mercoledì 27 febbraio 2019

Inaccettabile distrarsi.


         

            Il parcheggio dell’aeroporto è costantemente pieno di macchine ferme. Alla fine di una mattinata qualunque, vado a girare a piedi là in mezzo come fingendo di cercare qualcosa, quindi mi fermo al centro di una fila ben sistemata, e poi vado subito a guardarne un’altra. Nessuno mi osserva, sembra che non interessi a nessuno che io gironzoli curiosando da queste parti. Infine giunge un'auto, qualcuno scende, si prendono i bagagli, si va via, verso gli aerei, e poi basta. Torno verso il varco di uscita, nessuno mi chiede niente, non c'è nessun controllo in giro, di alcun genere.
Poi arriva una macchina con due poliziotti, parlano tra loro, mi guardano per un attimo, ma forse non interessa loro la mia fisionomia, probabilmente stanno cercando qualcun altro, magari seguendo una segnalazione precisa. Me ne vado, mi pare che qui non ci sia proprio nulla da fare. Torno verso casa, parcheggio la mia utilitaria, salgo nel mio appartamento e mi piazzo seduto davanti al televisore, sapendo per certo che la mia scontentezza non mi abbandonerà facilmente. Mi chiedo quale sia il vero motivo di tutto, per quale strampalata ragione le persone si cercano e poi si evitano, continuamente, come se fosse un gioco messo su da un perfetto squilibrato.
Probabilmente non troverò mai nulla di quanto vado cercando: sono senz’altro da solo in questa città di estranei a svolgere un ruolo che per quanto io stesso non riesca a spiegare il motivo per spingerlo avanti, interessa per forza qualcuno, nonostante ogni ipotesi prosegua a risultare almeno a me del tutto incomprensibile. Per una qualche ragione appare fondamentale che tutto ciò che capita all’interno di questo benedetto parcheggio intorno allo stadio del calcio, dove io ogni notte faccio la ronda, sia rilevato e controllato, senza che tutto questo meriti una qualsiasi razionale spiegazione. Ma anche se a me va bene così, perché alla fine lo stipendio mi arriva, di fatto certe volte mi torna assurdo perfino cercare di capirne qualcosa di più.
Il mio cellulare resta muto, perché dopo gli ultimi messaggi che ho scambiato in questi ultimi giorni con i miei capi, non ho ricevuto più nulla, se non l’ordine secco secondo il quale devo proseguire con la mia attività, come sempre. Quando si sono avvicinati a me l’altra sera, puntandomi una forte luce negli occhi, purtroppo non ho potuto vedere un bel niente: quale macchina avessero, in quanti fossero all’interno dell’abitacolo, le loro facce, le loro espressioni, un bel niente. Ho potuto soltanto comprendere le parole che mi venivano dette, pronunciate come da una voce qualsiasi, camuffata dal rumore fragoroso del potente motore della loro automobile.
Che cosa importa, penso adesso davanti alla televisione; l’esistenza è fatta così: si tratta di proseguire diritti verso una meta un po’ assurda, senza chiedersi niente, camminando in avanti senza sapere il perché e senza conoscere la direzione precisa. Non mi lamento di certo, so stare al mio posto se qualcuno lo chiede. Mi piacerebbe soltanto che qualcuno mi dicesse qualcosa di più, ma so farne anche a meno. Poi prendo in mano la mia fedele pistola: ho sempre questa per proteggermi penso, nel caso in cui le cose si mettessero al peggio. Non mi sento libero, questa è la sensazione che mi pesa di più; e questo fare qualcosa di impegnativo senza sapere a che serva, mi rende nervoso, irascibile, privo della calma che ci vorrebbe per svolgere tutto in maniera positiva. 
Continuo ad osservare in modo estremamente distratto, sullo schermo televisivo di fronte, un film di cui non ho visto l’inizio, evitando adesso perfino di seguire i dialoghi, anche se in ogni momento mi sembra di conoscere tutti gli attori che recitano, come fossero veri personaggi della mia giornata. Infine spengo l’apparecchio: devo riposarmi penso; stasera dovrò riprendere servizio come sempre, e non posso certo essere stanco, perché non sarebbe affatto accettabile.

Bruno Magnolfi

lunedì 25 febbraio 2019

Nulla di fatto.



Sto fermo dentro l'abitacolo della mia macchina ferma e con i fari spenti, in questo buio che mi appare senza significato. Se ripenso soltanto a qualche anno fa, mi pare quasi impossibile essere qui a mandare avanti questa inspiegabile attività. Intorno a me non c'è null'altro che lo stesso asfalto deserto di ogni notte, tanto che la mia auto come al solito finge di essere stata lasciata qui da qualcuno forse molto distratto, il quale probabilmente, dopo aver assistito alla partita di calcio, sovrappensiero,  è tornato a casa con i propri piedi oppure con un mezzo pubblico. Per un breve periodo ho anche lavorato nella cucina di un ristorante, in qualità di lavapiatti, e siccome tutti là dentro andavano di corsa, per me a volte era piacevole anche mettermi a guardare il loro impegno, mentre tenevo le mani a bagno nell’acqua calda e saponata.
Forse per me è arrivato il momento di lasciare anche questo lavoro di sorvegliante, e di spiegare ai miei capi senza mezzi termini che sono ormai stanco di guardare nel buio verso qualche macchina di ragazzi che semplicemente si divertono, o cose di quel genere. Dei soldi che ho guadagnato fino adesso sono riuscito a lasciarne da parte una modica quantità, quindi per un periodo di tempo posso guardarmi attorno, e vedere con calma cosa riesco a mettere insieme con le mie capacità. Per certi versi mi piaceva stare in cucina, era quasi come sentirsi in una squadra che affronta ogni sera un nemico rapido ed esigente. Mi piacevano le fumate di cibo sopra ai fornelli, ed il cuoco che impartiva gli ordini. Venni via da lì perché sapevo che non ci si deve mai legare troppo ad un unico mestiere.
Adesso è quasi la stessa cosa, se non che qui ci sono troppe cose che ancora io non ho capito, ma so che continuando in questo modo non credo proprio riuscirò mai a comprenderle, ed è facile mi lasci andare sempre di più, abbattuto e lontano da quanto sarebbe giusto conoscere per uno che svolge questo mestiere. Così prendo il mio cellulare, quasi di getto, e rapidamente scrivo un semplice messaggio ai miei capi, in cui spiego in due parole che non so più che cosa sto facendo in questo posto accanto allo stadio, e che mi sembra assurdo continuare in questo modo, a far la guardia di notte di un parcheggio vuoto dove non succede niente.
Poi torno a guardare fuori dai finestrini della mia macchina, ma non c’è nessuno, così metto in moto e compio un giro lentamente, senza interesse, cercando con desiderio almeno un’altra macchina ferma da qualche parte. Il mio telefono tace, forse non avrò dai miei capi una risposta in tempi rapidi, rifletto; probabilmente tutto andrà a finire cosi, senza più nulla: domani loro mi chiederanno di lasciare questo luogo e di non tornarci, poi mi verseranno gli ultimi soldi sul mio conto bancario, e tutto finirà in questa maniera, senza spiegazioni, e senza che io abbia potuto neppure vedere in faccia qualcuno tra di loro.
Improvvisamente invece mi affianca un'auto, giungendo di fretta chissà da dove. Abbassano il finestrino, mi puntano un faro negli occhi e mi chiamano a voce alta col mio nome. Sono i miei capi penso, così non mi sottraggo alla loro perlustrazione; dico soltanto in modo che mi sentano, che io non so bene chi abbia di fronte, né perché conoscono il mio nome. Loro mi dicono soltanto di ripetere il senso del messaggio, ma io adesso mi sento forte per essere riuscito a snidarli dal loro rifugio. Dico che scherzavo, che va tutto bene, che avevo soltanto voglia di dare loro una piccola scossa. Se ne vanno con le gomme che fischiano e a fari spenti, ed io rimango lì come uno sciocco, senza essere riuscito a combinare proprio un bel niente.


