giovedì 29 novembre 2018

Distanza di affetti



Domani dovremo fare per forza degli acquisti, dice nervosamente ma sottovoce la signora Marisa Carraresi; nel frigorifero ormai non c'è quasi più niente da mangiare. La figlia prosegue con indifferenza a sparecchiare la tavola presso la quale le due donne hanno appena finito di cenare, evitando di guardarla e sistemando piatti posate e pentole dentro la lavastoviglie aperta. Va bene, risponde lei senza smettere un attimo di occuparsi in quella sua ordinaria attività: posso passare dal negozio di Cesare, appena chiusa la merceria per la pausa del pranzo, preparami intanto una lista delle cose da acquistare, per favore.
Marisa toglie intanto la tovaglia, la scuote e quindi la piega per riporla dentro uno dei cassetti del mobile, poi rallentando i suoi movimenti mostra una specie d’inquietudine. Forse mi piacerebbe stare più tranquilla, dice quasi dando voce ai suoi pensieri; non perché non ce ne siano i presupposti, quanto perché provo costantemente dentro di me un indefinibile senso di precario, come un bisogno di arrivare da qualche parte che non so neppure io dove sia, né perché dovrei mai andare verso quel luogo. Adesso non so neppure spiegare il motivo per cui ti dico queste cose, prosegue, e forse alla fine sto soltanto invecchiando, come è giusto che sia.
No, dice Clara; queste cose mi paiono al contrario delle riflessioni importanti, che non c’entrano per niente con l’età, qualcosa che evidentemente mette subito in gioco anche il mio ruolo, almeno quello che tu credi dovrei rivestire come compito principale in questa casa e nei tuoi confronti. Probabilmente senti come tuo il processo che ultimamente mi sono accollata, e forse ti sembra che le cose che sto tentando di fare siano addirittura superiori alle mie forze, ed in questo sentirti quasi sicura della mia debolezza, vai indagando dentro di te quali possono essere le componenti del tuo modo di essere che generandomi sei riuscita a trasmettermi, magari anche durante questa frequentazione a volte esasperante tra di noi, da quando papà non c’è più.
Mi dispiace alterare così la tua sensibilità, risponde la signora Carraresi mentre prende la scopa per spazzare il pavimento della cucina. Però le sensazioni vanno sempre oltre ciò che noi si vorrebbe, per cui indipendentemente dalla mia volontà si sta manifestando qualcosa capace di farmi sentire non propriamente tranquilla, tutto qua. In fondo tu ormai sei una donna con un futuro avviato, e con una personalità che probabilmente riuscirebbe a tener testa a molte delle difficoltà che sfortunatamente potresti incontrare, e poi, alla fine, sarà la tua vita a decidere.
Non mi sembra così, dice Clara; conosco il mio lavoro e prendermi adesso delle responsabilità aggiuntive per quanto riguarda il negozio non mi spaventa. Nel tuo preoccuparti invece, c’è qualcosa fondamentalmente di egoistico da parte tua, qualcosa che mostra il bivio di fronte a cui probabilmente ti senti in questo momento: farti carico di una parte dei miei problemi come fossero tuoi, oppure abbandonare completamente il pensiero di me, lasciando che io prosegua nelle mie cose senza interessartene minimamente. Capisco il tuo punto di vista, anche pur definito da un vago malessere, come dici tu, in ogni caso non riesco a capire il motivo per sottrarmi un sostegno di cui adesso sento avrei davvero tutta la necessità.
Non so, risponde la mamma, forse non riesco a sentirmi propriamente dalla tua parte, forse le differenze tra i nostri caratteri hanno segnato un discrimine in tutti questi anni che per me sembra ormai qualcosa di insormontabile. Però non devi mai credere che manchi il mio sostegno a qualsiasi cosa deciderai del tuo futuro. Sono tua mamma, alla fine, e voglio dimostrarti fino a che punto so esserlo, anche se tu forse continuerai come sempre hai fatto nel tenermi a distanza.


Bruno Magnolfi



mercoledì 28 novembre 2018

Senza occhiali.


       

