mercoledì 28 marzo 2018

Semplici variabili.




Tutti proseguono più o meno a sostenere che io adesso dovrei assolutamente uscire da qui, anche perché secondo loro non ci sarebbe proprio niente di cui preoccuparsi, anche se io pur limitandomi ad ascoltare in silenzio quelle loro voci che neppure mi giungono in modo molto rassicurante, resto comunque fermo dietro alla porta serrata di questo spogliatoio in cui mi sono volontariamente venuto a rinchiudere, e dove cerco in qualche modo di prepararmi per mettere insieme tutti i pensieri che potrebbero tra non molto tornarmi necessari. Devo sostenere un esame, devo affrontare una serie di quesiti, devo anche fidarmi di chi fra non molto vorrà sapere praticamente tutto di me, della mia preparazione, come minimo, dei miei modi generali di essere e di mostrarmi con gli altri. Ma io non mi sento del tutto pronto, questo è il punto: non ritengo proprio di essere all’altezza di quello che tutti tra un attimo vorrebbero sapere da me.
Scopro improvvisamente, guardando il piccolo specchio appeso sul muro, che la mia faccia appare incomprensibilmente come imbrattata qua e là in un modo casuale da una specie di densa vernice bianca, e se questo da un lato mi sembra oltremodo strano, dall’altro non riesco neppure a rendermi conto del motivo per cui io la veda così, considerando peraltro che quel viso che adesso mi appare sotto questa pomata non sembra neppure essere il mio. Apro una valigetta rigida in cui ho rinchiuso ultimamente parecchie delle mie cose, ma scopro soltanto adesso che ogni oggetto di uso comune che ho sistemato là dentro, a cui magari mi sento legato in varie maniere e per diversi motivi, da ora in avanti mi sarà probabilmente del tutto inutile.
Qualcuno bussa ancora alla porta spiegando con due parole che oramai mancano soltanto pochi minuti all’inizio, ed io allora mi alzo subito in piedi sollevandomi dallo sgabello su cui sono rimasto seduto forse per un tempo persino troppo lungo. O prima o dopo dovrò uscire da qui penso, le uniche variabili che mi sembra da prendere in considerazione è che io abbia davvero voglia di affrontare questo benedetto esame oppure no. Prendo ancora un po’ di tempo come fermando qualsiasi riflessione, infine faccio scattare l’apertura della porta, gli altri sembrano tutti improvvisamente acquietati, e nessuno di loro in quell’attimo fa girare per primo la maniglia. Lancio un’ultima occhiata allo specchio che mi osserva dallo spogliatoio, e mi accorgo con un certo piacere che le chiazze di bianco sono praticamente sparite, e che la metamorfosi della mia faccia in sostanza è già completamente avvenuta.
Esco, qualcuno mi guarda con meraviglia e forse anche con qualche sospetto, ma io percorro risoluto tutto il corridoio e mi presento immediatamente alle autorità che trovo sedute come immaginavo al loro tavolo. Nessuno dei presenti ha niente da dirmi, ognuno di loro osserva con attenzione solo le carte che si trova davanti, e dopo qualche preliminare l’esame può pure iniziare. Va tutto bene penso, mentre cerco di concentrarmi per rispondere alle loro domande; ma la parte essenziale dell'esame mostra delle difficoltà sostanzialmente a portata di mano, gli argomenti sono piuttosto semplici, ne riconosco immediatamente i fondamenti, sono del tutto superabili, non mi pare ci siano grossi problemi: probabilmente in questa fase posso proseguire ad essere una persona, riuscirò rapidamente a voltare anche questa pagina penso, ed in breve tempo diverrà facilmente tutto più tranquillo e disteso, esattamente come volevo fin dall’inizio.

Bruno Magnolfi

lunedì 26 marzo 2018

Foglio bianco.


            