Bruno Magnolfi 



domenica 24 febbraio 2019

Questione cruciale.




            Oramai non riesco più a sentirmi indifferente a quanto è accaduto, anche se non sono stato affatto capace di vedere o toccare con mano la situazione medesima. Sentendomi meglio oggi, mi sono messo in giro a piedi per tutto il centro della mia città, proprio cercando di rendermi conto se riuscivo ad inquadrare qualche individuo, con il mio occhio allenato, che stesse svolgendo lo stesso mio mestiere di sorvegliante per la sicurezza, pur durante le ore di luce del giorno, e non di notte come invece tocca fare a me. Ho girellato per tutte le piazze più famose ed importanti, soffermandomi vicino sia ai monumenti che ai palazzi di prestigio, ed ho guardato con grande interesse tutte le persone ferme o sospettosamente rallentate, quelle che osservavano quasi di tutto attorno a loro, e che sembravano sul posto soltanto per scrutare chi si trovavano più vicino.
            Su diversi soggetti ho avuto anche delle parziali certezze, in considerazione dei miei interessi, e per questo motivo ho perso molto del mio tempo, visto che ho dovuto naturalmente ricorrere a tutti gli stratagemmi che conosco per osservarli e non farmi a mia volta scoprire; ma di ognuno alla fine non sono riuscito ad avere un riscontro realmente positivo, ed anche se il dubbio su questi individui ha continuato a girarmi fino a poco fa dentro la testa, non sono stato capace comunque di rendermi conto se stessero davvero esercitando il mestiere di sorvegliante per la sicurezza, oppure no. Stasera tornerò al mio solito parcheggio vuoto intorno allo stadio cittadino, perché nonostante venga giocata una partita di calcio nelle ore serali, più tardi, a notte fonda, tutti se ne saranno andati con le loro macchine, lasciando il piazzale completamente deserto. Sistemando le ultime cose prima di salire a bordo della mia auto, e naturalmente dopo aver comunicato ai miei capi che stavo per riprendere appieno il mio lavoro, mi è venuto a mente come in un lampo che forse c'è un luogo che in qualche modo può assomigliare al parcheggio del campo sportivo dove adesso vado a stazionare, un posto dove spesso in molti si recano, ed in cui lasciano le loro macchine ferme e chiuse, a volte anche per molto tempo, senza che qualcuno controlli un bel niente dei comportamenti che vengono adottati, e degli incontri che in questo luogo si fanno.
            Ho pensato probabilmente che se i miei capi, per ragioni che a me ancora sfuggono, si permettono di pagare una persona come me per sorvegliare ogni notte un posteggio praticamente deserto, a maggior ragione dovrebbero pagarne un’altra per controllare continuamente un luogo che rimane sempre pieno di macchine, peraltro senza guidatori né passeggeri. E siccome in questo luogo, quasi non si pone alcuna differenza tra il buio della notte ed il giorno pieno di luce,  tanto vale, dal punto di vista di questi miei superiori, mandarci qualcuno a visionare attentamente cosa succede, esattamente durante le ore quando fa chiaro, piuttosto che col buio. Così ho iniziato a pensare all’aeroporto cittadino come ad uno dei luoghi più sensibili per il malaffare, un posto in cui è probabile ci si incontri regolarmente per ordire, ai danni di tutti, chissà quali piani criminosi, se non fosse che esistono persone proprio come me che già con la loro presenza possono riuscire a mettere perfino una sicura soggezione a certi personaggi.
            Così ho deciso che domani nella tarda mattinata andrò senz'altro lì, anche se quella zona mi rimane piuttosto fuori mano: girerò all’interno dell’enorme piazzale in lungo e in largo tra tutte le auto parcheggiate, ed indossando degli occhiali scuri per essere meno riconoscibile, ma portando con me anche il solito binocolo per vedere bene i dettagli, cercherò di capire chi mai ci sia in giro a svolgere i fondamentali controlli. Ormai devo trovare almeno un collega che porta avanti il mio stesso mestiere: è diventata per me una questione cruciale; qualcosa che quasi non mi lascia respiro.

            Bruno Magnolfi

giovedì 21 febbraio 2019

Meglio in assoluto.



Non sto bene. Mi gira la testa, per tutto il giorno ho ciabattato per casa senza poter neppure uscire. Stanotte non riuscirò proprio ad affrontare il mio lavoro di sorvegliante, purtroppo mi rendo conto poco alla volta che mi è del tutto impossibile. Così mi faccio coraggio ed invio col cellulare una breve comunicazione per i miei capi, dove cerco di spiegare al meglio la situazione in cui mi trovo. Dopo pochi minuti, sempre per messaggio elettronico, loro mi rispondono che non ci sono problemi, e che hanno un sostituto.
Resto di sasso: non avevo mai considerato la possibilità che ci fosse qualcun altro che potesse svolgere il mio stesso mestiere; magari qualcuno normalmente usato, durante i giorni qualsiasi, per tenere d'occhio alcuni altri parcheggi cittadini forse meno importanti del mio; oppure anche qualcun altro che si mette a controllare ulteriori luoghi sensibili: certe piazze, alcuni monumenti, dei palazzi di prestigio, e che forse svolge il suo impegno per la sicurezza proprio durante le ore di luce, piuttosto che di notte come al contrario tocca fare a me.
Mi infilo dentro al letto per lasciarmi passare i brividi che oramai mi scuotono, ma non riesco né a riposarmi né a dormire. Continuo a ripensare a quanto mi è stato comunicato, ed ancora non riesco a credere che ci siano in giro dei personaggi che appaiono come dei replicanti della mia stessa attività. Ovvio che mi piacerebbe conoscerne qualcuno, parlare con lui, sapere chi è e come se la cava questo tizio esattamente come me, e magari chiedergli in modo diretto se prova le stesse sensazioni che avverto io quando controllo la mia porzione di città.
Mi alzo, giro dentro casa, devo ancora constatare che non sto per niente bene, però adesso sono peraltro anche nervoso, non riesco ancora a considerare come naturale ciò che mi è stato spiegato, e per questo semplice motivo vorrei saperne qualcosa di più, conoscere i dettagli, anche se è evidente come sia quasi del tutto impossibile. L’unica possibilità che avrei sarebbe quella di alzarmi con uno sforzo sovrumano da questo letto, uscire da casa senza neanche riflettere, infilarmi subito dentro la mia auto, ed andare senza voltarmi fino al parcheggio dello stadio di calcio, per riuscire a scrutare nel buio chi ci sia davvero lì, in carne ed ossa, per sostituirmi. Ci penso con intensità, ma dopo poco scarto questa opzione: sto troppo male, e poi non è affatto detto che questo mio sosia possa concedere la possibilità di avvicinarmi a lui.
Perciò posso soltanto starmene qui nel mio rifugio, ed immaginare tutto quello che è possibile accada in quel luogo dove personalmente ho stazionato ogni notte per tutti questi mesi, senza che sia successo chissà cosa. Magari però è proprio la prossima notte quella in cui avverrà qualcosa di estremamente grave, e forse verranno coinvolte anche persone che non c’entrano proprio nulla con i fatti: il mio sostituto potrebbe non conoscere sufficientemente gli angoli del parcheggio dove è meglio ripararsi, e per questo motivo essere soggetto a rimanere nel mezzo a degli scontri tra bande di malfattori, o cose di questo genere.
Non me ne importa nulla penso, in fondo non mi riguarda affatto tutta questa storia: tra un paio di giorni probabilmente starò meglio, invierò un messaggio ai miei capi e loro mi risponderanno semplicemente di ricominciare come prima. Va bene dirò loro, non vedo l’ora di farlo: in fondo è quello il mio posto, il posto dove mi sento meglio in assoluto.


