sono cambiate, intorno ci sono delle altre cose, e le orecchie ascoltano i suoni in una maniera che oramai è tutt’altro. Lorenzo osserva gli altri ragazzi mentre si preparano a provare insieme a lui l’ultimo pezzo che hanno messo a punto negli ultimi tempi, una specie di lento ballabile in due quarti che si muove su una struttura di basso diatonica modale misolidia, con inserti di tromba e sassofono quasi prettamente atonali. Tutti e quattro i ragazzi suonano questo brano a basso volume, senza presentare alcuna fretta, come se fossero alla ricerca di quella nota che sembra sfuggire all’armonia spesso dissonante, a sostegno di tutto il brano. Loro si trovano bene con i propri strumenti nel muoversi su linee musicali di questo tipo, ed anche se l’ascolto delle loro cose appare a volte un po’ faticoso, e raramente si fanno avanti dei veri estimatori di un materiale sonoro del genere, ugualmente vanno avanti con il loro stile, anche se certe volte sembrano avvertire in aria sia dei gruppi di note un po’ ripetitive, che certe serie di suoni troppo simili a delle altre. Spesso hanno pensato di introdurre tra i loro brani qualcosa di meno complesso, di più orecchiabile, oppure di utilizzare qualche sonorità leggermente diversa dal solito, ma mai a nessuno gli era venuto in testa, almeno fino a questo momento, la possibilità di introdurre un nuovo strumento nel loro quartetto di jazz acustico contemporaneo.

Adesso però c’è una ragazza che suona il pianoforte, ed oltre ad avere una tecnica classica e non sapere niente di jazz, cosa che per certi versi può rappresentare anche un vantaggio, mostra una forte curiosità per la musica colta attuale. Si chiama Franca, e fino a questo momento è stata soltanto una compagna di liceo per Lorenzo, che ha saputo del suo percorso pianistico soltanto da pochissimo, cosa che gli è sembrata subito molto interessante. Però non è facile introdurla nella maniera migliore in una formazione di questo genere, così come lui non sa con quale spirito gli altri del gruppo possono prendere una proposta di questo genere. In fondo loro quattro sono sostanzialmente degli amici, tutti con la passione per il jazz di un certo tipo, e se questo sostegno in lei non ha ragione d’essere, rischiano in seguito di mostrare dei livelli di base talmente differenti da non riuscire a produrre alcun risultato positivo. Lui le ha portato a scuola una registrazione dei pezzi che solitamente suonano, e a Franca sembra sia piaciuta molto, anche se non è il tipo di persona che intende lasciarsi andare a commenti troppo entusiastici. Però ha anche aggiunto che le piacerebbe essere presente ad una loro sessione di prove, e a Lorenzo questo è parso subito un ottimo inizio, tanto da decidersi a parlarne con gli altri ragazzi.

<<Va bene>>, hanno detto loro quasi con un solo medesimo parere; <<magari le si fa avere anche una copia degli appunti armonici e melodici su cui improvvisiamo, e questa tua amica così può intanto esercitarsi per conto proprio, sempre che le interessi davvero, prima di venire alle prove direttamente con la sua tastiera>>. Lui ovviamente si è aperto ad un sorriso con loro, poi però ha subito parlato d’altro, tanto per non mostrare platealmente il suo parere favorevole per questa scelta. <<Ti ho portato intanto i nostri appunti>>, le ha detto così il giorno immediatamente seguente; <<però devi anche ascoltare bene le registrazioni, studiare attentamente quale sia la maniera migliore per introdurre il suono del tuo pianoforte, e se riesci ad immaginare concretamente che cosa eseguire insieme a noi, allora la prossima volta potrai portare la tua tastiera elettronica ed iniziare a suonare qualcosa>>. Franca sottovoce ha ringraziato Lorenzo, ha preso tutti gli appunti di armonia dalle sue mani, poi però si è subito concentrata sulla lezione in corso, e l’insegnante di Lettere, la signora Sarti, mentre spiegava ancora ai suoi allievi l’ideologia del risorgimento italiano, incomprensibilmente le ha come rivolto uno sguardo di vaga approvazione.     

 

Bruno Magnolfi


martedì 14 settembre 2021

Nessuna spiegazione.