            Seduto nel suo solito banco scolastico lui si sente bene: appoggia come sempre le palme delle mani sopra a quel piano liscio e semilucido, con le ginocchia che restano appena sotto al ripiano dove tiene i suoi quaderni, ed i suoi piedi dentro alle scarpe da ginnastica che riposano come di norma sopra all’apposito ferro orizzontale di appoggio, ed in quella posizione che si potrebbe dire praticamente ordinaria lui si limita a guardare fisso negli occhi il suo insegnante di turno, mentre quello sta spiegando a tutta la classe qualcosa di estremamente importante accaduto circa duecento anni prima di questo momento. Non vorrebbe distrarsi neppure per un attimo, perché quella lezione gli interessa davvero, anche per tutte le implicazioni che comporta, ma i suoi pensieri tendono continuamente a portarlo lontano da quegli argomenti, come se una strana calamita attirasse tutta la sua attenzione verso altre cose, addirittura contro la propria volontà.
Il futuro è sostanzialmente generico e soprattutto astratto, e ciò che più conta è incamerare adesso tutto quello che potrà servire per affrontare degnamente e con i giusti strumenti anche le stranezze e le variazioni che potrebbero eventualmente presentarsi; Francesco si sente determinato, non ha necessità neppure di concentrarsi troppo per comprendere come stiano preparandosi per lui evidenti momenti di difficoltà, ostacoli ed imprevisti che probabilmente però lo guideranno fino a fortificarsi nelle proprie convinzioni, e di questa certezza lui si sente convinto in questo preciso momento, forse come non si è mai sentito. Non ha certo avuto tentennamenti difatti poco prima, durante la breve pausa tra una lezione e l’altra, proprio nell’affrontare di corsa e senza indugi gli ampi corridoi scolastici di quell’edificio, fino ad arrivare davanti all’aula dove studia Cinzia, per poi velocemente cercarla in mezzo a tutti gli altri compagni, ed alla fine chiederle senza mezzi termini che cosa non stesse andando più tra loro in quegli ultimi giorni. Non posso parlartene qui, ha risposto lei guardando in basso dopo una pausa: vediamoci al solito bar, dopo la scuola.
Francesco si sente comunque già soddisfatto del suo puntare bene i piedi a terra, del suo forte desiderio di comprendere appieno ciò che sta avvenendo, di quel suo mostrarsi fortemente reattivo a certe presunte importanti variazioni, smettendo di sentirsi come nel passato semplice preda passiva di qualsiasi idea malsana fosse passata dentro alla mente di qualcuno. Si tratta di ritenersi una vera persona, questo ciò che pensa da qualche tempo, di provare soprattutto la necessità di conoscere bene gli altri, di ascoltare tutti, di mettere a punto un equilibrio tra se stessi e loro, fino a commisurate la propria personalità con quella di tutti coloro che gli possono stare accanto. Certo, ci sono i suoi disegni che confrontano passo dopo passo ogni suo progredire, con i pensieri riverberati sopra a quei suoi meravigliosi fogli bianchi, perché il suo esprimersi in fondo sta tutto lì, senza bisogno neppure di parole, o meglio semplicemente sottintendendole, proiettando ogni suo più complesso proponimento oltre la semplice indicazione delle frasi. Ma questo non basta, ci stanno altre cose che chiedono una sua precisa presenza.
Ma in fondo forse non ha molta importanza, pensa subito dopo; va bene così: non ci sarà mai per me una reale strada diversa che mi porti verso il confronto con gli altri, se non questo mio immedesimarmi continuo nel segno che la mia matita traccia sul foglio. E’ lì che stanno concentrate tutte le mie ambizioni; è lì dove si annidano i miei pensieri, il resto poi non riuscirò mai a comprenderlo appieno probabilmente, e quindi può anche andare avanti per conto proprio: saprò sempre in ogni momento che ci avrò provato ripetutamente ad essere uno esattamente come tutti, e se mai comprendessi uno di questi giorni di non essere riuscito del tutto nel mio intento, rimarrà per me comunque la carta bianca, pronta ancora una volta per la mia matita.

Bruno Magnolfi

giovedì 22 marzo 2018

Attimi di vantaggio.



Certo che per lui è stato sicuramente un grande sollievo riavere improvvisamente in tasca tutti quei soldi che qualche mese addietro aveva prestato a Corrado, quando già cominciava quasi a disperare di poterli riprendere, perlomeno in tempi celeri. Però al Torrini gli ha anche dato una certa soddisfazione in tutto quel periodo di tempo, tenere il suo collega d’ufficio proprio per la cravatta, poterlo osservare attentamente ogni giorno lasciando che lui abbassasse per primo lo sguardo, sorridere tra sé pensando a tutte quelle difficoltà che sicuramente stava affrontando nel tentativo di rendergli quei suoi quattrini, con l’aggiunta di tutti gli interessi richiesti, e poi poterlo trattare da pezzente, minacciarlo quasi ogni giorno, fargli sentire il fiato sul collo, con la minaccia di metterlo persino nelle mani di qualcun altro. Chissà poi come avrà fatto a rimediarli quei benedetti soldi, si chiede ancora adesso, considerato che nessuno nel giro poteva essere disposto a fargli dei prestiti, questo è forse l’aspetto che ripensandoci a mente fredda lo incuriosisce di più in questo momento. Ma se proprio così come un pollo il Renai è riuscito già una volta a cadere nella rete del gioco d’azzardo, sicuramente prima o dopo finirà per ritrovarsi di nuovo nel mezzo a qualche debito serio, una roba magari che la prossima volta potrebbe veder strangolate tutte le sue aspettative, forse anche di più, e anche più a fondo, questo è quello che pensa il Torrini in questo momento.
Forse in tutto ciò c'è anche una qualche relazione col fatto che il Renai si sia improvvisamente messo in cassa malattia, e che da qualche giorno non si sia più fatto vedere sul posto di lavoro, proprio come se fosse stremato da alcune gravi inquietudini, o magari preoccupato da qualcosa che lo opprime forse ancora più di quel debito ormai praticamente sanato, oppure ammalato davvero, magari davvero impossibilitato a muoversi da casa. Il Torrini gira nel corridoio tra gli uffici e si sente quasi leggero mentre prende da solo un caffè alla macchinetta, forse anche troppo da solo considerato che là in mezzo non ha neanche da incontrare Corrado, neppure per chiedergli qualcosa con la sua solita perfida ironia, come ultimamente si è trovato a mostrargli, come se la sua posizione di privilegio gli permettesse nei suoi confronti qualsiasi cattiveria.
Non è un bell’ambiente la vita in ufficio, lui se ne rende ben conto, almeno tra quei corridoi dove si tratta soltanto di polizze assicurative e quindi dei soldi degli altri; però nessuno di quegli impiegati che lavorano là dentro ha mai chiesto ai suoi colleghi di mettersi in mostra, di far vedere di che pasta si sentono costituiti, come se trascorrere assieme molte ore del giorno fosse sufficiente a sentirsi degli avversari, quasi che colui che bada soltanto al proprio lavoro e a nient’altro non dovesse essere soltanto uno sciocco, un semplice schiavo di un sistema di cui non è riuscito a comprendere appieno neppure il funzionamento, ma anche un nemico, uno che inquina anche la semplice aria con il suo metodo semplice ed estremamente ordinario. Ci vuole furbizia per galleggiare oggigiorno, pensa il Torrini; non sono più i tempi in cui dedicarsi a qualcosa e magari dimenticarsi del resto: bisogna saper interpretare i momenti, essere rapidi a coglierli, e non farsi troppi problemi se si tratta semplicemente di approfittarne.