Bruno Magnolfi



martedì 19 febbraio 2019

Avanti per conto proprio.


           

            Durante ogni giornata che trascorre monotona, oramai io mi sento come bloccato, anche se proseguo in qualche modo a lasciar andare le cose per loro conto. Faccio finta di stare tranquillo persino nel mio appartamento, o per strada quando vado a comperarmi qualcosa, e di non avere mai alcun problema, anche se mi chiedo ogni tanto quanto tempo ancora potrà mai andare avanti questa faccenda. Perché dovrà pur finire, uno di questi giorni, non c’è proprio alcun dubbio; non può proseguire ancora a lungo questa specie di angoscia, questo impegno che ho preso in modo stupido e casuale con qualcuno che neppure conosco, mentre intanto cerco di portare avanti come da programma questa sorveglianza notturna di un luogo che appare quasi sempre deserto, senza neppure sapere quale sia il motivo vero di questo mio impegno.
Guardo la televisione, e da lì il governo del paese dice che tutti quanti dobbiamo stare tranquilli. Così mi siedo al tavolino del bar sotto casa e mi lascio servire con calma un paio di birre fresche. Poi arriva questo tizio che dice subito di conoscermi, per cui parliamo per un po’ cercando nella memoria reciproca il motivo di un'impressione del genere. Alla fine si siede, paga un nuovo giro di birre, ed andiamo avanti a parlare di tutto e di niente. Buttiamo giù anche un paio di panini, visto che ormai tra una cosa e l’altra è già trascorsa l’ora di cena, ed ovviamente arrivano altre birre che ci scoliamo una dietro l'altra, senza preoccuparci di niente.
Quando dico che devo andare a lavorare, il tizio sembra sorpreso, poi mi fa delle domande a cui naturalmente rispondo in maniera evasiva. Dico che ho la macchina posteggiata poco lontano, e lui, quando infine usciamo dal bar, mi accompagna fino lì. Poi dice che magari potrei dargli un passaggio, visto che anche lui deve andare nella zona dello stadio di calcio, ed io gli dico di salire, non ci sono problemi. Quando arriviamo accanto allo stadio spiego a questo nuovo amico che il mio mestiere consiste nel controllare durante la notte tutto quanto il parcheggio fuori dalla recinzione del campo sportivo, segnalando qualsiasi faccenda insolita riesca a registrare. “Con il binocolo osservo tutti i movimenti”, gli dico, “ e sopra un foglio prendo nota delle targhe di auto, di furgoni e di quanto passa da queste parti con fare sospetto.
Lui sembra un po’ indifferente alle mie cose, poi scende dall’auto, si guarda attorno, spiega in due parole che non ha un vero posto dove andare in questa città. “Ti puoi mettere sul sedile posteriore a dormire”, gli dico; “per me va tutto bene, basta tu stia coricato e non ti faccia vedere”. Fa cenno di si, che accetta l’invito insomma, però vuole farsi un giro a piedi prima di allora, per cui si allontana con calma spiegandomi che tornerà tra mezz’ora, non certo più tardi. Va via, ed io mi metto nella solita posizione di qualsiasi altra notte, a controllare tutto lo spazio che c’è davanti al mio parabrezza. Tutto regolare, mi dico, non ci sono problemi. Ma ad un tratto arriva di corsa il tizio di prima, dice in fretta salendo sulla mia auto che dobbiamo subito andarcene, non c’è un minuto da perdere. Di fatto vedo in fondo al piazzale diverse macchine che stanno manovrando, come per fare qualcosa. Così metto in moto, ingrano la marcia, e a fari spenti mi allontano lentamente ma di parecchio, pur restando all’interno di questo parcheggio.
Poi sparano, si sentono chiarissimi dei colpi di arma da fuoco, così mi allontano ancora di più, e alla fine invio un messaggio ai miei capi dove spiego la situazione che si è andata manifestando. Il mio amico nel buio si è già piazzato sul sedile di dietro a dormire, e dice che adesso secondo lui va tutto bene, non c’è minimamente da preoccuparsi. Non so davvero cosa pensare, non ho più neppure la voglia di stare ancora da queste parti, ma infine anche io mi metto tranquillo: l’importante è non preoccuparsi, decido; il resto andrà avanti anche da solo.

Bruno Magnolfi

lunedì 18 febbraio 2019

Senza cambiare programma.


            

