domenica 29 giugno 2014

Argomentazioni precise.

             

Sorrido, cerco spesso di mostrare a tutti un lato positivo e ottimistico di me stesso; quando qualcuno mi parla ascolto sempre con molta attenzione, e normalmente sottolineo i passaggi salienti con un cenno del capo. Da solo invece abbandono praticamente qualsiasi certezza, e difficilmente riesco a mettere a fuoco le cose migliori da fare, di fatto perdendomi con facilità in stupidaggini e attività perlopiù inutili, sia per me che per gli altri.
Quando esco dal lavoro, spesse volte torno a casa a piedi, nonostante la discreta distanza e il fatto che prontamente rinnovi ogni mese l’abbonamento per l’uso dei mezzi pubblici, perché in questo modo riesco ad essere maggiormente soddisfatto del tempo che trascorro con il mio camminare, restando estremamente convinto di quanto siano per me piuttosto importanti le tante riflessioni che riesco a fare mentre passeggio.
Certe volte incontro delle persone che conosco, ed allora mi fermo a parlare con loro, o meglio ad ascoltare quello che loro hanno da dirmi. Incamero così poco per volta tutto ciò di cui gli altri mi vogliono parlare, li ascolto sempre con attenzione, li guardo negli occhi, li incoraggio costantemente a proseguire con i loro argomenti più o meno importanti. Uno di questi giorni, penso ogni volta che poi mi rimetto in cammino, riuscirò anche io, come gli altri, con tutte le esperienze che ho messo da parte, ad affrontare un tema preciso sul quale effondermi con grande proprietà di termini e di linguaggio, in modo da lasciare, in chi mi ha sempre creduto individuo riservato e piuttosto silenzioso, una sorpresa assoluta delle mie capacità.
Infine arrivo a casa, mi metto seduto nel mio piccolo appartamento, e ascolto alla radio qualche programma di canzonette. La mia vicina di casa quando mi incontra per le scale mi fa sempre dei grandi saluti, dice che sono una brava persona e che con me ci si sente tranquilli. Mi piacerebbe portarla a passeggio oppure al cinema qualche domenica, ma lei dice che non ce lo possiamo permettere, e che tutti sarebbero pronti a dire chissà cosa sul nostro conto. Così ci limitiamo a salutarci le poche volte che ci vediamo sul pianerottolo e basta.
Alla sera certe volte vado a sedermi in un caffè del mio quartiere, mi piazzo seduto al bancone e ascolto quello che gli altri lì accanto si dicono. Poi una volta interrompo due tizi che conosco di vista mentre stanno parlando proprio della mia vicina di casa. Mi sento arrossire per le parole che usano, così non riesco più a stare zitto, e allora interrompo le loro frasi dicendo che non dovrebbero permettersi discorsi del genere. Loro si voltano verso di me, ed io già che ci sono inizio col dire che tutte le falsità di questo mondo sono costruite semplicemente con l’ignoranza e con la superficialità. Mi meraviglio, dico, che al giorno d’oggi ancora si dia credito a cose del genere, ci vuole un attimo a rendere pessima la reputazione di una brava ragazza, e quindi a rovinare la vita di una persona che non merita affatto un trattamento del genere.
Quelli mi ascoltano, si voltano addirittura verso di me nell’attesa che io vada avanti, dica loro magari tutto quello che so sull’argomento, ed io allora non mi lascio pregare: bisogna finirla un giorno o l’altro di ridere e divertirsi soltanto di qualche calunnia, faccio, va affrontata la realtà per quella che è, non per le banalità che si snocciolano a scapito di qualcuno. Bisogna imparare ad ascoltare gli altri prima di inventarsi delle frottole giusto per perdere tempo. Poi resto in silenzio. Gli altri due proseguono a guardarmi, poi dopo un po’ se ne vanno. Forse sono riuscito a far comprendere loro qualcosa di estremamente importante, penso.


Bruno Magnolfi

giovedì 26 giugno 2014

Scelte decisive.

