martedì 30 agosto 2016

Serata unica.

            

Mi piace arrivare fino qui, a questo muretto basso di pietra. Non cerco nient’altro, con il mio passo lento, la testa tra le nuvole, le mani sprofondate nelle tasche, eccomi qui, senza altri desideri. Mi siedo, osservo la gente del pomeriggio che passeggia, ed evito costantemente gli sguardi delle persone troppo curiose. Dicono tutti che io non sia normale, i ragazzini ridono quando mi incontrano, ma tutto questo non ha molta importanza, per me è sufficiente che non guardino con troppa insistenza i miei vestiti, i miei capelli, le mie espressioni di persona solitaria. Certe volte forse vorrei anche scambiare due parole con qualcuno, con uno di quelli che magari mi osservano di meno; ma quelle poche volte che ci ho provato, pur con difficoltà, scegliendo con accuratezza proprio la persona giusta, è sempre andata a finire che non era affatto il tipo adatto, quello a cui andava davvero di ascoltarmi, e tutti quanti si sono sempre limitati a sorridermi per non dare retta alle mie parole, forse giudicandole persino un po' confuse, o addirittura sconclusionate. Pensare che a me piacerebbe molto dire delle cose capaci di esprimere in qualche maniera tutti i miei sentimenti, ma subito dopo che ho pensato una cosa di questo genere, rifletto che in fondo tutto ciò non ha alcuna importanza, e che il mio destino è soltanto la solitudine, starmene per conto mio, parlare tra me con voce bassa, con le mie mani che gesticolano, ed identificarmi con questo semplice muretto.
Poi, mentre sto qua per conto mio, arriva una donna, una che sono sicuro non ho mai visto prima, e subito mi sorride, mi saluta, si siede molto vicino a me, e chiede guardandomi con insistenza, come mi vadano le cose. Io non dico niente, non la guardo neppure, e così le faccio un gesto con la mano mentre mi volto proprio da quell’altra parte, come per farle capire in fretta di lasciarmi perdere, e che non sono uno con cui valga la pena di perdere del tempo. Ma lei insiste, dice qualcosa che neanche comprendo, però è gentile, sembra addirittura premurosa, perciò quando mi chiede di seguirla, anche se con la mia solita incertezza, alla fine decido di andare insieme a lei. Questa donna continua tutto il tempo che camminiamo a parlare di cose che non capisco affatto, forse anche perché non mi interessano, ed ogni poco mette lì una delle sue domande alle quali naturalmente non rispondo, limitandomi comunque, per atto di pura cortesia, a scuotere la testa affermativamente. Mi piace in qualche modo la sua voce, vorrei quasi chiudere gli occhi e riposarmi mentre parla. Invece continuiamo a camminare, e siccome tendo come sempre a perdermi in mezzo a tutta questa gente ed alla confusione pomeridiana del corso del paese, lei ad un tratto mi prende per la mano, ed in questo modo mi porta fino ad un ufficio che sembra aprirsi proprio sulla strada, un posto con delle grandi vetrate, a cui sinceramente fino ad ora non avevo mai fatto alcun caso.
Si entra, lei mi fa sedere, poi scivola sorridendo dietro la sua scrivania, traffica con dei fogli tirati fuori dai cassetti e dagli armadi, e infine dice che deve compilare una scheda sotto mio nome, niente di difficile, aggiunge, solo poche cose che deve inserire in un elenco. Le faccio cenno che prima però dovrei andare in bagno, e lei premurosamente mi accompagna nel corridoio su cui insistono parecchie altre porte, una delle quali è quella che mi serve. Rimasto solo mi guardo subito intorno, ed in fondo al corridoio vedo che una debole luce porta la scritta uscita di emergenza. Con calma la raggiungo, spingo il maniglione che ho davanti con grande delicatezza, e subito la luce del tardo pomeriggio sulla strada torna ad accogliermi senza alcun indugio. Riprendo così a camminare verso il mio muretto, ma sento subito una voce dietro di me che pare chiamarmi. Mi volto leggermente soffermandomi con le mie scarpe mezze rotte, ed è la donna di poco prima, che mi guarda con gli occhi spalancati, e che forse vorrebbe soltanto riportarmi dentro. Mi fermo del tutto, affondo le mie mani nelle tasche, adesso mi volto completamente verso di lei: scusi, le faccio, ma io non la conosco. Buona serata.