 

            Stasera si sta tenendo una cena nel salone di pianoterra della nostra "villa dei Neri", alla presenza di diversi invitati, tutti ben vestiti, che rappresentano coloro che normalmente, ognuno a vario titolo, lavorano e gestiscono degli affari insieme a mio padre che siede a capotavola. Per l’occasione è stato chiamato in soccorso anche il figlio della cuoca, proprio per aiutare in cucina ed ovviamente anche servire le diverse portate, affiancando così la nostra abituale cameriera, e in modo da permettere ai due di effettuare una buona presenza di servizio intorno ai commensali. Per l’esecuzione di tutto ciò, gli è stata fatta indossare, in questa particolare serata, un'aderente livrea bianca con grandi bottoni che quasi lo rende un figurino perfetto, anche se forse non lo fa sentire esattamente a suo agio. Il mestiere lo conosce, questo è ben chiaro, ma probabilmente è più abituato a lavorare in certe pizzerie senza pretese, più che in qualche ristorante altolocato. In ogni caso ho visto che in diversi hanno lavorato sodo durante tutto il giorno per preparare e mettere a punto nella cucina i tanti piatti previsti, e per questo motivo la cena vera e propria sta procedendo perfettamente, se non fosse che io e mia madre, com'era peraltro del tutto prevedibile, ci ritroviamo leggermente a disagio in mezzo a più di dieci individui sconosciuti tutti di sesso maschile, esclusa la segretaria personale del mio papà, donna elegantissima e dai modi molto decisi.

            Il nostro pianoforte verticale, isolato in un angolo e forse lì rannicchiato per via dei tanti discorsi che vengono espressi con voce persino troppo alta, appare adesso quasi un mobile inutile, così lontano da quelle chiacchiere di lavoro che proseguono a richiamare molto interesse nella conversazione generale intorno alla grande tavola ben imbandita, anche se naturalmente per me risultano tutti argomenti di cui non so quasi niente, esclusi alcuni vaghi richiami alle frasi che certe volte sento pronunciare al telefono da parte di mio padre, in risposta a qualcuno dei suoi collaboratori, durante quelle tante e ripetute volte e negli orari più insoliti, in cui viene interpellato per qualche superiore ed urgente motivo. In questo momento comunque mi sento in qualche modo vicina al mio pianoforte, e parimenti forse vorrei essere voltata, da mani soccorrevoli ed insieme a tutta la sedia, verso un angolo lontano da questa tavolata, proprio come il nostro silenzioso strumento musicale, anche se la paura più forte che provo è quella che a mio padre venga in mente alla fine della cena di farmi esibire alla tastiera davanti a tutti i suoi ospiti, per allietare e coronare una serata sicuramente indimenticabile, come probabilmente vorrebbe che quelli spiegassero ad altri nei prossimi giorni, mostrando un’immagine positiva e fruttuosa.  

Comunque tutto procede come previsto, ed anche se non ho ancora detto una sola parola da quando mi sono seduta davanti alla tovaglia bianchissima, ugualmente mi sono ripromessa di rispondere soltanto a monosillabi, se mai a qualcuno venisse voglia di chiedermi qualcosa. Terminiamo, e come previsto mio padre, forse ormai a corto di temi e di frasi fatte, parte con delle argomentazioni, di cui peraltro non sa quasi niente, intorno alle mie spiccate qualità di pianista, tanto che per ovvietà qualcuno chiede subito di farmi esibire su quel benedetto pianoforte che nelle sue parole dovrei mirabilmente padroneggiare. Mi ero già preparata qualcosa di Duke Ellington, tanto per tenere tutti su dei toni allegri e orecchiabili, ma in considerazione della serata pesante che ho dovuto trascorrere, mentre mi siedo sulla panchetta ed apro il pianoforte, mi viene subito a mente di attaccare il Notturno in mib maggiore, tanto per mostrare quanto poco mi sia divertita fino ad ora, per proseguire poi con la sequenza IV di Luciano Berio, di cui ho qui la partitura completa, e rompere così qualsiasi atmosfera positiva.

<<Brava>>, dice così qualcuno mentre ancora sto suonando, e gli altri allora, come fossero stati rotti gli indugi, si lasciano andare in un piccolo applauso liberatorio, ed io naturalmente subito smetto, sorridendo e ringraziando come si conviene in casi del genere. Non suonerò mai più per gente così, decido in questo esatto momento: ci vuole empatia in certe cose, non forzata necessità di apprezzamento. Mi alzo mentre crolla completamente la mia importanza agli occhi di tutti, ma il figlio della cuoca invece prosegue a guardarmi diritto con un mezzo sorriso negli occhi: forse ha compreso quello che volevo suggerire a tutti quanti; e forse il mio giudizio generale è stato del tutto ricambiato dentro di lui, come non fosse neppure necessaria alcuna parola tra noi per spiegarsi.

 

Bruno Magnolfi

domenica 12 settembre 2021

Pianoforte scordato.