            

Il vero problema è lei stessa, lo sa benissimo. Con la sua instabilità, le sue contraddizioni. Ma questa è anche la sua natura, non può essere diversa, anche se razionalmente si rende conto che molte cose potrebbero andare differentemente se solo lo volesse. Certe volte guarda le espressioni di lui in qualche vecchia fotografia, e immagina quante cose diverse avrebbero potuto fare in tutto quel tempo che hanno trascorso insieme da quando si sono conosciuti.
Lui rientra a casa, dice ciao senza enfasi, lei gli risponde nella stessa maniera. Certe volte sembra tutto perfetto, in fondo non si può essere sempre così pieni di slancio, pensa lei. Ma se qualche problema si annida da qualche parte, lui neppure lo vede, sembra che le cose siano così e devono andare avanti sempre così, come se non ci fosse mai nulla per cui valesse neanche il tentativo di cambiare.
Mentre si toglie le scarpe, lui dice ad esempio le cose salienti che gli sono accadute durante la sua giornata lavorativa, oppure quello che ha pensato di fare nel prossimo fine settimana: sempre che a te vada bene, aggiunge subito; oppure parla di qualcosa che ha sentito dire nel locale dove è rimasto appena dieci minuti a bere una birra, avanti di rientrare, qualcosa che potrebbe interessare anche loro due, una cosa estremamente importante, dice.
E che cosa sarebbe, fa lei, già parzialmente allarmata. Una nuova organizzazione per le adozioni, fa lui mentre toglie anche le calze. Potremmo chiedere qualche notizia, prosegue, informazioni aggiuntive su quello che possiamo aspettarci, in fondo non costa niente saperne di più. Già, fa lei, e come facciamo a sapere se è solo una fregatura per farci perdere un sacco di tempo e di soldi, magari senza neanche farci avere in cambio un bel niente, o se al contrario è davvero una cosa seria? Non lo so, fa lui, però di qualcuno dovremmo pur fidarci, prima o dopo.
Poi ciascuno di loro due, restando in un pensieroso silenzio, va ad occuparsi delle reciproche attività casalinghe più abituali, e soltanto durante la cena lei riprende timidamente quell'argomento. Credi che saremo davvero adatti per affrontare una cosa del genere? gli chiede. Ma certo, risponde subito lui cercando in questa maniera di essere incoraggiante, ma al contrario non riuscendo ad esserlo affatto. Lei subito in questa maniera si sente sulle spalle la responsabilità di tutto quanto, e così cerca di sfuggire quanto può all’argomento prima di dire qualcosa in seguito poco sostenibile. Dovremo pensarci con impegno, fa lei, rendendosi subito conto di aver detto una nuova sciocchezza. Per me va bene, fa lui, mi basta che tu alla fine sia convinta di quello che è meglio per noi.
Lei resta in silenzio, i dubbi di sempre sembrano calare di nuovo inesorabili su se stessa, forse vorrebbe piangere come le succede spesso tentando di allentare la tensione che prova. Mette a posto la cucina e intanto pensa, riflette cercando una soluzione, e infine si affaccia nell'altra stanza, osserva lui che sta guardando uno stupido programma alla televisione: vorrei ucciderlo certe volte, dice tra sé mentalmente; ma adesso all’improvviso sente che riesce persino ad accettarlo; sorride, torna in cucina: lei non riuscirà mai a sapere cosa sia meglio per loro, decide alla fine, così adesso è sicura che dovrà inventarsi qualcosa dal niente. Probabilmente seguirà il caso, o quello che le consiglieranno altri che neppure conosce, forse dovrà affidarsi alla sorte, allo spirito positivo di un attimo, alla fortuna che cercherà di avere sempre dalla sua parte, ma in pratica dovrà semplicemente fare una scelta del tutto arbitraria.


Bruno Magnolfi

giovedì 19 giugno 2014

Inutili sfide.