            Qualche volta mi ritrovo a camminare sopra ai marciapiedi del mio Borgo, senza pormi davanti neanche una vera e propria meta, semplicemente passeggiando con la testa ingombra come sempre da tutti i miei pensieri, fumando ogni tanto con tutta calma qualche sigaretta, e magari salutando certe volte le persone che più conosco di vista, al momento in cui le incontro lungo la via principale del paese o sulla piazza. Non mi interessa troppo intrattenermi a parlare come qui fanno quasi tutti tra di loro, per me è già sufficiente soffermarmi qualche momento ad un angolo oppure vicino ad un’insegna, magari anche davanti a qualche negozio che mi piace, per esempio, naturalmente senza entrarvi mai a comperare qualche cosa; mi basta accorgermi che gli esercizi funzionano, che sono pieni di gente, e poi rendermi conto che gli abitanti di questa cittadina sono costantemente in giro, e che le cose proseguono come sempre hanno fatto, senza fretta, proseguendo nel loro percorso, giorno dopo giorno.
Ripenso a molte cose durante il mio monotono camminare, ma l'argomento che più mi attira rispetto a tutti gli altri, è il ricordo che trattengo dentro me di questo paese dove mi sono trasferito tanti anni fa, e misurare ancora quelle differenze che si sono accumulate da allora nella sua fisionomia. Molte abitazioni sono andate giù e poi sono state ricostruite, altre invece completamente ristrutturate, e le botteghe che c’erano sono passate spesso di mano modificandosi e trasformandosi completamente. Gli alberi dei giardinetti sono cresciuti, naturalmente, e lungo il viale si è proceduto comunque anche a qualche abbattimento, per evitare guai causati da piante troppo vecchie. Non sono un nostalgico, però ricordo alcune di queste repentine variazioni, e spesso ogni cambiamento mi rammenta qualche cosa o qualcuno per ogni periodo di riferimento. Mi hanno detto qualche tempo addietro che vorrebbero fare una pubblicazione usando le fotografie dei decenni passati, raccolte forse da qualcuno appassionato di cose di questo genere. Ma a me non so se interessa davvero; a me in fondo bastano i ricordi, è sufficiente la memoria fintanto che riesco ad averla.
Certi giorni entro dentro al bar Soldini sulla piazza principale. Anche questo locale è cambiato tante volte, così come sono cambiate le persone che lo gestiscono, e come anche quelle che si sono alternate tante volte nel frequentarlo. Adesso ci sono spesso dei ragazzi che stazionano perennemente qua davanti, e quando fa più freddo entrano dentro al bar e se ne stanno per ore ai tavolini senza fare niente se non bere delle birre e chiacchierare. Ridono, cercano di scherzare, ma alla fine stanno qui soltanto a perdere del tempo. Come me d'altra parte, che continuo a girare qua attorno senza decidermi mai a niente. Non so che cosa mi aspetto da questa cittadina: però è come se avessi di fronte, ogni volta che ne osservo meglio i dettagli, qualcosa che mi appare vivo: quasi un organismo che tende lentamente a modificarsi, ad adattarsi ai tempi ed a quanto va accadendo.
Abito da solo, non ho molto di cui vivere, però mi sento tanto attaccato a questi caseggiati, a queste strade, a questi muri, e forse anche agli abitanti che incontro quasi ogni giorno lungo le vie, anche se mi tengo sempre da loro ad una certa riflettuta distanza. Non è semplice diffidenza la mia, soltanto la ricerca di un parere autonomo, di un’opinione più obiettiva, di un’idea che probabilmente agli altri sfugge, rispetto a quanto probabilmente pensano tutti, scambiandosi i pareri ogni volta che si trovano a parlarne. Non mi sento certo al di sopra di nessuno, soltanto guardo le cose coi miei occhi, e non vorrei mai trovarmi ad indossare degli occhiali che fanno diventare simili le immagini pur nitide e precise che presentano.

Bruno Magnolfi

lunedì 26 novembre 2018

Troppo lavoro.



Che cos'hai stasera, dice uno dei ragazzi. Niente, fa lui. Forse soltanto un po’di sonno. Si, fa l'altro, tanto lo sappiamo che hai perso la testa dietro alla merciaia. Non dire stupidaggini, dice Renato senza dare troppa importanza alla cosa. Quella è soltanto una cretinetta, non vale neppure la pena di perdere del tempo con una come lei. Ma se ti hanno visto tutti, fa un altro ancora tenendo gli occhi verso la piazza e sorridendo, che girellavi sempre davanti al suo negozio; e magari lei adesso per ringraziamento non ti guarda più neppure in faccia. Questo non è vero, dice lui; casomai ho cercato di farle un favore invitandola a venire qualche volta qui con noi. Mi avrebbe fatto piacere se ci avesse frequentato, se fosse stata un po’ qui a chiacchierare al nostro solito posto di ritrovo. Però lei è sempre troppo impegnata con il suo negozio. Oppure con Tommaso, fa quello di prima.
Nessuno aggiunge niente, Renato si volta verso la strada, come a cercare altri argomenti, uno di loro si alza dalla panchina per annunciare di andare a farsi dare una birra al bar Soldini. Non è il caso di insistere troppo, pensano tutti; si vede che Renato ci sta male. Ma è proprio in quel momento che qualcuno avvista proprio Clara, da sola, che sta camminando dall’altro lato della piazza, mentre si avvicina a loro senza mostrare alcuna fretta. Lei solleva una mano per salutare chi la sta guardando, evidenziando con il gesto un significato che appare con chiarezza, mostrando cioè quanto non stia recandosi propriamente verso di loro, ma soltanto che si trova a passare per casualità proprio da quelle parti. Renato sembra paralizzato, non se la sente di muovere neppure un passo verso la merciaia, anche se vorrebbe. Gli altri lo guardano, in attesa.
Ma nel momento in cui lei sembra proseguire come se nulla fosse verso la sua strada, lui si stacca dal gruppo, le va incontro da un fianco alla stessa velocità in cui si muove Clara, e dopo alcuni passi ne richiama l’attenzione con un semplice saluto a voce bassa. Lei si ferma, gli sorride, scambia con lui qualche parola, muove una mano in un gesto che vorrebbe forse convincerlo anche maggiormente di quello che gli sta dicendo con la voce, cioè che sta recandosi da qualche altra parte, e che ha qualcos’altro da fare che non starsene con lui o con loro in quella piazza. Per questo Renato impercettibilmente abbassa lo sguardo, lascia trascorrere appena un secondo, e quindi la saluta, tanto che anche ad osservarlo non sembra proprio ci sia altro da fare. Naturalmente nessuno tra i ragazzi sopra le panchine ha perso una sola virgola di tutta questa scena, ma quando Renato si volta per tornare verso di loro, nessuno sembra aver dato la minima importanza a quella cosa, ed ognuno immediatamente riprende la propria ordinaria espressione volgendo la testa in direzioni diverse e casuali. Renato adesso non ha più voglia di star lì in quella piazza ad incassare battutine spiritose, però andandosene subito il suo comportamento sarebbe anche troppo sospetto, per questo si costringe a restare ancora un po’, almeno per un'altra decina di minuti, quando poi dice che se ne deve proprio andare verso casa, ha bisogno di riposo spiega: ultimamente forse ho lavorato troppo con mio padre, dice come tra sé.