            <<Entri pure, signora Neri>>, dice la governante del maestro Bottai, una volta che ho finito di salire le diverse rampe di scale di quel palazzo antiquato ma ancora ricco di fascino, mentre mi introduce con un leggero ed usuale sorriso in questo appartamento un tempo sicuramente arredato con gusto ed in maniera piuttosto elegante, adesso però ingombro soltanto di una dignitosa ma vecchia mobilia. <<Il maestro è dentro al suo studio>>, mi dice ancora. Così, come quando sono venuta qua dentro già per la prima volta, vengo introdotta in una stanza ampia e luminosa, dove sopra a dei folti tappeti disposti sui pavimenti, probabilmente al fine di attutirne un po’ il suono per rispetto del vicinato, troneggia al centro, sistemato con cura sulla diagonale, un bel pianoforte scuro e lucido a mezza coda, sicuramente di gran marca, su cui il Bottai già di mattina sta preparando le opportune lezioni per gli allievi che si recheranno poi da lui nel pomeriggio. <<Buongiorno>>, gli dico. <<Sono venuta per regolarizzare gli ultimi pagamenti delle lezioni di Franca>>, spiego con una certa titubanza, nella convinzione di disturbare un po’ questo anziano signore sempre curvo sui propri pensieri, e nella speranza però di potermene andare alla svelta.

            <<Si accomodi>>, fa invece lui con determinazione, indicando una sedia lì accanto. Quindi mi fissa per un tempo forse superiore alla norma. <<Signora Clara>>, dice poi con voce flebile riferendosi alla governante rimasta nel corridoio, <<potrebbe portarci del caffè, per favore, sempre che la signora Neri ne gradisca>>. Annuisco, ma mentre mi sistemo la giacchina attillata, comprendo subito che il maestro probabilmente mi deve parlare di qualcosa che al momento non so e non conosco, e questo pensiero non mi risulta per niente rilassante. <<Franca è molto brava>>, esordisce di colpo il Bottai, e questo, in maniera più che ovvia, mi fa tirare immediatamente un piccolo sospiro di sollievo. <<Però è anche estremamente intelligente e curiosa; e forse per questo motivo sta spingendo i suoi interessi musicali sempre più lontano dai miei insegnamenti. Si intende: ho cercato il più possibile di assecondare le sue ricerche armoniche sul pianoforte, ed ho anche provato a farle studiare delle partiture più complesse del solito, maggiormente ardite, quasi atonali; ma non le è bastato, ed adesso credo che si sia creata una distanza incolmabile tra le nostre diverse sensibilità musicali. Tanto da avere l’impressione che proseguire ancora, anche se per puro esercizio, con le esecuzioni delle sonate di Schumann, di Chopin, o anche dello stesso Liszt, sia diventata per lei una forma di incomodo, forse una noia, non so, magari quasi un fastidio che io naturalmente non posso e non intendo ulteriormente tollerare>>.

            Resto di stucco, mantengo lo sguardo immobile sull’espressione seria e grave che leggo sopra la faccia del maestro Bottai, mentre arriva la tazzina di caffè che ricevo dalle mani della signora Clara, senza per questo riuscire ancora a formulare neppure una parola. <<E, cosa resta da fare?>>, chiedo gentilmente alla fine con un filo di voce, nell’attesa sicura di una sentenza che mi giungerà sicuramente sgradita. Lui prende tempo, osserva qualcosa nell’aria, si volta verso il suo pianoforte come a cercare da quella parte l’ispirazione migliore per una soluzione che forse neppure vorrebbe. <<Dobbiamo interrompere>>, dice alla fine con una certa chiarezza ma a bassa voce, come un medico che stesse diagnosticando ad un paziente la forma più grave delle malattie che possono colpire l’organismo di un individuo. <<Vedremo più avanti se ci saranno le condizioni per riprendere la preparazione di Franca all’esame di ingresso per il Conservatorio>>. Butto giù appena un sorso del mio caffè, poi appoggio la tazzina su un mobiletto lì accanto, e tiro subito fuori dalla mia borsa la busta con dentro i soldi pattuiti, quasi per rompere ogni indugio ed accettare incondizionatamente le decisioni già prese.

Mi alzo subito dopo dalla mia sedia, ma il maestro forse vuole dire ancora qualcosa, sollevandosi in piedi anche lui come alla ricerca delle parole più adatte. <<Non so cosa vorrà farne in futuro sua figlia delle proprie conoscenze pianistiche che ha maturato da me, ma qualsiasi cosa possa essere, il mio augurio migliore che posso farle, è che tutto ciò la porti verso dove è suo desiderio, e che non abbia a dispiacersene mai. Resto ancora qualche secondo con lo sguardo incollato sul maestro Bottai, quindi lo ringrazio, gli stringo la mano e mi volto per andarmene via. Almeno Carlo, sarà contento adesso, rifletto mentre scendo frettolosamente le scale: in fondo lui non ha mai visto di buon occhio queste lezioni private di musica.

