lunedì 30 settembre 2013

Un segreto per gli altri.



In fondo alla strada c'è l’abitazione dei Guidi, circondata dal loro grande giardino sempre in ordine, curato, con dei cespugli di fiorellini costantemente appena sbocciati in qualsiasi periodo dell’anno. Tutto il vicinato spesso ne parla, ne tesse le lodi, certe volte perfino in presenza proprio dei Guidi, che raccolgono volentieri quegli apprezzamenti trascorrendo molte ore ad occuparsi di quell’angolo di verde, e da un po’ di tempo sembra si sia scatenata addirittura una gara per chi riesce a rivolgere loro il complimento più forte, il maggiormente azzeccato, lasciando in aria, lungo i marciapiedi di tutta la zona, superlativi e compiacimenti generalmente stucchevoli. Teodoro in apparenza non se ne cura di questi argomenti, ma se fino a poco tempo fa proprio per evitare l'osservazione diretta di quelle fastidiosissime bellezze tanto care a chiunque, affrontava a piedi un giro più lungo del solito per recarsi alla fermata di quartiere dell'autobus, da qualche tempo ha invece ripreso a passare proprio da lì davanti, quasi per mostrare che a lui non riguardano per nulla le siepi e le aiuole, e che quegli argomenti patrimonio di molti non sono cose che lo toccano minimamente.
Lui passa sopra al marciapiede con lentezza, quasi con noncuranza, le mani dentro le tasche, il passo ben cadenzato, ed evita costantemente di voltarsi anche soltanto per guardare il giardino o la  casa dai balconi fioriti dei Guidi, e neppure per sbaglio concede a quella proprietà anche solo una semplice occhiata minuta. Quella di Teodoro sembrerebbe quasi una stupida provocazione, una maniera per tenersi alla larga dai Guidi e dagli altri suoi vicini di casa, ma il punto è che se incontra qualcuno lungo quel tragitto, normalmente si limita perlopiù ad un piccolo cenno, tirando di lungo per la sua strada, e se avvista un qualsiasi componente proprio di quella numerosa famiglia, anche solo il figlio minore che frequenta la scuola elementare, volta risolutamente la faccia dalla parte opposta, fregandosene di ciò che possa pensare chiunque, e quindi anche i Guidi.
Teodoro ha sempre avuto buoni rapporti con tutti, questo va riconosciuto; non ha mai coltivato rancori con nessuno in particolare, e poi neanche adesso ritiene che ci siano validi motivi di disaccordo con coloro che lo conoscono da tutti quegli anni che abita il suo piccolo appartamento in quella via. Bada ai fatti propri, questo è il punto, ci tiene a ribadirlo, e anche se non cerca di recitare la parte dello scostante, generalmente imposta ogni scambio di opinione con gli altri sulla base degli aspetti semplici e poco conflittuali, o almeno così gli è sempre parso. Ma da quando la famiglia dei Guidi è venuta ad abitare in quella villetta poco distante, a lui pare che qualcosa non sia più come prima.
Un giorno un vicino ferma Teodoro e gli chiede senza perifrasi che cosa ne pensi delle veroniche e delle cinerarie multicolori che negli ultimi giorni paiono nascere spontaneamente in quel paradiso della botanica. Lui osserva il suo conoscente quasi come si sentisse disorientato; raccoglie i pensieri cercando un'espressione adeguata, e infine dice soltanto che a lui certe cose non lo interessano. L'altro insiste: ma avrà pure un'opinione in proposito una persona che, come lei, abita e vive da sempre a tutti gli effetti in questo quartiere. Teodoro lo guarda, riflette, e infine risponde: si, ce l'ha, ma la tiene celata, in modo che nessuno possa appropriarsene.


Bruno Magnolfi

lunedì 23 settembre 2013

Indisperatamente.