            E’ tutto a posto, non c’è niente di strano. Sorrido, in questo bar dove vado sempre a trascorrere un’ora o due durante il pomeriggio. Mi diverto a parlare col tizio dietro al bancone, o con qualche frequentatore tra quelli che conosco. Poi però arriva questa ragazza, si vede che è in là con gli anni, che non è proprio una che fa tanto la difficile, così le pago un bicchierino, tanto per attaccare. Dice che ha un sacco di problemi, ma non ha proprio voglia di parlarne, così mi chiede se a me al contrario vada tutto bene. “Certo”, le dico, “non sono mica uno che si fa fregare da qualche contrattempo”, le fo. Lei ride, sorseggia il bicchierino e ride.
            Dice che avrebbe dovuto andare in qualche posto senza specificare quale, ma non ne ha più avuto la voglia, e poi aggiunge che una persona, almeno in certe occasioni, si può anche ritenere, secondo lei, di sentirsi libera di fare ciò che vuole. Annuisco, però dentro di me si muove immediatamente l’obbligo contrario di andare più tardi al solito parcheggio dello stadio, a fare il turno di notte della sorveglianza, e questo già mi amareggia. Le dico che è brava se riesce ad essere così, ma lei mi guarda diritto in faccia: “tutti dobbiamo esserlo, se siamo delle persone”.
Le dico che abito a due passi, le chiedo di salire su da me, se ne ha voglia, e lei non dice niente, però prende la sua borsetta, e poi mi segue. Entriamo in casa, dico che in questo periodo non me la passo troppo bene, deve scusare la confusione che può notare in giro. “Non importa”, dice; “però avrei bisogno di un caffè, tanto per darmi una risvegliata”. Preparo tutto, e quando torno lei è mezza svestita, così mi do da fare anche se non perdo mai di vista l'orologio. Le cose scorrono veloci, e dopo un po’ mentre già ci stiamo fumando una sigaretta a mezzo, le dico con tristezza che dovrei andare. “Si, anche io” fa lei, e subito si ricompone.
Quando usciamo non ci diciamo niente, si fanno le scale di fretta fino al portone e dopo basta, ed al momento in cui siamo sulla strada lei dice “ciao”, semplicemente, e in questo modo se ne va, senza voltarsi. Vorrei quasi raggiungerla, dirle che ci siamo persino dimenticati di dirci i nostri nomi, forse potremo rivederci magari, che so, tirarci su il morale a vicenda qualche volta, ma poi penso al mio turno di notte nel parcheggio dello stadio, non posso certo fare tardi, adesso devo proprio andare, così mi dirigo verso la mia macchina, la apro e quindi metto subito in moto.
Intorno allo stadio di calcio non succede niente, avrei voglia di fuggire da qualsiasi altra parte, però mentre sto lì ad osservare la notte sotto ai lampioni fiochi, mi viene in mente che forse qualche volta potrei fare il mio turno di sorveglianza non proprio da solo dentro la mia macchina. Anche quella ragazza che ho conosciuto prima, magari avrebbe avuto voglia di stare con me ad osservare il niente di un posto come questo. Poi sorrido: nessuno con un po’ di senno verrebbe volentieri a trascorrere delle ore sul sedile di un’auto come faccio io; forse io stesso sbaglio a non mandare tutto all’aria e smetterla con questo mestiere privo di significato.
Poi metto in moto, e a fari spenti compio un lungo giro per tutto il bordo asfaltato di questa enorme piazza. Sembra non ci sia proprio nessuno in giro, così pigio di più sull’acceleratore, accendo all’improvviso i fari e me ne vado da lì lungo il viale che porta verso il centro. Non incontro nessuno, nessuno mi ha notato, adesso torno a casa penso, ma mentre mi fermo ad un semaforo mi giunge un messaggio sopra al cellulare. Sono i miei capi, mi chiedono perché io non sia sul mio posto di lavoro. Invento una scusa, poi torno indietro e mi piazzo dove sempre. Non c’è nulla che possa fare penso, se non starmene qui, come ogni notte.

Bruno Magnolfi


domenica 17 febbraio 2019

Lontano dai guai.


            

            Vado avanti praticamente per inerzia. Ed oramai mi capita anche piuttosto spesso, mentre ogni notte staziono con la mia auto in mezzo a questo enorme parcheggio intorno allo stadio del calcio, di addormentarmi come uno sciocco per qualche decina di minuti o anche di più. Vorrei impegnarmi maggiormente nel mio lavoro, essere costantemente vigile, attento, pronto ad ogni evenienza. Mi piacerebbe anche avere più coraggio, e almeno una volta provare a non venire affatto in questo luogo disperato. Probabilmente i miei capi non si accorgerebbero nemmeno della mia assenza sul posto, ma siccome ho l’impressione che in qualche modo siano capaci di controllare con costanza molti dei miei spostamenti quotidiani, dovrei prima scoprire la maniera con cui riescono a verificare quello che faccio davvero, avanti di metterli alla prova con dei sotterfugi.
            In ogni caso qui non succede quasi niente, se proprio non si fa vedere ogni tanto qualche macchina di balordi che viene da queste parti a farsi un giro. Naturalmente con il mio binocolo io prendo subito nota del numero di targa e degli altri indizi più visibili, e poi li invio immediatamente per messaggio al solito numero telefonico che i miei capi mi hanno comunicato fin dall’inizio. Mi piacerebbe inventarmi di sana pianta una segnalazione falsa da inviare a questo recapito, per vedere cosa mai succederebbe; ma considerato che non conosco quale apparato ci sia dietro di me che fa i controlli, non è neppure il caso che mi faccia venire in mente idee del genere.
Il problema sostanziale è che io svolgo qualcosa di cui non conosco assolutamente niente, ad iniziare dai motivi che ci possono essere per pagare uno come me per mandare avanti un'attività proprio come questa. Certo, per me adesso gira assai meglio di quando ero disoccupato e dovevo andare per i pasti alla mensa popolare. I soldi ora mi vengono versati in banca regolarmente ogni mese, e sto piuttosto bene nelle mie due stanze d'affitto, anche se devo cercare continuamente di convincermi che non sono più un ladruncolo di poco conto, e che in fondo sto davvero lavorando per la sicurezza generale di tutti quanti. Ma alla fine ugualmente non sono contento, mi pare ci siano troppe cose di cui non sono riuscito a comprendere assolutamente la matrice.
Perciò mi sento giù di corda, ed inizio a svolgere il lavoro delle segnalazioni senza alcun impegno, senza più un briciolo di entusiasmo, come qualcosa per cui devo quasi sforzarmi per riuscire a mandare avanti le cose. Il momento peggiore poi si verifica ogni sera, quando devo tornare nel parcheggio, dopo aver trascorso quasi tutto il pomeriggio, tanto per riempire il tempo, tra il solito bar e la sala corse, a chiacchierare con qualche estraneo che normalmente non ha neppure tanta voglia di ascoltarmi, ma che in qualche modo riesce a farmi tenere la testa lontana dai problemi. Poi torno qua e mi sento subito frustrato, da solo come devo stare, con la stupida radio accesa in sottofondo, e la mia pistola carica dentro al cruscotto della macchina. Forse i miei capi sono riusciti già a sapere che mi sono procurato questo ferro, o forse semplicemente se lo immaginano, anche se non mi hanno ancora fatto sapere niente al riguardo. In fondo però, se questo mio mestiere deve essere così segreto, ed i miei comportamenti, come dicono loro, non devono essere mai rivelati ad anima viva, probabilmente va bene anche ai miei capi se mi va di tenere nascosto qualcosa tutto per me.
Poi arrivano dei tizi a notte fonda, e scendono dalle macchine per dirsi qualcosa a voce alta. Io sono distante ed invisibile, però con il binocolo riesco ad annotare quello che mi serve. Ma ad un  tratto alzano ancora di più la voce, si muovono sopra al piazzale, gesticolano, e tirano fuori dei coltelli, quindi si affrontano. Potrei intervenire, sparare dei colpi in aria, dire che sono della polizia o dei carabinieri magari, che devono subito smetterla, perché questo deve rimanere un posto tranquillo, senza tanti schiamazzi, senza alcuno scontro di malavitosi. Sto per scendere, ho già preso la pistola, sono pronto, resterò a distanza penso, in modo da non mettere a repentaglio la mia incolumità. Poi tentenno ancora, non sono sicuro di cosa debba fare, e osservo la scena che rapidamente sembra si stia tranquillizzando; alla fine metto in moto la mia macchina, invio il solito messaggio dal mio cellulare, e con i fari ancora spenti, con lentezza, mi allontano.

Bruno Magnolfi

giovedì 14 febbraio 2019

Doverosa attenzione.