 

Bruno Magnolfi

venerdì 10 settembre 2021

Anno scolastico.


            L’insegnante di Lettere ha sempre un atteggiamento molto pacato. Entra in classe quasi in punta di piedi, sempre osservando soltanto la zona della cattedra davanti a sé, forse come per mostrare di attendersi qualche novità da quel piano dove poi appoggia con calma i suoi preziosi registri, in realtà probabilmente soltanto al fine di concedere tutto quel tempo di cui hanno bisogno i ragazzi per ricomporre rapidamente, tra i banchi le sedie e i commenti da scambiare, la loro imbrigliata vitalità. L’espressione che assume pare sempre abbastanza rassicurante, e quando infine si siede, dopo aver salutato gli alunni, sembra ogni volta che la sua lezione possa avere uno svolgimento tranquillo, proprio come si trattasse di una narrazione leggera, una chiacchierata tra conoscenti, di non troppo impegno. Invece, la signora Sarti, riesce anche ad essere estremamente sottile e severa, sicuramente quando lo vuole, ma sempre per obiettive ragioni, e senza mai mostrarne delle grandi evidenze. Soprattutto si vede, quando si confronta con qualcuno dei liceali di fronte, che studia attentamente il soggetto con cui si trova ad interagire, come per raggiungere senza fretta un’opinione precisa attraverso la quale costruire dei rapporti il più possibile favorevoli: tanto per cominciare utili proprio a lei ed al suo mestiere naturalmente; ma poi soprattutto vantaggiosi per gli stessi ragazzi, cercando con le sue maniere soffuse e quasi mai dirette, il linguaggio migliore tramite il quale scambiare idee e riflessioni con ciascuno di loro.

            <<Il dato più forte secondo me è il percorso>>, dice Lorenzo interrogato dalla Sarti per un giudizio generale su Alfieri, studiato da poco; <<certe idee maturano rapidamente, ma hanno poi bisogno di tempo per manifestarsi>>. A lei piace questo ragazzo, si vede che cova dentro di sé delle aspirazioni complesse, ed anche se non mostra molte relazioni sociali con gli altri compagni di classe, ciò non significa affatto che sia un isolato, piuttosto denota che i propri interessi risultano semplicemente distanti da quelli degli altri. L’insegnante non entra mai nel merito delle amicizie che si formano tra gli alunni durante gli anni scolastici, ma l’accostamento di banco e lo strano sodalizio formatosi, forse in modo del tutto casuale, tra lui e Franca Neri, non le sembra comunque qualcosa di particolarmente positivo, anche se comprensibile. Franca generalmente è chiusa nei suoi pensieri, studiosa e impegnata com’è, tanto che la mamma le ha confessato una volta, però di sfuggita, di come la sua passione più forte sembra sia fin da quando era piccola la musica pianistica, e di come stia preparando per la seconda volta l’esame d’ingresso al Conservatorio. La Sarti adesso non sa ipotizzare se tutto questo possa avere un certo peso nel loro sentirsi vicini in qualche maniera, ma negli ultimi tempi quel parlottare segreto che mostrano talvolta quei due, anche nel corso delle sue stesse lezioni, pare proprio il superamento delle differenti timidezze a vantaggio di qualcosa che forse loro ritengono decisamente più importante.     

            <<Comunque persino Foscolo ebbe bisogno di rifarsi ad uno come l’Alfieri per credere di più nella propria opera e per trovare un modello a cui riferirsi>>, interviene la Neri. D’accordo, la capacità di analisi di questa ragazza, secondo anche l’insegnante di Lettere, la fa giungere rapidamente a delle conclusioni azzeccate del genere, però Lorenzo probabilmente è più libero nelle proprie idee, e tra i due compagni di banco non sembra ci sia mai una vera competizione, piuttosto una ricerca nascosta e impalpabile nell’attingere l’uno dall’altra ciò che sembra migliore. “Non so comprendere in questo momento dove possa portare il loro pensare comune”, riflette senza commentare, la Sarti; “in ogni caso c’è qualcosa che mi piace in tutto questo, nonostante non ne sia favorevole”. La lezione prosegue, Franca e Lorenzo non si dicono niente, neppure si guardano, come se nel loro attraversare il pensiero di quegli autori risorgimentali ci fosse la maniera per sentire più attuali quegli stessi scrittori, se non renderli addirittura contemporanei. Giunge la fine dell’ora di Lettere, così l’insegnante si alza, sorride pacatamente, getta un’ultima occhiata verso tutta la classe, e poi se ne va, lasciando forse insoluto e incompleto qualcosa, oltre ai registri che naturalmente porta con sé; qualcosa che con ogni probabilità avrà modo e tempo di approfondire meglio con i propri ragazzi, forse durante lo stesso anno scolastico in corso.

