martedì 31 marzo 2020

Variazioni minime.




Ogni tanto mi fermo, mentre percorro avanti e indietro, giusto per smuovere le gambe, il lungo corridoio che collega tutte le stanze del mio ampio appartamento, e mi sorprendo in alcuni casi a pensare certe cose che credevo ormai seppellite nella mia memoria, piccoli particolari che all'improvviso sembrano gettare come una nuova luce sulle vicende a cui si riferiscono. Poi sorrido di questi sciocchi lampi nel buio, e riprendo come sempre la mia camminata che reputo salutare ed instancabile. A metà della mattinata poi arriva una signora sempre giovanile e svelta a svolgere alcuni lavori domestici e a prepararmi il pranzo, così a me non resta altro che mettermi seduto nel mio studio a leggere qualcosa oppure a riflettere sulla mia passata attività di insegnante universitario ormai in pensione. "Clara", chiedo alla donna che porta avanti da tanto tempo il suo mestiere dentro la mia casa, affacciandomi nella stanza dove lei si trova in quel momento. "Forse si ricorda quanti anni siano trascorsi da quando è entrata per la prima volta in questa abitazione". E lei così mette in fila volentieri dettagli e particolari di tutto il tempo trascorso da quando mi conosce, e a me fa ritornare in mente mille cose, tanto che mi sento sempre obbligato di quei suoi piccoli sforzi di memoria.
Praticamente non esco quasi più da casa, e l'unica vita sociale che mi trovo a svolgere, a parte le poche chiacchiere con Clara, sono date dalle mie lunghe ed insistenti osservazioni delle poche persone che frequentano la strada secondaria e i marciapiedi che corrono sotto alle mie finestre, mentre appoggio la fronte ai vetri freddi. Certe volte chiedo a Clara se magari si rammenta di quel vicino di casa oppure di quell'altro, e lei con pazienza mi riporta sempre qualche particolare che non sapevo o che mi era sfuggito dalla memoria. È una vita minore la mia, me ne rendo perfettamente conto, quasi un surrogato di qualcosa senza più sapori, ma a questa età credo proprio di non potermi permettere null'altro. Perciò ho iniziato da qualche tempo addirittura ad annotare orari e spostamenti di qualcuno che abita di fronte a me, e che osserva delle abitudini ormai assodate. C'è Piero per esempio, che conosco da una vita, il quale esce da casa sempre alla stessa ora della mattina, e vi rientra regolarmente a mezzogiorno, quando si avvertono i rintocchi delle campane della Chiesa dei Cappuccini, poco lontano. Oppure Marta, sua dirimpettaia, che invece esce al primo pomeriggio, per rientrare a casa sempre verso le sei.
Appare abbastanza divertente tutto questo, come se molte persone fossero regolate da un misterioso congegno meccanico capace di far andare e venire ogni figurante con modi stabiliti. Ed infine c'è Rosanna, una signora distinta ed elegante con la quale non ho mai parlato in tutti questi anni, ma che ho sempre avuto modo di notare abitando accanto a casa mia. Lei esce con calma, finge di non guardare niente attorno a sé, forse per non apparire curiosa, ma si fa sempre un quadro preciso di chi vede e di chi incontra, lasciando sempre siano gli altri a volgerle per primi il loro saluto. Qualche volta si ferma a parlare con qualche persona che conosce, ma non allunga mai troppo il discorso, ed in pochi attimi lascia esaurire gli argomenti. Un paio di volte ho chiesto di lei qualcosa a Clara, ma oltre a dirmi che abita da sola, non ha saputo chiarirmi altro, ed io naturalmente non ho insistito per non apparire troppo interessato.
Invece mi piace Rosanna, mi piace molto, con i suoi modi pacati, la sua espressione mai troppo gioviale ma neanche seria, e quella sua maniera di tenere buoni rapporti con tante persone senza mai apparire né curiosa e tanto meno chiacchierona. Potrei uscire di casa per lei uno di questi giorni. Farmi trovare già sul marciapiede, davanti casa sua, e poi togliermi il cappello al suo passaggio, presentandomi con garbo, nel caso lei non mi avesse mai notato, e baciandole la mano come si fa tra persone d'altra epoca. Potrei dirle che l'ammiro, che la vedo spesso quando entra o esce dalla sua abitazione, e che mi piace anche solo guardarla, sapere che è lì, davanti a me, oltre i vetri delle mie finestre. Potrei farlo, uno di questi giorni penso, e forse lo farò davvero, perché è così che sento d'essere, e non ci può stare più niente a farmi variare d'opinione.

Bruno Magnolfi

domenica 29 marzo 2020

Opinione generale.




"Mi sento depresso", fa Toni mentre sembra quasi rilasciare tutti i suoi muscoli sistemandosi comodamente sopra una delle sedie poste quasi a cerchio. Degli altri presenti dentro la stanza qualcuno volge per un momento lo sguardo su di lui, ma qualcun altro sembra ignorarlo del tutto, oppure semplicemente fingere al momento di ignorarlo, sia nei modi o nell’espressione che lui ostenta, che in quelle sue stesse parole. Nessuno difatti sembra abbia niente da chiedere in questo momento, anche se quello che è stato affermato appare in modo evidente come necessiti almeno di un chiarimento o di una spiegazione ulteriore da parte di Toni. "Dopo la separazione stavo quasi bene", riprende difatti lui quasi svogliatamente; "forse mi annoiavo appena un po', da solo come mi ero ritrovato in quei momenti, ed è proprio per questo motivo nella sostanza che mi sono iscritto a questo gruppo, per farmi degli amici nuovi, per conoscere persone che si trovassero nella mia stessa situazione". Gli altri lo guardano, fino a qui non c'è niente di storto in ciò che dice Toni, nessuno lo interrompe, nessuno ha niente da ridire. "Poi però ho capito che venire per due volte alla settimana ad ascoltare i vostri problemi e a raccontarvi per filo e per segno tutte le mie cose, è soltanto un segno di profonda debolezza, ed anche se fino adesso ho cercato di allontanare da me questo pensiero, di fatto non mi è più uscito dalla testa, ed adesso questo pungolo sembra deprimermi sempre di più".
Il moderatore di turno a questo punto dovrebbe prendere la parola, ma invece di dire qualcosa per tranquillizzare Toni in qualche modo, dice soltanto: "è comprensibile, è tutto assolutamente comprensibile", parlando come bofonchiasse qualcosa tra di sé. Gli altri appaiono perplessi: non soltanto da queste parole pare che il loro incontrarsi non sia positivo come credevano fino adesso, ma addirittura sembra, da tutto ciò che ognuno ha appena ascoltato, che scambiare con gli altri le proprie difficoltà, inserisca nelle menti del gruppo dei nuovi e più gravi problemi, tanto da farne un’attività deprecabile, qualcosa addirittura da cercare di evitare. A molti sembrava piuttosto utile e carino confrontare la propria quotidianità con altri mariti separati, e per alcuni, specialmente agli inizi, tutto quanto era apparso come un valido sostegno alle loro personalità così traballanti in quei momenti difficili, e spesso prive di un vero appoggio morale. Diversi di loro perciò in questo attimo preciso vorrebbero non aver ascoltato per niente le parole di Toni, e ad altri forse avrebbe fatto più piacere che lui non si fosse neppure presentato stasera a portare tra di loro un disfattismo di questo genere; ma per ultima opinione, forse generale, per tutti la colpa adesso è proprio di Toni, che non riesce ad approfittare nella maniera più adeguata dell’opportunità che gli viene offerta per ben due volte alla settimana.
Per questo nessuno dopo di lui prende la parola, come se l’argomento per gli altri fosse già archiviato, fuori dai veri temi che il gruppo ha davvero intenzione di affrontare. Toni guarda tutti quasi stupito di quel silenzio, saggiando un vuoto di opinioni che sembra indicare soltanto un auto isolamento da parte sua, un tirarsi fuori dai ragionamenti seri che gli altri intendono affrontare oggi come ogni volta, senza lasciar inserire in quelle serate qualcosa che non è adatto, è fuorviante, una problematica che può solo aspirare a rimanere fuori dalle loro riflessioni. Il moderatore adesso lo guarda, sembra quasi volerlo rimproverare con la sua espressione seria, ed in fondo evidenzia, con il suo silenzio, l’opinione generale che si snoda in aria come il respiro. Poi Toni si alza, torna ad indossare la sua giacca, ed infine se ne va, senza neppure salutare.

Bruno Magnolfi

venerdì 27 marzo 2020

All'interno di una sola cosa.