Bruno Magnolfi


giovedì 22 novembre 2018

Rientro a casa.



Forse ho sbagliato a dire così a mia madre, ho pensato subito dopo averle spiegato praticamente che lei non avrebbe dovuto più entrare nell’organizzazione delle mie giornate. Probabilmente però affiora dentro di me in certe occasioni quel carattere brusco che credo peraltro di aver ereditato proprio da lei, e che mi è sempre parso orribile in chiunque. Ma è stato come un segnale che le ho voluto lanciare, qualcosa che stesse a significare che oramai sono più che adulta, so camminare perfettamente sopra le mie gambe, non ho più tanto bisogno delle sue opinioni sempre un po’ sprezzanti.
Ho guidato per i tre chilometri fino al Borgo, ed ho parcheggiato la macchina lungo la strada principale, dove la metto quasi sempre, proprio di fronte alla merceria, prima di aprire con calma la serranda del mio negozio ed entrare in mezzo a tutti i silenziosi articoli da cucito e abbigliamento. Anche se oggi siamo chiusi al pubblico vorrei riconsiderare con calma le cose da sostituire nell'arredamento interno, e lo voglio fare ponderando bene ogni scelta, senza avere nessuno intorno ad influenzarmi. Ho riabbassato la serranda da dentro, e poi sono rimasta lì, guardandomi attorno e prendendo degli appunti completati da qualche piccolo schema.
Dopo una mezz’ora stavo poi per chiudere e ritornare verso casa, quando ho sentito qualcuno che mi chiamava debolmente dalla strada.  Ho chiuso allora la porta alle mie spalle, ho fatto scattare la serratura con la mia chiave - non si sa mai -, poi mi sono voltata. C’era Renato lì accanto, fermo, con le mani nelle tasche, la faccia di chi non sa proprio cosa farne della sua giornata. L’ho salutato, lui mi ha fatto una domanda su qualcosa di generico, io mi sono guardata velocemente attorno, come per mostrare una fretta che in realtà non avevo affatto. Non ti sei più fatta vedere, ha detto lui. Sono molto indaffarata come vedi, gli ho risposto. Certe volte bastano anche cinque minuti per mantenere dei contatti, ha detto lui in modo secco. L'ho guardato sorridendo, come fosse una risposta, poi con le chiavi in mano mi sono mossa lentamente in direzione della macchina. Lui mi è scivolato accanto come per accompagnarmi lungo quei pochi metri, ed io allora gli ho detto che forse sarei passata dalla piazza durante la settimana entrante. Lui ha annuito mentre io salivo in auto ed infilavo la chiave nel cruscotto.
Poi senza dire più nulla ho avviato il motore dopo aver chiuso lo sportello, e lui è rimasto lì a guardarmi mentre armeggiavo con il cambio quasi senza decidermi a partire. Non sono tranquilla, ho pensato subito, qualcosa sembra andare storto anche se non vorrei. Gli ho fatto un cenno distensivo con la mano, ma forse il mio nervosismo era ormai evidente. Mi sono allontanata pensando che sia Renato che tutti gli altri ragazzi certamente non mi avevano fatto mai niente di male. Forse adesso però li sentivo lontani, come fossero piccoli, mentre io cercavo di essere già donna. E poi però c’era Tommaso nella mia mente, che probabilmente in questo momento era in casa sua a studiare, a costruirsi un futuro, a guardare avanti a sé, non come loro che continuavano a vivere troppo alla giornata. Poi sono rientrata a casa dalla mia mamma, quasi senza esserne però troppo contenta.

Bruno Magnolfi





martedì 20 novembre 2018

Letture divaganti.




Domenica scorsa mi sono alzata presto, d’altronde come faccio quasi ogni mattina. Ancora in vestaglia ho girato per la casa silenziosa, ho controllato subito che la caldaia del riscaldamento funzionasse ancora a dovere, che il vento durante la notte non avesse strappato come a volte è successo le protezioni alle piante del mio giardino, che la lavastoviglie azionata la sera prima per caso non avesse fatto dei capricci. In mancanza di un uomo in questa casa mi devo fare carico di tutto, è oltremodo evidente. Poi in fretta mi sono vestita, ho ascoltato qualche notizia usuale alla radio, ed infine, considerato che Clara probabilmente stava ancora dormendo dentro la sua camera, con indosso soltanto una giacca di lana pesante e stringendo le braccia per ripararmi un po’ dal freddo, mi sono spinta fuori per un attimo fino quasi alla staccionata di separazione dei nostri giardini, giusto per dare il buongiorno al mio vicino di casa se magari fosse stato lì. Le cose non vanno più tanto bene con lui, ma non vorrei avere tutta la colpa di  questa battuta di arresto tra di noi; il mio vicino, in due o tre occasioni, pur ridendo per togliere in qualche modo importanza alla faccenda, ha sottolineato un carattere forse troppo brusco di alcune mie espressioni, e proprio per questo ho deciso in questi giorni di stare leggermente più alla larga da lui, anche se ne sono piuttosto dispiaciuta. D'altronde gli uomini si sono spesso comportati così nei miei confronti, e dopo un primo periodo di entusiasmo mi hanno sempre cercato qua e là dei difetti da evidenziare.
            Quando poi sono rientrata in casa, mia figlia stava seduta in solitudine al tavolo della cucina, impegnata nella prima colazione. Ci siamo salutate. Mi sembri contenta, le ho detto, forse per ascoltare che cosa mai potrebbe aver risposto. Lei mi ha guardato, ha riflettuto un momento, e poi: nel pomeriggio esco con un amico, mi ha detto, con estrema semplicità. Sono rimasta perplessa, non era mai stata così diretta con me, tanto da farmi dimenticare per un attimo di chiederle chi fosse quell'amico. Si chiama Tommaso, ha detto lei interpretando velocemente i miei desideri, poi si è alzata, ha sistemato il tavolo e le stoviglie, ed è uscita dalla stanza. Non capisco quando abbia trovato il tempo di farsi delle nuove amicizie, mi chiedo, visto quanto sembra costantemente impegnata nel negozio di merceria di cui sta prendendo la gestione, ma la sua età ormai è quella giusta per portarla a guardarsi bene attorno.
            Fino ad oggi non sono mai stata gelosa di lei; non me ne ha mai data l’occasione, è quasi meglio dire, però adesso sento che nella sua voce e nei suoi atteggiamenti c’è qualcosa che fino a poco fa non si mostrava. Non voglio indagare né farle delle domande, lei sa che non fa parte del mio modo di fare, però tutto questo apre uno scenario che non avevo mai considerato, e che improvvisamente mette in discussione molte cose. Poi è ricomparsa nel soggiorno ben vestita e pettinata: esco per un’ora, mi ha detto facendo tintinnare in mano le chiavi della macchina, ed io le ho risposto, senza dare alcuna importanza alla cosa, che l’avrei attesa per il pranzo. Lei è uscita, ed io improvvisamente ho sentito cadere su di me una solitudine che non avevo quasi mai provato, forse neppure quando se n’è andato mio marito. Infine mi sono seduta: devo riflettere, ho detto a voce alta; poi ho preso un libro e mi sono messa a leggere.


