mercoledì 25 febbraio 2015

Utili consapevolezze.

           
Lei è qui, proprio in questo momento, dice all'amico. L'altro fuma in silenzio, seduto davanti alla finestra leggermente aperta, come immerso nei propri pensieri. Non l’ho ancora vista, certo, però avverto la sua presenza, e sono sicuro che non può essere lontana. L’altro lo guarda, annuisce quasi senza interesse, poi si alza, dice che adesso purtroppo deve proprio andarsene. Va bene, dice lui, ti ringrazio comunque di essere venuto fino qui. Si stringono la mano, l’altro esce sul lungo corridoio dell'ospedale, e quasi di fretta sparisce dietro qualche camice bianco.
Un infermiere della clinica psichiatrica scambia appena un'occhiata con l'uomo che se ne sta andando, poi si avvicina immediatamente al paziente ormai rimasto solo, e gli chiede se per caso voglia essere aiutato a rimettersi nel letto. Lui fa cenno di no, per ora sta bene così, vuole rimanere in piedi  ancora per un po’ di tempo, spiega. Sto aspettando una persona, aggiunge con voce piuttosto convincente. L’infermiere lo guarda, e dopo un attimo gli chiede se sia davvero certo che questa persona stesse per giungere proprio in quell’esatto momento, e non il giorno seguente, magari. Si, certo, fa lui, non ne parlerei se non ne fossi più che sicuro. Ma per caso, insiste l’altro, non è la medesima persona che doveva giungere anche ieri, e persino il giorno prima? Ha avuto delle semplici difficoltà, fa lui; può capitare a chiunque una cosa del genere, ma adesso sono più che convinto che quella persona stia proprio sul punto di arrivare.
L'infermiere si allontana di qualche passo, ma resta in attesa, di fatto senza mai perdere d’occhio il paziente. Poi, dopo qualche minuto, dal corridoio si avverte un suono elettronico che indica il termine dell'orario ammesso per le visite esterne. Lui non cambia espressione, prosegue a restare in piedi, immobile, appoggiato ancora al medesimo muro, e l'infermiere torna ad avvicinarsi. Potremo farcene un giretto insieme, gli dice, magari lungo il corridoio, tanto per parlare. Lui lo osserva, sembra però come perplesso. Vede, è mia moglie quella che attendo, gli spiega. L’infermiere sa benissimo che quell'uomo che ha di fronte non è neppure sposato, però non ribatte niente, ed in compenso con un sorriso lo prende sotto braccio, incoraggiandolo a camminare assieme a lui.
E com’è questa moglie, gli chiede subito con un certo interesse. Lui prende tempo, poi risponde semplicemente spiegando che si tratta di una donna dal carattere piuttosto riservato, una però che riesce a comprenderlo perfettamente, anche senza necessità di insistere nel fargli delle domande. Il silenzio in certi casi è sempre un elemento da privilegiare, dice l'infermiere a prosecuzione di quel ragionamento. Esatto, fa lui. Ma allora forse è proprio per questo che lei in questi giorni non si è mai fatta vedere. Probabilmente le basta dare il senso pur vago della sua presenza, il resto poi, ha un'importanza relativa.
Lui si ferma, guarda l'infermiere con insistenza, poi dice: è esattamente così, non importa che mia moglie sia qui adesso, concretamente, per mostrare quanto tenga a me, in quanto io so già benissimo che per lei farmi una visita è proprio il primo tra tutti i suoi pensieri. Io so che è così, e sapere questo, per tutt'e due, è già più che sufficiente. Giungono in fondo al corridoio, si voltano per tornare indietro, e né l'infermiere né il paziente, dopo tutto questo, sembra proprio che abbiano da aggiungere dell’altro.
Si accosta sorridendo la dottoressa, e si rivolge subito all'ammalato. Spiega in poche parole come una signora, durante il pomeriggio, si sia fermata in portineria chiedendo proprio di lui, del paziente della stanza Q, e che forse non sarà niente di importante, lei certo non lo sa, ma in ogni caso quella donna sembrava fosse molto contenta di sapere che lui in quel periodo si sentiva già meglio, molto meglio, e che probabilmente tra non molto sarebbe stato addirittura in condizioni di lasciare l’ospedale.
Lui resta in silenzio, abbassa gli occhi senza cambiare espressione; poi dice: adesso se vuole mi può aiutare a coricarmi, riferito all’infermiere. E stasera credo che non avrò neppure bisogno di far storie per l’iniezione del tranquillante.