A me non piace stare a casa. Piuttosto preferisco uscire da sola, generalmente di pomeriggio, e camminare senza meta per il centro della mia città, osservando qualche volta le espressioni delle persone che mi capita di incontrare con facilità, ed ascoltando frasi e parole che la gente generalmente si scambia, divertendomi a fantasticare sulle giornate di qualcuno tra coloro che noto di più, i suoi probabili comportamenti, i piccoli gesti, per esempio, che un attimo dopo uno di loro potrebbe addirittura eseguire veramente, e certe volte riflettere anche sui minuti scopi che magari possono attraversare proprio in quel momento la sua immaginazione. Ci sono tante persone che si fermano, certe volte in modo distratto, ed in altre occasioni però con un vivo interesse, davanti alle vetrine luminose dei negozi; e quando proprio non sono da sole come me, in molti casi si scambiano pareri a voce alta, manifestando degli interessi, delle idee, delle opinioni personali, e spesso le più varie, su tutto ciò che hanno esattamente lì davanti agli occhi, certe volte incuriosendosi soltanto di un semplice dettaglio che forse per altri potrebbe addirittura apparire del tutto trascurabile.
Poi mi fermo naturalmente presso la mia solita grande pasticceria preferita. Non entro subito, ci passo davanti, fingo di cercare qualcosa nella mia borsetta, mi guardo attorno come stessi aspettando qualcuno; ma soprattutto prima di mettere i miei piedi all’interno, mi assicuro attraverso le grandi vetrine che non sia troppo affollata, e che ci siano delle persone abbastanza interessanti sedute ai tavolini oppure al bancone: coppie di innamorati che parlano tra loro come fossero da soli, oppure degli anziani signori eleganti che leggono qualcosa dentro al loro giornale ormai sgualcito, e trascorrono del tempo in questo modo, senza molte altre pretese. Non mi piace invece quando scopro che dentro la saletta del caffè ci sono dei giovanotti confusionari che festeggiano qualcosa per esempio, ed in certi casi la loro baldoria mi ha portato persino ad evitare il locale in quel momento, e forse a ripassare da lì semplicemente un po’ più tardi, oppure anche per niente in quella stessa giornata.
Oggi però entro, e con molta calma scelgo uno dei tanti tavolini liberi, visto che la pasticceria sembra poco affollata, e poi mi siedo, dopo essermi per un attimo guardata attorno, comodamente su una poltroncina, scegliendo con attenzione il punto di vista da cui osservare almeno una parte del locale. Non mi interessa avere proprio tutto sott’occhio, non sono così curiosa, e non ho persone da evitare oppure conoscenti che debba salutare di malavoglia. Però mi concentro su un lato della sala, e quando arriva il cameriere mi limito ad ordinare qualcosa, sbirciando con pazienza il lungo banco vetrato a fianco, da dove affiorano le prelibatezze di questo luogo: insieme ad un caffè lungo, prendo sempre poi il solito pasticcino alla crema, anche se fingo persino adesso di sceglierlo per la prima volta. Infine quasi sorrido di me stessa, e della mia capacità di essere sempre la medesima, in grado di sopportare i comportamenti che apparentemente sembrano sempre identici e monotoni, ma che in realtà evidenziano tutta la differenza che persiste anche all’interno di una stessa cosa. Mi compiaccio della varia umanità che circola là dentro, mi viene persino da sorridere pensando alle migliaia di gesti sempre uguali che si compiono ogni volta, ed alla fine so per certo che le cose non potrebbero andare altro che in questa esatta maniera, e proprio per questo forse me ne sento subito rassicurata.


Bruno Magnolfi


mercoledì 25 marzo 2020

Qualità della giornata.



Il furgone ondeggia come una barca sulla strada statale deserta, e Corrado lo guida mantenendo la sua solita velocità moderata a cui ormai si è conformato da anni, anche in considerazione però delle condizioni imperfette di quell'asfalto, e pure del fatto che in fondo non ha proprio alcuna fretta. La radio accesa in sottofondo accompagna come ogni volta questo suo viaggio, anche stavolta con musichette di moda a cui peraltro non si ritiene minimamente interessato, visto che per lui è sufficiente la presenza, nell'aria dentro l'abitacolo, di qualcosa che copra almeno in parte la monotonia del ruggire costante e antipatico del motore del mezzo, e anche delle ruote che proseguono rumorosamente a rotolare in avanti. Al prossimo paese si fermerà, accosterà il furgone vicino al negozio degli alimentari che ha già visitato altre volte, e poi come sempre, dopo aver parlato e preso accordi con la proprietaria che conosce da tempo, scaricherà la fornitura quindicinale da lei richiesta di latticini e di formaggi.
È il suo lavoro quello che porta avanti, lo stesso che gli ha permesso di mantenere in piedi la sua famiglia fino ad oggi, e che a Corrado comunque è sempre piaciuto: guidare, parlare con le persone, creare relazioni, continuamente convincere qualcuno della bontà dei prodotti che porta in giro dentro al suo furgone. Poi però si ferma ad un distributore di carburanti, mette gasolio dentro al serbatoio quasi vuoto, e quindi si prende un caffè nel piccolo ristoro di fianco alle pompe. C'è una ragazza adesso dietro al banco, una che lui non conosce: "buongiorno", le fa, "anche se il cielo oggi è un po' grigio". "Non importa", fa lei con un largo sorriso; "la giornata può essere bellissima comunque". Gli piace a Corrado quella filosofia così ottimista, perciò si siede al bancone per osservare anche meglio la persona che lo sta servendo.
"Periodo fiacco questo", fa lui tanto per dire qualcosa. "Non saprei", gli risponde con malcelata indifferenza la ragazza, "sono qui solamente da una settimana". Ci sono individui ai quali riesce facilmente mostrare un'espressione facciale notevolmente appropriata ad ogni cosa che dicono, pensa Corrado; e questa barista è esattamente una persona così. "Mi piace trovare in giro ogni tanto dei cambiamenti", fa lui mentre mescola lo zucchero della bustina dentro al suo caffè. "Giro spesso da queste parti con il mio furgone, ma vedere sempre le medesime facce a volte mi dà un po' di tristezza, come se non succedesse mai niente di nuovo". "Capisco", fa subito lei; "ma sono qui soltanto per un breve periodo, una sostituzione forse di un paio di mesi in tutto, ecco; poi tornerò in città per riprendere a studiare recitazione". "Perbacco", fa lui, "un'attrice in formazione; non capita spesso di trovarsi di fronte qualcuno così". Lei adesso non sorride più, alza soltanto le sopracciglia appena per un attimo mentre lo guarda fisso, quasi per dire che non sono tutte rose e fiori come si potrebbe facilmente immaginare. Lui è meravigliato da quella maniera di esprimersi senza dire neppure una parola, così sottolinea soltanto che comprende perfettamente. Infine lei inizia a sistemare delle bibite sotto al bancone, e Corrado sente che il suo lavoro lo sta già richiamando al proprio dovere.
“Arrivederci allora”, le dice mentre mette i soldi sul piano di legno. “Spero davvero di rivederla, magari quando avrò minore fretta”. La ragazza allora lo guarda un istante, strizza gli occhi come per lasciargli un saluto, ed alla fine dice soltanto: “il vero palcoscenico comunque è qui, in mezzo a noi, ed ogni giorno siamo chiamati a recitare una parte, che ci piaccia o meno”. Lui sorride, apre la porta, ed una volta con i piedi sopra al piazzale, pensa subito che sia proprio così, e che quel giudizio sia veramente perfetto, tanto che tra poco per lui ci sarà tutta la necessità di dimostrare una volta di più, anche soltanto con i gesti, la bontà e la qualità dei suoi formaggi.


Bruno Magnolfi



lunedì 23 marzo 2020

Nascosto agli occhi di tutti.