Bruno Magnolfi

mercoledì 24 agosto 2016

Probabilmente.



Mamma, dice il ragazzo con insistenza; devo andare, mi stanno aspettando i miei amici con le loro biciclette. Va bene, fa la donna, però mi sembra che tu abbia tralasciato qualcosa di particolarmente importante. Lui si guarda attorno, rientra per un attimo nella sua cameretta, poi quando si riaffaccia nel loro soggiorno con il piccolo zaino sulle spalle, si accorge che qualcosa appare improvvisamente cambiato, anche se non riesce a capire di che cosa effettivamente si possa trattare: la mamma in questo momento è seduta, indifferente, come fosse già rimasta nella stanza e nella loro casa esattamente da sola. Lui pensa subito di avere combinato forse qualcosa di riprovevole, magari senza essersene neppure reso conto, qualcosa di cui adesso probabilmente dovrà accettare la solita bella sgridata, ma la mamma davanti a lui prende improvvisamente una rivista illustrata da sopra il tavolino, proprio come se suo figlio non esistesse, ed inizia con calma a sfogliarla, senza volgere un solo sguardo verso di lui.
Il ragazzo è vagamente stupito, però si siede in silenzio, in attesa di almeno una parola di chiarimento, e forse vorrebbe addirittura dire lui qualche cosa a sua difesa, ma invece poi decide di attendere, in un completo silenzio, senza mettersi in mezzo. Lei non lo guarda, lascia che lui faccia e pensi ciò che desidera, prosegue a leggere e a sfogliare ancora per un po', persino senza mostrare grande interesse, ed infine si alza per spostarsi tranquillamente nella stanza più vicina. Il ragazzo decide di restare in attesa, qualcosa dovrà pur succedere, immagina, gli amici probabilmente lo aspetteranno, oppure anche se anche si mettessero in giro da soli per il quartiere, senza di lui, tutto questo non avrebbe alcuna importanza rispetto a quanto forse sta per accadere: la comprensione delle cose adesso gli appare superiore a qualsiasi altra cosa.
La mamma accende la radio a basso volume, poi va diretta in cucina e si versa qualcosa di fresco da bere. Volevi dirmi qualcosa?, fa allora il ragazzo timidamente, con un tono di voce appena sufficiente per essere compreso. Lei beve un sorso dal suo bicchiere guardando fuori dalla finestra della stanza, e forse addirittura canticchia tra sé qualcosa che la radio sta trasmettendo. Lui si alza, le va incontro di un passo o anche due: sono qui, dice; mamma, perché non mi guardi? Lei prende il telefono, cerca un numero nella memoria dell'apparecchio, poi lo seleziona. Risponde sua sorella, e dopo i saluti la conversazione sembra leggera, niente di importante o di impellente da dirsi. Sono da sola, dice la mamma alla zia, ed il ragazzo all'improvviso si sente completamente disorientato. Si guarda le braccia, i piedi, poi cerca in tutti i modi di intercettare il suo sguardo, senza minimamente riuscirci. D'accordo, dice lei nel telefono: mi basta solo cambiarmi l'abito e in un quarto d'ora ti raggiungo. Il ragazzo la guarda camminare un paio di volte lungo il corridoio, e poi entrare rapidamente in camera da letto. Quando infine ripassa dal loro soggiorno è vestita con un abito chiaro, ed uno scialle appena vagamente elegante. Va diretta alla porta, la apre, ed il ragazzo impotente sente forte dentro di sé la voglia di iniziare a piangere, a disperarsi, ma lei si volta improvvisamente verso di lui, e lo guarda diritto con un leggero sorriso sopra le labbra: non preoccuparti per me, gli dice adesso con tutta la calma del mondo; tra non molto tornerò, e quando sarò di nuovo a casa, tutto sarà esattamente come è sempre stato; probabilmente.