Bruno Magnolfi

venerdì 20 febbraio 2015

Mille diverse possibilità.

            

Sto chiuso nello scafandro, limitandomi, attraverso la feritoia per gli occhi, ad osservare qualcosa della realtà che si muove all’esterno. Non uscirò certo da qui troppo alla svelta, la protezione che in questo modo mi sono guadagnato è tale da lasciarmi perfettamente a mio agio. Certo, lo scafandro è in buona parte costituito di metallo, limita moltissimo qualsiasi movimento, ma si tratta di scegliere ciò che si desidera di più, ed a me adesso non va certo di cambiare condizione. Da qui vedo come siano in molti a sbracciarsi per cercare un luogo di visibilità, alcuni poi anche per farsi largo in mezzo a tutti gli altri, ed altri ancora che invece tentano in qualsiasi modo di raggiungere una qualsiasi pedana da cui arringare a tutto spiano chi si trovi nelle vicinanze.
Così pensa lui, mentre trascina la propria esistenza all'interno delle proprie idee, modificando astutamente solo le parti più indolore e quelle di minore importanza. Dalla feritoia che gli lascia debolmente adocchiare la realtà, non può certo sbirciare molte cose, però quanto non riesce proprio a vedere se lo immagina, lo costruisce mentalmente, prendendo in questo modo degli abbagli clamorosi, che continuano inevitabilmente a portarlo ancora fuori strada.
Sto rannicchiato, e so per certo che nessuno mi verrà mai a cercare, anche se la protezione che mi sono guadagnato è tale che in pratica non ho quasi più paura di niente. Questo è il grande privilegio che mi sono costruito: aver messo una distanza, un diaframma tra me e tutto il resto, un elemento che mi lascia in questo modo quasi intoccabile, ma tramite il quale allo stesso tempo conservo una posizione di estremo vantaggio, che mi permette peraltro di rendermi conto, in qualsiasi momento, di tutte le cose da cui mi trovo circondato. Gli altri stanno là fuori, quasi rinsecchiti nel loro cercare spazi e idee; io sto qui dentro, ben appagato.
Così il suo modo di essere; ma se qualcuno sfiora leggermente la sua postazione, se viene messa in dubbio la sua capacità di persona che conosce bene ciò che è giustificabile e corretto, ecco che lui chiude ogni spiraglio, rifugiandosi persino nell'assenza completa e nell'oblio. La sua idea sembra sempre sopra tutto, come se non ci potesse essere neppure una differente maniera di confronto.
Sto immaginando le loro facce, le loro stupide espressioni. Non importa ciò che troveranno da dire, o se mai verranno davvero a ricercarmi. La mia funzione è questa, non potrebbe essere diversa. Il mio pensiero si staglia dappertutto, la mia idea di fondo, anche se non verrà compresa mai, resta comunque quella data dal mio stato e dal mio punto d’osservazione.
Così concede un'altra occhiata, forse l'ultima, dalla feritoia. Ma qualcuno intanto si è avvicinato al suo scafandro, qualcuno si è incuriosito di quel suo punto di vista. Si sorride, immaginandolo rinchiuso dentro quella gabbia, si torna ad osservare l'assurdo marchingegno, ma poi si inizia anche a parlargli, a dire a lui cose senza impegno, parole che poco per volta attraversano il pertugio, ed arrivano là dentro, a lui che è ancora lì, ben vigile, oltremodo attento.
Sto male; qualcuno è rimasto indifferente alla mia perfetta protezione. Qualcuno si sente in dovere di parlarmi, di raggiungermi, di raccontarmi qualcosa che fino adesso non immaginavo, neppure conoscevo. Non avevo neanche preso in considerazione questa remota eventualità, ma certo che oramai è chiaro, d'ora in avanti dovrò rielaborare ogni mia scelta.
Così piacevole tutto ciò che scorre libero, così meraviglioso aprirsi alla realtà, queste le parole che vengono fatte continuamente giungere dentro lo scafandro. Rinuncerà anche lui, si dice dappertutto, ed alla fine sarà proprio uno come tutti.


Bruno Magnolfi

martedì 17 febbraio 2015

Niente è come dovrebbe essere.