            Bruno Magnolfi 


sabato 17 novembre 2018

Adesso o mai.



7 novembre
L'ho visto, l'ho riconosciuto nonostante stesse quasi fermo in una zona male illuminata. Spero che qualche altra volta passi davanti al mio negozio, che si soffermi, mi dica qualcosa, e magari trovi un po’ di tempo anche per me.
8 novembre
Non so neppure dove abita; mi ha detto che studia molto, che non esce quasi mai di casa. Eppure dovremo tornare ad incontrarci ancora, almeno per una fortuita combinazione.
9 novembre
Sono già due volte che allungo la strada quando esco dalla merceria, proprio per transitare nei pressi della piazza dove stazionano sempre i soliti ragazzi. Ma lui non c'era. Già lo sapevo che non li frequentava molto, che non gli piace stare lì con loro a perdere del tempo. Però speravo che aspettasse me, che facesse in modo di incontrarmi, come io vorrei fare con lui.
10 novembre
Eppure devo trovare un sistema per vederlo. Lui eppure sa dove mi trovo durante tutta la giornata lavorativa. Non capisco perché non passi almeno una volta davanti alle vetrine del mio negozio. Uscirei subito per salutarlo, per dirgli qualcosa, fargli un saluto, nient'altro.
11 novembre
Devo togliermelo dalla mente. Mi pare di essermi fissata: continuo a scrutare la strada fuori dai vetri della merceria per vedere se per caso ci fosse il mio Tommaso da qualche parte. Sono forse stata uno sciocca l'altra sera quando l’ho visto poco lontano dal negozio mentre chiudevo. Dovevo andargli incontro, dirgli subito qualcosa, creare una possibilità, piuttosto che attendere tutto questo tempo stupido e inutile.
12 novembre
Stasera, quando uscirò da qui una volta chiuso questo negozio, arriverò a piedi lentamente fino in piazza, sfiorando le panchine davanti al bar Soldini. E’ come l’ultima possibilità che gli concedo. Se non sarà come spero in mezzo a tutti gli altri ragazzi, cercherò d’ora in avanti di non pensare più a lui, di togliermelo dalla mente, e certamente non starò ancora ad aspettarmi di vederlo da un momento all’altro sulla strada davanti alla merceria. Non ci saranno altre occasioni, ho deciso; le cose si concluderanno lì in questa maniera. Magari starà lì, di spalle, chiacchierando con qualcuno, indifferente a tutto, come fosse cosa normale, ed io saluterò in fretta tutti gli altri senza neppure trattenermi molto, fingendo anzi di avere fretta per non lasciare in aria delle cose ancora da definire. Tommaso si offrirà di accompagnarmi, allora, e così ci sarà il tempo di parlare e di darsi un nuovo appuntamento.
            Lo vedo adesso, proprio mentre scrivo su questo mio diario: è qui, davanti alla vetrina; sorride nella mia direzione, aspetta che io chiuda il negozio, e già mi tremano le gambe. Però sono contenta.


Bruno Magnolfi



mercoledì 14 novembre 2018

Estrema semplicità.