          

            Fino a quando resto auto-isolato in questo stanzino buio, nessuno può venire a disturbarmi. Attraverso la porta chiusa sento ogni tanto le voci di mia sorella e di suo marito mentre si trovano nelle altre stanze dell’appartamento, e provo piacere nel rendermi conto che loro ci sono, sono presenti in questa casa, probabilmente portano avanti come sempre le loro faccende, ed hanno forse sotto controllo ogni cosa che possa servire a noi tutti, anche se io sfuggo a qualsiasi curiosità, e sto quasi sempre in un altro luogo, lontano il più possibile da loro. Non voglio spiarli, però loro parlano a voce sempre un po’ troppo alta, e poi discutono, litigano, dicono cose che qualche volta sembra addirittura che mi riguardino, anche se non riesco a comprendere del tutto ogni parola. A volte mi pare di sentire lui mentre spiega a mia sorella che è giunto il momento di mandarmi via da questa casa, almeno così mi sembra di comprendere forse anche dal tono con cui sento esprimere il mio stesso nome, e che d’ora in avanti proprio non mi vorrebbe tra i piedi; ma io intanto lo ignoro e me ne rimango nascosto, non mi faccio certo trovare facilmente, né da lui né da nessun altro. Non provoco fastidio, resto sempre rinchiuso nel mio angolo, e aspetto soltanto che mia sorella, oppure la madre di suo marito, come sempre una volta ogni giorno, mi portino qualcosa da mangiare.
            Poi tento una sortita, percorro tutto il corridoio e vado rapidamente ad infilarmi nel ripostiglio dove mi fanno dormire ogni notte, e mi sistemo subito dietro un armadietto piazzato vicino ad un angolo per nascondermi a chi casomai si fosse già accorto di me e dei miei spostamenti. Ma dopo parecchi minuti mi rendo perfettamente conto che tutto appare estremamente tranquillo: difatti non avverto più alcun rumore, chi si trova in casa in questo momento sembra neanche parlare, e nessuno della mia famiglia sembra proprio non desideri neanche venire a cercarmi. Forse sono usciti, rifletto, forse hanno improvvisamente sentito il bisogno di prendersi una boccata d’aria e di sgranchirsi un po’ anche le gambe, non so; ma mentre elaboro queste riflessioni, ecco che ricominciano subito a parlare a voce alta, a discutere e ad urlare come sempre. “Non vi voglio più vedere”, fo allora io a voce piuttosto bassa, ma quanto basta per lasciar comprendere loro che non sono uno che si lascia mettere in un angolo dagli altri, ma al contrario agisce in piena autonomia, e se spesso si rinchiude da qualche parte, lo fa soltanto per un proprio volere, per sua iniziativa personale, non perché spinto da qualcuno, familiari o meno che siano.
            Penso di essere molto paziente con tutte le persone che risiedono insieme a me in questa grande abitazione. Non ci sarebbe niente di male se tutti quanti usassero come minimo una maggiore indifferenza rispetto ai miei comportamenti. Io non voglio stare con loro, questo è il punto, e pretendo di avere il mio piccolo spazio, il mio angolo buio in cui rinchiudermi quando mi va, per rendermi praticamente invisibile agli occhi degli altri. Poi mia sorella viene da me, finge di non vedermi neppure, ed appoggia rapidamente sul tavolo le mie pastiglie ed un bicchiere con l’acqua. Lo so che sbircia da dietro la porta per essere sicura che io assuma per bene tutte le medicine che mi hanno prescritto, ma io butto giù tutto quanto alla svelta, mi basta che lei torni dagli altri, mi lasci di nuovo da solo con tutti i pensieri, le mie domande, le preoccupazioni che mi attanagliano durante ogni giornata. Non credo di fare mai qualcosa di male contro di loro, però da qualche giorno ho nascosto in un posto segreto un piccolo coltellino che ho trovato per caso in un mobile: per adesso non ho alcuna intenzione di usarlo, ma è evidente che dovrò pur difendermi se qualcuno della mia famiglia pensa di fare di me ciò che vuole.  Così sto tranquillo, lascio che ogni giornata scivoli via senza alcuna difficoltà, però ora mi sento protetto, perché in qualsiasi momento so di avere un’arma con me che al momento opportuno può salvarmi da qualsiasi situazione.

            Bruno Magnolfi

sabato 21 marzo 2020

Difficili equilibri.


       

            Davanti alle due finestre del suo piccolo appartamento al primo piano dove abita da sempre, Consuelo può vedere, dal lato opposto dalla strada cittadina, un piccolo supermercato, un caffè, ed un laboratorio artigianale di bigiotteria. Sono in quattro a produrre collane ed orecchini là dentro, compreso il proprietario, e da quasi un anno c’è anche un ragazzo alto e con un’espressione interessante, che sembra quasi sprecato per stare tutto il giorno sui tavoli da lavoro a perdere la vista su delle minutaglie. Lei lo ha incontrato qualche tempo fa al supermercato poco dopo le cinque del pomeriggio, all’ora in cui probabilmente il laboratorio chiude, e da quello che lui ha acquistato quando ha fatto passare gli articoli alla cassa, le è parso che fossero tutti generi alimentari preparati per un’unica porzione, come se lui abitasse da solo insomma, esattamente come lei. Perciò, senza esagerare, ha scelto diverse altre volte di recarsi esattamente in quello stesso orario a fare acquisti nel supermercato davanti casa sua, ed avendolo incontrato di nuovo, proprio come immaginava, l’ultima volta lo ha quindi salutato con uno dei suoi larghi sorrisi.   
            Consuelo fa la segretaria di un anziano commercialista, un lavoro oltremodo noioso e anche monotono, ma l’orario che rispetta nel suo piccolo ufficio è più o meno lo stesso del laboratorio di bigiotteria. Certe volte, quando esce di casa al mattino, si ferma per fare colazione nel minuto locale accanto al supermercato, ma almeno fino adesso non le è mai capitato di incontrarci anche il ragazzo del laboratorio. Non è facile trovare l’occasione buona per scambiare due parole con una persona che sembra peraltro piuttosto riservata, ma lei è una signorina paziente, e sente che prima o dopo il momento giusto le dovrà pur capitare. Stasera difatti, quando è tornata a casa dopo il lavoro, si è fermata per l’ennesima volta ad acquistare qualcosa nel supermercato, e sopra al marciapiede prima di entrare, mentre stava uscendo dalla bigiotteria, ecco che arriva proprio lui, quasi scontrandosi con Consuelo. “Buonasera”, fa lei soffermandosi con il suo sorriso, e lui, che appare confuso e forse intimidito, la saluta a sua volta, ma con modi leggermente buffi ed impacciati. “Ci siamo già incontrati altre volte al supermercato, mi pare”, dice lei cercando di dare un seguito a quel momento fortunato. “Già”, fa lui; “si potrebbe festeggiare l’avvenimento”, gli scappa di dire.
            Così vanno nel bar a fare due chiacchiere e a prendersi un caffè seduti ad uno dei tre tavolini del locale, poi si infilano dentro al supermercato per acquistare qualcosa per la cena, ed infine vanno a casa di Consuelo per cucinare qualcosa e mangiare assieme. Non c’è niente di male, pensa lei adesso: è soltanto una conoscenza da perfezionare, forse un’amicizia in formazione, uno scambiarsi idee e riflessioni che possono anche mostrare delle affinità utili e carine. “Sono sola”, dice lei senza mezzi termini. E lui sorridendo risponde solamente: “anche per me è così in questo momento”. Il futuro può essere davvero tutto da definire per loro due, le cose possono diventare rapidamente serie e durature, e i loro pensieri difatti marciano veloci, l’intensità che impiegano nel darsi le risposte e nel formulare piccole domande, mai troppo dirette o pesanti, mostrano subito di valutare molto quell’incontro così casuale, ed evidentemente anche ciò che ne potrebbe conseguire.
            Infine lui va via, la ringrazia fortemente e la saluta nella maniera migliore che conosce, e le garantisce che potranno rivedersi senza dubbio in uno dei giorni che seguiranno, e casomai lui le suonerà il campanello di casa uscendo dal lavoro. Consuelo è contenta, le pare che le cose siano andate estremamente bene per ambedue, e che in futuro ci potranno essere degli sviluppi su cui adesso non vuole neanche riflettere. Poi lo guarda andare via dalla finestra, lo saluta con la mano, e d’improvviso però si rende conto, come svegliandosi da un sogno, che in fondo lei non vuole affatto che qualcuno le venga a rompere di colpo tutti i suoi equilibri. 

            Bruno Magnolfi

giovedì 19 marzo 2020

Onde libere.