          

All’interno della prima busta, quella gialla, ci vanno esclusivamente gli ortaggi, e nella seconda invece i prodotti in scatola; mentre dentro la terza, che è bianca, ci va posizionato tutto ciò che rimane. Controllo, stendo ogni cosa sul piano di un piccolo tavolo, appena uscito dal corridoio delle casse, e verifico di nuovo che tutto sia a posto. Tiro fuori ancora i prodotti, e poi ricomincio da capo a mettere le confezioni ognuna al proprio posto. Ogni busta, una volta al completo, va riposizionata dentro al carrello, ma devo aver cura che gli oggetti sul fondo formino una specie di piano, in modo che i sacchetti non si affloscino su se stessi.
Qualcuno che forse conosco di vista, passando vicino alla mia postazione, mi dice a voce bassa che tutto va bene, ed aggiunge che forse per me sarebbe l’ora di tornarmene a casa, ma io neppure rispondo, non posso certo abbandonare questo supermercato prima che tutto sia perfettamente come deve essere. Buongiorno Mario, mi dicono poi alcuni che mi conoscono meglio: come va oggi? Ma io non mi lascio certo confondere da gente che generalmente mette le proprie cose alla rinfusa dentro al carrello: forse sono persone che non sanno neppure come si faccia a sistemare i prodotti in modo corretto; vanno di fretta, hanno da fare, e con questa scusa pensano che tutto sia giustificabile.
La cassiera mi ha detto qualcosa di spiritoso mentre conteggiava i prezzi e preparava il conto finale con lo scontrino che mi ha poi consegnato: oggi è martedì, lo sanno tutti; ed ogni martedì debbo venire io fino al supermercato, come stabilito dai turni della casa famiglia di cui faccio parte. Qualche volta agli inizi è venuto con me l'operatore, è giusto, doveva spiegarmi per bene cosa c’era da fare e come sia meglio comportarsi, ma in seguito la sua presenza ha perso sempre più di importanza, e così eccomi qua, da solo a fare la spesa alimentare per tutti gli altri.
Seguo attentamente queste annotazioni che sono state fatte sul foglietto che mi è stato consegnato e che in questo momento ho riposto dentro una tasca. Ho acquistato tutto, ne sono sicuro, però non c'è niente di male se controllo ancora una volta. Così tiro fuori il foglietto, guardo le confezioni e le scatole, metto da una parte tutto ciò che è stato già conteggiato, fino a quando sono sicuro che non manca proprio più niente.
Riprendo le buste, riposiziono le cose, e alla fine appoggio tutto quanto dentro al carrello. Ma a questo punto una donna che non conosco si avvicina e mi chiede qualcosa che non comprendo. Lasciami perdere, penso, ho già il mio daffare, devo sincerarmi che tutto vada per il verso giusto. Ma lei insiste, dice ancora qualcosa e poi infila una mano dentro una delle mie buste e tira fuori un sacchetto con i pomodori.
Non sono cose che si possono fare, penso; non va affatto bene confondere gli acquisti di un cliente come sono io in questo momento, ma quella donna per tutta risposta rovescia in malo modo i miei pomodori dentro al carrello, e infine se ne va, come se niente fosse successo. Credo nessuno abbia visto la scena, nessuno abbia minimamente fatto caso a quanto è accaduto, ma tutto questo non significa che il gesto compiuto da quella donna non sia di notevole gravità.
Vorrei piangere, urlare, disperarmi quasi. Torno a guardare il mio carrello e comprendo che niente è più al proprio posto. Anche le confezioni che avevo sistemato, gli altri sacchetti, le scatole, non vanno più bene per niente. Non si può neppure ricominciare, siamo arrivati ad una situazione inconcepibile, non riuscirò mai a capire come rimettere a posto le cose.
Arriva la cassiera, mi accarezza una mano, dice che non ci sono problemi, così prende i pomodori e li mette in una busta nuova, poi riposiziona alla meglio gli altri sacchetti e mi dice che adesso è tutto a posto. Le assesto subito uno schiaffo sopra la faccia, non so neanche bene da dove mi venga la forza per farlo, ma adesso sono convinto di non avere più il controllo sia del carrello che di tutta la spesa, e ci sarà bisogno sicuramente dell’operatore, penso, perché qui sono tutti nemici, ed io sono solo a difendere me e il mio punto di vista. Arrivano altri, mi fanno sedere, tutti hanno da dire qualcosa, ma io adesso voglio soltanto andarmene via, via da queste facce che sanno già tutto, lontano da questo supermercato pieno di gente con tante opinioni, lontano da questo mondo ostile e incomprensibile, dove chi si assoggetta alle regole viene sopraffatto da cattiveria e da stupidità, fino a renderlo del tutto incapace persino di capire cosa sia mai questa vita.