Mi piace sapere in partenza se una certa cosa la posso fare oppure no, anche se ovviamente mi rendo conto non sia così facile comprenderlo. Però trovo tutto ancora un po’ più complicato quando si va a sollecitare in qualche modo le opinioni di qualcun altro, perché in genere non collimano mai perfettamente con quelle che io ho messo a punto, magari soltanto per la mia innata abitudine di trascorrere molto tempo - forse anche troppo – in perfetta solitudine, e di non riuscire per mia natura a fare delle scelte che tengono davvero conto degli altri. Così mi limito a girare per strada, ed anche se so già verso dove vorrei andare in alcune serate come questa, in ogni caso mi prendono continuamente dei forti dubbi sul fatto che quanto ho deciso di tentare, per situazioni come quella che ho in mente, sia poi davvero la cosa migliore da farsi. Provo un deciso entusiasmo, ma non vorrei proprio sbagliare, e ritrovarmi magari a sciupare qualcosa rispetto all’ attesa che ho maturato dentro di me, considerato che continuo solo a girare attorno al problema, nella speranza che la soluzione trovata sia davvero quella migliore.
Stasera non ho neppure troppa voglia di farmi vedere in giro da tutti, ed è anche per questo motivo, a parte l'umidità che persiste in queste giornate, che mi sono ficcato questo cappellaccio sopra la testa, immaginando così di essere un po’ meno riconoscibile. Mi piacerebbe forse addirittura zoppicare o caratterizzare la mia camminata in qualche maniera che non è la mia, proprio per lasciare immaginare a chi mi incontra per strada un'altra persona sotto queste vesti, qualcuno che soltanto difficilmente potrei veramente essere io. Ma poi sorrido di tutte queste mie fantasie, e vado avanti con normalità cercando di mantenere la stessa convinzione e la medesima volontà che mi ha portato poco fa ad uscire di casa. 
Non mi va di mettermi troppo vicino al negozio proprio nel momento in cui si sta avvicinando l’ora della chiusura; mi basta rimanere nei dintorni, attendere, piazzarmi in una zona del marciapiede poco lontano che resta scarsamente illuminata dai lampioni già accesi, e lì aspettare il momento maggiormente opportuno per farmi avanti, immaginando poi di lasciarmi riconoscere soltanto accennando un semplice gesto o una parola appena pronunciata. Però potrebbe anche cadere a sproposito questa mia mossa, anche se continuo a ripetermi che qualcosa devo pur fare, e che devo mostrare la mia precisa volontà in qualche maniera. Ci penso ancora un momento, mentre torno indietro lungo la strada: non vorrei che qualcuno già a questo punto mi avesse notato. Così ripercorro ancora una volta il giro completo dell’isolato, sempre tenendo un comportamento da passeggiata solitaria.
Alla fine mi fermo, le vetrine che mi interessano sono ancora illuminate, anche se l’orario di chiusura della merceria è già trascorso, ed adesso Clara dovrebbe venire fuori, non può più tardare molto. Eccola, difatti, però non è sola: c’è una signora con lei, non posso farmi avanti in questo momento, così mi copro come posso sotto al cappello, e voltandomi spero dentro di me di non essere stato riconosciuto. Farò un nuovo tentativo sicuramente domani, o forse tra qualche giorno, penso; ancora non lo so, perché trovare lo stesso coraggio non sarà certo facile. Anche se a me basterebbe soltanto che lei mi dicesse: ciao Tommaso, con estrema semplicità.


Bruno Magnolfi 


lunedì 12 novembre 2018

Strenua difesa.


            

            C’è una strada che attraversa il paese, e mentre scorre tranquilla in mezzo alle case, sembra a volte che parli o sussurri con una voce bassa, timorosa, come quella di chi non può darsi un’importanza superiore a quella che riesce a dimostrare la realtà evidente delle cose. Ci sono alcuni tra gli abitanti di quel luogo che si muovono avanti e indietro lungo la medesima strada, e cercano nelle parole che scambiano tra loro qualcosa che purtroppo la maggior parte delle volte non riescono proprio ad evidenziare. C’è una serenità diffusa, in quasi tutti, un sentimento che spesso assomiglia ad una tristezza profonda, qualcosa che però si potrebbe allontanare con una grande facilità, basterebbe modificare quel sentimento attraverso qualche semplice battuta di spirito, oppure mitigarlo in qualche modo ritrovandosi ad un angolo con qualche amico più svincolato da certe esperienze, o anche costringersi, pur restando nella propria solitudine, a pensare semplicemente ad un diverso argomento, almeno per una porzione sufficiente di tempo.
            Ci sono in giro certe volte i soliti personaggi di sempre, quelli che scivolano lungo i marciapiedi senza una meta precisa, che camminano in avanti con le mani dentro le tasche, senza trovare almeno in apparenza uno scopo preciso, come stessero cercando un sorriso dentro se stessi che spesso non trovano, e quindi lasciando il tempo trascorrere come qualcosa di inevitabile, pur dispiacendosene spesso quando parlano a piccole frasi con chi li conosce. Procede la strada, porta i suoi detriti in giro lungo il paese, perfino sulla soglia di quei portoni dove ciascuno trova il proprio rifugio,  mettendosi in salvo ogni volta che giunge ad aprire la serratura di casa con la sua chiave, come un naufrago che forse non sente tutta l’appartenenza che vorrebbe avere per quel luogo preciso, ma che sa riconoscere nell’edificio che abita l’unica zattera di salvataggio, almeno per sé.
            E poi c’è chi si perde lungo la via, magari si sente anche troppo osservato dagli altri, sempre con gli sguardi di tutti un po’addosso, forse giudicato superficialmente senza aver fatto nulla per attirare un minima attenzione sulla sua persona, e così nauseato che tenta talvolta di cambiare maschera, e modificare per quanto gli appaia possibile, ogni ordinario comportamento, ed in questo processo immedesimandosi dentro un modello, in qualcun altro, fino al punto di non ritrovarsi più ad essere esattamente lui stesso, ma rivestendo però qualcosa che ha sempre pensato, forse un personaggio che senz’altro ora sfugge ad una comprensione di stampo più generale, ma che racchiude in sé almeno qualcosa di quelle sue idee, delle sue voglie, addirittura delle sue capacità.   
            La strada prosegue a ritagliare a metà un lato dall’altro, quasi due fazioni della stessa cittadinanza nel disputarsi qualcosa che è anche difficile da comprendere. Alcuni vedono un segno preciso in quella divisione evidente, altri sono disposti magari per gioco a contendersi il predominio su quella piazza che si apre là in fondo, come un terreno neutrale, e che non sembra mostrare un’appartenenza precisa. Ci sarà una battaglia, dice qualcuno, è normale che si trovi un nemico verso cui scagliarsi in questa pesante carenza di motivazioni per mandare avanti le cose. Alcuni già si preparano, altri sono da sempre pronti a difendersi, forse perché proprio nella difesa resta il segreto migliore per vivere qui.