 

            Bruno Magnolfi  

mercoledì 8 settembre 2021

Verso una nuova direzione.

 

            <<Franca è sfuggente>>, dice il signor Neri alla moglie; <<il suo comportamento mi scuote, toglie ogni altro pensiero da dentro la mia mente, anche quelli che sarebbero più piacevoli. Per lei probabilmente è tutto normale, va tutto bene così magari, ma per me è quasi diventata una sofferenza. Ci sono dei momenti in cui mi appare come un’estranea, distante chissà quanto dalle cose che a me invece affliggono ogni giorno, quasi come niente le riguardasse tra quelle che sono le mie più forti preoccupazioni: mandare avanti la nostra famiglia, impegnarmi per evitare che possa mai mancare qualcosa in questa casa, trovare sempre delle soluzioni per sentirsi tutti in armonia>>. Per il signor Neri non è facile parlare in questo modo con la moglie, però se adesso si è deciso ad affrontare con lei questo argomento così spinoso riguardante la loro figlia unica, è soltanto perché ultimamente si sente depresso ed avvilito da quei comportamenti. <<Ad esempio questo suo continuo silenzio quando stiamo insieme a cena>>, aggiunge; <<e poi il suo sguardo volto sempre e soltanto sugli oggetti che ha di fronte, e mai, neppure per uno sbaglio, ad osservare l’espressione di chi le sta parlando, o meglio tenta di avere un dialogo con lei. Le sue risposte sono diventate monosillabi, e mostra un’evidente insofferenza verso i propri genitori>>.

            Ma la signora Rosa naturalmente, di fronte a questi sfoghi, cerca come sempre di mediare; dice che forse è un periodo particolarmente difficile per Franca, che forse è preoccupata per le sue scarse amicizie, oppure per la scuola, per i compiti pesanti che si trova costretta ad affrontare. Oppure che non si sente esattamente come tutti gli altri all’interno di quel suo liceo, dove non c’è nessuno nella sua classe che possa vantarsi - come lei in fondo potrebbe - di abitare in una villa con tanto di personale di servizio; <<ed è questo magari, unito al suo carattere chiuso ed introverso, a farle provare un continuo disagio, anche se presto tutto questo le passerà, non c’è alcun dubbio, vedrai>>. Carlo prosegue a sistemarsi con calma il nodo alla cravatta, osservando con apprezzamento la sua figura dentro al grande specchio presente nel guardaroba attiguo alla camera da letto, ed anche se non è molto convinto di quello che sta ascoltando, non vuole però neanche apparire troppo insistente su quell’argomento. Poi gli suona il telefono e quindi, con l’apparecchio già appoggiato all’orecchio, esce subito dalla zona notte della casa per raggiungere il suo studio.

            Franca invece è uscita presto da casa per arrivare a piedi come sempre alla fermata di quel mezzo pubblico che la porta a scuola, e la sua scelta di non farsi accompagnare mai dal padre con la sua elegante e vistosa macchina, è data proprio dalla diffidenza con cui probabilmente sarebbe accolta dai compagni nel mostrarsi troppo benestante. Vuole apparire una ragazza qualsiasi, essere trattata come tutte, non fregiarsi di qualcosa che certamente non ha potuto scegliere. Ma sotto a tutto questo c’è anche la musica. Il suo pianoforte è diventato ultimamente la sua maggiore ragion d’essere, e soltanto lasciando scivolare le sue mani affusolate sopra i tasti si sente veramente a posto con se stessa e quindi con gli altri, serena, senza quel disagio che invece prova spesso. Si chiude durante gli orari più adatti dentro la sua stanza, e piuttosto che usare il piano tradizionale sistemato peraltro nel salone, accende subito quel suo nuovo strumento elettronico, collegato a lei con delle cuffie, e così isolandosi rapidamente da tutto il resto, suona per scaldarsi ancora quelle partiture che ormai conosce a menadito, cercando sempre più spesso però anche qualche nuovo accordo. Lorenzo alcuni giorni addietro le ha portato a scuola una registrazione del suo quartetto jazz, e Franca è rimasta del tutto impressionata da quei suoni che fino adesso non ha mai conosciuto, come se al confronto tutta quella musica classica che ha imparato ad eseguire fin da quando era una bambina, in un solo momento fosse spazzata via nella sua testa, figurando quasi come una stupidaggine, soltanto un lungo studio duro e impegnativo, quasi privo però di un sostanziale significato.