Bruno Magnolfi

domenica 15 febbraio 2015

Fastidio sparito.

            

            Sta ancora lì, adesso; è rimasto fermo persino quando qualcuno di noi gli ha gridato in malo modo di andarsene, e che tutta la gente che abita qui non lo voleva più in mezzo ai piedi. Chissà cosa gli passa per la testa, povero disgraziato. Ha una casa, da qualche parte, sicuramente anche qualche soldo che gli permette di tirare avanti. Eppure viene qui ogni giorno, e sembra non voler andarsene mai. Nessuno comprende il motivo del suo comportamento, ma il fastidio che crea è grande, lo sanno tutti. Lui non parla, non ti guarda nemmeno, sembra quasi non ascoltarti se tenti di dirgli qualcosa. Invece è furbo, lo si capisce subito.
Nel quartiere ci conosciamo tutti, e poi, che c'entra, ognuno ha le sue amicizie e le proprie simpatie. Ma contro quel vecchio siamo tutti d'accordo. Perché la sua presenza rovina il clima che abbiamo sempre avuto qua. Crea nervosismi, svogliatezza, senso di impotenza. Il suo aspetto risulta a dir poco sgradevole, ed è anche certo che ad andargli più vicino si scoprirebbe che il suo corpo emana un tanfo insopportabile. Il problema più grosso è che con l'andare del tempo si possa far l'abitudine alla sua presenza, e neppure ci si faccia più caso.
Bisognerebbe probabilmente intervenisse qualcuna delle nostre autorità, ma figuriamoci, quelli non si sporcano certo le mani con queste sciocchezze. Intanto lui si piazza lì ogni mattina e fino a quando è sera quasi non si muove. Qualcuno la settimana scorsa aveva trovato un bel secchio di sassi, materiale da costruzione, niente di particolarmente pesante. Così, in due o tre di noi, avevamo quasi deciso di fargli una bella grandinata tutt'attorno, soprattutto per impaurirlo un po’, ma poi sul più bello un paio non se la sono più sentita, e così abbiamo desistito tutti quanti. Perché una cosa è certa, o siamo tutti uniti oppure non si fa un bel niente.
In ogni caso una soluzione va trovata. Ma intanto passano i giorni e lui è sempre lì, come se potesse permettersi di fare quello che gli pare. Una donna poi lo ha avvicinato, gli ha chiesto qualcosa di preciso, e lui ha bofonchiato di certi suoi ricordi di quando era ragazzo. Ci siamo tutti incuriositi, abbiamo chiesto in giro se qualcuno dei più anziani si ricordava di quell’uomo, ma nessuno ne sapeva niente. Così la stessa donna lo ha avvicinato nuovamente, e con una scusa gli ha chiesto almeno di confidarle qualcosa con maggiore precisione.
Lui si è voltato con gli occhi attenti, l’ha osservata un po’ senza nemmeno una parola, e infine le ha detto soltanto: conoscevo una ragazza, una che abitava qui. Sono sicuro che prima o dopo la potrò incontrare nuovamente. Di tutto questo a noi è parsa solo una scusa bell’e buona. Nessuno fa passare cinquant’anni per venire a ricercare una persona che abbiamo perso di vista e della quale non ci si ricorda più neppure il nome. Così ci siamo innervositi, gli abbiamo teso un agguato e poi rovesciato sulla testa un secchio pieno d’acqua. Lui allora se n’è andato, bagnato come uno scemo quale era, mentre noi ridevamo e si diceva che era un matto e basta. Invece qualche giorno dopo, a furia di domande,  si è scoperto che la sua storia era proprio vera, anche se la ragazza di una volta, quella che cercava lui, era ormai morta, e già da qualche anno. Ci è dispiaciuto, e forse a questo punto avremmo voluto addirittura farglielo presente, e poi indicargli il nome di lei, ed anche la tomba dove magari potersi recare a portare qualche fiore; purtroppo però quel vecchio adesso è come sparito di circolazione, ed anche se noi continuiamo ad aspettarlo, stanno trascorrendo giorni e settimane, ma da quel momento lui non si è più fatto vedere. Forse per lui non era poi una cosa troppo importante.