Bruno Magnolfi


martedì 20 marzo 2018

Maschera vera.


           
            Fermo, sotto ad una pioggia leggera ed invischiante, proprio identica a quella che sta venendo giù insistentemente negli ultimi giorni, sotto ad una giacca forse persino troppo larga, che in ogni caso a quell’epoca non era affatto della sua taglia, con l’espressione come sempre enigmatica, senza alcuna definizione di stato d’animo, lui mi appare davanti ancora una volta, appena provo a lasciare la mente andarsene dietro ai ricordi e ai pensieri senza controllo. Ecco, questo è tutto ciò che rimane di maggiormente importante di quel periodo estremamente confuso, forse proprio come deve essere il groviglio convulso della giovinezza, quel momento zeppo di idee e di voglie che molto probabilmente in seguito non troveranno una vera risoluzione.
            Dicevo dentro di me: si deve pur trovare una maniera, anche se erano soltanto parole a cui nessuno avrebbe mai davvero creduto, forse neppure io. Eppure si andava avanti, si cercava davvero di fare, di mettere insieme i pensieri, di dargli uno spiraglio di verità, disegnando i progetti sul niente, perché sapevamo che li avremmo comunque tenuti sempre in memoria, e non ci sarebbe stato bisogno di altro per renderli veri. Via, via da qui, da queste cose inutili che ci sbarrano soltanto la strada, che ci rendono simili a chi non ci piace, a chi ci vorrebbe costringere ad essere soltanto identici a loro: mummie di idee e di necessità, che invece noi volevamo vive, libere, forti del nostro semplice sentirsi forti, senza bisogno di altro. 
Tu c’eri sempre, eri con me, davanti, alle mie spalle, intorno ai pensieri ed ai sogni da cui mi sentivo coronata. Imperfetto, certo, da migliorare, da cambiare completamente forse, però lì, come un mito da rincorrere senza avere più fiato. Poi fu sufficiente uno scossone; neppure: una semplice incomprensione, una superficialità lasciata senza spiegazioni, quasi per un moto di opinioni date come scontate, di pareri buttati nel mezzo e poi sostenuti ma quasi per semplice indolenza. Quel piccolo pertugio che si fece appena in un attimo più grande, fino a diventare un vero allontanamento, qualcosa che non avremmo mai creduto possibile fino a pochi giorni più addietro. Forse allora tu mi cercasti, ma sicuramente sbagliando i tempi; ed io a mia volta forse ti cercai, ma lo feci inevitabilmente nel momento sbagliato.
Una semplice nuvola di vapore di tutte le cose non dette e non fatte, e poi via, verso argomenti senz’altro più radicati nei nostri rispettivi retroterra, senza quei voli pindarici che in seguito abbiamo dovuto separatamente ridurre a stupide sciocchezze di gioventù, che non avrebbero proprio portato mai da alcuna parte, che non ci avrebbero permesso mai di trovare davvero la strada, che non sarebbero stati mai in nessun caso gli spiriti guida a cui affidare, dopo appena una porzione di tempo, le nostre vere esistenze.
Ed adesso eccoti lì, che fa forte impressione saperti navigato in chissà quali mari in tempesta, con la tua espressione rimasta esattamente la stessa, ed una faccia da schiaffi che non potrebbe essere stata mai, per tutto questo tempo e per tutti i problemi che il nostro separato percorso abbia certo dovuto affrontare, qualcosa di diverso da quella che eri riuscito a costruire sopra al tuo viso: una maschera vera, meravigliosa.

Bruno Magnolfi

domenica 18 marzo 2018

Medicina mentale.