            Sotto alle sue dita sente qualcosa di diverso adesso mentre suona, ed il suo bisogno di spingersi più avanti per scoprire delle cose nuove, all’improvviso le si rivela tutto nella registrazione che ha ascoltato inizialmente con curiosità, ma che volentieri si perde a riascoltare in questi giorni, come fosse proprio quella la vera direzione verso cui protendersi.

 

            Bruno Magnolfi              

lunedì 6 settembre 2021

Ascolto emozionale.


Mi rendo conto che i miei pensieri spesso non sono molto rassicuranti nei confronti di chi mi incontra. Sto qui, mi guardo attorno, in genere cerco di essere più o meno come gli altri, eppure sono anche cosciente che dentro di me qualcosa tende continuamente a sfuggire ad un'immagine di tranquilla normalità. Nei miei itinerari non mi lascio influenzare da qualcuno in particolare, anche se è ovvio come ci siano dei maestri che più di altri hanno indirizzato fin dagli inizi le mie scelte, e così vado avanti come sempre è successo lungo la mia strada, affrontando le giornate con una calma determinazione, e se poi non riesco ad avere esattamente un comportamento simile a tutti coloro che mi stanno attorno, è soltanto perché in fondo sono preda di una personalità piuttosto introversa, e preferisco la maggior parte delle volte tenermi distante dalla gente. Non pretendo che qualcuno si metta d'impegno per comprendere qualcosa dei miei modi, non ne sento affatto la necessità. Piuttosto vorrei si conoscesse il percorso, a mio parere costellato di difficoltà, che fin da subito ho intrapreso nel tentativo di riuscire in seguito ad esprimere compiutamente tutto me stesso.

Questo è esattamente quanto mi piacerebbe poter dire di me forse tra dieci oppure anche quindici anni, quando tutto quello a cui adesso, che sono poco più di un ragazzo, mi sto preparando con un certo sacrificio, mostrerà finalmente un suo vero senso esplicito, un significato che qualche volta in questo periodo pare sfuggire persino a me stesso. E’ una riflessione alla quale comunque mi preparo fin da subito, perché so che sarà questo il modo giusto per seguire una strada che si mantenga su una linea del tutto personale, un tracciato che mi faccia sentire libero fin da ora nei miei comportamenti, ma che allo stesso tempo sia cosparso di determinazione. Ho scelto uno strumento a fiato per esprimermi, questo mio meraviglioso sassofono soprano, ed ho deciso che la musica da abbracciare per me non sarebbe mai stata banale, pur nell’ambito già abbastanza di nicchia in cui ho scelto di suonare. Lo so che sono circondato da una scarsa comprensione, perlomeno in questo momento, ma tutto ciò non ha poi molta importanza, lo ribadisco, perché so che sarà soltanto in seguito, quando il mio modo di essere avrà raggiunto una reale maturità, che allora si potrà dare un giudizio più compiuto su tutte le mie scelte.

Alla mia età generalmente si vive alla giornata, senza starsi a preoccupare troppo di ciò che potrà essere il futuro; ma per me è diverso, quello che conta del presente è la sua potenziale proiezione nel domani, e quando oggi sento il suono uscire da dentro al mio strumento, so che sarà quello a dirigere nei prossimi anni ogni mio passo, come se in qualche maniera la mia strada fosse già segnata, qualsiasi cosa possa accadermi. Naturalmente, durante tutto questo sforzo, ho sempre tentato di trovare dei compagni di percorso che abbiano nella mente più o meno i miei stessi ideali, e sono molto contento in questo momento di essere uno dei componenti di un quartetto jazz con il quale io e gli altri stiamo mettendo a fuoco le linee guida di ciò che dovrà essere nel prossimo futuro il mondo musicale dentro al quale muoverci, spesso spronando noi stessi, anche tecnicamente, nel tentativo continuo di migliorare il nostro ruolo, e soprattutto far maturare le idee migliori che riusciamo ad avere in corso d’opera, mentre modifichiamo poco per volta la struttura della musica che cerchiamo di suonare. Ascoltiamo tutto ciò che fanno gli altri gruppi, affiniamo ogni dettaglio delle nostre proposte, e soprattutto proviamo e riproviamo tutti i pezzi che mettiamo assieme con una fiducia sfrenata nei risultati a cui prima o dopo potremo finalmente giungere.

Comunque non mi lascio mai prendere dalla tecnica del mio strumento quando suono: pretendo sempre dalle mie dita, mentre mettono in azione le chiavi del sassofono, quasi un prolungamento della voce e del mio stesso respiro, e che queste diano un seguito semplice e fedele al pensiero che continuamente scava dentro la mia testa, come se non ci fosse nient’altro di importante, solamente la possibilità di trasmettere qualche emozione in chi ha voglia di seguirla.

 

Bruno Magnolfi

sabato 4 settembre 2021

Differente sostanza.