            

Fermo sopra lo spartitraffico del viale principale, indico agli automobilisti di passaggio qualcosa laggiù in fondo alla fila degli alberi. Qualcuno si volta a guardare, altri forse riescono a comprendere subito che non sono del tutto normale, perché io a tratti rido, parlo da solo, mi muovo in un modo forse un po’ ambiguo, perciò non sono certo uno che vada considerato. E a me cosa importa, penso, mi sento libero di fare quello che voglio, non ho consuetudini da rispettare, mi innamoro con facilità di un’immagine, di una sensazione, a volte di un solo e semplice colore.
Accolgo nei miei pensieri queste persone qualsiasi che da me si tengono regolarmente alla larga, li abbraccio tutti in un unico ragionamento, non ho alcuna necessità di una loro condivisione. Penso quello che voglio, loro facciano uguale, sono comunque distante da tutto questo, e poi più mi sento lontano, maggiormente sono sicuro di essere vicino e solidale con tutto quanto.  Poi osservo la fila di macchine lungo il viale, adesso sono ferme, attendono che qualcosa succeda, che il semaforo conceda via libera, oppure che i veicoli coinvolti in un piccolo incidente siano rimossi dalla carreggiata. Intanto me ne vado, raggiungo un punto di osservazione meno coinvolgente, maggiormente tranquillo, così mi siedo ad un tavolo di questo locale all'aperto.
Un tizio dice che è accaduto qualcosa, ma è una scusa come un'altra per dare a tutti e anche a me il proprio commento, il proprio scontato parere da uomo di strada. Rido, qualcuno che non conosco mi offre qualcosa da bere, ed io lo accetto, va sempre bene quando si ricevono delle gentilezze, penso. Infine mi alzo, ho voglia di parlare con una persona che abbia voglia almeno di ascoltarmi, così mi appoggio al bancone, ma il tizio di prima si accosta a me e sorride, poi dice semplicemente che non dobbiamo fare caso a tutte queste sciocchezze. Lui è l’incarnazione del  saggio dei nostri tempi, penso, colui che interpreta per conto degli altri qualsiasi cosa possa succedere. Gli dico che secondo me lui è la tipica persona a cui non dare alcun credito, lui dice lo stesso di me, e allora rido, rido con tutto me stesso, e alla fine sento che non mi importa un bel niente di tutta questa faccenda.
Torno sul viale da solo, adesso sembra che la viabilità scorra tranquilla, così mi piazzo di nuovo sullo spartitraffico e osservo la realtà che mi scorre di fronte. Credo sia doveroso mostrarsi quello che siamo, perciò inizierò a scansare sempre più spesso coloro che non fanno così. Accade un altro incidente lungo il viale, vedo le persone  che escono dai loro veicoli e si scambiano tra loro parole accese, forse addirittura qualche imprecazione. Potrei ridere di tutto questo, invece mi avvicino, mi incuriosisco di quanto sta accadendo. Qualcuno allora mi scansa con un gesto della mano inequivocabile, ed è giusto, dico tra me, non c'entra niente che stia qui a farmi beffe di tutti. Rido mentre mi appresto ad allontanarmi, e riprendo quasi subito ad indicare agli automobilisti qualcosa che sta un po’ più avanti, oltre loro, qualcosa che immagino non riusciranno comunque in nessun caso a vedere, troppo persi nelle proprie piccole cose, troppo chiusi nel loro piccolo egoismo di intraprendenti che devono aprirsi la strada, troppo fermi nel loro credo che li omologa e li rende riconoscibili nel gruppo; ma cosa importa, penso, in fondo è giusto così.

Bruno Magnolfi


mercoledì 18 giugno 2014

Più in là di quanto sembri (piccola commedia n. 5).