Certe volte mi sento proprio stanco della monotonia di queste giornate che mi appaiono tutte così simili l’una all’altra da non riuscire a tenerne a mente neppure una. Le cose da fare per la mia figura professionale sono sempre all’incirca le medesime, non c’è mai alcuna possibilità di poter sbagliare: farsi trovare da qualsiasi paziente arrivi concentrato ma in assoluta tranquillità di fronte all’elaboratore elettronico dentro allo studio medico asettico e attrezzato, lasciare che una delle infermiere con i guanti in lattice, dopo aver verificato tutti i dati e la prenotazione, lo inviti a stendersi sopra al lettino coperto di carta opportunamente sistemata, e poi attendere per qualche attimo che vengano svolti tutti i preliminari dell’esame, spiegare a lei qualche ulteriore indicazione sulle poche differenze che si possono trovare dentro ai fogli che consulto stampati dai colleghi, ed infine avviare il programma elettronico del macchinario, tanto da dovermi alzare finalmente da dietro la mia scrivania e passare alle solite domande di rito dirette all’ammalato, contemporaneamente a dei minimi palpeggiamenti doverosi sul suo ordinario corpo teso. Certo che i pazienti sono sostanzialmente tutti diversi uno dall’altro, qualcuno estremamente timoroso, altri al contrario strafottenti, e poi c'è anche chi mostrando qualche pregressa patologia si fa forte delle proprie piccole esperienze, mostrando di averne passate talmente tante da snobbare tutto ciò che sta avvenendo e non meravigliandosi ulteriormente più di nulla.
Mi annoio, questo è il punto, pur sapendo perfettamente che sto aiutando magari decine di persone a non morire, o ad alleviare notevolmente quei loro dolori che spesso tutti dicono di avvertire, o anche mitigare soltanto le generali sofferenze di cui parlano, trovando spesso soluzioni rapide ed efficaci per indicare le cure più opportune da iniziare subito dopo questi miei diretti esami clinici. Poi però arriva questo tizio, sembra in sostanza uno qualsiasi, però si vede subito che sta proprio nei guai, che la sua situazione sanitaria non è neppure la cosa più antipatica che lui sta aspettandosi dal suo presente. C'è altro dietro al suo sguardo, si avverte in concreto persino nel rispondere a me solamente a monosillabi, e poi si vede immediatamente dopo, mentre evidenzia quanto non abbia quasi alcuna fiducia in colui che in questo momento si sta trovando proprio di fronte, manifestandogli in sostanza una completa indifferenza, perché probabilmente vorrebbe soltanto essere oltre, dimenticare in fretta tutto quanto, lasciarsi alle spalle questi anonimi camici bianchi che vede camminare in giro, ed avere in fretta un’altra buona possibilità per tirarsi fuori da tutto, dai suoi guai, probabilmente, o anche dal suo corpo che desidera tanto sanificare, e forse ritrovarsi all’improvviso senza avere più nessuno tra tutti quei problemi che lo assillano in questa sua ultima fase.
Scrivo svelto una diagnosi mentre mi rimetto dietro all’elaboratore: lui si riveste, Renai si chiama, ed anche se adesso appare così sfuggente, mi sembra di conoscere il tipo di persona, perciò svolgo soltanto questo mio ruolo stampando i codici risultati dalle macchine, ed elargisco ai fogli una sola semplice occhiata, poi vado ad infilarli dentro alla busta di colore giallo. Arrivederci, dico, anche la nostra conoscenza finisce adesso; avanti il prossimo.

Bruno Magnolfi

giovedì 15 marzo 2018

Analisi clinica.




All’improvviso lui sente di avere la mente praticamente sgombra da tutti i pensieri che lo hanno costantemente assillato negli ultimi giorni, mentre conservando quasi un’espressione di indifferenza rispetto a tutto rimane seduto da solo sopra quella panchina, nel giardinetto del quartiere sanitario, anonimo ma molto ben curato. È ancora troppo presto per entrare dentro la clinica che si apre proprio di fronte al suo sguardo, per cui riesce ancora a prendere del tempo per sé, guardarsi di nuovo in giro con calma, tentare di rilassarsi al massimo prima di giungere a presentare tutti i suoi documenti sanitari, raccolti con cura dentro una busta di carta gialla semilucida, presso l’ufficio accettazione di quell’edificio, e poi magari attendere insieme a chissà quanti altri il proprio turno per essere introdotto in uno dei tanti studi medici generalmente piuttosto affollati che si aprono lungo quei corridoi, per sottoporsi come previsto ad uno degli esami diagnostici prescritti dal suo dottore oramai da diverso tempo. Immagina già, prima ancora di vederli, i vetri opachi delle porte con quegli infissi freddi in grigio alluminio, e poi l’odore di etere, e quei camici bianchi indosso a tutti gli operatori, per poi avvertire dentro di sé un forte e innegabile senso di estraneità a quell’ambiente, anche se in fondo non sarà forse neppure capace di avere davvero un’opinione precisa su quanto probabilmente si troverà ad affrontare.
Ci sono delle persone senz’altro serie ed indaffarate che trascorrono le loro giornate tra quelle mura, anche se lui molto semplicemente non vorrebbe avere niente a che fare con loro. Se ci riflette gli sembra in ogni caso di essere già oltre la paura del primo momento, come se avesse ormai superato lo scoglio sul quale probabilmente si scontrano tutti: sentirsi un semplice numero, un individuo qualsiasi preso per mano e portato avanti come un bambino alle giostre, rassicurato da semplici lavoratori che per propria esperienza sono oramai immuni ed indifferenti ai dolori degli altri. Si alza, si guarda attorno, forse ha già rinunciato a formarsi una propria opinione, forse vuole soltanto lasciare che tutte le cose assumano da sé le loro conseguenze più logiche, e mettersi nelle mani di gente che conosce perfettamente quale sia il comportamento migliore da adottare per risolvere qualsiasi problema sanitario si trovino stagliato davanti.
Magari qualche risultato finale potrà venire fuori direttamente durante questa stessa seduta, pensa adesso Corrado per la prima volta; ma più facilmente tutto quanto sarà rimandato a dei campionamenti analizzati con calma nei prossimi giorni, e poi tutto quanto sarà inserito dentro a certe nuove buste gialline, dove saranno riportati dei dati e delle sigle a lui incomprensibili, fino a rimandare ogni cosa ad un'unica volta finale, all’incontro più decisivo, durante il quale verrà fatto accomodare davanti ad una scrivania chiara e liscia, e di colpo messo al corrente di tutti i suoi guai. Purché tutto succeda in tempi almeno abbreviati, pensa in questo momento; ed io sarei praticamente già pronto, al punto che posso da ora considerare le cure che mi occorreranno quasi come un normale inciampo nella quotidianità di ogni giorno.