          

            Ho dormito nel mio letto per tutta la mattinata. Con il lavoro che svolgo non posso certo fare altrimenti: ogni notte nella mia macchina sono impegnato a controllare un parcheggio quasi sempre deserto, illuminato soltanto dai lampioni. Adesso comunque scendo sotto casa per comperarmi qualcosa da mangiare, poi mentre butto giù qualcosa, ascolterò alla radio le ultime notizie, giusto per sapere se è capitato qualcosa in città in queste ultime ore.
            Ha iniziato da ieri a ronzarmi nella testa un tarlo che non riesco più a togliere di mezzo: in questi pochi mesi, cioè da quando lavoro per la sicurezza, presso il parcheggio dello stadio di calcio cittadino, non è accaduto proprio niente di particolare nella zona, ed alla fine mi sono limitato in tutte queste notti passate, come richiesto dai miei capi, a segnalare giusto qualche automobile sospetta della quale poi non ho più saputo nulla, neppure dalle notizie giornalistiche di cronaca della città. In sostanza io mi devo limitare ad osservare il panorama, e quando proprio si presenta il caso, inviare un messaggio con il cellulare ad un certo numero che mi è stato indicato, e dopo basta, non mi è richiesto altro, se non evitare di mettere in campo qualsiasi ulteriore attività.
Adesso, a lungo andare, mi sembrano soltanto delle sciocchezze quelle che compio. Sono chiamato ad occuparmi di qualcosa che praticamente non ha alcun senso. I miei capi non si sono mai fatti vedere da me, si limitano ad usare un certo numero telefonico, ed inviarmi un messaggio generico ogni tanto, e dopo basta. Ed i soldi che mi versano regolarmente in banca ogni mese non capisco più in funzione di quale compenso corrispondono. Non mi pare che chi complotta contro lo stato, oppure contro le autorità cittadine, possa vagare di notte in un parcheggio dello stadio di calcio a programmare delle azioni dimostrative. Perciò ho sempre più l'impressione di essere preso in mezzo ad un meccanismo di cui ignoro del tutto il funzionamento.
Non devo parlare con nessuno delle mie attività, questo mi è stato detto subito, però l’altra sera ho trovato un tizio veramente a posto, dentro il bar dove mi reco al tardo pomeriggio, e dopo aver bevuto e parlato di cose generiche, gli ho spifferato la mia situazione per sentire dalla sua voce che cosa ne pensasse. Ma lui si è limitato a dirmi che non era il caso che io mi preoccupassi troppo: “vai avanti con tutto quello che ti hanno chiesto di fare”, mi ha detto; “e disinteressati per quanto ti è possibile di tutto il resto. In fondo vieni pagato anche per questo, per tenerti tutto quanto dentro di te, perché in questi casi sono sempre i curiosi e i chiacchieroni che ci rimettono qualcosa”. Ho sorriso; certo, questo tizio ha ragione da vendere, ho pensato. Perché dovrei preoccuparmi d’altro, visto che le cose vanno avanti bene, senza tanti scossoni.
Poi, questa mattina, mi è arrivato un messaggio sopra al cellulare da quel numero segreto con cui i miei capi comunicano con me, ed in poche parole mi si ricordava di non parlare con nessuno dei miei compiti e di quanto stavo portando avanti ogni notte al parcheggio dello stadio. Così ho iniziato a capire che forse anche io stesso sono strettamente controllato, e molto più di quanto potessi mai immaginare, tanto che questa cosa ha iniziato subito a farmi un po’ paura. Ho una pistola nella macchina: posso difendermi. Però non so da chi. Mi sento sempre più da solo, e se fino ad un attimo fa mi pareva di lavorare per la sicurezza di tutti i cittadini, adesso mi pare di essere stato assoldato da qualcuno che assolutamente non ha scrupoli. Devo andare avanti, non ho scelta, ma da adesso in poi dovrò essere più attento a quanto mi circonda.

Bruno Magnolfi

mercoledì 13 febbraio 2019

Meglio così.



Certe notti sembrano più lunghe delle altre. Tengo spenti i fari della mia macchina, e sonnecchio per quasi dieci minuti mentre sto di fronte alla distesa asfaltata del parcheggio vuoto che devo sorvegliare. Mi vengono in mente i pensieri più strani in queste occasioni: ho la pistola carica nel vano del cruscotto, mi sento il padrone incontrastato di questo posto; se si avvicina qualcuno posso persino fargli cenno di andarsene rapidamente, perché non ci voglio proprio nessuno da queste parti. Non voglio nessuno a darsi appuntamento proprio qui, per progettare chissà quali attentati, chissà quali nefandezze ai danni di cose o persone che magari non ne sanno niente di queste guerre intestine lungo le vie principali del malaffare e del crimine terroristico.
Perché di questo si tratta, almeno credo: sono pagato per contrastare i piccoli gruppi di invasati che pensano di poter innescare dei moti rivoluzionari all’insaputa di tutti gli altri. Per questo vengo mandato qui ogni notte, ad osservare tutti i movimenti sospetti che ci possono essere intorno al grande stadio cittadino del calcio. Perché ci può essere sempre qualcuno che odia cose come lo sport o il gioco del pallone, e vorrebbe far partire proprio da qui chissà quali attentati dimostrativi ai danni di tutti quanti noi. Ed io scruto le tenebre, dentro la mia macchina grigia che non si fa neanche notare, a fari spenti, con la mia coperta per il freddo sulle gambe, il binocolo sempre pronto per vedere bene i movimenti di tutti; osservo la realtà, quella più vera, più cruda, più evidente, e poi se è il caso invio subito la mia segnalazione.
Il freddo però si fa sentire in queste notti, e mi riporta velocemente alla realtà del mio starmene qui senza fare quasi niente. Accendo il motore, lo lascio girare per un po’, quindi torno ad azionare la ventola del riscaldamento. C'è una coppietta dentro una macchina, si sono fermati piuttosto lontani da me, all'imbocco del parcheggio, ma posso tollerare la loro presenza penso, in fondo non fanno del male proprio a nessuno. Però i miei capi hanno spiegato bene come non si debba mai perdere di vista nessuno in questa larga spianata, perché una debolezza del genere potrebbe essere quella fatale, quella che apre le porte a chissà quali conseguenze.
Perciò ingrano la marcia, mi avvicino lentamente alla coppietta, inforco gli occhiali scuri per non farmi riconoscere, e tenendo una potente lampada portatile diritta su di loro, dico senza mezzi termini che adesso devono togliere le tende. Passa una attimo, quelli parlano subito tra loro, e quindi se ne vanno, i loro interessi sono scemati in fretta penso, non ho avuto bisogno di aggiungere nient’altro. Sono contento, la mia autorità è riconosciuta in casi come questo.
Poi vado a compiere un largo giro del parcheggio, controllo per bene ogni angolo nascosto, ma non c’è niente di insolito in questo momento, posso rimettermi fermo da qualche parte, con la radio a volume molto basso, e la mia coperta per ripararmi da questo freddo cane. Con gli sportelli chiusi da dentro posso persino sonnecchiare: in fondo ho sempre la pistola con me, ci vuole un attimo a difendermi nel caso che a qualcuno venisse in mente di rompermi le scatole. Questo è il mio parcheggio penso, ed è anche il mio posto di lavoro: non potrò mai essere un pericolo per voi se ve ne girate al largo da questa zona. La notte scorre lenta, sembra non voglia mai succedere un bel niente. E forse è meglio così, per tutti quanti.


Bruno Magnolfi



martedì 12 febbraio 2019

Difesa individuale.