Bruno Magnolfi

mercoledì 11 febbraio 2015

Nessuna novità.

            

Stiamo seduti sopra ai gradini, sul retro pieno d’erba di questa casa fuori mano, tanto per parlare tra di noi, come abbiamo sempre fatto, con le ginocchia strette tra le braccia e in mano una fedele birra, in testa tutto il resto, mentre ogni tanto si ridacchia di qualcosa, giusto forse per ricordarci che siamo amici da tanto di quel tempo, e che insieme ormai ne abbiamo passate parecchie di storie buffe, tanto da riuscire in tutti questi anni ad evitare persino l'invecchiamento che invece ha già colpito duro quasi tutti gli altri nostri amici, quelli che adesso sono all’interno della casa, a festeggiare un compleanno.
Siamo in attesa, questo è il punto, pronti a scattare, ad essere all'altezza della situazione che si presenterà, prima o dopo. Intanto alleggeriamo il momento, si dice qualcosa di divertente, senza neppure troppo impegno, senza affrontare niente che abbia davvero qualche importanza. Lui dice che se ne frega di molti aspetti che altri reputano fondamentali. Lo dice così, secondo me, tanto per parlare. Sottolinea anche che possiede poca memoria, ma si ricorda bene tutte le cose giuste. Sorrido, probabilmente potrei dire anche io la stessa cosa, eppure sono martoriato da dettagli insignificanti che si sono impressi nella mia mente anche molti anni addietro, e che spesso mi tornano presenti persino nei momenti meno adatti, anche adesso, come si fossero saldati una volta per tutte in mezzo ai miei ricordi, pronti a saltar fuori all'improvviso, quasi in modo autonomo. Forse questo vorrei dirglielo al mio amico, ma sono sicuro che non troverei mai le parole adatte. Così sorrido, e basta.
Lui, dopo un altro sorso di birra, dice che è stanco del suo lavoro, che vorrebbe occuparsi di qualcosa di più gratificante. Io lo ascolto, forse ha ragione, penso, però non mi viene in mente niente di adatto per una persona come la sua. Così ridendo gli faccio presente che dovevamo mettere su un locale, io e lui, e che ne parlavamo qualche volta tanti anni prima, appena fuori della scuola superiore che non faceva proprio per noi. Lui resta in silenzio, come se scherzassi, forse non se lo ricorda neppure, penso io. Invece a un certo punto scappa fuori a dire che ci siamo fatti sfuggire la nostra buona occasione, con quel locale. Eravamo la squadra giusta, mi fa, ci avremmo dato dentro, ne sono sicuro.
Forse è vero, penso, ma tutti gli anni che sono trascorsi da allora si sono presentati zeppi di cose da affrontare una ad una, senza possibilità di avere mai una visione complessiva. Abbiamo riparato ai guai che si sono presentati, gli dico; non abbiamo avuto molte possibilità. Ti sbagli, dice lui: non abbiamo avuto coraggio sufficiente, tutto qua. Va bene gli faccio, ma adesso è troppo tardi, inutile anche pensarci. Lui resta in silenzio. A me torna a mente di una volta quando litigammo: volarono subito parole grosse, e poi, inevitabilmente facemmo a pugni, però senza farci troppo male in fondo. Forse volevo che lui fosse più simile a me, che pensasse persino le medesime cose che pensavo io, chissà.
Ci eravamo andati a sciacquare la faccia alla fontana, quella volta, per toglierci di dosso la polvere della strada, dopo le botte. Io avrei voluto piangere, probabilmente per qualcosa che non ero riuscito bene neanche a comprendere. Cosi mi ero voltato per non far vedere a lui la mia tristezza. Ed in seguito le cose erano tornate quelle che erano sempre state.
Tutti questi anni ci sono scivolati addosso, fa lui; non siamo cambiati, possiamo ancora fare tutto quello che vogliamo. Non so, penso intanto io; siamo così diversi che non riuscirò mai a spiegargli appieno che le cose sono sempre più difficili, più complesse di quello che riusciamo a immaginarci. Intanto dalla casa qualcuno all’improvviso sembra chiamarci: è ora di rientrare, gli fo. Va bene, dice lui,  ma in qualche maniera avverto che forse è lui adesso che forse vorrebbe piangere, ma io non dico niente e non lo guardo neppure, per non imbarazzarlo. In fondo non è successo niente, rifletto; niente probabilmente succederà. Lo sappiamo tutt'e due.