Bruno Magnolfi

martedì 13 marzo 2018

Scelte obbligate.




Lei sta al lavoro. S’impegna, ci tiene a portare avanti bene la sua occupazione, perché vuole sempre far procedere le cose in maniera che nessuno abbia niente da dire. Non importa poi se gli utili della carrozzeria dove si reca ogni mattina quest’anno potranno essere più o meno alti dell’anno passato ad esempio, in fondo sono cose che non la riguardano direttamente; Anna però sa che comunque vada avrà sempre fatto il massimo per quanto le compete, ed ogni volta lei avrà sistemato tutto quello che serve per portare avanti degnamente l’amministrazione di questa piccola impresa artigiana. Il titolare le dice stamani, quando è appena arrivata, di appoggiarsi ad una banca diversa per le ultime ordinazioni dei pezzi di ricambio, e lei lo fa, senza preoccuparsi di altro. Certe volte rimane fino a tardi per adempiere a tutti i suoi impegni lavorativi, ma generalmente riesce a rispettare l’orario previsto dal suo contratto. Oggi per esempio esce all’ora di sempre, così mette a posto gli ultimi registri delle fatture e poi indossa il soprabito, saluta il titolare con un gesto e qualche semplice parola, e poi esce, percorrendo a piedi tutta la breve stradina in fondo alla quale si apre la carrozzeria. All’angolo seguente sulla via principale incontra lui, che subito le sorride, mentre sta tranquillamente parlando con un suo conoscente.
L’altro va via all’avvicinarsi di Anna, e lei allora si sofferma: come va, le chiede subito Andrea. Lei gli sorride a sua volta: tutto bene risponde, soltanto, là dentro, si sente un pochino la tua mancanza. Ti accompagno, fa lui. No, dice Anna: non vorrei che qualcuno ci notasse proprio in questi paraggi. Va bene, fa lui, comunque sono passato da qui soltanto per farti un saluto. Lo so, dice lei, immagino vadano bene le cose col tuo nuovo lavoro. Abbastanza, fa lui, anche se qualcosa mi manca. Ciao, dice lei, ora devo andarmene. Lo capisco, fa lui. Così si stringono la mano per un momento, si lasciano un sorriso malinconico e poi basta, ognuno per la sua strada.
A lei dispiace essere stata un po’ fredda e forse anche parecchio frettolosa, ma non vorrebbe con il suo comportamento dargli qualche speranza. In fondo è stato poco più che un gioco tra loro, e in ogni caso non è successo niente e niente potrà mai succedere. Adesso invece si sente preoccupata per suo marito, che da qualche giorno avverte un dolore in merito al quale il medico ha prescritto degli accertamenti urgenti che tengono tutto in una situazione come sospesa. Corrado peraltro sembra non ne voglia neppure parlare, e si mette lì, rannicchiato in un angolo, come un animale ferito, e non dice niente, neppure qualcosa sui primi risultati delle analisi che sta facendo. Loro figlio poi, sempre più evanescente, sembra neppure ci sia, anche se quando è dentro casa continua a stare sempre sui libri, quasi disinteressandosi di tutto il resto.
Anna rientra nell’appartamento ed avverte subito come una cappa di grave tensione, con le finestre tutte oscurate dalle tendine, ed un silenzio interno quasi opprimente. Non importa, pensa lei, tutte le cose sono destinate a passare, a scorrere per forza di cose verso giornate migliori: suo marito guarirà anche dal suo evidente sconforto, suo figlio troverà la maniera di essere maggiormente socievole e anche di sorridere, e lei si sentirà una di queste volte più sollevata, capace di essere ancora contenta di quella vita che in fondo si è scelta.