Sul molo foraneo del porto cittadino, osservando il grande mare azzurro di fronte a me, mentre rimango seduto su un’enorme pietra: "vorrei andarmene", fo al mio amico che mi sta vicino mentre cerca di pescare sotto costa, a dire la verità almeno fino adesso senza troppa fortuna, usando una sua vecchia canna da lancio. "Non puoi", fa subito lui. "Da qui non ci si può neppure muovere", fa con ironia. Sorrido, sembra quasi una sfida la sua, così tiro in acqua un po' di esca che sta usando per pescare, ed un pesce gli guizza subito attorno, prima che affondi. “Non mi va di stare qui soltanto perché ci sono nato”, gli fo quasi sovrappensiero. Il galleggiante in acqua intanto si muove leggermente, lui aspetta un momento che il pesce prenda bene l’amo dentro la bocca, poi imprime al filo un leggero strattone, ma forse agisce con una calma insufficiente, e così viene fuori dal mare soltanto il pezzo di filo da pesca e poi nient’altro.
“Non mi frega niente dei parenti, delle conoscenze, delle tradizioni e delle abitudini”, dico sdraiandomi sopra al sasso enorme sotto di me, nel sole caldo di questa mattina quasi senza vento. Mi accendo una sigaretta nascondendo la faccia dentro una mano per far brillare la fiammella dell’accendino, poi tiro una boccata e guardo il fumo avvoltolarsi e andarsene via velocemente. “Mi pare che qui in principio si debba soltanto soffrire di noia, per poi in seguito adeguarsi un po’ a quella stessa noia, fino a quando tutto appare più normale, ed allora ecco che la noia diviene rapidamente un elemento come tutti gli altri”.
Arriva una grossa barca che fa rotta per rientrare lentamente in porto; sul vasto ponte almeno per adesso non si vede proprio nessuno, e per questo motivo il natante pare quasi navigare in piena autonomia. "Salire su una nave qualsiasi, magari di nascosto, e andarsene dai piedi, affrontando qualsiasi futuro possa attenderti", fo al mio amico tanto per stuzzicarlo ancora un po'. Lui tira su la lenza in silenzio, mette una nuova esca attorno all'amo, poi torna a lanciare il galleggiante piombato a circa sette o otto metri dalla diga foranea. "Se proprio deve essere, così sarebbe al meglio", fa lui senza allontanare lo sguardo dal suo lancio. Normalmente potremmo fare anche una risata dopo una frase del genere, invece adesso la nostra attenzione è attratta da qualcuno sulla piccola nave che esce da un portello e si accosta al parapetto verso la nostra parte, proprio mentre lo scafo scuro scivola sull'acqua a poca distanza da dove siamo noi.
Quello ci fa un saluto con la mano, pare quasi per invitarci ad assomigliare a lui: andare, tornare, qualche giorno in un porto, poi via in un altro, e visitare delle città, conoscere persone sempre nuove, imparare qualche parola di altre lingue, e poi maniere e linguaggi sempre differenti, senza noia, dimenticando quasi del tutto le abitudini. Poi passa, lasciando una scia bianca dietro a sé mentre le eliche rallentano nel momento in cui quella nave mercantile inizia a manovrare per l’ormeggio. Guardo il mio amico che ha perso la concentrazione sul suo galleggiante, e forse non ha più neppure tanta voglia di farsi prendere in giro ancora da questi maledetti pesci. Così recupera lentamente la lenza col suo mulinello, proprio nel momento in cui il galleggiante sparisce d’improvviso dal pelo dell’acqua, e qualcosa di invisibile sotto le piccole onde inizia a tirare con tutte le sue forze. Un piccolo combattimento, un sapiente recupero del filo, ed infine eccolo, un bel pesce scodante dai mille colori e dalla gran voglia di vivere. Lui lo slama, con sapienza, senza danneggiarlo, lo guarda un attimo negli occhi, e poi lo getta in mare, nel suo mare, nella libertà.


Bruno Magnolfi 



martedì 17 marzo 2020

Presenza necessaria.



Certe volte lui si mette fermo ad osservare le persone che gli sfilano vicino, quelle che entrano o che escono dal locale alla buona che è solito frequentare, mentre resta seduto su una seggiola di plastica sopra al marciapiede esterno, davanti alla via principale del paese, dove ogni tanto transita qualche macchina sferragliante che in seguito lascia ricadere ogni rumore, subito dopo quel passaggio, lasciando in aria un silenzio monotono e usuale. Gli piace a lui stare lì senza avere null’altro da fare: è come se quelle poche persone che gli circolano davanti quasi sopra ai piedi, e che spesso comunque lo salutano sfiorandolo, gli portassero ogni volta quasi una ventata di novità, persino coloro che non gli dicono niente, solamente con quella loro rapida presenza. “Oggi mi sento stanco”, fa lui senza guardarlo ad uno che si è soffermato per battergli amichevolmente una mano sopra ad una spalla; “mi sembra di aver fatto chissà cosa, anche se in effetti mi sono occupato soltanto delle cose normali di ogni giorno”. L’altro sorride, “capita, sentirsi così”, gli fa; “non c’è da prendersela tanto”.
Poi rimane solo, osserva una nuvola di polvere in fondo allo stradone, dove sta manovrando senza fretta un autocarro, poi però si accascia lentamente su se stesso, ed alla fine cade a terra, proprio davanti alla sua sedia, senza dire niente, senza neppure chiedere alcun aiuto. Passa qualche minuto ed alla fine qualcuno lo vede così, appoggiato su di un fianco sopra al marciapiede, ed in tre o quattro lo tirano subito su, cercando in fretta di fargli riaprire gli occhi, di fargli dire qualche cosa, di comprendere che cosa sia che non va improvvisamente in lui, in quel loro bravo concittadino. Viene portato un bicchiere con dell’acqua, una salvietta inumidita per rinfrescargli il viso, mentre già qualcuno più esperto gli sente il polso e gli apre la camicia. Lui alla fine muove la testa, si guarda attorno con estrema calma, socchiude le labbra senza ancora dire niente, mentre intorno gli esprimono parole di incoraggiamento.  
Infine torna a rimettersi seduto, esattamente come stava prima, e beve un sorso d’acqua senza neanche avere troppa sete, mentre chiede in giro a voce bassa e con uno scarso interesse che cosa realmente sia accaduto. “E’ la noia di starsene sempre qui”, fa qualcuno per sdrammatizzare, “che certe volte ti porta a perdere la testa”. Altri ridono, le cose rientrano poco per volta nella piena normalità, anche se a lui viene chiesto, casomai, se desiderasse andare a casa sua, oppure da un medico a farsi visitare. “No, non ha importanza”, fa lui senza più muoversi; “forse me ne vado per i fatti miei tra una decina di minuti, ma per adesso vorrei stare ancora qui”. Tutti riprendono le loro consuetudini, e solamente uno che lo conosce da sempre gli si siede accanto per parlargli di qualcosa che, per come è fatto lui, a dire la verità sembra neanche interessarlo. “Le cose vanno in questo modo”, lo interrompe però a un certo punto. “Ci guardiamo attorno per imparare dagli altri quanto sia possibile, e poi non serve più, tutto è annullato, così, all’improvviso”. “Si, è proprio in questo modo, fa l’altro, e sembra quasi che il nostro arrabattarci sia solamente una maniera per ingannare il tempo, per riempirlo di significato, per dare un qualche senso a questa corsa”. Poi rimangono tutt’e due in silenzio, forse riflettendo a quanto si sono appena detti. “Allora adesso me ne vado”, fa lui alla fine; “tanto mi pare che per stasera non ci sia più neppure bisogno della mia presenza”.


Bruno Magnolfi



domenica 15 marzo 2020

Momenti complicati.


          