Alcuni sostengono che le cose stiano velocemente peggiorando. Se mi guardo attorno forse sembra anche a me, però non mi sono mai interessato di problemi troppo generali, proprio perché ci tengo a rimanere fuori da quegli schemi che secondo il mio parere sono da tanto tempo ormai un po’ troppo logori. A dirla tutta, a me interessa poco o niente di quanto viene deciso dai nostri dirigenti, perché soprattutto mi resta congeniale adattarmi abbastanza velocemente alla nuova situazione che ogni volta si viene a creare, senza neppure stare troppo a lamentarmi, e poi del resto forse è questa l'unica maniera che vedo in giro per tirare avanti. Guadagno poco per quello che faccio, però mi è sufficiente: con una vecchia utilitaria di mia proprietà controllo ogni notte l’enorme parcheggio a fianco dello stadio cittadino destinato al calcio, girando in lungo e in largo tutte quelle centinaia di metri asfaltati che appaiono sempre deserti e abbandonati a quell'ora, nella costante osservazione attenta di tutto ciò che può succedere là attorno, fermandomi subito, ma a distanza e a fari spenti, ogni volta che c'è qualche strana vettura un po’ sospetta. Non è mio compito intervenire naturalmente, soltanto segnalare ai miei superiori, e quindi alle autorità competenti, ciò che riesco a vedere tramite il mio piccolo binocolo.
Mi pagano al nero, perché mi hanno spiegato come il mio mestiere non deve assolutamente risultare alla luce del sole, così come non devo mai farmi vedere in faccia da chi incontro, e per di più non devo mai dire a nessuno l’attività che svolgo, o quale sia la mia vera occupazione; ma i miei capi però sono precisi, anche se non so neppure bene chi effettivamente essi siano, ed ogni mese mi fanno trovare regolarmente sul mio conto bancario la cifra pattuita, e solo certe volte mi telefonano al mio cellulare, per confidarmi sottovoce giusto qualche novità generalmente di scarso rilievo. Lavoro per la sicurezza, posso tranquillamente dire, anche se mi è capitato raramente di fare qualche vera segnalazione rispetto a qualche automobile sospetta, sul cui conto non so neppure realmente come sia poi andata a finire la vicenda. Non importa penso, il mio mestiere è questo, ed io ho accettato da subito di portarlo avanti in questo modo, senza preoccuparmi troppo di tutto il resto e senza porre mai delle domande.
Ad un certo punto ho pensato anche di farmi rilasciare il porto d’armi, ed in seguito magari di comprarmi una pistola da nascondere nel mio vecchio macinino, in modo da stare più tranquillo, e nel caso di avere anche la possibilità di difendermi. Ma i miei capi hanno detto che non era fattibile, che io non avrei mai dovuto accettare una colluttazione, piuttosto defilarmi subito, avvertire loro, descrivere dettagliatamente ciò che vedevo nel binocolo e poi svignarmela. Però a volte mi è presa la paura: non si sa cosa possono combinare certe persone di notte in un posto come questo: pianificare degli attentati, definire gesti cruenti da mettere in atto nelle ore a seguire, e così via. Perciò, tramite un conoscente che incontro qualche volta dentro un bar, sono riuscito ad acquistare una semiautomatica, un ferro leggero, niente di importante, con una buona quantità di proiettili ed il numero di matricola ben cancellato, ed adesso mi sento più tranquillo.
Non sparerò mai a nessuno penso, però avere questa possibilità di difesa certamente mi fa sentire meglio. Perché se le cose peggiorassero ancora, se tutto andasse davvero a capitomboli, in quel caso uno come me saprebbe bene come farsi intendere, perché in fondo ho capito che non ci sarà mai nessuno prima o dopo che vorrà stare davvero dalla mia parte.


Bruno Magnolfi



domenica 10 febbraio 2019

Ritrovata sintonia.




La domenica è una giornata insignificante. Si può pensare, riflettere, scrivere qualcosa sul proprio diario, magari prendere appunti per il prossimo futuro, ma non si può vivere davvero. La mattinata scorre svelta, prendersi cura di se stessi è anche troppo naturale, si finge di riposarsi quando invece ci si sente anche più stanchi del normale. Questo pensa Clara durante il solito pranzo a due tra lei e sua madre, la quale oggi, con una certa cura, ha messo in tavola qualcosa di veramente buono, che purtroppo non ha assunto sopra la tovaglia altro sapore che quello già previsto. Perché anche oggi non si sono dette molto loro due: Marisa negli ultimi minuti è sembrata impegnata soprattutto dietro al forno, ad osservare semplicemente il colore dorato della besciamella e quello delle patate al rosmarino, e sua figlia invece è parsa interessata esclusivamente alle notizie politiche della settimana scorsa trasmesse dalla radio. Niente di nuovo, in fondo, dentro quella casa, considerato come le uniche novità che appaiono generalmente ai pasti di ogni giornata, sono date quasi sempre solo dal cambio delle colture servite e cucinate, ovviamente in adeguatezza alle stagioni, fornite dall’orto ottimamente curato sempre da Marisa.
Poi è apparsa una domanda: che cosa fai nel pomeriggio, ha chiesto la mamma con indifferenza, mentre si occupava di altre cose. E Clara le ha risposto: niente; sottintendendo di non aver alcun programma. Potremmo uscire assieme, ha detto Marisa guardando improvvisamente sua figlia in modo molto diretto. E l’altra dopo un attimo ha risposto: va bene. Si sono ritrovate nell’ingresso di casa per le quattro, con abiti adeguati ed i capelli a posto, e sono salite sulla loro macchina con calma, senza nervosismi. Poi si sono avviate lungo la strada principale, lasciando la frazione “il platano” immersa nel silenzio, quindi per coprire lentamente i tre chilometri asfaltati fino al paese di Borgo San Carlo. Marisa ha osservato qualcosa nella sua borsetta, ad un certo punto, poi ha chiesto a Clara come andassero le cose. Bene, ha detto lei, e quindi si è preoccupata di trovare un buon parcheggio lungo la via centrale della cittadina.
C’è un caffè pasticceria poco lontano, ed una volta scese dall’auto loro due hanno deciso di andare proprio là. E’ stato in quel momento che Marisa ha preso Clara sottobraccio, ma non lo ha fatto in maniera forte e rude come forse c’era da aspettarsi, bensì con una certa insolita dolcezza, quasi con grazia, tanto che la figlia si è voltata un attimo verso di lei, quasi sorpresa, ed ambedue si sono scambiate alla fine un breve sorriso. Sono contenta, ha detto la mamma mentre qualcuno le salutava lungo il marciapiede. E soprattutto sono orgogliosa di te, e di quello che stai facendo. La figlia non è riuscita a dire niente, però si è sentita quasi arrossire sulla faccia, proprio per la sorpresa di ascoltare parole di quel genere. Poi le ha risposto che il suo negozio sostanzialmente sta andando bene, e che comunque ha grandi speranze per la primavera prossima, quando metterà in vetrina le nuove collezioni. Sono curiosa di vederle, ha detto Marisa. Verrò senz’altro tra le prime ad ammirare la maniera con cui sarai riuscita a rendere interessanti le proposte per la stagione nuova. 
Quindi sono entrate nel locale, si sono sedute ad un tavolino libero, ed hanno iniziato a parlare tra loro di qualcosa, con le parole quasi nascoste nel brusio diffuso delle persone già presenti nel caffè, ma con le loro espressioni in piena evidenza a tutti, qualcosa che mostrava a quei presenti che una nuova sintonia si era costituita tra di loro, come da tempo ormai era giusto che fosse.

Bruno Magnolfi



venerdì 8 febbraio 2019

Quasi impossibile.