 

            Il figlio della cuoca oggi è venuto alla villa dei Neri a prendere la mamma con la sua utilitaria. Franca lo ha incontrato all’ingresso, d’improvviso, proprio sulle scale davanti al portone, e lui è parso subito come intimidito, forse soltanto perché non si aspettava di trovarsi di fronte qualcuno di quella famiglia, ma in ogni caso ha salutato la ragazza con un certo evidente rispetto, come se tra loro non ci fossero appena pochi anni di differenza, ma si fosse trovato davanti ad una persona molto più adulta, qualcuno a cui mostrare per obbligo morale la propria doverosa deferenza. Franca comunque gli ha sorriso, riconoscendo la sua faccia da quelle poche fotografie mostrate qualche volta con orgoglio dalla cuoca, e lui però si è quasi immobilizzato, subito spiegando il motivo per cui era lì, come una necessità che ne giustificasse il comportamento. Lei gli ha allungato una mano per presentarsi, e lui ha solo detto di chiamarsi Simone. <<Purtroppo non mi intendo di musica classica>>, ha proseguito tanto per non apparire troppo timido, o per rompere quel silenzio rimasto a mezz’aria, oltre a mostrare di essere a conoscenza di qualcosa delle abitudini in uso in quella casa. Lei gli ha sorriso: <<non è obbligatorio saperne, difatti>>, gli ha risposto così sottovoce, mentre ha accennato a proseguire per la sua strada, interrompendosi però dopo qualche metro, giusto per aggiungere: <<comunque mi ha fatto piacere conoscerti>>, e poi andarsene via.

La strada di fronte, durante quest'ora, appare spesso calda e assolata, piuttosto pigra nella stagione in corso, quasi svogliata di tutto ciò che non sia una necessità urgente, e le indolenti persone che si muovono a piedi sul largo marciapiede, in quel quartiere elegante, sono ancora più rare che in altri momenti del giorno. Alla fermata del mezzo pubblico poi, ancora più avanti verso un gruppo di case popolari, non c'è quasi mai nessuno in questo periodo, e quei pochi minuti di attesa, sotto alla pensilina vetrata, diventano così sufficienti per ripassare mentalmente qualcosa, oppure riflettere su quanto magari si ha di solito meno presente tra i propri pensieri. Quando infine si scorre le vie verso il centro della città, sballottati sui scomodi seggiolini e mescolati con gli altri passeggeri, le immagini rapide che attraversano il campo visivo fuori dai finestrini, hanno già al contrario un sapore d'urgenza, come se qualcosa di impellente riunisse i sensi di ognuno dirigendoli verso due diversi e lontani punti focali, quasi linee di una prospettiva che richiamano tutte le parti confuse del disegno verso due soli elementi però sconosciuti, che con tutta la forza che riescono ad imprimere agli oggetti presenti, rimangono comunque fuori dal foglio, quasi fossero adesso gli unici componenti di senso compiuto e strutturalmente fondanti di tutta l'immagine, importantissimi certo, però quasi racchiusi all'interno di una propria compiuta segretezza.

Secondo Franca la musica in questo momento è qualcosa del genere: come una proiezione verso una zona che ancora non si riesce a vedere, ma che imprime nel resto un forte richiamo, quasi una massa stellare capace di attrarre a sé gli altri corpi celesti. Col maestro Bottai inutile parlare di qualcosa del genere: con quanto si cerchi ogni tanto di spingersi un poco più avanti, oltre i confini della tonalità per esempio, comunque possa essere quello resta da sempre il suo mondo invariabile, e lui non riesce a comprendere la necessità di cercare qualcosa di diverso, un pianeta dove le regole non siano quelle stesse che per tutta la vita ha continuato a seguire, perché l'abitudine ad ascoltare le cose in una certa maniera, fa sì che sia facile decidere che non può in assoluto esisterne un'altra. Infine Franca è arrivata, così suona il campanello accanto al portone del vecchio palazzo, e poi lentamente sale le scale fin dal maestro: probabilmente lavoreranno ancora su Schumann stasera, ed il fedele pianoforte a mezza coda ottimamente accordato, suonerà ancora quel repertorio proprio nel modo di sempre, qualcosa che ormai Franca avverte solo come una scialba ripetizione di ciò che conosce da tempo. Ma lei forse penserà anche qualcosa di diverso mentre magari lascerà vibrare le corde metalliche con un mezzo pedale, e sarà in questo modo forse che anche la forma perderà poco per volta almeno qualcosa della sua sostanza.

 

Bruno Magnolfi

giovedì 2 settembre 2021

Normale fluire del suono.