Bruno Magnolfi 

sabato 10 marzo 2018

Battaglie perse.


        

            Mi sento solo mentre cammino lentamente verso casa, una volta terminate tutte le ore di lezione. Dietro di me sento ancora gli strepiti e le urla di tutti i compagni che ci vengono a studiare in questa scuola, e poi le loro risate nei corridoi, le parole forti, i discorsi fatti senza avere praticamente nessun senso, le loro argomentazioni certe volte buttate là come delle semplici provocazioni, o come certi possibili elementi di riappropriazione o di evidenza delle proprie diverse individualità. Tutto chiaro, tutto comprensibile. Percorro a piedi quasi sempre la stessa via quando esco da là dentro per tornare a casa, salvo ogni tanto girare per qualche strada alternativa, giusto per non sentirmi costretto lungo quel medesimo solito solco. Non ritengo di dover affrontare nessuna fase particolare del mio percorso da ora fino alle prossime settimane, nessun passaggio in cui magari dover esercitare tutta la mia capacità di comprensione e anche di analisi della realtà, eppure mi sento teso, sono proprio nervoso, come se qualcosa di incomprensibile stesse veramente per accadere, o come se io stesso all’improvviso fossi chiamato a prendere importanti decisioni.
           Sono diversi giorni che non esco con Cinzia, e non per un motivo preciso, ma soltanto per semplice indolenza, per la mia incapacità di essere propositivo, e qualcuno mi è persino venuto a dire, senza che avessi chiesto niente, che lei sta uscendo con alcuni amici suoi che io neanche conosco, nonostante tutto questo in fondo non abbia per me alcuna importanza, perché alla fine io e lei che pur siamo solidali su tante cose, ci sentiamo anche delle persone differenti, e non posso certo pretendere che il mio semplice sentire quotidiano sia adesso in qualche modo assimilabile a quella sua evidente sensibilità da imprendibile estroversa. E poi io sono sempre stato solo, inutile illudermi che la mia personalità possa cambiare in questo momento soltanto perché sono suo conoscente. Se fino a poco tempo fa riuscivo ad avere al massimo soltanto qualche scambio di opinione con la mamma, per esempio, adesso è venuto meno persino questo aspetto, e mi sento lontano anche da lei, dai suoi problemi, dai suoi modi sempre più nervosi di comportarsi verso di me.
Nel pomeriggio credo che mi rintanerò come sempre nella mia piccola stanza, a leggere, a studiare, forse a portare avanti qualche disegno, e tutt’al più a pensare alle mie cose, proprio come fossero le più importanti tra tutte quelle che mi passano vicino. Certe volte vorrei proprio perdermi tra gli altri, avere la capacità di dimenticare queste mie solite fissazioni, inventarmi quei gesti che maggiormente mi procurano piacere, come gli scorci di realtà che ho sempre voglia di definire sulla carta sotto forma di ritratto, e lasciarmi andare a quello che a tutti quanti darebbe sicuramente maggior soddisfazione, come fossi esattamente uno di loro, cioè un ragazzo qualsiasi, uno che abita la casa di una famiglia come tante, senza alcuna vera differenza.
Forse oggi pomeriggio potrei andare in biblioteca, a studiare per un po’ su quei larghi tavoli in mezzo a tutte le altre persone che normalmente la frequentano, e poi magari fermarmi qualche minuto nell’ingresso, ad ascoltare cosa si dice in giro tra i ragazzi che sono già degli universitari, per comprendere quali siano davvero gli argomenti forti in questo periodo che a me pare sempre più confuso. Potrei telefonare a Cinzia magari, e chiederle senza mezzi termini di mollare tutti i suoi stupidi amici del momento e di raggiungermi, come per uno slancio di rinnovati sentimenti l’una verso l’altro, e viceversa. Sorrido tra me mentre continuo a camminare: sicuramente non farò niente del genere, è più che evidente, ed il mio almeno per oggi sarà un normalissimo rimetterci tutto di persona, come perdere una qualsiasi battaglia senza neppure tentare di difendersi. Cambierò comunque, uno di questi giorni, ne sono già sicuro.

Bruno Magnolfi


mercoledì 7 marzo 2018

Urlo attenuato.