Bruno Magnolfi

venerdì 9 novembre 2018

Sacrificio solenne.




Ogni tanto si concede un giretto a piedi per le vie del suo paese, Tommaso; ma generalmente resta a studiare nella modesta abitazione della sua famiglia per quasi tutto il giorno. Alle lezioni che si svolgono nella facoltà a cui è iscritto si reca solo qualche volta, solamente quando sa che sono davvero importanti, cercando di concentrare tutto quello di cui deve occuparsi in una sola stessa giornata, salendo sopra la corriera che lo porta in città al mattino prestissimo, e tornando con lo stesso mezzo nella medesima serata. Non può permettersi una camera d’affitto nei dintorni dell’ateneo, perciò deve comportarsi così, ottimizzando tutti i tempi delle visite nella biblioteca, in segreteria, ed eventualmente anche negli istituti, per prendere gli inevitabili accordi con gli assistenti o con i docenti delle materie di studio che segue. Ma quando poi torna nella sua cameretta in paese, una volta che ha preso tutte le informazioni, le notizie e le dispense che gli servono, trascorre tutto il tempo davanti ai testi generalmente avuti con il prestito, confrontandoli con gli appunti che gli passano i compagni di corso, per preparare al meglio delle sue possibilità ogni esame universitario che deve ogni volta sostenere.
Devo impegnarmi al massimo, ha pensato spesso fin da ragazzino, e lo ha fatto sempre con una certa determinazione, specialmente negli ultimi anni: nessuno mi tirerà fuori da questo posto se non lo farò da me stesso, con le mie sole forze. Ma da qualche tempo, dopo aver costantemente mal sopportato quella cittadina dove lui è nato e dove ha sempre vissuto, i suoi pensieri hanno iniziato a cambiare, se pur solo a tratti. Difatti, se adesso si guarda attorno, quando cammina sui marciapiedi delle strade principali per esempio, scopre con facilità dei particolari che precedentemente non aveva mai notato. Le stesse persone che incontra, certe volte, - facce già viste, espressioni che conosce da tempo, magari qualche vecchio compagno delle scuole elementari, - gli sembrano tutti più interessanti rispetto al passato. Forse, nel tempo trascorso, ha peccato di una certa superficialità, pensa talvolta; forse non si era mai neppure accorto come, in mezzo alle cose semplici del suo piccolo paese, si annidassero anche elementi che a ben guardare mostravano senza troppo dare prova di sé, anche una certa ricchezza.
E poi adesso c’è Clara Carraresi, questa ragazza che pur mettendo in luce scelte molto diverse dalle sue, dimostra una propria innata sensibilità e anche una spiccata intelligenza, con capacità di analisi e anche di giudizio, tanto che dopo averla conosciuta lui si sente spinto a rivederla tutte le volte che gli risulta possibile. Si è sentito bene qualche sera fa con lei, ha provato una sconosciuta sensazione di completezza, come se i pensieri scambiati tra loro due, pur maturati in ambiti diversi, avessero assunto improvvisamente delle caratteristiche di affinità, tanto da spingerli spontaneamente l'uno verso l'altra. Ci sono adesso molte cose delle quali Tommaso sente l’impellente bisogno di parlare ancora con Clara; ma c'è anche qualcosa che lo spinge verso qualcosa che avverte già come un elemento imprescindibile. Per questo, pur sapendo di non potersi permettere molto tempo da dedicare a lei, all'improvviso gli appare anche persino troppo chiaro che se tiene davvero a questa amicizia tra loro, dovrà prima o dopo sacrificare qualche cosa della propria individualità.


Bruno Magnolfi 


mercoledì 7 novembre 2018

Senza opinione.



La giornata appare nuvolosa, e forse proprio per questo in giro per il centro abitato s’incontrano poche persone in questa grigia mattinata. Annamaria si è presa l'ombrello pieghevole uscendo da casa, anche se al momento lo ha riposto ben chiuso dentro la sua borsa capiente. Così quando spinge la porta vetrata della Merceria Martini, lungo la strada principale del paese, ha ben chiaro che indipendentemente da qualsiasi cosa possa acquistare in quel negozio in cui sta per entrare, non dovrà preoccuparsi troppo per un eventuale scroscio di pioggia al momento di tornarsene verso la sua abitazione.
Ha notato come se ci fosse qualcosa di nuovo là dentro arrivando vicino alle vetrine della merceria, ma siccome per sua natura non desidera farsi vedere disposta a perdere del tempo nell’osservare gli allestimenti, pur sentendosi fortemente incuriosita, è subito entrata, senza fermarsi: vuole arrivare immediatamente al punto, e senza grandi indugi acquistare quello che per cui è venuta fin lì, e  poi casomai dare un'occhiata in giro subito prima di uscire dalla bottega e tornarsene lungo la via. Buongiorno dicono insieme sia Clara, che lei conosce da anni, sia, con voce più bassa, un'altra persona che sembra in apparenza una normale cliente, ma che sta lì in piedi con un’espressione seriosa ad occhieggiare con indifferenza qualcosa fuori dai vetri, praticamente senza fare nient’altro.
Non preoccuparti, dice la negoziante notando nella sua conoscente una leggera perplessità: mia madre è qui solo per farmi una visita. Così Annamaria, che a casa sua ha la macchina per cucire e svolge dei piccoli lavoretti di sartoria per tutto il suo vicinato, si fa mostrare del filo di cotone in vari colori, alcune cerniere di ricambio con diverse lunghezze, ed alcuni bottoni particolari dei quali ha portato con sé gli originali, per verificarne appieno la corrispondenza. Poi, mentre Clara le mette gli acquisti dentro un sacchetto, lei guarda distrattamente gli ultimi arrivi di abiti pronti sui manichini e sopra gli appendiabiti. Quindi esce, dopo essersi informata su alcuni prezzi, ma senza acquistare nient’altro.
Marisa non dice niente, forse avrebbe probabilmente anche alcune opinioni su come portare avanti le sorti di quel negozio, proprio adesso che la signora Martini sembra poco per volta uscire di scena e lasciare molte scelte nelle mani di Clara; però si frena, riflette, cerca il più possibile di non essere invadente. Sua figlia le ha spiegato già molte di quelle cose che intende cambiare dentro la merceria, e lei l’ha ascoltata quasi senza ribattere niente, semplicemente annuendo e lasciandola parlare senza interromperla. Va bene, sembra voler sottolineare adesso con il suo silenzio, rispetto al garbato entusiasmo di Clara; ma a me in fondo tutto questo interessa ben poco: è la tua vita, la tua carriera, le tue capacità che devono uscir fuori in questo momento, ed io, anche se sono sicura del tuo successo nei prossimi anni, non sono più in grado di indicarti la via o di darti come ho sempre fatto la mia opinione. Trovo che non sarebbe neppure giusto che lo facessi, ed è per questo che ti ammiro e sono contenta per te: per tutto l’impegno che sicuramente stai mettendo a buon fine, per il tuo bisogno di realizzarti, anche se a me tutto questo mi appare già come qualcosa che oramai non mi riguarda.