          Lei sembra tranquilla adesso, ma è soltanto dispiaciuta una volta di più per essersi rivolta a Leonardo in modo forse un po' troppo aggressivo, prendendolo a male parole in fondo solo perché ha detto semplicemente di sentirsi stanco. Lei forse non l’avrebbe neppure voluta una reazione del genere, ma certe cose le vengono ormai del tutto spontanee, ed adesso si sente depressa, soprattutto perché non vorrebbe mai vederlo in questa maniera: le appare perdente, disarmato, persino troppo remissivo rispetto a quello che lei gli ha appena detto, come consapevole di una propria manchevolezza, cosa che lei neppure riesce a comprendere: lo vede quando lui abbassa lo sguardo, mentre lascia tra le sue parole delle pause di silenzio, e quell’incredibile e improvviso mostrarsi quasi indifferente a tutto ciò che intorno gli sta succedendo. Reagisci, pensa lei dentro di sé in questi casi; ma in genere Leonardo non trova altro da dire, limitandosi forse a registrare i comportamenti di lei, quei suoi sguardi, quei modi, niente di più. Negli ultimi tempi lei sente di non riuscire a resistere a questa sua maniera di essere, allora mostra una furia e un’insofferenza ancora più forte, tramite la quale vorrebbe quasi infondere in lui la carica che pare mancargli, ed è in questi momenti che riesce a dire cose delle quali, inevitabilmente, si pente subito dopo.
         Lui adesso la guarda con neutralità, quasi con indifferenza, probabilmente il suo pensiero naviga già lontano da lì, non appare minimamente attratto da quell’inizio di discussione, e lei così si sente sbagliata, e la sua rabbia va quasi a stemprarsi in un piccolo dolore che prova, una sottile angoscia che non ha alcun altro rimedio, secondo lei, se non il tempo, e l’impegno gravoso con se stessa per cercare di cambiare. Dovremo smetterla di stare insieme, ha detto lui una volta dopo uno scambio del genere, e a lei venne da piangere ma si trattenne, impose a se stessa di trattenersi. Adesso si aspetta che da un momento all’altro Leonardo possa ripetere una frase del genere, e questo pensiero da solo già le procura l’angoscia che prova. Tira su con il naso come fa sempre, e in un attimo sembra subito tranquilla, ma in realtà è fortemente preoccupata di come sta evolvendo la loro difficile situazione.
         Non riesce a controllare per nulla quel senso di frustrazione su cui lui al contrario sembra fare completo affidamento, e non accettando questo sentimento non riesce ad accettare neppure Leonardo. Spesso pensa che ci sarebbe bisogno di qualcosa di nuovo tra loro due, qualcosa che venisse ad infrangere quel piccolo giro vizioso che ormai sembra quasi obbligatorio nei loro comportamenti. Per questo certe volte si ritrova a ridere sguaiatamente, oppure a inserire un entusiasmo eccessivo in qualcosa che vede o che pensa. Infine, quando è da sola, si sente sbagliata in tutto quello che fa, ed è consapevole che in questa maniera non può continuare, anche se non riesce a comprendere dove stiano realmente gli errori, dove le cose da sostituire alla svelta tra loro due. 
       Scendo mezz’ora al bar d’angolo, dice Leonardo tanto per levarsi da casa. Lei annuisce, lo guarda mentre chiude la porta dietro di sé, poi dalla finestra mentre si allontana lungo la strada con il suo passo incolore, le mani sprofondate dentro le tasche, l’aria di chi vivrebbe benissimo, forse, in qualsiasi altra maniera che non fosse quella. Sa perfettamente adesso che sono i suoi atteggiamenti, le sue stesse parole il problema, ma il cambiamento le appare difficile, lontano, complicato oltremodo, e allora torna alle cose di sempre per galleggiare, e continua a sperare che il tempo cambi autonomamente qualcosa per lei, magari proprio dentro di lei.

          Bruno Magnolfi

mercoledì 18 settembre 2013

Tempi attuali.