Bruno Magnolfi

venerdì 12 agosto 2016

Mentalmente.



Avverto distintamente, come altre volte è già accaduto, il canto orgoglioso di una donna remota nell'acqua dello sciacquone di casa mia, nel mentre la cassetta si sta ricaricando. La immagino imbrigliata dentro i tubi, prigioniera di un mondo triste eppure necessario, e la sua voce per qualche secondo si fa quasi liberatoria in mezzo al sottile sciabordio. Poi più niente. Esco di casa con quel timbro vocale nella testa, e cerco un'espressione che forse gli si abbini nelle persone a cui vado incontro, e che assuma il senso di quanto continuo a immaginare dentro me.
Mi ferma quasi subito una persona che conosco, un uomo che incontro spesso sotto casa mia, il quale mi dice sorridendo che adesso è tutto a posto, e non c'è più da preoccuparsi, le cose anche nel nostro quartiere si stanno velocemente sistemando. Rispondo dopo una pausa di perplessità che me ne compiaccio, e che vorrei avere la possibilità di rendermi utile anche io, per quello che so fare, impegnandomi in qualcosa che serva a tutti gli altri, magari. Però mi rendo conto che la persona che ho davanti viene subito distratta da altre cose, e che in questo momento forse non mi sta sentendo neanche più. Gli tocco un braccio mentre scambia una battuta con qualcuno che ci passa accanto ridendo e scherzando, e gli rinnovo velocemente la mia richiesta, anche se lui non sembra proprio neppure ascoltarmi, così immagino di avergli probabilmente già detto la medesima cosa anche in altre occasioni, tanto da averlo ormai annoiato.
C'è una donna a casa mia, gli dico allora con voce più incisiva. Lui si blocca, in silenzio, ed adesso mi guarda dritto con maggiore attenzione. Non sempre riesco ad avvertirla però so che sta da qualche parte nel muri del mio piccolo appartamento, credo, e se ne resta nascosta praticamente tutto il tempo, anche se la sua presenza timida a me non passa del tutto inosservata. Quello mi guarda, annuisce, dice che adesso ha da fare, ma che dovrei passare da lui, come un’altra volta è già successo, magari anche domani, presso l’ufficio della salute, per parlare un po' meglio di tutte queste cose. Gli dico che potrebbe andare bene, anzi per me è quasi un piacere visto che non mi ascolta mai nessuno, così potrei venire al centro nel primo pomeriggio, gli dico svelto. D’accordo, fa lui, l’aspetto; poi mi stringe la mano, se ne va, anche se dopo due secondi torna indietro. Mi spiega che forse è meglio se ci andiamo insieme proprio adesso nel suo ufficio, sempre che io non abbia nulla in contrario, così possiamo parlare bene di questa donna che vive nascosta a casa mia.
Gli dico che ero uscito soltanto per fare qualche acquisto, e se lui adesso avesse voglia di ascoltarmi potremmo parlare di tutto anche soltanto camminando. Così prendiamo verso il corso, ed io intanto gli racconto le mie cose. Lui annuisce, mi fa parlare, cerca di non interrompermi quasi mai con le sue domande incalzanti, anche se sicuramente vorrebbe farlo. Alla fine riesco a dirgli quasi tutto quello che mi passa per la mente, e lui dice che devo uscire più spesso, stare meno in casa, lasciare che quella donna nascosta prenda lentamente possesso degli angoli che lei predilige, fino a smascherarla all’improvviso rientrando di colpo magari silenziosamente e fuori orario.
Dico che va bene, posso fare così senza alcun dubbio, e addirittura se lui volesse potrebbe venire a farmi una visita, magari per rendersi meglio conto di tutte queste cose. D’accordo, fa alla fine, forse potrei addirittura riuscire a vederla o a sentirla pure io. Ci salutiamo, io poi acquisto rapidamente del pane, quindi rientro. Ciao, dico forte chiudendo la porta alle mie spalle. Avverto un fruscio, un sospiro imbarazzato, un piccolo passo compiuto da un piede piccolo. La stavo aspettando, dice lei appena sottovoce. Non deve più parlare di me con gli altri, sussurra; fuori da qui si deve dimenticare della mia presenza. Va bene, faccio io, a me basta che tutto sia tranquillo, e soprattutto che lei non se ne vada.  