Bruno Magnolfi   



lunedì 5 novembre 2018

Conservazione.




28 ottobre
Vorrei fermare questi giorni. Cristallizzare tutto per pensare ad ogni dettaglio con calma, senza questa frenesia che spinge le cose sempre troppo in avanti.
29 ottobre
Ho paura. Non so decidere niente, le novità mi lasciano meravigliata senza comprendere se sono positive oppure no.
30 ottobre
Se pur non sono mai andata troppo d'accordo con mia madre, in ogni caso ho sempre saputo in ogni momento che lei c'è, pur con il suo sguardo tagliente e fermo e con i suoi modi diretti, comunque sempre pronta a darmi il suo parere, talvolta perfino superfluo proprio perché scontato, frutto del suo modo risaputo di guardare a tutte le cose. Adesso lei invece è come se fosse altrove, come se d'improvviso si volesse disinteressare di me, lasciandomi libera dalle sue opinioni, ma allo stesso tempo senza la sponda dura ma rassicurante del suo parere.
31 ottobre
Oggi mi è stato presentato un ragazzo molto più giovane di me, che secondo la signora Martini potrebbe aiutarmi nel lavoro al negozio. Ma a me non è piaciuto, non mi pare proprio sia la persona più adatta per occuparsi di abbigliamento femminile e di merceria. Ho subito avuto l’impressione che la signora Martini dovesse rendere un favore a qualcuno con questa candidatura, ma per me non è neppure un problema di esperienza nel settore: è soltanto questione di avere le qualità adatte ad essere il referente giusto nei confronti di alcune richieste delle nostre clienti. Questo che mi sono trovata di fronte è soltanto un ragazzetto a cui non interessa probabilmente niente di quello che cerchiamo di vendere nella nostra bottega, ed anche se può essere una trovata simpatica quella di mettere un maschio come lui in questo settore, ho paura che alla lunga le cose non andrebbero bene. Ho detto subito cosa ne pensavo alla signora Martini, e lei si è dimostrata comunque comprensiva. Sul momento abbiamo deciso di riprendere a lavorare con noi, se disponibile,  la stessa ragazza che ci aveva dato una mano durante la stagione primaverile. Non sarà il massimo, però con lei sappiamo di non fare delle brutte figure.
3 novembre
Alla signora Martini in fondo sembra non interessi poi molto delle mie scelte. Credo che se da un lato le piacerebbe che io riuscissi a preservare perfettamente la politica aziendale messa in piedi da lei decenni fa, dall'altro sarebbe anche contenta che io dessi una spallata ai suoi modi di tenere in piedi questo negozio. Forse nel dilemma tra una cosa e l’altra, sta pensando bene da adesso di non preoccuparsene affatto, in modo da lasciare a me ogni incombenza, a patto che il negozio naturalmente mantenga lo stesso livello di vendite di questi ultimi anni.


            Bruno Magnolfi 


domenica 4 novembre 2018

Scoperta del nuovo.