Più tardi devo per forza recarmi dal medico. Questo dolore continua ad andare e tornare, poi si calma, si fa risentire, e quando vuole si acuisce fortissimo e mi lascia quasi senza respiro. Mi sono rigirato nel letto mille volte tentando di prendere sonno, ma è stato inutile e stupido. Non posso certo andare in ufficio. Stamani giro per casa in pigiama cercando un luogo o una posizione che possa alleviare questa buia sofferenza, ma sono stremato, mi sento del tutto privo della possibilità di fare qualsiasi cosa abbia voglia. Mi rannicchio su di una poltrona, stringo forte le ginocchia contro di me, le tengo con le braccia e le mani, vorrei anche urlare per sfogo, ma voglio evitare di attirare l’attenzione del vicinato. Ho la fronte sudata, vorrei avere qualcosa davanti capace di prendere su di sé almeno una parte della mia attenzione, in modo da passare suppergiù almeno qualche minuto senza il pensiero continuo di questa piccola parte del corpo che sta combattendo con forza col resto, di questo grumo di aghi che sento all’interno di me mentre proseguono a torturarmi simultaneamente procurandomi un continuo ed insopportabile dolore, leggero forse, ma tremendamente sottile e costante.
Mi alzo, sbatto un pugno sul muro cercando come di provare una sofferenza diversa, poi mi riverso sul letto. Mi vesto, o almeno cerco di vestirmi approfittando dei brevi momenti in cui l’infido male si attenua; infine esco, chiudo la porta dell’ appartamento alle mie spalle e poi resto lì, sul pianerottolo, cercando di comprendere se possa riuscire con le poche forze che mi ritrovo, a raggiungere l’ambulatorio del medico, oppure se dovrò ad un certo punto chiedere aiuto a qualcuno, magari proprio lungo la strada. Scendo le scale con estrema cautela, i miei dolori paiono in una fase piuttosto attenuata, poi esco, respiro l’aria fresca e piacevole, guardo tutto quanto ciò che c'è attorno e d’improvviso sento le cose quasi sfuggirmi di mano, come se fossero queste le ultime volte in cui possa riuscire a godere persino di un pomeriggio qualsiasi.
Faccio dei piccoli passi, mi fermo guardando le vetrine di questi negozi, riprendo a camminare quasi senza espressioni sul viso, cerco di tenere le mani dentro le tasche, di dare un andamento naturale al mio corpo martoriato da questo invischiante dolore, che in questo momento non è poi così forte, però mostra con costanza la sua presenza, lasciando che ancora ne avverta una coda forse leggera, ma persistente. Poi sono all’ambulatorio. Entro, ci sono due o tre persone che attendono, parlo con l’infermiera e mi viene spontanea una smorfia di dolore. La donna si alza dal suo piccolo scrittoio, mi prende per un braccio, mi fa sedere, poi va a parlare col medico, dentro lo studio che intravedo dallo spiraglio della porta socchiusa. Trascorrono così cinque minuti, gli altri presenti mi guardano, un paziente esce dallo studio ed il medico dietro di lui si fa sulla porta, mi invita subito ad entrare, e appena dentro mi lascia sdraiare sopra al lettino. Mi guarda, mi tocca, mi chiede, saggia, ausculta, usa gli strumenti che ha lì disponibili, poi alza il telefono, chiede qualcosa a qualcuno, mi fissa degli appuntamenti, dice che il mio caso sembra essere urgente, poi scrive sul suo taccuino per le ricette una serie di farmaci da prendere iniziando da subito, o almeno al più presto possibile. Quando esco da lì con i fogli dentro la tasca sento di stare già meglio. Più tardi poi tutto si attenua.

Bruno Magnolfi

martedì 6 marzo 2018

Strada di casa.




Smettila, adesso fermati, dice lei al bambino che continua a correre intorno al tavolo della cucina e lungo il corridoio dell’appartamento, ridendo e facendo ogni poco degli urletti insensati, forse per tenere lontano qualcosa dalla sua mente. Fuori pioviscola, la giornata appare lunga e anche vuota, e l’andamento malinconico del tempo non sembra però essere così negativo come dicono alcuni. Il bambino poi si ferma, si siede, dice che è stanco in questo momento. Apre un libretto di figure che da un po’ di tempo porta sempre con sé, ed inizia a seguire per l’ennesima volta la storia di due orsetti che se ne vanno a spasso per vari luoghi.
La vicina di casa gli dice con tono calmo e pacato che tra non molto tornerà la sua mamma per riportarlo nel suo appartamento al piano inferiore, e che sarà meglio per lui non farsi trovare affaticato, altrimenti potrebbe anche arrabbiarsi. Il bambino fa cenno di si con la testa, poi chiede un bicchiere con l’acqua, e alla fine domanda dove sia andata sua mamma e per quale motivo lo abbia lasciato da lei che è soltanto una vicina di casa. Lei lo guarda, gli spiega con modi tranquilli che la mamma aveva da fare diverse commissioni, e in ogni caso lui non deve assolutamente pensare che se avesse potuto portarlo con sé non lo avrebbe fatto senz’altro.
Il bambino non sembra molto convinto, comunque prosegue a guardare il suo libro in silenzio, stringendosi sempre più sulla sedia e disinteressandosi completamente di ogni altra faccenda. Poi inizia a piangere quasi in silenziio, non lo sa neppure lui per quale motivo, e forse neppure vorrebbe saperlo, ma all’improvviso gli sembra che tutto stia prendendo una bruttissima piega, e che anche gli orsetti sul suo librino non trovino più la loro strada di casa. Lei allora si siede al suo fianco, gli mette una mano intorno alle spalle e gli dice che tutte le cose stanno andando benissimo, e che non c’è assolutamente bisogno di lasciarsi intristire solo perché fuori piove e non è possibile fare magari una bellissima passeggiata.
Suona il telefono, la donna risponde subito mentre il bambino si volta verso di lei incuriosito, dando seguito al suo intuito che gli suggerisce ci sia qualcosa che lo riguardi. È la mamma, dice lei guardandolo con un piccolo sorriso mentre tiene una mano sulla cornetta. Lui resta paralizzato. Va bene, dice ancora lei parlando nell’apparecchio; per me non ci sono grossi problemi, però non so come potremmo affrontare le cose, se tu vuoi comprendermi. D’accordo, dice ancora alla fine, naturalmente cercherò di fare del mio meglio. Poi abbassa il ricevitore.
Tutto bene, dice al bambino adesso con un largo sorriso: tra poco possiamo uscire  a comprare qualcosa, così quando siamo dal droghiere si può decidere che cosa mangiare stasera. Dov’è la mia mamma, chiede il bambino. Ha ancora qualcosa da fare, risponde lei; ma forse si può fare finta che lei sia già qui, in questo momento, e che ci lasci decidere proprio a noi due che cosa le piacerebbe mangiare. Possiamo proprio preparare qualcosa anche per lei, e apparecchiarle la tavola, così quando alla fine ci raggiungerà staremo tutti insieme seduti a guardarci contenti, a ridere, a mangiare, a dirci le cose, e a parlare perfino dei due orsi inizialmente sperduti tra le pagine di quel tuo bel libro, ma che adesso hanno sicuramente già ritrovato la strada.