            

Tutto appare quasi come una cosa semplice, pur essendo al contrario molto complessa. Lei è in casa, seduta, osserva a tratti il telefono sopra al mobile del piccolo corridoio, immaginando come potrebbe essere in quel momento la voce di lui. C'è ormai una distanza incommensurabile, pensa, inutile fingere. Poi si alza, va in cucina, apre il frigorifero. Potrebbe cucinarsi un uovo per la sera, accompagnarlo con delle verdure, e poi ha ancora del pane del giorno avanti, insomma in qualche maniera la cena è sicuramente garantita. Ma a dire la verità lei non ha più voglia di molte cose, forse neppure di mangiare, e probabilmente anche questa attività la compie ormai solo per abitudine, per impiegare in qualche modo una parte del suo tempo libero, giusto per riempirlo, insomma. Qualcuno dopo un attimo bussa alla porta, lei apre, è la sua vicina del piano di sotto.
Come va, le chiede entrando quella; al solito, fa lei, questa specie di convalescenza sembra quasi peggiore della malattia. Devi deciderti a riprendere la tua normalità, fa l'altra, non puoi continuare in questo modo. Non ancora, fa lei, devo aspettare che tutto sia chiaro, che tutte le parole, i fatti, i gesti, i pensieri, siano sistemati in fila, che mostrino il senso che hanno, senza più alcuna ambiguità. Ho un po' di carne fredda, fa la vicina, proviamo a mangiare assieme, così magari parli un po' e riesci a stare meglio, ti va? Va bene, fa lei, basta che tu non mi faccia delle domande dirette. D'accordo, dice la vicina, allora vado a prendere quello che serve.
È appena rimasta sola, lei, ha accostato semplicemente il portoncino del suo appartamento quando suona il telefono. Vorrebbe probabilmente precipitarsi a rispondere, ma si impone un comportamento misurato, senza alcuna fretta. Quando alza il ricevitore le trema leggermente la mano, ma sente nell’apparecchio soltanto il segnale acustico. Forse era lui, pensa. Allora inizia a parlare tra sé: non importa, dice, che tu abbia lasciato che le cose corressero per proprio conto, senza interessartene; non importa neanche che il tuo progressivo distacco abbia lasciato un vuoto che forse ti ha divertito le volte in cui hai notato la mia stupida angoscia che montava. È importante però, con il tuo comportamento, che tu abbia  azzerato senza rendertene conto tutto il passato tra noi, rendendolo una piccola cosa, una sciocchezza quasi senza importanza.
Torna la vicina con una cesta piena di cose, apparecchia subito la tavola e in fretta sistema tutto. Lei si schernisce e dice che non merita neppure gentilezze del genere. So cosa stai passando, fa l’altra, un po’ di attenzioni da parte di qualcuno sono quello che ti ci vuole. Dopo poco si siedono, affettano il pane, si servono di quello che è stato sistemato sopra la tavola. Lei dice con gli occhi ancora bassi che forse sente dentro di sé aprirsi uno spiraglio per uscire dalla sua depressione. La vicina se ne rallegra, la invita a mangiare di più, a bere, a lasciarsi andare.
Suona di nuovo il telefono, lei si alza con modi estremamente rallentati, l’altra la guarda negli occhi, sembra quasi volerla sostenere per una prova importante. Lei raggiunge l’apparecchio sul mobile nel corridoio, alza il ricevitore, dice pronto, con semplicità. C’è lui all’altro capo del telefono, e dice con voce bassa che gli dispiace le cose siano andate in quel modo, e che la colpa in fondo è soltanto sua, anche se adesso si rende pienamente conto che forse non è più possibile recuperare niente tra loro, e che magari non sarebbe neppure il caso di parlarsi ancora, di vedersi di nuovo, addirittura, se pur avessero un minimo di volontà per riprovare.
Lei lo ascolta, poi, dopo una pausa annuisce: hai ragione, dice, non è più possibile niente  tra noi, e perfino questa telefonata dovrà ormai essere messa in archivio come l’ultima.


Bruno Magnolfi

lunedì 16 giugno 2014

Convinzioni di fondo.