            “Non so più come dirtelo”, fa lui mentre si sposta lentamente nella stanza, come riflettendo profondamente su ciò che è meglio fare o anche solamente dire in una serata noiosa come questa. “Senti”, fa la moglie restando seduta ad osservare le immagini che continua a trasmettere il suo televisore con l’indicatore dell’audio del tutto azzerato. “Quest’attesa è snervante anche per me; non credo proprio accapigliandosi tra noi si possa risolvere qualcosa”. Fuori dalle finestre, lungo la strada bagnata di pioggia, sembra adesso non ci sia rimasto proprio nessuno, se non un uomo con una divisa scura che resta fermo come a pattugliare l’incrocio poco lontano, in fondo alla strada principale. “A me non interessa se tu non vorrai muoverti da qui: io più tardi farò una tranquilla passeggiata con l’ombrello, almeno fino dalle parti della piazza ai caduti, naturalmente passando per le strade minori e meno frequentate”, fa lui con un tono quasi di sfida. “Va bene”, fa lei, con i modi di chi ragionevolmente vuol porre termine a qualsiasi discussione. “Ed allora verrò con te, se è proprio questo quello che desideri”. Poi lui si versa qualcosa da bere, prendendo una bottiglia di liquore e un bicchierino da dentro il mobile scuro impreziosito da  quattro piccole vetrine.
"Io comunque non ho fame", dice lei adesso con tono neutrale. "Però se vuoi posso prepararti qualcosa, tutto quello che ti va, visto che abbiamo ancora molte cose in frigorifero". Lui sorride, butta giù in un sorso il contenuto del suo bicchierino, poi dice soltanto: "non importa, più tardi mi farò semplicemente dei crostini col formaggio". Al piano superiore si sente debolmente qualcuno che si muove sopra delle scarpe con i tacchi, come se ci fosse bisogno di addobbarsi chissà in quale maniera per rimanersene semplicemente in casa. “La nostra vicina esce”, fa lui con un vago modo sarcastico. Lei si gira, si sente quasi punta sul vivo, ma conserva il suo tono tranquillo: “cambiarsi per la cena può anche essere una maniera di interpretare questi tempi”, gli fa con voce bassa. Lui sorride, gira per la stanza, poi va a sedersi vicino alla porta-finestra adesso chiusa che immette sopra la terrazza. “Magari aspetta qualcuno”, dice alla fine.
Trascorre appena un attimo, forse due minuti, ed ecco che si sente suonare alla porta, un breve squillo di chi potrebbe pensare di essere atteso, o che comunque non è certo un estraneo in quella abitazione. Va lei ad aprire, e con un gran saluto cortese immette subito nella casa la vicina del piano superiore. “Scusate”, dice quest’ultima; “ma devo uscire, e non so se è meglio avventurarmi fuori con la macchina, oppure se sia il caso di andarmene direttamente a piedi”. Interviene lui senza indugiare: “con la macchina, cara signorina, la fermerebbero immediatamente; la cosa migliore è prendere a piedi lungo le vie meno frequentate a quest’ora, e comunque tenere a mente una buona scusa nel caso qualcuno le chiedesse dove vada”. “Certo”, fa la signorina non rivolgendosi però direttamente a lui, ma guardando adesso sua moglie. “Anche io pensavo la medesima cosa, tanto più che non devo andare lontano, in dieci minuti o poco più me la posso cavare”. Adesso è la moglie però che prende l’iniziativa, e dopo uno sguardo rapido verso suo marito, dice subito: “potresti accompagnarla; tanto avevi anche tu intenzione di farti quattro passi a piedi, così io evito di uscire, e tutto si sistema in una maniera molto più sbrigativa”.  
Lui appare come leggermente imbarazzato, ma non trova nulla per contraddire la riflessione della moglie, così attende un attimo in silenzio, poi dice: “va bene, allora vado a prepararmi”, ed esce dalla stanza. “Sono momenti complicati”, dice adesso la moglie, “in ogni caso certe volte darsi una mano non è poi così difficile”. La signorina le sorride, osserva per un attimo qualcosa nella sua borsetta, poi dice soltanto: “Non si preoccupi, non ci impiegheremo molto; si tratta soltanto di una cosa che avevo promesso di consegnare ad una amica, una persona che non abita lontano; tra non molto le riporterò il marito sano e salvo”.

Bruno Magnolfi

venerdì 13 marzo 2020

Fantasma solitario.



Sto al riparo da questa pioggia sottile sotto una coperta sudicia di tela cerata, e se mi rannicchio in un angolo dentro questa specie di baracca di legno mezza spaccata, mi sembra che tutto si faccia persino più accettabile, nonostante questa giornata difficile e terribilmente uggiosa di pioggia ed ansia. Nessuno probabilmente verrà a cercarmi tra queste case chiuse e disabitate, rifletto con il mio innato senso di sopravvivenza. Avrei potuto facilmente sfondare una di queste porte che ho visto qua vicino mentre arrivavo quasi di corsa, oppure anche una finestra ad un’altezza accessibile, ma qualcuno si sarebbe rapidamente accorto della mia presenza in questi paraggi, e mi avrebbero preso senz'altro subito dopo. Lungo la strada, poco distante, si sente ogni tanto qualche macchina che transita rumoreggiando, anche se questo piccolo borgo sembra proprio abbandonato. Se qualcuno si fermasse proprio qui accanto però, me ne accorgerai immediatamente, e dalla posizione in cui mi sono sistemato potrei sgattaiolare rapidamente dal retro di queste due o tre abitazioni in disuso, e attraverso i campi raggiungere la boscaglia senza alcun problema. Fa freddo però, devo trovare il sistema di ripararmi al meglio possibile per passare la notte in questa tana per i conigli, ma ho già visto qua attorno dei rimasugli di paglia e delle tavole di legno, non sarà difficile appena si farà un po' più scuro sistemare le mie cose.
Mi basterà avere a mio favore qualche giornata di vantaggio, lasciare che tutti vadano chissà dove a cercarmi, e così restarmene nascosto qua dentro senza compiere neanche un errore, perché alla fine, trascorsi i primi momenti, quelli più duri, per me il gioco si farà molto più semplice. Dovrò trovare qualcosa da mangiare, già fin da domani, e questa è la parte realmente più complessa, considerato che se anche mi azzardassi a rubare una gallina da qualche parte, tutto sarebbe compromesso inevitabilmente. Domani mi preoccuperò di questo aspetto, per adesso devo soltanto starmene fermo, immedesimarmi nel paesaggio che ho intorno, rendermi al massimo un invisibile. Ogni rumore, anche lontano, naturalmente rimette in moto dentro me un piccolo stato d’ansia, ed anche quando ho avvertito delle voci, pur molto distanti, ho acuito tutti i miei sensi per tentare di decifrarne ogni dettaglio. Mi sono reso conto che ci deve essere un fiumiciattolo qua dietro, ed oltre quel piccolo corso d’acqua probabilmente sorge un paese, o un gruppo esteso di abitazioni, che da qui però non riesco a vedere. Ci fosse un negozio di generi alimentari potrei tentare una sortita domattina, visto che qualche soldo mi è ancora rimasto, magari fingendo di essere un placido turista soltanto di passaggio, però devo vedere dove può esserci un ponticello, oppure un guado, per passare da quell'altra parte.
Se ripenso a tutto quanto mi viene persino da sorridere. Certe volte, per non farsi notare, basta davvero fingere una calma assoluta ed una notevole indifferenza a tutto quanto. Non puoi essere veramente uno che sta scappando se non hai le caratteristiche adeguate. Anche se qualcuno ti guarda, nessuno ti vede per quello che sei veramente. Un basso profilo è sempre la caratteristica che può salvarti, come quella di stare nascosto adesso, annullando ogni più piccola traccia della tua esistenza. Mi piacerebbe anche a me, come a chiunque, correre subito verso i luoghi che conosco meglio, andare magari dalla mia famiglia, da chi mi conosce, o anche soltanto farmi sentire con una semplice telefonata. Niente di peggio: sarei spacciato in un attimo, tutti saprebbero immediatamente dove cercarmi, stanandomi facilmente e ridendo della mia infantile ingenuità. Ma io so essere un fantasma in certi casi, ed anche se non ho fatto mai niente di male, so mettermi ai margini di tutto, e sopravvivere da me, senza mendicare alcun aiuto.


Bruno Magnolfi


mercoledì 11 marzo 2020

Riunione ovina.



"Non ho niente di nuovo da dirvi", fa il moderatore a voce alta dentro al microfono, mentre i presenti dell'assemblea auto-convocata proseguono nel parlottare sul tema di oggi a gruppetti di tre o quattro attivisti per volta, come cercando nel brusio generale che si è velocemente creato, la parola più giusta da proporre con determinazione a tutti gli altri. "Nessuna novità, nessuna presa di distanza dagli errori fatti in questi ultimi giorni; niente di niente, se non quello che già conoscevamo". Qualcuno a voce alta dice qualcosa, ma senza troppa convinzione, tanto che ogni rimostranza si spegne nell'aria con rapidità, lasciando praticamente a tutti quanti soltanto il compito di uscire dalla sala ed andarsene ognuno per i fatti propri.
Ma è a questo punto, quando nessuno si sta già più interessando di chi sia rimasto o meno sopra al piccolo palco, proprio dietro al tavolino che fino a poco fa era occupato dai soliti esponenti, praticamente quelli conosciuti da tutti e da tutti giudicati gli unici a potersi permettere di prendere la parola, che una donna mai vista a quelle riunioni e fino adesso ignorata, si mette con determinazione dietro a quel microfono sfortunatamente rimasto ancora acceso, e dice qualcosa che obbliga necessariamente a far voltare tutti i presenti verso di lei: "siete soltanto delle pecore", dice senza dare neppure dare troppa enfasi a queste poche parole. "Provo vergogna nel dover rendermi conto di far parte della vostra categoria". Qualcuno subito si sente offeso, altri pensano che quella donna stia solo scherzando, ed altri ancora forse vorrebbero risponderle immediatamente per le rime, ma il suo tono pacato fa in modo di ottenere un silenzio quasi completo, irreale dato il momento, utile per ascoltare il seguito di un tale attacco così diretto.
Ma per tutta risposta la donna piega la testa, guarda qualcosa sul piano del tavolo davanti a sé, ed infine si alza, pur restando lì accanto, senza interessarsi più di niente, tantomeno cercare di spiegare in qualche modo le proprie affermazioni. Ad alcuni sembra addirittura che stia lasciandosi andare ad uno sbadiglio, come a sottolineare la noia terribile che prende soltanto ad intrattenersi con delle persone quali quelle che le rimangono di fronte. Nessuno prende il coraggio di chiederle a che cosa mai si riferisse, e per stemperare il senso di ciò che è stato detto qualcuno inizia a ridere, quasi che la sua sortita fosse stata una battuta di solo e puro spirito.
Lei allora si volta, osserva qualcuno che le rimane più vicino, poi riprende ancora il microfono, e dice senza mezzi termini che è stato un errore venire a perdere del tempo in questa stupida assemblea. “Non mi interessa”, dice con determinazione, “chi sia stato ad avere per primo un’idea del genere; so per certo che non ci sarà alcun seguito a questa specie di dibattito, e che tutto questo in fondo era probabilmente già piuttosto chiaro agli organizzatori di questa sciocca pantomima”. Adesso alcuni applaudono ed altri paiono indignarsi, mentre alcuni tra le solite facce note si precipitano sopra al palco cercando di fermare questa donna, mentre lei, con ferma decisione, scende i due gradini che la separano dalla platea e si avvia con passo fermo verso l’uscita, proprio mentre tutti i presenti si aprono in due gruppi ben distinti per lasciarla passare comodamente fino alla porta. Infine, giunta sulla soglia, lei se ne va, come non ci fosse proprio altro da dire, e se qualcuno ad un certo punto avesse pensato tra sé di fare un gesto per fermarla, alla maggior parte delle persone invece pare non sia neppure passato per la mente.
“Meno male che va via”, dice subito qualcuno; “una persona assurda, una testa matta, incapace di comprendere e rispettare qualsiasi regola della comunità, una che non ha proprio alcuna cultura assembleare, mancando persino anche del minimo senso delle cose che è possibile enunciare o meno in un luogo come questo”.