 

            Lorenzo si siede in un angolo a poca distanza dalla minuta pedana dove al momento sono sistemati soltanto un paio di piccoli amplificatori e la sua batteria scintillante, ricomposta là sopra dopo il trasloco del pomeriggio. Il locale per adesso risulta ancora quasi vuoto, ma in ogni caso, se qualcuno del pubblico avrà la bontà di arrivare nei prossimi minuti, saranno sufficienti appena venti persone per esaurire lo spazio e le sedie a disposizione in tutta la sala. Si sente calmo, tranquillo, anche se è ben consapevole che quando dovrà sedersi dietro ai piatti e al rullante, sarà immediatamente trascinato dalle sonorità stesse di tutto l’insieme per dare il meglio di ciò che ha imparato sul jazz e su tutta la musica in questi rapidi anni di studio e di continuo esercizio. Non ha detto a nessuno tra le sue conoscenze che stasera avrebbe suonato in quel club, perché se la serata scorrerà in modo positivo per il suo piccolo gruppo, il parere di chi è venuto fin lì ad ascoltare quei brani, non potrà certo dirsi influenzato dalla buona disposizione di un parente o un amico di qualcuno che suona; e se al contrario le cose andassero male, l’opinione di chi sarà stato presente  avrà perlomeno un sapore schietto e sincero, tale da indicare la vera misura di tutte le cose messe nel gioco. Anche perché loro non suonano dei pezzi già noti. Propongono della musica propria, ardita, difficile, poco incline ad un ascolto distratto. I tempi stessi, che vengono segnati soprattutto dalla batteria e dal basso, spesso sono dispari, oppure la battuta è in levare, senza alcuna concessione a qualche ritmo di moda. I due fiati poi improvvisano scale dissonanti, inanellando motivi poco orecchiabili e a basso volume.

            La musica è ricerca, pensa Lorenzo in qualche occasione. E dentro se stesso gli pare talvolta di ascoltare direttamente quei suoni che tanto desidera produrre con il suo gruppo, avvicinandosi il più possibile a ciò che gli sembra più intimo, personale, nascosto tra i propri desideri; qualcosa che sia il veicolo più diretto per il proprio modo di interpretare l’organizzazione del tempo musicale. Sarebbe certo più facile lasciarsi andare alle abitudini dell’ascolto ordinario, oppure riprodurre semplicemente dei classici che tutti conoscono, ma secondo lui non sarebbe questo il modo giusto per fare della musica propria, soltanto una maniera per compiacere qualcuno. Poi arrivano in tre o quattro ragazzi, si siedono, scambiano qualche parola tra loro, si fanno portare da un cameriere qualcosa da bere. Ecco, il clima è quello giusto, pensa Lorenzo: bastano poche persone che siano ben disposte, il resto spetta a noi sopra questa pedana, nel cercare di trasmettere con naturalezza il nostro modo di intendere il jazz.

Arrivano gli altri del gruppo, si fermano al piccolo bancone del bar a parlare e a scambiarsi opinioni, così lui li raggiunge, scherza attorno a qualcosa che mostra l’unione perfetta dei loro intenti, mentre voltano le spalle a cinque persone che stanno giungendo, insieme ad altre che invece già prendono posto, si siedono, commentano a bassa voce qualcosa mentre le casse amplificate trasmettono della musica nota, qualcosa che riempie di note il silenzio. Ancora qualche minuto, le ultime inutili raccomandazioni prima di presentarsi sotto al faretto colorato che illumina i loro strumenti, ed iniziare a far sentire quello che sono riusciti a mettere insieme negli ultimi mesi di prove, anche perché è la prima volta che questo gruppo si trova a suonare dentro un locale: loro sono giovani, senza esperienza, però disposti a dare il meglio di ciò che riescono a fare. Forse a Lorenzo farebbe piacere in questo momento che fosse lì suo fratello, quello che gli ha regalato la batteria, ma è all’estero per lavorare, lo sente al telefono solamente ogni tanto. O forse gli piacerebbe ci fosse Franca Neri, la sua compagna di banco al liceo, per poterle dimostrare cosa sia possibile tirar fuori da uno strumento vagamente rudimentale, come direbbe lei, proprio come quello che lui percuote con le proprie bacchette. Ma forse è come se ci fosse davvero, come se ci fossero tutti, tutti quelli a cui vuole bene Lorenzo, perché è vero che sono lì adesso, anche dentro di sé, proprio all'interno di quella musica che in questo momento inizia a fluire, che si riversa immediata come un’essenza preziosa attorno alle sedie e sui tavoli, per terra, sulle pareti e anche nelle orecchie di quelle persone che lui non conosce, ma che adesso accolgono il suono come la cosa più bella e più normale di tutte.

 

Bruno Magnolfi