            

In fondo non c'è niente di male, pensa Renato. Anche se ci sono stato già altre due volte, ciò non toglie che abbia ancora bisogno di informazioni, di comprendere bene il funzionamento di tutte le cose. Così lui arriva davanti alla piccola agenzia per le assicurazioni, ma una volta sul posto poi non ha più il coraggio di entrare. La ragazza, dietro alla vetrina parzialmente oscurata dalle scritte e dalle tende, lo intravede subito là fuori, ed il suo primo istinto sarebbe forse quello di lamentarsene simpaticamente sottovoce con la  collega alla scrivania accanto alla sua, ma non lo fa, e prosegue invece ad inserire i dati nel terminale, con gli occhi bassi. Lui dopo un momento si allontana lentamente da quel luogo, forse perché deve ancora maturare una determinazione che per adesso non trova dentro di sé, e la ragazza si disinteressa quasi subito di quello strano possibile cliente, anche se prova forse una leggera delusione per quell'improvvisa assenza che nota, e che probabilmente non si sarebbe aspettata così velocemente.
In fondo posso passare di lì davanti in qualsiasi momento, pensa Renato; posso anche farmi vedere fermo qualche volta qui sulla strada, se voglio, oppure attendere addirittura che sia terminato l’orario di lavoro dell’agenzia per osservare gli impiegati che escono mentre continuano a salutarsi andandosene poi ognuno per proprio conto, la cartella o la borsa sotto ad un braccio, l’espressione compiaciuta di chi ha portato a compimento un’altra giornata lavorativa. La voce di lei è bellissima ed anche musicale, riflette ancora Renato; i suoi gesti delicati li ho notati immediatamente mentre stava alla scrivania la prima volta che l’ho veduta là nell’ufficio, e in quel caso mi sono sembrati essenziali e misurati, come probabilmente deve proprio essere il suo carattere.
In fondo posso passare da queste parti esattamente quando voglio, pensa ancora Renato; posso persino entrare ancora dentro l'agenzia, chiedere ulteriori chiarimenti sul mondo delle assicurazioni, parlare addirittura con un altro impiegato ed intanto sorridere apertamente nei confronti proprio di questa ragazza, e così farle capire che in fondo mi piace, e che se anche per adesso non conosco neppure il suo nome, in tutti i casi mi sento già pronto a fare per lei qualsiasi cosa sia necessaria. Certo, non posso fami vedere troppo qua attorno, sarebbe sconveniente, però non c’è niente di male se trovo la maniera di passare ogni tanto da queste parti, magari cercando casualmente di incontrarla mentre esce per andare a prendersi un caffè, e così forse chiederle come si chiama, scambiare con lei due parole, accompagnarla addirittura.
In fondo fa parte della normalità, pensa Renato; di ogni persona proprio uguale a come sono fatto io, che quando vedo una ragazza esattamente come lei, subito mi pare che possa essere la persona giusta da conoscere, forse anche da frequentare ogni tanto, o anche più spesso. Si, non c’è dubbio, devo cercare di passare da queste parti tutte le volte che posso, magari ad orari differenti, cercando di capire quali siano le abitudini di questa ragazza. Certamente posso anche tornare nell’agenzia a chiedere delle ulteriori informazioni, ma oramai questo lo farò soltanto al momento che potrò apertamente sorriderle e darle con determinazione il buongiorno, salutarla per nome, comportarmi con lei come se fossi un suo conoscente, o addirittura un amico.
In fondo lei potrebbe essere già fidanzata e trattarmi anche con un certo distacco, per questo devo andare avanti per gradi, senza correre troppo. Però dentro di me so già perfettamente che le cose con lei andranno bene, lo sento, non ci possono essere dubbi. Una di queste volte la incontrerò da sola, ne sono certo, le parlerò, sarò gentile e lei ne sarà favorevolmente colpita. In fondo sono sicuro di questo, pensa ancora Renato, altrimenti che senso avrebbero i sacrifici che già sto facendo, tutto questo passare da qui, e anche di interessarmi di tutto quanto. In fondo è così, non può essere in altra maniera.


Bruno Magnolfi  

mercoledì 11 giugno 2014

Risoluzioni d'ansie.