Bruno Magnolfi



lunedì 9 marzo 2020

Vie del mondo.



Cammino solo, senza fretta, al bordo di questa strada secondaria che si allontana dal paese, mentre i campi e gli orti, subito dopo le ultime case, qui hanno già lasciato larghi spazi a delle macchie irregolari di bosco, e ad alberi sparsi di leccio e di castagno. Una ragazza arriva da dietro e mi supera con la sua bicicletta, poi però si ferma, si volta verso di me e poi mi aspetta, dice buongiorno con un leggero accento straniero quando sono ancora ad una certa distanza, ed alla fine mi chiede se questa sia davvero la località Vecciano, e se io sappia dove si prende la strada sterrata che porta dal pastore Umberto, quello che produce e vende formaggio. “Si”, le fo, “questa località si chiama proprio così, però io non conosco quel nome che mi ha detto, forse la strada che cerca rimarrà probabilmente un po’ più avanti”. Lei intanto è scesa dal sellino, guarda i pedali e le ruote, poi dice che sente ogni tanto un rumore strano. “A lei non dispiace se l’accompagno nella sua passeggiata”, mi fa; “mi sono un po’ stufata di pedalare, così magari posso lasciare qui la mia bicicletta e camminare con lei mentre parliamo”.
“Benissimo”, fo io, “probabilmente il bivio che sta cercando oramai rimarrà poco distante, facilmente subito dopo quel curvone laggiù in fondo”. Adesso che la guardo meglio questa donna, la riconosco come la compagna del nostro sindaco, e quindi mi presento a lei con una certa formalità, anche se siamo in mezzo alla campagna. Lei sorride, sembra molto simpatica, dice che in paese, a parte qualche bottegaio, non conosce ancora quasi nessuno, considerato che è venuta ad abitare tra noi solo da qualche mese; e questo le dispiace, perché lei ha uno spirito solare, e le piace parlare con la gente. “Io e Gianluca abbiamo una vicina di casa che mi racconta quasi ogni giorno la sua opinione su quello e su quell’altro, e certe volte mi trattiene a lungo per spiegarmi le abitudini e i modi di fare di questo paese e di parecchi dei cittadini che abitano qui, ma a parte le chiacchierate con lei, poi mi ritrovo quasi sempre sola”.
Sorrido, penso tra me che dev’essere difficile per chi non è stato abituato, comprendere tutte le sfaccettature che impieghiamo noi, che abbiamo sempre abitato da queste parti, in questi nostri modi di comportarci e di considerare tutto il resto, perciò annuisco, specialmente quando mi dice che non vuole prendere per buona soltanto l’opinione di Gianluca, ma anzi di ogni cosa vorrebbe farsi un’idea propria, una personale convinzione, senza preconcetti giunti a lei da altri. “Lei è una persona molto saggia”, le dico subito; “da queste parti per esempio persistono delle antipatie che durano addirittura da generazioni, tanto che è oramai impossibile ricordarne persino il motivo scatenante, e in ogni caso a nessuno viene mai in mente di porvi finalmente un termine”. Lei mi guarda, so che è giunta qui da una grande città nordeuropea, e a me pare impossibile possa adattarsi davvero ad una vita semplice ed in fondo anche un po’ stupida come quella che generalmente mandiamo avanti noi paesani.
Poi completiamo tutta la curva ed alla fine eccola qua, la strada sterrata che questa giovane ragazza stava cercando, in fondo alla quale, ad un chilometro circa di distanza, si vede già una grande abitazione con magazzini e rimessaggi, dove probabilmente il pastore che a lei avevano indicato, porta avanti il suo lavoro. "Arrivederci", le dico con un gran sorriso. Lei mi saluta con una medesima grande cortesia, mi ringrazia poi di tutto, e dice che spera di ritrovarmi ancora qualche volta lungo le strade della nostra cittadina; "perché spesso i viandanti”, mi spiega in un soffio, “sono proprio le persone migliori che si possono incontrare; quelli che hanno compreso più di altri cosa ci possa essere alla fine di una via".


Bruno Magnolfi



domenica 8 marzo 2020

Fuori posto.



"Ora basta", fa lui, mentre sistema all'attaccapanni il giubbotto bagnato che si è appena tolto di dosso. Lei è rientrata a casa con l'ombrello già da un'oretta, si è sdraiata rapidamente sul divano del loro salotto, con una striscia di carta inumidita sopra la fronte, cercando di ripensare con calma a tutte quelle cose che in questo periodo le sembrano proprio andare malissimo, e quindi ha atteso quasi con rassegnazione il ritorno di suo marito. "Lavorare non può essere una sofferenza", le fa lui adesso, senza girare attorno all'argomento. A lei non piace farsi vedere così da suo marito, e non vorrebbe provocare in lui alcuna reazione, anche se le viene già da piangere, trattenendosi e nascondendo il viso in qualche modo; però osserva il soffitto della stanza, poi volge lo sguardo sugli oggetti della loro casa, e infine, come fa sempre, dice soltanto che tra poco le passerà qualsiasi malessere, e che non deve stare a preoccuparsi. Lei lavora tutto il giorno presso un negozio che produce e vende vari formati di pasta fresca, e mentre la proprietaria sta dietro al bancone, lei, con una collega molto giovane, lavora sul retro, preoccupandosi soltanto degli impasti, dei macchinari, del confezionamento dei prodotti, e di tutto quello che serve per quell’attività. Gli affari vanno bene, ma per quanto lei possa impegnarsi a fondo in quel suo mestiere che svolge ormai da anni, per la titolare non è mai sufficiente, e per ogni ritardo pur piccolo, o per qualsiasi distrazione senza importanza, o per qualsiasi altra sciocchezza possa capitare, è sempre pronta ad attaccarla in malo modo, salvando sempre l’altra soltanto perché è una sua nipote. Già qualche volta lei ha pensato perciò di licenziarsi, ma con il mutuo della casa da pagare non è poi così facile, perciò cerca di resistere, almeno fino a quando le riesce.
Suo marito ha già tentato, almeno in un paio di occasioni, di parlare con la proprietaria dell’esercizio, anche se lei non avrebbe proprio voluto, presentandosi al negozio nell’ora di chiusura e spiegando con maniere il più possibile tranquille, che sua moglie è una persona brava, e che sta cercando di dare il meglio di quanto le sia possibile in quell’attività; ma la vecchia ha mostrato persino a lui il proprio brutto carattere, addirittura sorridendo mentre ascoltava le sue parole, come se tutto ciò che lui si stava sforzando di chiarire, fosse stato da prendere persino poco sul serio, tanto che alla fine, come c’era da aspettarsi, non ha mostrato di cambiare neppure di una virgola il suo atteggiamento decisamente ostile. Allora lui a sua moglie le ha fatto rimettere domanda in altre realtà cittadine di quel genere, compresi un paio di supermercati dove secondo lui avrebbe potuto adattarsi a svolgere attività similari, ma nessuno fino a questo momento le ha mai dato risposta positiva. Lui non riesce per nulla a digerire una cosa di quel genere, e qualche volta, dei malesseri a cui è costretto ad assistere quando torna a casa la sera, quasi ne addossa la colpa proprio a lei, a quel suo carattere secondo il suo parere troppo remissivo, a quell’incapacità, per lui del tutto assurda, di accettare nel silenzio più completo qualsiasi rimprovero le arrivi da una persona proprio come quella vecchia.
Sua moglie lo ascolta ogni volta senza guardarlo, e come sempre non gli risponde niente, neppure a lui, e si rinchiude però sempre di più in se stessa, come non vedesse davanti ai propri occhi una vera via d’uscita da quella situazione. Poi però stasera, all’improvviso, si alza dal divano, si toglie quella carta umida sopra la sua fronte, riprende con calma il suo soprabito e anche l’ombrello appoggiato in un angolo all’ingresso, e senza dare spiegazioni torna ad uscire fuori per proprio conto; e poi si mette a camminare, semplicemente lungo la strada di quel suo quartiere, come se oramai non ci fosse più altro vero spazio per lei, in cui poter sentirsi a posto. 