C'è silenzio adesso. Anche intorno alle auto ferme, o davanti ai negozi ed i caffè chiusi. Qualche lampione ronza spandendo la sua luce sul tratto di strada che gli è stato assegnato, e le finestre buie delle case mostrano dell’interno l'assenza completa di qualsiasi attività. Ecco il vuoto, si potrebbe dire in una parola, di quasi tutte le migliori intenzioni, e anche di quelle possibilità eventuali da mettere in pista fra pochissime ore, nonostante immagini fantastiche e indefinibili si aggirino furtive davanti agli occhi chiusi di ciascun cittadino. Questo però è il momento giusto per variare le cose, per cercare un cambio di passo, proprio quando tutti gli altri non si attendono neppure qualcosa del genere. E’ sufficiente forse mettere a fuoco un proposito, un progetto esauriente di qualsiasi natura, e quindi dare spazio ai dettagli. Il resto è solo buona memoria. Perché al mattino poi, tutti gli elementi devono stare in fila di nuovo, nella stessa maniera di come sono stati pensati, e riprendere ognuno il suo posto, in modo tale che quello che è stato ideato tra due sponde definite di sonno, e per ciò stesso già poco probabile, riprenda al contrario la propria forza primigenia, quella di fare a meno di ogni ordinaria razionalità. 
Si sbadiglia, osservando attorno ciò che potrebbe davvero cambiare, e pur sembrando quasi impossibile che questo mai accada, si dà sempre più seguito a quanto è stato in qualche modo ideato, una specie di sogno in termini quasi reali, quasi una favola, che adesso si avverte come imperniata in quella difficile possibilità di rendersi vera. Ma intanto il silenzio ha mostrato qualcosa a cui non si sarebbe potuto mai credere, e quindi soltanto già questo appare quasi un miracolo tra le cose ordinarie di sempre. Adesso si guarda all’alba come ad una conseguente salvezza, una rinascita, l’attimo in cui tutto è possibile. Perché il risveglio è il ritrovo di sé, e di quello che si riesce ancora a provare.
Niente deve sfuggire alla mente, e niente che sta attorno a lei può pretendere una distrazione insperata. Le cose apparse in una fase diversa adesso stanno lì, pronte per essere praticate, forse variate in qualche dettaglio, probabilmente allineate in maniera migliore a tutto quanto è concreto e tangibile, ma in ogni caso l’idea di fondo rimane, ed è quella di portare avanti con fermezza il resto di tutto il pensato. Non c’è neppure troppo da interrogarsi sui motivi di uno sforzo del genere, o su a cosa serva provarsi in un compito tale; va costruito, indubbiamente, perché è soltanto da questo che si potrà vedere davvero la semplice differenza tra un prima ed un dopo.
Così la giornata procede, una giornata forse qualsiasi, eppure anche speciale, e tutti gli elementi comuni ad ogni altra giornata, diventano d’improvviso subito particolari, illuminati da un senso di diversità in ogni dettaglio. Il progetto ha un seguito infine, il programma si snoda poco per volta, la volontà procede a denotare ogni sfumatura che si protende in avanti, e tutto assume un vantaggio, qualcosa che sembra portare verso la soluzione migliore. Un piccolo embrione è stato sufficiente a generare un processo di variazioni: ciò che si poteva definire praticamente come impossibile, è fatto.


Bruno Magnolfi



mercoledì 6 febbraio 2019

Rancori perduti.


          

            I ragazzi sembrano svogliati mentre si muovono nella piazza come sempre. Però dicono da qualche giorno che si sono stufati di rimanere sempre sopra quelle panchine con le mani in mano. Vorrebbero avere uno spazio tutto per loro, un involucro vero in cui riflettere, ed è per questo che hanno presentato una domanda formale alle autorità della cittadina affinché mettessero a disposizione una stanza, un ritrovo, un luogo dove riunirsi, una specie di piccolo e semplice locale, anche se per adesso nessuno ha risposto un bel niente. C’è una nuova voglia di fare in tutto il paese, ha detto qualcuno in giro per avvalorare e dare slancio alla loro tesi; e se ci date una mano, dicono ancora ai cittadini, forse le cose possono migliorare anche per parecchia altra gente. Un circolo giovanile, un centro sociale, ecco che cosa vorrebbero riuscire a dar vita, un luogo dove ritrovarsi e confrontarsi anche con altri, in modo da costituire degli sbocchi fattivi a tutto il loro tempo libero.
Hanno poi messo insieme uno striscione con una scritta grande che riporta evidenziati questi loro desideri, e lo hanno esposto proprio sulla piazza, in mezzo alle panchine, così che tutti sappiano cosa chiedono davvero questi ragazzi. Clara lo ha visto, perciò si è fermata in mezzo a loro, ha chiesto notizie, ha detto che a lei piace molto quell'idea, e che forse è proprio il momento giusto per smuovere qualcosa, per svecchiare le abitudini di tutti, per abbandonare i modi di essere che hanno resistito fino a quel momento. Si sono bevuti una birra tutti insieme quella sera, ed hanno brindato con grande soddisfazione a quella loro idea, tanto che infine Clara ha deciso di scrivere a grandi lettere un volantino con la spiegazione delle loro richieste, per poi esporlo per prima dentro al suo negozio, nella speranza e con l’invito che anche altri esercizi si decidano ad aderire all'idea e a mettere in bella vista quelle istanze.
Poi qualcuno ha sentito anche il bisogno di indire una riunione nella saletta del bar Soldini, per tutti quelli che sull'argomento avessero avuto qualcosa da dire o da chiedere, ed ognuno dei ragazzi è stato invitato ad annotare a quel riguardo i propri pensieri e le proprie richieste sopra un foglio comune, in modo da confrontare enumerandole le opinioni e le posizioni di ciascuno. Tutto si è svolto con grande correttezza, ed anche se una sera è apparsa qualche scritta fuorviante sopra ai vecchi muri di quel paese, le cose sono andate avanti in maniera tranquilla, senza strappi.
Il sindaco oggi ha ricevuto nel suo ufficio in municipio due rappresentanti di quei ragazzi, e ha detto loro che ci sarebbe giusto un edificio vuoto di proprietà comunale che potrebbe essere destinato a ritrovo proprio per quel gruppo giovanile. Loro si sono guardati, hanno sorriso, poi è stato sottoposto all’attenzione di tutti una specie di contratto con la cessione a titolo gratuito del bene in muratura, a cui corrispondere però con una serie di adempimenti e di impegni piuttosto rilevanti. I ragazzi hanno preso una copia del documento per leggerla e meditarla con più calma, quindi sono usciti. Davanti al solito bar Soldini hanno iniziato a studiare le pagine, e si sono resi conto poco per volta che firmando quell’intesa non sarebbero mai stati più liberi di fare le cose di sempre, se non diventare dei cittadini modello integrati e composti. Perciò hanno rifiutato.
In ogni caso l’idea è nell’aria, dicono tutti, e soprattutto la voglia di fare qualcosa ormai sta girando nelle teste di molti, e probabilmente un compromesso oppure un’altra soluzione sarà trovata al più presto. Non importa, ha detto perfino Clara ripassando dalla piazza; dobbiamo avere fiducia, le cose si sistemeranno. Con queste parole tutti si sono sentiti più rassicurati, e d’improvviso gli antichi rancori, se mai ce n’erano stati, sono presto scomparsi.