            

No, dice lei con indifferenza guardando altrove. La serata su quella grande terrazza del caffè all'aperto appare magnifica, gli alberi attorno muovono leggermente le foglie, la musica è morbida, la luce dei lampioncini e delle candele sui tavoli perfetta, calda e rilassante. Lui cerca di sorridere, pur con un certo sforzo, poi con la mano fa un gesto nell'aria ancora prima di spiegare che a suo parere gli amici che stanno aspettando già da parecchi minuti sicuramente sono quasi in procinto di arrivare. Poi riprende l'argomento precedente, forse solo per riempire l’attesa, spiegando che in fondo è contento di aver preso quella decisione di cui loro due hanno già precedentemente parlato.
Lei lo guarda per un attimo, poi dice con un’espressione seria e immutata: non capisco come puoi esserlo, visto che praticamente non c’è stato niente da decidere, e che in fondo tutto era ormai definito. Il cameriere intanto passa tra i tavoli, racoglie e posa sul proprio piccolo vassoio il bicchiere di lui ormai vuoto, e chiede con cortesia se desidera qualcos’altro. Un altro daiquiri per favore, dice l’uomo con naturalezza, senza dare neanche troppa importanza alla richiesta.
Lei gli getta immediatamente uno sguardo di severità, mostrando così la propria disapprovazione per quel bere a suo parere troppo smodato, lui prevedendola evita semplicemente l'occhiata di lei, e cercando di procedere oltre le dice: in ogni caso sono contento che la cosa si sia in qualche modo risolta. Non mi pare, fa subito lei; trascorso il tempo di tre o quattro mesi, la faccenda si ripresenterà nella stessa maniera, se non peggiorata. D’accordo, fa lui, ma per adesso almeno stiamo tranquilli.
Lei osserva qualcosa con indifferenza, poi si gira velocemente per vedere se sta arrivando qualcuno. Anche lui si gira, forse seguendo la stessa infondata intuizione, così lei piega la bocca in un leggero sorriso, come fosse contenta di quella parte di nervosismo che riesce in qualche modo ad infondergli. Credi che dovrei andare all’entrata per vedere se per caso stanno arrivando? fa lui. Sarebbe meglio, fa subito lei, però certamente non puoi piantarmi qui sola. Hai ragione, concorda lui prendendo un sorso generoso dal bicchiere che gli ha appena servito il cameriere di prima.
Comunque la mia idea in fondo non è stata del tutto da scartare, fa lui. Si sarebbe potuto fare di meglio, fa lei, sarebbe stato sufficiente che non ti fossi imposto in quella maniera con tutti. Ma altrimenti non se ne faceva un bel niente, replica lui, dovevo per forza cercare di mandare avanti le cose. Lei lascia in aria una pausa, poi, guardando qualcosa in fondo al giardino, proprio tra gli alberi, dice: per esempio avresti potuto usare dei metodi migliori, visto che non c’era affatto bisogno tu mostrassi le caratteristiche più deprecabili.
Lui resta in silenzio, butta giù un ultimo sorso dal suo bicchiere, osserva la propria mano sul vetro mentre lentamente lo appoggia sul tavolo, poi lascia che quell’attesa in qualche maniera si stempri, probabilmente per non apparire già irritato al momento che arriveranno gli amici. Lei intuisce quel suo desiderio, così lo stuzzica: non hai niente da dire adesso, vero? Poi si mette ad osservare il menu, come se non ci fosse ormai altro di interessante. Lui sbotta: sei sempre la solita, dice con foga, proprio mentre gli amici fermi alle loro spalle sorridono per dissipare il leggero imbarazzo che improvvisamente sembra aleggiare nell’aria.


Bruno Magnolfi

domenica 8 giugno 2014

Oltre la strada.