Bruno Magnolfi


venerdì 6 marzo 2020

Svendita di idee.


     

            Cammino senza fretta a fine mattinata sul largo marciapiede che corre lungo il viale alberato, e lascio che questo sole pallido di oggi mi piova addosso ogni tanto, filtrato a tratti dalle fronde e dai rami sopra di me. Mi fermo poi davanti ad un grande negozio di mobili, e cerco del mio amico, che poi è il figlio del proprietario, anche se da qualche anno orami fa quasi tutto lui, visto che suo padre ormai si è fatto troppo anziano. Un commesso lo va a chiamare, ed eccolo qua, il mio compagno di sempre, fin dalle scuole elementari, colui che non avrebbe mai voluto dover proseguire l’attività della famiglia, e che invece a un certo punto ci si è visto costretto, anche per propria comodità, è giusto dire. Dopo i saluti si va subito a prenderci un aperitivo in un locale poco lontano, ed intanto ci raccontiamo le novità degli ultimi giorni.
            “Forse vendiamo tutto”, fa lui sottovoce, come per togliersi subito da dosso il nodo principale che gli preme. Ci mettiamo seduti ad un tavolino fuori dal locale, ed io, che non voglio mettergli davanti delle domande secche, lascio che lui prosegua nello spiegarmi in autonomia quello che probabilmente succederà al negozio. “Mio padre finalmente si è convinto che con me le cose nel futuro non andranno bene, e prima di veder sparire nei debiti la sua cara attività, preferisce mettere la parola fine ad ogni cosa, devolvendo almeno una buona parte del ricavato della vendita a mia disposizione, e tenendo il resto per la prossima vecchiaia sua e di mia madre”. Naturalmente questo cambia di molto tutti i progetti che avevamo in mente io e lui. Si parla di un mucchio di soldi, è chiaro, e potrebbero essere utili a finanziare uno dei progetti che da anni accarezziamo.
            Ci siamo interessati di musica, in un lungo periodo della nostra gioventù, poi di elettronica, ubriacandosi delle novità che uscivano fuori all’epoca degli elaboratori più evoluti e della programmazione estremamente mirata, per poi lasciarci prendere, dopo qualche altra passione intermedia, dal mondo della cucina e della ristorazione, ritrovandoci a sognare la gestione di un locale tutto nostro, dove sfogare la nostra più forte creatività su piatti particolari e ricercati. Adesso io non dico niente, anche perché uno come me, che non ha mai posseduto dei fondi o dei risparmi, non può pretendere che sia soltanto lui a mettere a rischio dei quattrini. Il mio amico prende un sorso del suo aperitivo, sorride, e poi mi fa: “così ho deciso: se tutto questo accade quindi, per qualche tempo mi godrò la mia libertà ritrovata, visto che stare tutto il giorno tra i mobili, con certi clienti uggiosi che devono per forza arredare la propria casa, è a dir poco estenuante. In seguito, con calma, credo che ti proporrò un prestito con il quale potrai metter su un ristorantino proprio come avresti voluto, trattenendo naturalmente per me una buona percentuale sugli utili.  
            “Ma non è quello che avevamo detto”, gli fo irritato. “Lo so”, fa lui; “ma non puoi pretendere che ci mettiamo in due dietro una cucina a sfornellare tutto il giorno come scemi. Diciamo che io vado ad occuparmi di finanza, e tu coroni il tuo caro sogno di fare finalmente il cuoco”. Prendo un sorso del mio aperitivo, lascio che le parole dette si depositino un po’ come la polvere fine ed il leggero polline degli alberi di questa parte di città; sono perplesso, non farò mai niente da solo, questo è chiaro, e farmi finanziare a tasso corrente, proprio dal mio amico, un’idea che ci aveva riempito le serate come fosse un sogno fino a poco fa, mi pare una tremenda vigliaccata. Mi alzo: “me ne vado”, gli fo secco; “visto che al solo sentir parlare di soldi hai già cambiato tutte le carte sulla tavola. Comunque, se è così, spero proprio che tuo padre ci ripensi, e ti lasci relegato a vendere armadi letti e salotti, considerato quello che vorresti diventare”.

            Bruno Magnolfi

giovedì 5 marzo 2020

Debole ricordo.


        

            Certo, l’alloggio che gli hanno messo a disposizione non è proprio comodissimo, anche se lui è giovane e perciò si adatta bene e velocemente: si tratta soltanto di due stanzette molto alla buona; però, considerato pure che lui deve rimanere soltanto qualche mese a lavorare presso le Ferrovie Nazionali, quella si è subito dimostrata una soluzione decisamente accettabile. Tanto più che il piccolo edificio, forse un vecchio rimessaggio riadattato, è sito proprio al bordo della massicciata, ed ogni giorno, con una semplice bicicletta lungo il viottolo accanto alle rotaie, lui può facilmente raggiungere in dieci minuti l’edificio della Stazione Centrale, dove prendere, presso l’Ufficio per le Manutenzioni, le direttive dei compiti da svolgere e tutte le informazioni che gli servono. Naturalmente è necessario dormire con i tappi per le orecchie, considerato il passaggio anche notturno di parecchi convogli lungo quel groviglio di binari, però “in tempi piuttosto brevi si riesce a fare l’abitudine a tutto”, come gli ha detto sorridendo il suo diretto superiore. Per i pasti poi, rimane a sua disposizione la grande mensa dei dipendenti, in cui può contare su una varietà continua di piatti e di pietanze durante tutto l’arco della settimana, e dove, se vuole fare qualche conoscenza, non è certo un grosso problema, anche per una risorsa fuori sede come lui.
            Di fatto, già durante la prima settimana, lui ha conosciuto per caso questa ragazza timida, una studentessa universitaria, una persona carina e senza tante pretese, e così si sono fatti assieme una passeggiata serale nella zona della grande piazza dove sorge la Stazione. Si sono dati appuntamento per il giorno seguente, naturalmente, e lui ha sistemato al meglio il suo alloggio per invitarla fino lì. “Mi piacciono i tuoi modi”, le fa lui adesso. “Mi ricordano le maniere d’altri tempi, quando forse c’era più rispetto tra le persone”. Lei lo guarda, forse in altri momenti avrebbe potuto anche arrossire per quegli elogi, ma la situazione adesso non le pare adatta a quel comportamento. “Stare qui mi angoscia”, gli fa lei. “Questo posto è di una tristezza esagerata”. “Lo so”, fa lui, “me ne rendo perfettamente conto. Ma non posso far altro che così, devi comprendermi”. Quindi tenta maldestramente di baciarla, mentre transita un treno che fa vibrare leggermente tutti gli oggetti.
            Lei dice che adesso vuole subito andarsene, non le piace rimanere lì, e lui non deve insistere, se le porta almeno un briciolo soltanto di rispetto. Allora lui abbassa la testa, torna ad indossare lentamente il suo giubbotto, e si offre subito di accompagnarla fino al suo studentato, poco lontano dalla Stazione Ferroviaria. Gli argomenti da cercare per quei quattro passi si sono fatti subito difficili, e così restano ambedue a lungo in silenzio, fino a quando giungono al Palazzo degli Universitari. Si guardano ancora per un attimo, si dicono qualcosa senza trovare le parole adatte ed anche il coraggio per darsi un nuovo appuntamento, e poi ognuno pare andarsene per i fatti propri, lasciando alle spalle come una nube di vapore in dissolvenza.
            “Sono uno sciocco”, pensa lui adesso. “Però non è colpa mia se la situazione che si è creata è esattamente questa”. Percorre così, con le mani sprofondate nelle tasche, l’interno sempre affollato della Stazione Centrale, si guarda attorno, avverte quella solitudine che almeno in parte si è del tutto meritato. Poi solleva le spalle, acquista delle sigarette, e lentamente si avvia verso il suo piccolo rifugio. “I treni proseguono ad andare, e anche a venire”, pensa mentre fuma nella notte, accanto ai binari lucidi. “Forse ci sarà un’altra occasione, se soltanto riesco a lasciare dietro le spalle la brutta immagine che ho fornito di me stesso. O forse no; ed allora non ci sarà proprio più nulla a sorreggere ciò che poteva diventare, se non un debole ricordo”.