Bruno Magnolfi

mercoledì 10 agosto 2016

Incomprensibile stile.


            Lei è particolare. Riesce quasi sempre a non perdere ogni buona occasione per tentare di dimostrare agli altri di essere diversa da tutti, forse addirittura superiore, almeno in certi comportamenti. Si interessa spesso di dettagli sfuggenti, di cose alle volte quasi prive di senso, e lascia a tutti il compito scialbo di chiedersi quale possa essere il suo scopo finale. Un’amica le chiede se non si renda conto di esagerare nei suoi modi di essere, ma lei si limita ad osservarla con sguardo sfuggente, poi prosegue a sorseggiare il caffè.
            Nel locale, dove durante qualche pomeriggio si ritrovano con altre due o tre, riescono a parlare con relativa normalità quasi di tutto, anche se l’argomento principale che tiene legati tutti i loro dialoghi è la diversa opinione che hanno delle cose di cui trattano. Lei parla poco, pare ascoltare sempre un po' distrattamente le cose che dicono le altre, salvo tirare fuori al momento più opportuno la parola mancante, quella che sposta leggermente gli accenti, e che pone improvvisamente quasi dei nuovi e diversi interrogativi.
Poi si alza per andarsene, senza che le altre riescano minimamente ad intuirne il motivo, ma dopo un attimo è lei stessa, improvvisamente, come interpretando all’improvviso la loro curiosità, che girandosi indietro a pochi passi di distanza dal tavolino dove le amiche sono rimaste sedute in silenzio, che dice velocemente e con perfetta tranquillità: devo vedermi con un tizio; può darsi pure che inizi con lui una nuova relazione. Poco lontano, ad un angolo, io aspetto in macchina con pazienza, rifletto a come tutto sommato un poco di ritardo in certi casi sia piuttosto normale, ma quando lei alla fine arriva dopo avermi fatto quasi perdere la pazienza, capisco perfettamente dal suo sorriso esagerato che qualcosa non va assolutamente come dovrebbe.
Avvio il motore, ci spostiamo velocemente lungo i viali, lei non mi guarda, la sua mano mi ha soltanto accarezzato per un secondo lungo un braccio. C’è traffico, mi fermo ai semafori, cerco di dire qualche parola tanto per rompere quel silenzio un po' antipatico. Lei non risponde, però se mi va potremmo passare da casa sua, mi spiega, tanto per bere qualcosa ed ascoltare della musica. Annuisco, prendo la direzione giusta, svolto diverse volte, arrivo in prossimità del suo indirizzo, ma lei dice improvvisamente che forse non è neanche questa una buona idea. Mi fermo, la guardo, lei sorride, ma si vede che è altrove con tutti i suoi pensieri. Non abbiamo molta sintonia, dico tanto per dire, cercando una maniera per sbloccare la situazione; lei mi guarda un attimo, accenna qualcosa con la testa, forse si sente stanca, penso. Riprendo il percorso lungo i viali, non so proprio come possa andare avanti per noi questo appuntamento.
Poi lei chiede con semplicità se posso accompagnarla fino ad un certo negozio, dove tra non molto ci sarà un evento, la presentazione di un libro, mi spiega: conosco l’autore. Parcheggio, spengo il motore, lei slaccia la sua cintura di sicurezza ed infine mi guarda con intensità. Non importa che mi accompagni, dice svelta; se vuoi però possiamo vederci anche domani, oppure quando vuoi tu, magari quando sarai più libero, è sufficiente che mi telefoni. Avrei forse voglia di dire mille cose che mi passano dentro la testa, però sorrido disarmato senza naturalmente perdere il broncio che mi caratterizza: ci vorranno settimane, penso, prima di poter fissare con lei un nuovo appuntamento. Ma cosa importa, decido, vadano pure le cose come vogliono.


Bruno Magnolfi

martedì 2 agosto 2016

Ora esatta.