           

Seduto nella zona più in ombra del piccolo cortile, l'uomo beve ancora un sorso del suo bicchiere d’acqua adottando una calma quasi estenuante, poi torna con naturalezza a seguire con gli occhi la strada che gli passa davanti deserta mentre sale dolcemente serpeggiando lungo il fianco della collina. Certe volte transita da quelle parti anche qualche bella macchina, lucida e scura, scivolando silenziosa lungo quella via, e magari va a raggiungere una delle quattro o cinque ville eleganti più in alto, oppure sèguita ancora più avanti per arrivare tranquilla fino al paese, qualche chilometro ancora dopo, o in certi casi, perdendosi oltre, chissà fino verso dove. Con gambe buone e allenate è possibile farsela a piedi in un'ora o poco più tutta quella strada fino al centro abitato, in seguito andare senza fretta a sedersi all'osteria dell'Ernesta, e magari stare lì per metà di un pomeriggio senza impegni, a godersi un bel bicchiere di vino e anche qualche chiacchierata con i conoscenti.
Qualche anno prima l'uomo lo faceva, certe volte a dire il vero soltanto al sabato, ma in quei casi ci andava sempre insieme al Cecco e anche a Tito, i suoi amici di sempre, e qualche volta invece raggiungeva il paese anche da solo, in delle serate qualsiasi, magari a passo svelto, soltanto perché ne aveva voglia, sorridendo e salutando con allegria tutti quelli che riusciva ad incontrare. Ma gli anni poi sono passati, quasi più velocemente di quello che si sarebbe mai immaginato: le sue gambe si sono fatte troppo deboli e anche malferme, e quella camminata a un certo punto non gli è più stata possibile. Non ha alcuna importanza, pensa adesso mentre posa il bicchiere; sto qui, controllo la strada in compagnia del silenzio di questa serata calma, ferma, quasi senza neanche un filo di brezza. Non è niente la solitudine, se si sa che tra poco salirà qualche bella macchina fino al paese, lasciando magari una scia di polvere bianca, leggera, quasi l'ombra di un bel ricordo. In fondo non provo nessuna nostalgia, pensa ancora, so che ogni cosa si sviluppa all’interno di un suo tempo, e forse tutti i particolari che vanno a costituirne i ricordi si bruciano in fretta, quasi quanto la benzina che occorre ad una bella macchina che si trovi a passare da qui per affrontare tutta questa dolce salita.
L'ultima volta che ho parlato di questo col Cecco e con Tito, loro hanno detto che erano belli quei tempi, quando tutti quanti potevamo immaginarci chissà cosa per il nostro futuro. Invece ci siamo persi, forse senza neppure rendercene conto, magari soltanto perché ad ogni tempo corrisponde in seguito un altro tempo diverso, e tutto quanto procede nella sua continua trasformazione, a volte senza che alcuno ne abbia neppure l’intento.
Passa una macchina, è un macinino che sicuramente non va molto lontano: ma non ha troppa importanza, pensa l'uomo, tutti vanno lassù, verso la cima della collina, dove la strada si spiana e nel fresco degli alberi mostra a un certo punto la vallata di là, quella dove sorge il paese. Ci vado ogni sera anche io all'osteria dell'Ernesta, insieme a tutti questi altri, e resto lì anche a lungo, sorseggio il mio vino e spendo qualche chiacchiera con chiunque ne abbia voglia.
La mia acqua comunque è finita adesso, pensa ancora l'uomo, ma non ha alcuna importanza: aspetterò ancora Tito e anche il Cecco, dirò loro che sono stati in tanti ad andare al paese   anche oggi, con le loro macchine scure e la polvere fina che hanno alzato dierro alle ruote. Non c'è niente di male in tutto questo, riflette l'uomo, domani magari smetterò di mettermi qui a guardare la strada: forse farò come il Cecco e anche come Tito: mi disinteresserò completamente di tutto quanto, cercherò di essere più indifferente, senza stare neppure a preoccuparmi se ci sarà o meno ancora qualcuno che avrà magari la voglia di transitare lungo questa magnifica strada.


Bruno Magnolfi

mercoledì 4 giugno 2014

Vita diversa.