            
            Sto seduto da solo ad un tavolino di questo locale, bevendo una birra che mi ha servito da poco il cameriere, ma ho la sensazione, in mezzo ai tanti clienti che sono qui per passare il tempo, salutarsi, giocare al biliardo e offrirsi reciprocamente caffè ed altre bevute di qualsiasi tipo, di essere regolarmente osservato da molti, qualcuno di loro addirittura indicando di nascosto nella mia direzione, e insomma fatto oggetto di occhiate e attenzioni. Evito per qualche minuto di guardarmi troppo in giro, come mostrando un distacco, e mi concentro per questo sul mio bicchiere e su un taccuino in cui tengo annotati i miei numeri di telefono, ma la sensazione che qualche individuo qua dentro continui a scrutare ogni mio minimo movimento non mi abbandona neppure per un istante. Attendo ancora impassibile, mostrando un certo distacco nei confronti di tutti quei piccoli gesti e ammiccamenti nei miei confronti che immagino si perpetuino tra questa gente, poi mi alzo dalla sedia come per cercare qualcosa dentro una tasca: una matita, un foglio di carta, non so neppure io; e durante questa ricerca guardo un passante, come fingendo di aver riconosciuto qualcuno che sta casualmente transitando sul marciapiede, affinando la vista attraverso la grande vetrata accanto al mio tavolo; poi torno a sedermi. Per un attimo cerco di capire se forse ho graffiato un’auto parcheggiando sbadatamente la mia, come peraltro in alcune occasioni è già accaduto, ma oggi sono arrivato fin qui semplicemente a piedi, e quindi niente del genere può essere successo.
            Un uomo serio e ben vestito si avvicina verso di me muovendosi trasversalmente in mezzo alle tante persone, mi osserva con intensità soffermandosi per un lunghissimo attimo, infine va a sedersi insieme a degli altri. Forse dovrei andarmene subito da qui, penso; pagare velocemente la mia consumazione e guadagnare l’uscita cercando il più possibile di non essere notato. Raggiungere la strada, perciò, e sparire il più in fretta possibile, evitando persino di voltami indietro; ma qualcosa mi trattiene ancora: è come se preferissi osservare negli occhi questi oscuri individui che mi tengono costantemente sotto il tiro dei loro sguardi, delle attenzioni precise che continuano a mostrare per ogni mio pur minimo movimento, piuttosto che fingere di non essermi accorto di nulla. All’improvviso mi sento la fronte imperlata di sudore, qualcuno penso addirittura che rida delle mie difficoltà, di queste mie evidenti incertezze. Continuo a cercare di fingere indifferenza, ma so per certo che ormai tutto si sta complicando, e anche se non comprendo con precisione da chi debba difendermi e soprattutto per cosa, sono convinto però che il mio futuro, da ora in avanti, sarà differente, e che qualcosa di importante sta accadendo proprio qui, accanto a me.
            Infine sto male, mi alzo, devo per forza andarmene in bagno, raggiungere quella piccola porta che si apre sul fondo di questo locale: barcollo leggermente tra gli altri tavoli, penso che potrei addirittura lasciarmi cadere in qualche modo lungo questo pavimento, ma cerco di tenere duro, alla faccia di tutti, e mi sento quasi sicuro di poter mostrare loro di che pasta son fatto. Proseguo perciò, do compimento ad ogni mio piccolo gesto, mostro coerenza, posso raggiungere poco per volta ogni obiettivo che mi prefiggo, penso, ed alla fine, rimasto per un attimo da solo nella piccola stanza del bagno, mi guardo allo specchio, mi passo un po’ d’acqua sopra la faccia, ed ho la completa certezza che adesso potrò uscire definitivamente e senza voltarmi da questo locale, e che in questa maniera sarò anche sicuro di aver voltato una pagina importante, in mezzo a questa difficile congiuntura.


            Bruno Magnolfi

venerdì 13 settembre 2013

Orribile mondo.