            

            Anche senza volerlo mi capita di incontrare tanta gente mentre cammino lungo i marciapiedi del mio quartiere popoloso. Persone che generalmente non ho neanche mai visto, perfetti sconosciuti che con normalità se ne vanno per la loro strada, senza prestare alcuna attenzione a chi gira loro intorno. Ed a qualcuno tra quei molti individui che con perfetta indifferenza mi vengono quasi incontro camminando di fretta con la testa persa in chissà quali pensieri, lascio volentieri un cenno di saluto, o anche un sorriso, arrivando in certi casi ad esibirmi addirittura in un modesto inchino, soffermandomi davanti a qualcuno appena per un attimo, anche se è vero che non conosco proprio nessuno di tutti loro. Alcuni con sorpresa nervosamente mi rispondono, altri al contrario tendono ad ignorare assolutamente ogni gentilezza, e tirano di lungo con rinnovata indifferenza, in certi casi mostrando quasi astio.
Qualche volta chiedo in giro anche con una certa insistenza che ore siano, spesso ripetendo varie volte il gesto di battermi il polso dove normalmente si porta l’orologio, nonostante ne abbia sempre in tasca uno precisissimo e di assoluta affidabilità. Ascolto la risposta che mi viene data, e tramite quella valuto subito il carattere e la disponibilità della persona, lasciando correre con un sorriso chi ha fretta o non ha tempo per cose di quel genere, apprezzando infine la gentilezza ed il rispetto dei pochissimi che si fermano anche oltre, e magari parlano con me, mi chiedono qualcosa a loro volta, cercano di instaurare un piccolo dialogo, anche se in fondo non ne provo alcun bisogno.
Personalmente non dimostro un bell’aspetto, e non mi meraviglio certo se parecchi si limitano a voltarsi dalla parte opposta, ignorando ogni mio gesto ed ogni mia parola; so perfettamente cosa voglia dire perdere del tempo con qualcuno, anche se tutto ciò, secondo il mio parere, non ha poi alcuna importanza. Forse alcuni mi riconoscono, hanno un moto di fastidio nel mio appiccicoso avvicinarmi, ed è forse proprio questo che a me più di tutto mi diverte.
Poi incontro questo tizio che mi dice di nutrire una certa simpatia per il mio comportamento, ed io lo lascio dire per un attimo, disinteressandomi subito dopo delle sue parole e proseguendo come sempre il mio cammino lento. Ma quello insiste, mi segue, dice che assolutamente appaio una figura dai modi di epoca passata, ed è proprio questo personaggio che va salvaguardato, elemento di grande interesse nel panorama triste ed egoistico attuale. Naturalmente mi schernisco, cerco di spiegargli che non c’è da scomodare tutta questa grande e presunta messinscena, con un sorriso e con un gesto faccio presente che non è niente, forse soltanto solitudine, necessità di un piccolo contatto poco impegnativo. Ma quello va ben oltre, dice che non ha mai visto una cosa di quel genere, e che la mia intuizione mostra qualcosa ormai disarticolato in tutta la realtà.
Mi viene dietro, insiste con le sue argomentazioni, alza la voce in modo che anche altri intorno siano investiti con le sue parole da quanto lui dice abbia scoperto nella mia interpretazione delle cose. Continuo a camminare ignorando il più possibile questo tizio che mi segue, arrivo addirittura a soffermarmi davanti alla vetrina di un negozio per mostrare la distanza che intercorre tra me e tutti i suoi discorsi, ma quello va avanti ed insiste ancora a cercare spiegazioni sempre più complesse e sofisticate della società al cospetto dei miei comportamenti, che adesso sembra riescano, secondo il suo parere, ad incrinare le abitudini più abiette e ormai consolidate.      
Inizio a correre, alla fine, e volto rapidamente dentro una stradina, talmente poco frequentata che quando mi giro siamo soltanto in due, ed è proprio in quel momento che con la poca forza che riesco a trovare nelle mani, gli offro uno schiaffo in piena faccia. Quello si impietrisce, mi guarda con occhi increduli, ed è allora che tiro fuori il mio orologio, per sapere davvero che ore siano.


Bruno Magnolfi