            

Guarda, dice lei senza entusiasmo ma cercando intorno a sé qualche particolare, indicandolo con una mano, che infonda almeno una briciola di spirito: da qui in avanti si nota già una differenza notevole di vegetazione. L'auto scorre tranquilla, la radio a basso volume trasmette, gracchiando lungo certe curve, la solita musichetta di complemento. Ci sarebbero forse molte altre cose da dire, ma lei in fondo preferisce ritrovare subito quell’ordinario silenzio accompagnato semplicemente dal ronzare monotono del motore che gira calmo. Si è seduta due ore prima già con mille precauzioni per evitare che il suo bel vestito chiaro acquistato apposta per quel giorno prendesse strane pieghe, e continua, anche con un certo sforzo, a rimanere ferma ed eretta il più possibile, proprio ad evitare di sciupare la stoffa durante quegli ultimi chilometri. Lui al contrario si è allentato la camicia e la cravatta già agli inizi del viaggio, ed il suo lieve sbuffare ogni tanto  dimostra pienamente la sua scarsa voglia di partecipare alla cerimonia che li attende.
Manca soltanto un'altra mezz'ora, vero?, dice lei forse soltanto per la necessità di sentirsi rassicurata. Probabilmente anche meno, le risponde lui quasi nel dispiacere del  pensiero di dover abbandonare quella guida distensiva ed iniziare, ormai tra poco, a salutare e a parlare con quella massa di parenti che li attendono, e che sicuramente rivolgeranno a loro le solite domande, già lui se li immagina, e anche le solite battute, in fondo cercando tutti di fare solamente un po' gli spiritosi. Già essere dovuti arrivare fino a quello sperduto agriturismo, sembra a lui quasi una cosa priva di senso; se poi ci mette il fatto che in questa giornata mangerà sicuramente troppo, berrà senz’altro oltremisura, e che per parlare si vedrà spesso costretto quasi ad urlare pur conservando il sorriso sulla faccia, il quadro di un evento negativo sembra proprio già completo al massimo.
Ci potremmo fermare un attimo, fa lei; giusto per prendere una boccata d’aria e non arrivare sudati e stravolti in faccia a tutti. Lui fa cenno di sì, in fondo era proprio quello che voleva quasi proporre, così dopo qualche curva ferma l’auto in una semplice piazzola terrosa e senza niente, spengendo il motore in un improvviso silenzio praticamente irreale. Scendono, lui si aggiusta la giacca, lei il vestito; in fondo potevamo venire fin qui abbigliati in maniera più campestre, fa lui. Non dire un’altra delle tue sciocchezze, gli risponde lei. Sai benissimo quanto ci tengono a queste cose i miei cugini.
Fanno appena due passi su un’erba lunga e rada sopra la terra quasi secca, poi lui si ferma, si volta verso lei, le dice: potremmo inventarci qualcosa di cui parlare tutto il tempo. Qualcosa di importante: che andiamo ad abitare all’estero tra qualche settimana, ad esempio; o che abbiamo vinto una lotteria e che staremo per due anni o anche di più via dalla nostra casa. Si potrebbe sostenere magari che tu sei incinta, che aspettiamo due gemelli, e che per questo cambieremo abitazione tra appena pochi giorni, che tra un attimo rivoluzioniamo tutta la nostra vita, in qualche modo. Ci separiamo, oppure; abbiamo ormai due storie parallele, non è più il caso di tirare avanti in questa maniera assurda ed incolore. Sceglieremo città diverse e lontane tra di loro, via da queste solite ordinarietà, via da queste cose uguali. Che ne pensi?
Lei lo guarda, in silenzio, forse potrebbe dire che va bene, che approva almeno una tra tutte quelle cose, e che in questa si troverebbero improvvisamente complici almeno di una fantasia, di una grande invenzione piena di risvolti e di elementi arricchenti, di qualcosa così importante da trasformare tutta intera quella strana giornata. Invece sceglie il silenzio; fa solo di no con la testa, non gli sorride neppure, però tira su un piede, si tocca la scarpa ben lucida, l’accarezza, come cercando di tirarsela dalla propria parte; si è rotto il tacco, dice; mi pare sufficiente.


Bruno Magnolfi