            Bruno Magnolfi

mercoledì 4 marzo 2020

Caramelle scelte.


         

            "Come state?", mi chiede dopo i saluti di rito questa vecchia zia a cui sono venuto a fare visita dopo lungo tempo, nel timore, rimandando ancora, di non poterla più vedere in vita, oppure di doverle portare un saluto su un anonimo letto d'ospedale, mentre magari stenta addirittura a riconoscermi. "Sto bene di salute", le rispondo io dopo averla abbracciata con delicatezza, e siccome conosco bene la sua proverbiale capacità di leggere, direttamente in faccia alle persone che ha di fronte, tutti i loro piccoli tormenti, aggiungo subito: "però mi sento vuoto in questo periodo, come non avessi più grandi desideri, o non riuscissi come sempre a mostrarmi dritto agli altri". È da dire che questa donna certe volte ti guarda con un occhio acuto, e sa afferrare al volo il rimedio che ci vuole. Però adesso mi osserva, mi guarda anche le mani, ma non sa dire niente, non riesce forse neanche lei a decifrare il mio malessere.
            “Voi da molto tempo siete in cerca di qualcosa”, dice magari soltanto per dare un senso ed una soluzione alle sue capacità. Annuisco, non credo però sia questo il mio problema, so che ho sempre meno voglia di mandare avanti le mie cose, di affannarmi come facevo fino a qualche tempo addietro, anche per dare un significato il più possibile compiuto ad ogni mia giornata, e di mettere in campo continuamente quella curiosità sottile che sempre meno ritrovo adesso tra i miei comportamenti. Non dico niente a questa zia che vive in altra epoca, a chiunque dà del voi, e vive di pochissimo, come se cercasse continuamente il minimo che serve per poter andare avanti. Però mi piace sapere che lei trattiene sempre dentro di sé un’opinione precisa di chiunque abbia davanti, e vorrei tanto riuscire a coglierla, almeno in una parte piccola.
            Con lei non esistono argomenti, se non la propria personalità, il raccontarle qualcosa di se stessi, farle comprendere quali siano le attività ed anche i pensieri a cui dedicarsi nella maggior parte del proprio tempo, come se di quelli si potesse ricavarne un tema, un ragionamento più complesso, un’occasione per riflettere meglio su alcune cose date per scontate. “Certe volte vado ancora al circolo, per ritrovarmi coi miei vecchi amici, e trascorrere un’ora insieme a loro. Ma non mi piace quasi più come una volta”, le fo tanto per dire. Lei mi offre una caramella da un cestino che tiene aperto sopra al tavolo, come si fosse tutti ancora dei bambini, invece di persone diventate anziane, e poi mi dice: “ci sono degli amici che contano molto più di altri, e vanno scelti”. Rifletto, forse qualcosa di giusto c’è in queste parole. E’ vero che non ho una persona a cui riferirmi più delle altre, per esempio; ed è vero che magari quando siamo in quattro o cinque, anche gli argomenti diventano per forza più semplici e più superficiali.
            “La vostra è soltanto solitudine”, dice lei alla fine, mentre si alza lentamente dalla sua sedia; “paura di riferirvi a qualcuno pari vostro, con le parole stesse del cuore, abbandonando i passatempo e le cose più scherzose, tirando fuori poco per volta ciò che celate, e poi ascoltando; già, perché solo ascoltando qualcuno che veramente vi rimane più vicino, potrete essere sicuro di ciò che siete veramente, e non sentirvi ancora vuoto”. Resto colpito da queste sue parole, mentre rimango ancora seduto al tavolino rigirando lentamente in bocca quella sua caramella, e la mia zia però sembra abbia terminato, e con un gesto pare adesso accompagnarmi già verso la porta, forse affinché io possa rimanere solo adesso, a ripensare bene tutto quello che mi ha detto.

            Bruno Magnolfi   

martedì 3 marzo 2020

Finisce così.


          

            “Vai via, lasciami qui”, urla adesso all’uomo quella ragazza seduta su un gradino che fa da soglia ad un portone chiuso, al bordo della strada, dopo che lo ha visto per caso qualche minuto prima, mentre camminava insieme all’altra, la solita sfacciata che oramai ha imparato a riconoscere persino da lontano. Lui le è venuto incontro quasi di corsa, ed ora cerca di dirle le parole migliori e più rassicuranti che gli vengono alla mente, nel tentativo disperato di farla un po’ calmare, ma lei si porta le mani sopra la faccia, e poi ripete che assolutamente non lo vuole più vedere, e che questo è stato il suo ultimo cattivo scherzo, adesso deve soltanto dimenticarsi di lei, completamente.  
            Transitano molte macchine lungo quella strada trafficata, lui si sente imbarazzato da questa situazione, fa un ultimo tentativo ripetendo le parole che peraltro le ha già detto, e dopo questo si allontana, anche perché ha capito che stavolta non ci sarà più nulla da fare, e che lei ha preso delle decisioni da cui sicuramente non tornerà più indietro. Passa qualche minuto, la ragazza ritrova una parte di tranquillità, quindi si alza e dopo un attimo riprende a camminare lungo il marciapiede, con sufficiente sicurezza di sé, ed anche con il passo che aveva prima di quella sua sfuriata.
            “Meglio così”, riflette subito: “un’occasione perfetta per troncare una relazione che non avrebbe mai avuto futuro, anche se come una sciocca ho voluto crederci per forza, fino adesso”. Poi entra in un caffè per prendere qualcosa, e quindi va a sedersi ad un tavolino libero, senza neppure guardarsi troppo attorno. Non ci sono molte persone, e nessuno fa assolutamente caso a lei, che adesso si soffia il naso e si guarda dentro uno specchietto tirato fuori dalla borsa. Le rimane una gran rabbia, soprattutto per essere stata trattata come una ragazzetta di poco valore, una che probabilmente si poteva prendere in giro quanto si voleva, e che alla fine ha perso soltanto un sacco di tempo per uscire insieme ad un verme come lui. “Però a volte le cose vanno così”, riflette adesso, “e come dicono gli anziani, gli sbagli devono servire come degli insegnamenti”.
            Passano pochi minuti e arriva lui, che forse l’ha seguita da lontano fino qui, e adesso, lentamente, si avvicina al tavolo. “Vattene”, fa lei, ma lui si siede con estrema calma, ed invece di rispondere ordina un caffè al cameriere. “Non credo ascolterò neppure una tua sola parola”, gli fa lei senza guardarlo, e difatti lui non dice niente, si limita ad osservarla, forse a riflettere su quanto è appena accaduto, sulle frasi con cui potrebbe fare il tentativo di spiegarsi, magari inutilmente. La ragazza non lo guarda, controlla le sue cose dentro la borsetta, forse potrebbe andarsene da quel locale, ma presumibilmente lui le andrebbe ancora dietro, e le cose si farebbero più complicate.
            Lui prosegue col silenzio, lei lo ignora, nessuno si preoccupa di loro, e intanto passa il tempo, in una stallo che non sembra possa concludersi con facilità. “Adesso me ne vado”, dice lei dopo lunga riflessione. “Tu resti qui, seduto, per almeno altri dieci minuti, e dopo non cercarmi più, altrimenti mi metto a gridare subito, anche qua dentro, le peggiori cose su di te, e sono sicura che in quel caso ci sarebbe un sacco di gente pronta ad aiutarmi e pure a difendermi”. Lui non dice niente, sembra rassegnato a lasciarla fare quello che le pare, senza più preoccuparsi di lei, come avesse compreso finalmente che non c’è più niente da inventare, la loro relazione si è spezzata, non ci potrebbe essere niente capace di imbastire una riparazione, nessun accorgimento, nessuna fasciatura sopra la ferita. Lei poi si alza dal tavolo, raggiunge lentamente la porta del locale, l’apre, ed infine se ne va, decisa, convinta perfettamente di aver trovato la migliore soluzione per tutto quello che le è capitato. Lui la guarda con rassegnazione mentre esce, esprime un saluto struggente sottovoce, poi finisce il suo caffè, senza averne più neanche la voglia.

            Bruno Magnolfi