martedì 21 agosto 2018

Presente irrispettoso.



Ricordo che una volta, durante un giorno qualsiasi, io ed il mio amico andammo a far visita ad una ragazza, una tizia di nostra conoscenza che sapevamo abitare una strana casa che peraltro non avevamo mai visto, qualcosa che a suo dire stava a cavallo tra una baracca abusiva sul mare ed un appartamento studentesco situato nel vecchio centro storico della città. Lei naturalmente si mostrò estremamente felice del nostro arrivo, ma essendo del tutto inaspettato dovette spiegarci in due parole che purtroppo per quel giorno aveva un impegno accademico piuttosto importante in qualità di assistente universitaria nella facoltà dove lavorava, lasciandoci comunque padroni del suo appartamento per tutto il tempo che volevamo, con l’impegno da parte sua di tornare al più presto, forse addirittura nella stessa serata. Più tardi poi ci avrebbe spiegato al telefono che sarebbe rientrata soltanto il giorno seguente.
Cosi io ed il mio amico da soli iniziammo subito con l’accendere la televisione senza darle volume, ad ascoltare la musica di una buona collezione di dischi sistemati in bella mostra sopra una stuoia, e dandoci da fare soprattutto a rovistare nel frigo, aprire qualche bottiglia di vino buono trovata nella dispensa costituita da mensole e scatole, e divertirci di qualche altra sciocchezza. Ridevamo sdraiati sulle poltrone e sopra il divano, e quando decidemmo di guardarci un po’ in giro per inventare qualcosa, si andò subito a bussare ad una vicina di casa che avevamo intravisto da una finestra.
Decidemmo di improvvisare una specie di festa, io ed il mio amico, e in poco tempo la vicina riuscì a trovare quattro o cinque persone disposte a venire da noi a fare baldoria. Piazzata la musica a tutto volume, cucinammo qualcosa di semplice e poco dopo finimmo naturalmente quasi tutti sbronzi a ridere e ballare. Più tardi gli altri andarono via, ed io con il mio amico ci addormentammo stanchissimi sul divano tenendoci aggrovigliati con la vicina di casa, tanto che tutto parve andare benissimo almeno fino a quando, ormai nella tarda mattinata seguente, tornò la ragazza proprietaria dell’appartamento.
Disse che eravamo degli sciagurati, che non era possibile fare affidamento su gente come dimostravamo di essere, che al momento dovevamo rimettere in ordine ed in fretta tutta la casa, e che comunque non sarebbe bastato semplicemente ripristinare le cose, perché c’era un discrimine che ci divideva, il nostro vivere tutto al presente così contrario al rispetto sensibile e generoso degli altri e del futuro da parte di persone proprio come lei si sentiva di essere.
Restammo in silenzio, io ed il mio amico, e senza aggiungere niente dopo poco uscimmo a testa bassa da quella casa. Non avevamo un programma preciso, così dopo un lento giro nei dintorni provammo a bussare alla porta della vicina di casa con cui avevamo trascorso la notte. Ma anche lei ebbe parole di fuoco, dicendo con voce alta che eravamo degli sciagurati a cui non si poteva affidare un bel niente, e mentre continuava a parlare con una certa irritazione, noi ce ne andammo da lì e da quella zona, senza trovare commenti da fare. Che importa, si diceva tranquilli: in fondo è anche giusto spassarsela un po’.


Bruno Magnolfi

lunedì 13 agosto 2018

Maschera di oggi.

           

            Si muovono tutti quanti forse troppo in fretta, dice l’uomo, adesso non riesco neppure a mettere a fuoco le persone che normalmente mi hanno sempre incuriosito. E’ come se non ci fosse più necessità di scambiarsi una parola o un gesto di saluto. Sei soltanto ammalato, dice lei, adesso devi soltanto pensare a curarti e riposare, lasciando perdere questi piccoli dettagli senza alcuna importanza. Trascorre qualche minuto di silenzio, lui resta seduto a guardare ancora qualcosa fuori dal vetro della sua finestra, lei va avanti e indietro a sistemare alcune piccole cose prima di uscire dall’appartamento. Probabilmente sono diventato soltanto un vecchio noioso, fa lui sottovoce mentre cerca di sistemarsi con il piede una pantofola. Lei non gli risponde, si limita a guardarlo per un attimo per poi proseguire con le sue faccende.
            Questa finestra è sempre stato il mio passatempo preferito da quando non posso più uscire di casa: osservare da qui le persone che conosco come anche quelle che non ho mai visto, è come stare in mezzo a loro, ascoltare in qualche modo le parole che si dicono, comprendere i sentimenti che si scambiano o semplicemente manifestano. E’ quasi assistere ad un film muto dove tutti i comportamenti dei protagonisti si comprendono benissimo: i sorrisi, il modo di salutare, gli argomenti delle discussioni, le chiacchiere leggere, tutto. Ma adesso anche la vista non mi sostiene più, e a volte mi pare che tutti abbiano la medesima espressione, e che le persone che transitano lungo questa strada siano praticamente identiche, esattamente tutte con la stessa faccia, i medesimi gesti, gli stessi pensieri nella testa.
            Forse è così, dice lei sorridendo mentre ha già preso la borsa e si dispone a uscire. Probabilmente qualcuno si è accorto della tua curiosità, e così si è sparsa la voce tra chiunque si trovi a passare proprio da queste parti, di fare in modo di evitare ogni espressione davanti alla tua finestra, e di tenersi il più possibile indifferente anche a qualsiasi incontro gli possa capitare. No, non dire sciocchezze, sbotta l’anziano alzando leggermente un braccio. Non è così che va il mondo, nessuno fingerebbe mai qualcosa soltanto per non dare soddisfazioni ad un povero vecchio. Sono i tempi che sono cambiati, piuttosto, e nessuno oramai ha più niente da dirsi, figuriamoci poi ad esprimere i propri sentimenti con i gesti.
            Va bene, adesso esco, dice la figlia aprendo l’uscio; ripasso comunque prima dell’ora di pranzo, per vedere se hai bisogno di qualcosa. Va bene, va bene, dice lui senza voltarsi e mantenendo gli occhi sulla strada. Un tempo dovevamo farci comprendere ad una prima occhiata, dice poi tra sé. Ed eravamo pronti ad interpretare con attenzione qualsiasi sottigliezza nei modi di comportarsi della gente che ci trovavamo ad incontrare. Non è più così, è evidente, e tutto poco per volta si è appiattito in un vocabolario formato da due o tre gesti, poche espressioni, qualche faccia composta per pura convenienza. Non importa, dice poi come se la figlia fosse ancora lì vicino a lui; prendo atto di quanto è capitato negli ultimi anni, ed uno di questi giorni mi farò preparare una grande fotografia della mia faccia da mettere sopra questo vetro, così che tutti mi credano ancora pronto come sempre ad osservare il mondo da questa stupida finestra. E la mia soddisfazione sarà soltanto quella di mettermi a sonnecchiare sopra questa sedia ed immaginarli tutti ancora lì, lungo la strada, proprio come un tempo, a scambiarsi saluti ed espressioni, a fare gesti con le braccia e con il viso, sorridendosi tra loro o guardandosi anche storti; ancora veri però, senza alcuna maschera.