Bruno Magnolfi

venerdì 2 marzo 2018

Ricordo di valore.



No lo so, dice Anna con voce bassa e modi calmi; non mi sono mai ritrovata in una situazione del genere. Forse avrei dovuto prendere fin da subito una posizione precisa, magari farmi sentire, ma non è nel mio carattere mostrarmi troppo, anche se adesso mi dispiace profondamente per quello che è successo. Chiara la guarda in silenzio, sorseggia la sua tisana seduta al tavolo di quel piccolo locale dove loro due si sono sistemate una di fronte all’altra, poi volta lo sguardo verso qualcosa fuori dalla vetrata, come riflettendo su quelle parole che ha ascoltato. No ho cercato niente, fa ancora lei; non avevo bisogno di creare dello scompiglio nelle persone che mi stanno attorno, forse mi sarebbe piaciuto che tutto fosse andato avanti chissà quanto tempo nella stessa esatta maniera di sempre, senza alcuno scossone. Solo adesso mi rendo conto con certezza che non poteva essere così.
Io non mi preoccuperei troppo fossi al tuo posto, dice Chiara tornando a guardarla negli occhi; in fondo non è successo niente di particolare, e la mossa che ha fatto Andrea può essere forse, oltre ad un evidente rilancio nel suo mestiere, anche un’opportunità nella vostra storia. Ma non c'è alcuna storia, dice Anna irritata trattenendo il timbro della sua voce; e poi a questo punto, visto che lui è andato a lavorare in un’officina così distante da questo quartiere, non credo ci saranno in futuro molte possibilità per rivederci. Può darsi, fa l’altra, in ogni caso potrebbe essere qualcosa di più impegnativo per entrambi, adesso che non sembrano esserci più delle occasioni così facili per incontrarvi; qualcosa che non può più capitare per caso, e che al contrario deve essere pensato e pianificato. Esatto, fa lei: io non ho il suo numero di telefono, e non credo proprio che Andrea si arrischi a chiamarmi mentre sono impegnata a lavorare.
Questo non si può dire, fa Chiara; magari proprio quando meno te lo aspetti, eccolo lì che ritorna come niente, e di colpo ti chiede come stai, che stai facendo, e poi che cosa hai pensato di lui in tutto questo periodo di tempo. Va bene, è vero, potrebbe darsi, dice Anna, ma in quel caso dovrò essere perfettamente sincera con Andrea come lo sono adesso, e spiegargli tutto quanto con poche  e semplici parole, esattamente come lo dico a te: e cioè che io gli voglio bene, insomma che mi piace, che mi piacciono i suoi modi, le sue espressioni, ed anche il suo aspetto, ma che ho anche un figlio ed un marito ai quali voglio essere fedele, senza mettere di mezzo situazioni poco chiare; questo è quello che gli direi.
Non credo che tu possa prevedere come andranno davvero tutte le cose, e quanto ti mancherà la sua presenza sul luogo di lavoro da ora in avanti, dice la sua amica. Potrebbe anche essere che lui non si facesse più sentire in nessun modo, e che tu dopo qualche tempo sentissi dentro te stessa una mancanza tale da tentare pur timidamente di ricercarlo, tanto da avere da lui anche un solo semplice segnale, una piccola dimostrazione che tu davvero gli manchi, fino a renderti conto che non sai più stare senza pensarlo. Va bene, fa Anna, voglio dartene atto, anche se dubito molto che questo possa accadere veramente. In ogni caso se Andrea restasse d’ora in avanti solamente nei miei pensieri, per me forse sarebbe persino sufficiente; come un bel ricordo.


Bruno Magnolfi