Bruno Magnolfi

lunedì 4 febbraio 2019

Sollievo insperato.


            30 gennaio
Questi giorni vanno avanti per abitudine. Vorrei che l'entusiasmo con cui ho affrontato tutto il periodo scorso, riuscisse per incanto a mantenersi invariato, senza concedere spazio, come invece fa, a questa sottile angoscia che prosegue a paralizzarmi. Guardo mia madre che mi guarda, poi ambedue rivolgiamo rapidamente gli occhi verso altro, come se fosse avvenuta una combinazione fortuita che nessuna delle due desiderava. Non mi pare ci sia quasi niente a cui aspirare di più per quanto mi riguarda, se non il caso di qualcuno che entri con gentilezza dentro al mio negozio, ed invece di pretendere qualcosa che non ho, come spesso succede, mi dica in breve, proprio mentre proseguo a spandere sorrisi e compiacenza e ad occuparmi di lui, che va tutto bene, che la mia bottega di merceria e di abbigliamento è quanto di meglio si potesse desiderare per un paesetto senza speranze come Borgo San Carlo. Vorrei essere un punto di riferimento per la mia clientela, e anche per chi semplicemente guarda la vetrina dal marciapiede, non so più cosa inventarmi per mostrare un negozio degno di questo titolo, anche se purtroppo molti preferiscono ancora spostarsi in città per i loro acquisti.
31 gennaio
Senza la vecchia proprietaria in giro per il negozio adesso mi sento profondamente sola. Non so a chi rivolgermi per un parere, un consiglio spassionato, una parola di sostegno. La ragazza che mi aiuta con la clientela è brava, svolge perfettamente il suo compito, ma da  lei non posso aspettarmi niente di più. Ho voglia ancora di dedicarmi anima e corpo al mio lavoro, ma la solitudine in cui spesso mi trovo immersa, mi lascia certe volte senza alcuna capacità per reagire davvero. Quando torno a casa consumo la cena con mia madre, che in genere non mi chiede mai come vadano le cose, probabilmente per non imbarazzarmi. Ed io perciò non le dico niente di come stiano andando le medesime cose, per non farle sentire la mia angoscia che forse le ricadrebbe addosso. Non ci guardiamo quasi, ascoltiamo la radio, diciamo giusto qualcosa a monosillabi, per mostrare di essere insieme.  E dopo basta.
1 febbraio
Mia madre è venuta al negozio oggi. Aveva un sorriso innaturale sulla faccia, e mi ha salutato in un modo tale che non è da lei. Poi si è guardata intorno, ha chiesto di quello e di quell’altro fra i capi esposti sugli appendiabito e sopra gli scaffali, quindi si è innamorata di qualcosa che ha voluto acquistare in tutte le maniere, anche se io cercavo di spiegarle che forse non le stava troppo bene. Non so cosa abbia voluto dimostrare, però quando alla fine è andata via mi ha fatto i complimenti, ed allora più o meno ho capito. Vuole starmi vicina, a suo modo, vuole sostenermi, senza che io le abbia detto niente, e niente le abbia fatto capire delle mie difficoltà; ma lei ha compreso da sola perfettamente che per me è un momento un po’ difficile, e che è in questi momenti che si sente il bisogno di qualcuno che stia dalla tua parte.
2 febbraio
Va meglio oggi. Adesso so di poter contare su mia madre se proprio ne sento la necessità. E già, soltanto saperlo, per me è un sollievo inimmaginabile.


Bruno Magnolfi 

        

domenica 3 febbraio 2019

Neanche uno uguale.



A volte ho paura. Di ascoltare i soliti discorsi ad esempio, di compiere i medesimi gesti, di vedere le medesime espressioni sul viso delle persone che incontro, esattamente identiche a quelle che ricordavo di quelle stesse persone fino ad un attimo fa, senza che sia intervenuta ultimamente una benché minima variazione. Andarsene, cominciare tutto quanto daccapo ma in un luogo diverso, dove dimenticare la mia paura, questo è il sogno che mi prende ogni notte; e soprattutto non sentirmi divenire ogni giorno sempre più simile agli altri, integrato, identico a tutti, privo di qualsiasi connotazione riconoscibile come propria.
Guardo le case di questa cittadina, e immagino le persone che con ogni probabilità si stanno muovendo leggermente all'interno di quelle mura che vedo intorno a me, mentre cammino per strada; sistemano qualcosa con calma, si occupano dei loro piccoli problemi, compiendo forse i gesti di sempre, pensando gli stessi pensieri invariabili, sperando sicuramente che tutto con normalità migliori per loro, che le cose in qualche modo procedano, si aggiustino, pur senza grandi sommovimenti, giusto poco per volta, con piccoli balzi in avanti nel tempo, ma quasi impercettibili. Una grande contraddizione ammanta tutti, senza che nessuno se ne sia neanche accorto, perché i più proseguono a credere che qualcosa di buono avverrà senza dubbio nei prossimi tempi, alcuni poi ne sono già più che sicuri, e urlano agli altri le proprie convinzioni; e quelle loro certezze, chissà come, tengono immobili i diversi desideri sparsi di alcuni.
La mia paura sostanziale è quella che tutto, un giorno o l’altro, degeneri; certo, evitando di virare improvvisamente in cataclismi di eccezionale portata, sbandando verso chissà quali strade traverse, però cambiando ogni cosa che conosciamo con una grande lentezza, sommessamente, verso una nuova normalità, qualcosa che poco per volta possa rimpiazzare, senza che nessuno ne abbia coscienza, le abitudini di tutti con altre piccole attività apparentemente sviluppate, ma nella realtà sempre più peggiorative, e senza strascichi apparenti. Di questo ho paura: di adagiarmi a pensare ciò che pensano in questo momento già in molti, e di smettere lentamente di essere me stesso come sono sempre stato fino ad ora.
Quando fermo per strada qualcuno, perché io cerco sempre di parlare con le persone, di spiegare loro il mio punto di vista, senza pretendere che divenga lo stesso anche per gli altri, in genere mi prendono semplicemente per uno svitato, uno che racconta delle cose perlopiù strampalate, che non hanno né capo né coda, e mi stanno ad ascoltare giusto per qualche momento, assumendo un mezzo sorriso sopra la faccia, ma soltanto per tenermi buono, per non avere da me problemi maggiori. Sono andato a scuola con Marisa Carraresi quando ero piccolo, e già a quell'epoca qualcuno dei miei compagni mi teneva a distanza, dicevano che ero un po’ strano, e con  questo mi etichettavano quasi tutti, ma lei no, lei mi ascoltava generalmente con grande serietà, valutava tutte le parole che le dicevo, ed invece di darmi dei consigli come facevano i più benevoli, o ignorandomi come in genere facevano gli altri, mi diceva che le procurava piacere ascoltare il mio modo di vedere le cose, proprio perché non era quello di tutti.
Mi piaceva Marisa Carraresi, evidentemente la sentivo più vicina di tanti altri a quell'epoca, ed anche se in seguito, com'era inevitabile peraltro, ci siamo persi, io non ho mai smesso di pensare a lei qualche volta, forse soltanto perché tutto sarebbe potuto essere diverso, se solo lei lo avesse voluto. Adesso rimpiango molto in certi momenti il suo modo particolare di guardarmi negli occhi, forse soltanto perché non ne ho più trovato uno uguale.


Bruno Magnolfi