Bruno Magnolfi

mercoledì 4 febbraio 2015

Qualsiasi persona.

                     
Sono arrivato stamani con il treno, mi sono precipitato subito verso il palazzo pieno di uffici nel quale avevo da consegnare alcuni documenti, e poi, resomi conto di aver risolto le cose molto più in fretta di quanto mi ero precedentemente immaginato, sono tornato in strada ed ho passeggiato in pratica senza una meta per tutta quanta la città. Mi sono anche seduto in un caffè, ad un certo punto, ma qualcuno là dentro sembrava tenermi un po' troppo sott'occhio, e così ho pagato di fretta la mia consumazione e sono uscito.
In seguito non è successo niente di speciale, ho proseguito a camminare ed a guardare le vetrine, sempre cercando di apparire, a tutta la gente che incontravo sui marciapiedi, una persona esattamente come le altre, ma nonostante questo ad un tratto mi sono sentito ancora sotto osservazione, quasi come fossi al centro dell’attenzione di svariate persone.
Alcuni passanti difatti mi gettavano come uno sguardo curioso, anche se di sfuggita, ed altri fingevano una certa indifferenza pur osservandomi invece con un evidente impegno; certi poi sembravano lasciarsi catturare dal mio modo stesso di comportarmi, addirittura dalla maniera di camminare, forse dalle semplici scarpe che ho calzato in questo giorno strano, non saprei, tanto che ad un tratto ho avuto voglia soltanto di riprendere il treno ed andarmene via al più presto.
Ma ho cercato di resistere a tutto questo, e così mi sono fermato ad un angolo quasi per sorridere tra me e compiacermi della mia caparbietà, orgoglioso fino in fondo del mio comportamento saldo. Un tizio allora si è accostato: buongiorno, ha detto; lei è una persona importante, mi ha spiegato, non si deve meravigliare se chiunque qua attorno riconosce in lei doti notevoli. La ringrazio, ho risposto, ma io fino adesso non sapevo neppure di avere tutte queste qualità, così sono sorpreso dall'interesse che suscito, dalla curiosità che le persone mostrano nei miei confronti. Il tizio allora ha sorriso, mi ha stretto la mano, e dopo se n’è andato.
Forse mi scambiano per qualcun altro, ho pensato. Forse sono soltanto somigliante ad un personaggio che tutti paiono riconoscere in me. Ma poi una signora passando, ha pronunciato lentamente e a voce alta qualcosa che sembrava proprio il mio nome e il mio cognome, proseguendo sempre a guardarmi come se fosse lei stessa meravigliata di incontrare per strada una persona come me, una persona proprio con quel nome che forse fino a quel momento aveva soltanto letto sui giornali, oppure che aveva visto alla televisione. Mi sono quasi vergognato della mia evidente notorietà, e così ho pensato addirittura di nascondermi, di entrare magari in un negozio ed acquistare un paio di occhiali scuri, tanto per rendere la mia fisionomia difficilmente riconoscibile.
Ma poi ho iniziato a sorridere a tutti coloro che proseguivano a guardarmi, e anche a coloro che magari lanciavano addirittura anche un saluto verso me. In fondo non posso oppormi ad una cosa così semplice e spontanea come quella che proprio adesso sta accadendo, ho riflettuto. In questo modo, poco per volta sono tornato fino alla stazione ferroviaria. Il primo treno utile per me partiva dopo circa una mezz’ora, ma al momento avevo quasi maturato la volontà di perderlo, tanto era il piacere che provavo per questa inattesa notorietà. 
Infine, dopo lungo tentennare, ho deciso di salire sopra al treno. Non sapevo neppure immaginarmi che cosa avrei potuto trovare al mio arrivo, ma con calma mi sono seduto in uno scompartimento dov’era già accomodata una signora che subito mi ha guardato sorridendo alla mia vista. Lei lo sa chi io sia? le ho chiesto allora sorridendole a mia volta. Certo, fa lei. Lei è una persona qualsiasi, non ci sono assolutamente dubbi.


Bruno Magnolfi