Non so perché abbiamo fatto passare tutto questo tempo. Sono talmente sorpreso nel sentirmi così bene stando insieme ad una persona dopo tanti anni di solitudine, che praticamente non ho più neanche memoria dell'ultima volta che mi è accaduta una cosa del genere. Ci mettiamo seduti lì sulla veranda a parlare, e lasciamo lentamente scorrere il tempo per proprio conto, disinteressandoci quasi di tutto il resto. Marisa, le dico; come abbiamo fatto ad abitare così vicini e a non scambiare mai neppure una parola per tutti questi anni. Non lo so, fa lei; però adesso, se soltanto ci penso, non mi interessa più tanto il passato. Fino a questo momento ho vissuto quasi soltanto di quello, ho respirato i ricordi e la nostalgia come non esistesse null'altro, ma devo dire che questo comportamento non mi ha portato a niente di buono. Ora invece voglio guardare al presente, vivere la giornata, e fare quello che mi piace di più. Marisa, le dico ancora, ma è possibile che sia così, che ci succeda davvero, quando non ce lo aspettavamo per nulla. Sorride; penso di sì, mi fa sottovoce. Ma non voglio pensarci su troppo, ho voglia soltanto di sentirti ancora parlare dei tuoi pensieri, delle tue idee, di tutto quello che avresti voluto fare prima o dopo.
Stiamo seduti, certe volte ci sdraiamo persino sopra al mio letto, soltanto per stare lì, a rilassarci, a guardare il soffitto, spiegare ancora qualcosa l’un l’altra, con gli occhi pieni di sogni e di fantasie. In quei momenti non ricordo neppure che cosa sia accaduto davvero in precedenza; osservo lei, specialmente quando non se ne accorge, e mi pare che tutto all'improvviso sia semplice, leggero, senza alcuna necessità di spiegazione. Marisa, cosa ne pensi, le chiedo. E lei, con le sue maniere ormai assodate, mi spiega che all'interno della sua vita difficile, tutto adesso sembra essersi fatto così semplice, lineare, senza necessità di ulteriori decisioni. Non c'è proprio niente da decidere, mi fa, se non qualcosa su cose sciocche: cosa cucinare stasera, se indossare i pantaloni oppure la gonna, fare una doccia nel pomeriggio oppure più tardi.
Siamo anziani, indubbiamente, le dico, ma non ci siamo mai illusi di poter tornare indietro nel tempo, e questo spingerci sempre in avanti ci sta facendo scoprire forse qualcosa di diverso. Che cosa ci importa, diciamo all'unisono, di quello che possa pensare il signor Remo, quello che abita di là dalla strada, quando ci vede ridere in giardino senza neppure riuscire a metterci un freno, allegri come siamo sempre da quando abbiamo deciso che eravamo troppo simili per non stare un po’ insieme. Lui non sa niente, dico io, prosegue ad occuparsi delle cose ordinarie, dei piccoli impegni di tutti i giorni, lo fa come tutti, forse per un’abitudine assodata, o anche per il senso del dovere che a volte dopo una certa età sembra riempirci rapidamente ogni spazio. Lo guardo, certe volte, lo saluto con la cortesia di sempre, e so che ero esattamente come lui fino a pochissimo tempo fa: è stato semplice però cambiare qualcosa, modificare dei piccoli dettagli intorno ai miei giorni. Ma quello che conta più di ogni altra cosa è questo accettare di modificare la mente, di aprire le idee a qualcosa di nuovo; come se tutto sommato ci fosse ancora tantissimo da scoprire e apprezzare.

Bruno Magnolfi

venerdì 2 novembre 2018

Diversi e distanti.



Si verificano in certi casi alcune giornate in cui il cielo appare particolarmente nuvoloso sopra queste colline, e si mostrano qualche volta anche degli interi periodi durante i quali tutta Borgo San Carlo, con l’intero suo agglomerato urbano formato anche da viuzze e da piccole abitazioni addossate le une alle altre, appare un luogo decisamente triste, poco attrattivo, quasi scostante, come se le stesse condizioni meteorologiche di qualche serata un po’ uggiosa, riuscisse ad avere un impatto diretto, oltre che nell’umore e nel temperamento stesso degli abitanti, anche proprio sulle case e sulle strade di tutto quanto il paese. I campi agricoli poi, appena lasciate indietro le abitazioni ed una volta usciti dal centro abitato, mostrano facilmente nelle settimane e nei mesi che passano, il susseguirsi monotono delle diverse stagioni, sopportando in certi periodi giusto qualche trattore rumoroso che si può notare con facilità dalla strada mentre si muove lentamente tra i solchi o in mezzo alle stoppie, quasi cercando, insieme agli attrezzi che ogni mezzo agricolo trascina dietro di sé, di dare una logica ed un senso a quei pezzi di terra sotto le nuvole, confinati da lunghe file di alberi e da qualche fossato.
Ci sono persone che quasi ogni giorno, dalla fermata presente nella piazza principale in mezzo al paese, salgono sopra una delle corriere in partenza, e percorrono tutto il tratto di strada necessario per arrivare alla fine nella città più vicina, ed i mezzi pubblici che si intravedono allontanarsi svogliatamente dai muri intonacati del paese di partenza, rispettando certi orari invariabili che quasi sempre sono conosciuti a menadito da tutti, mostrano per assurdo quasi un senso di vitalità per tutta quella strada statale che serpeggia nella natura, lasciando allontanare pur momentaneamente dalla comunità che abita quei caseggiati, i viaggiatori, che quasi sempre sono soltanto dei pendolari, come per dare più circolarità all'ossigeno stesso disciolto nell'aria, rassicurando in qualche maniera perfino le persone rimaste, che forse appaiono perfino contente di non essere andate con gli altri. Qualcuno osserva con una certa invidia le facce dei viaggiatori incorniciate dai finestrini dei mezzi pubblici, altri invece ascoltano soltanto il lieve rombare profondo di quei motori fumanti, quasi come fosse il respiro stesso di qualcosa che continua a produrre una qualità di esistenza altrimenti impossibile.
L'invidia in un caso o nell'altro è sempre presente in mezzo ai pensieri di tutti, e solo parlando del più e del meno con altri paesani delle cose usuali, a voce magari un po’ alta, ciascuno si mostra soddisfatto e meritevole proprio di quello che è, scansando velocemente almeno con le parole qualsiasi variazione possibile nella propria giornata e in quella lineare esistenza, accontentandosi facilmente di ciò che è riuscito a raggiungere senza aver mai dovuto sopportare compromessi a dir poco infamanti. La forma autocritica è chiaro come sia difficilmente praticata tra questi, e chi se ne addossa la responsabilità generalmente viene additato quasi come diverso, qualche rara volta con degli apprezzamenti anche positivi da parte degli altri, ma in altri casi permettendo commenti ordinari con un uso della stessa parola a mo’ di disprezzo, quasi fosse un vero strumento per tenersi alla larga da simili distanti personalità.


Bruno Magnolfi