            Bruno Magnolfi     

lunedì 6 agosto 2018

Piccoli malesseri.



Sto male, dico. Un sottile dolore persistente, una spalla che mi sento intorpidita, gli fo. Lui mi guarda un momento, poi volta lo sguardo da un’altra parte quasi non mi avesse neppure sentito. Trascorrono due minuti: forse è solo una piccola botta che ho ricevuto senza averle dato troppa importanza, gli fo. Qualcosa di cui in questo momento neppure mi ricordo. Va bé, magari passerà, non è certo il caso di farla lunga, aggiungo cercando di interpretare e dare fiato alla sua indifferenza. Trascorrono altri minuti. Non riesco quasi ad alzare questo braccio, gli dico per stuzzicarlo. Ma il dolore è diffuso, e non so comprendere come potrei individuare la fonte del mio malessere se anche volessi. Lui si volta un attimo verso di me, poi mi accarezza una mano, come ad incoraggiarmi a stare buono, e poi nient’altro. Sto fermo, in silenzio, così non mi può succedere niente di brutto penso, ma dopo un attimo una piccola fitta mi avverte che il dolore è ancora lì, sotto una spalla.
Lui si gira dopo il mio gemito, mi guarda con una certa intensità: vuoi che provo a toccarti la zona per comprendere dove si trova precisamente questo benedetto dolore, mi fa. Te ne sarei profondamente grato, gli dico. Lui mi viene più vicino, mi stampa un bacio accanto alla bocca, poi mi prende il braccio e lentamente me lo muove. Mi piace quando cerca di prendersi cura di me, lui lo sa benissimo e cerca di farlo il meno possibile, proprio per non farmi abituare. Ecco, gli fo ad un tratto, in questa posizione il dolore aumenta. Lui senza aggiungere niente lascia andare il mio braccio e mi prende la mano per un attimo, poi si volta ricominciando esattamente con la sua proverbiale indifferenza.
Se vuoi si può fare un salto ad un pronto soccorso, mi dice in un sussurro. No, non credo abbia molta importanza, gli dico. Piuttosto mi piacerebbe che tu mi tenessi la mano, proprio come hai fatto prima. Lui allora mi prende ancora la mano, ma senza alcuna intensità, tanto che dopo un po’ sfilo la mia dalle sue dita. Ti sento distante, gli dico, e a me sembra quasi di essere da solo col mio piccolo dolore. Lui si alza, si volta verso di me per un attimo appena, poi va nell’altra stanza. Quando torna mostra di aver indossato la giacca: esco, mi dice, ho bisogno di stare un po’ per conto mio. Non rispondo niente, mi sento sprofondare per quel suo atteggiamento, ascolto la porta di casa che si apre e si chiude e resto ancora fermo, come paralizzato. Non era mai accaduto qualcosa del genere, oppure non lo ricordo, così attendo da un attimo all’altro che lui ritorni indietro, che mi chieda perdono, che tutto si risolva in un attimo senza importanza. Ma niente succede, se non quel mio piccolo dolore che prosegue insistente.
Mi alzo, vado alla finestra, non vedo niente. Nessun rumore, nessun particolare che mi faccia stare meglio di questo malessere che mi sta prendendo sempre di più. Sto calmo, rifletto, cerco di comprendere meglio ogni particolare, infine esco anche io, in preda alla disperazione. Cammino per strada nei dintorni del mio appartamento, non incontro nessuno che mi riconosca, non vedo nessuno che io sappia riconoscere. Ma il mio dolore alla spalla adesso non c’è quasi più, oppure è stato soppiantato da qualcos’altro con un’importanza maggiore.


Bruno Magnolfi