            
            Le strade del quartiere sono quelle di sempre, inutile percorrerle sperando di trovarvi qualcosa di nuovo. Teresa sa di essere anziana, ma continua a camminare ugualmente, osservando le poche persone che incontra sui marciapiedi, il suo giro ormai è praticamente dettato da un semplice automatismo, e da quando il medico le ha quasi imposto di farsi quella camminata ogni pomeriggio per almeno un’ora, lei ha percorso praticamente tutti i tracciati possibili attorno alla sua abitazione, anche se tutto questo affannarsi certe volte le appare insulso e persino un po’ inutile. Va avanti comunque, evitando addirittura di rifletterci troppo, e passa e ripassa dai medesimi posti, osserva i portoni chiusi dei condomini, i vecchi muri coperti di scritte assurde e perlopiù incomprensibili, i platani immobili lungo il viale, e tira diritto anche se incrocia ogni tanto qualcuno che conosce almeno di vista: lascia un saluto, certo, a volte un sorriso, ma poi va avanti senza scambiare neppure una parola, perché il medico le ha detto che non deve interrompersi, deve mantenere costante quel ritmo del passo.
            Teresa cammina, va avanti a compiere i giri di sempre, ma un uomo la ferma, le chiede qualcosa, lei non porta mai con sé la sua borsa, alla sua età sa che qualcuno potrebbe cercare di strappargliela, ma quello insiste con strani discorsi, poi la spinge contro un portone, le assesta uno schiaffo, dice che vuole i suoi soldi e che non gli importa se lei non ne ha: andiamo assieme fino al tuo appartamento, le dice in modo violento, e intanto di nascosto le mostra un coltello. Teresa piange, ha paura, abbassa la testa, dice va bene, si avvia verso casa con l’uomo al suo fianco, ma intanto si guarda attorno, cerca un possibile aiuto da qualcuno che forse conosce, ma tutti adesso tirano dritto, non la notano neanche, e poi sanno che con lei non ci si deve neppure fermare.
            I due arrivano così davanti al portone del suo condominio, Teresa apre alla svelta con la sua chiave, dice all’uomo che può aspettarla dabbasso, se vuole, lei andrà a prendere quello che ha dentro casa, e tornerà subito, ma l’uomo non si fida, le va dietro, entra anche lui in malo modo nel piccolo appartamento del primo piano; e all’improvviso, una volta ormai dentro casa, lei si rivolta: vai via, gli dice fissandolo dura con determinazione; guarda dove abito, lo vedi da te che non posso aver soldi, ho soltanto qualche ricordo che per me ha un valore molto maggiore di quello che tu potresti farti pagare. Potrei essere la tua mamma, gli dice, e tu appena uscito da qui con le mie povere cose, potresti pentirti profondamente di quello che hai fatto, anche se sarebbe ormai tardi, e non riusciresti più a tornartene indietro.
            L’uomo resta immobile, forse un filo leggero di vergogna lo attraversa, e allora cerca di dire semplicemente che è disperato, che non sa più come fare per mangiare qualcosa, e se è arrivato a quel punto è soltanto perché non trova altre strade. Teresa lo guarda, si rende conto che ciò che dice è la verità, così alla fine tira fuori da un cassetto un ciondolo d’oro: ecco gli dice, posso darti questo, non è legato a niente della mia vita, ma a te può esserti utile. All’uomo gli si riempiono gli occhi di lacrime, dice che forse adesso non vorrebbe neppure accettare, ma alla fine lo prende, si gira, non sa proprio come accomiatarsi a quel punto, se ringraziarla o se correre via, perché ormai si sente del tutto confuso; mi scusi, dice soltanto alla fine: certe volte sembra di vivere soltanto in mezzo ad un mondo schifoso, ma in altri casi si comprende che non è sempre così.


            Bruno Magnolfi

martedì 10 settembre 2013

Accoglienza.

            
            Mi rannicchio su un comodo sedile imbottito in fondo a questo vagone del treno locale, ci sono pochi passeggeri a quest’ora, e ascolto con attenzione il ritmo delle ruote che scorrono sopra ai binari, lasciando che tutti i miei problemi volino fuori da qui assieme all’aria che accarezza all’esterno le lamiere di metallo, le parti meccaniche, le maniglie delle porte, il vetro dei finestrini. C’è persino qualcosa di familiare in un luogo pubblico come questo, qualcosa che adesso mi pare persino protettivo, anche se capisco perfettamente quanto il mio comportamento si mantenga su un equilibrio un po’ precario, a cavallo tra intimità e incomprensione.
            Non so neppure da cosa stia fuggendo davvero, sono salito qua sopra quasi senza pensare: forse per un momento mi aveva attraversato soltanto la voglia puerile di andarmene dai soliti luoghi di sempre. Via dalla città, ho riflettuto, una corsa serale nella vasta provincia ad affrontare qualcosa di nuovo, di diverso, ecco il ragionamento di base. Adesso aspetto soltanto di avvistare la divisa del controllore, poi credo mi chiuderò a chiave dentro la ritirata qui accanto, e scenderò di gran corsa alla prima fermata del convoglio, quando il personale di servizio apre le porte e va sul marciapiede, perché non ho alcun biglietto, non ho valigia, non ho neppure i documenti personali, sono un niente, penso, forse soltanto un fastidio.
            Avrò freddo più tardi, uscirò da una piccola stazione di paese e affronterò una piazza qualsiasi, con due o tre persone che parlano e un caffè ancora aperto, e camminerò in fretta, allora, come rincorrendo qualcosa che neanche immagino, lasciandomi alle spalle la maggior parte possibile di tutto, senza pormi alcuna domanda. Cadrò per la stanchezza in un angolo, quando la notte si farà sentire di più, e chiuderò gli occhi girando lo sguardo verso l’interno, ma non per cercare in me la chiarezza, ma soltanto per ritrovare me stesso, almeno ancora una volta. Domani, con la luce del giorno, qualcosa probabilmente accadrà, e qualcuno forse si sentirà solidale con me. 
            Per adesso il treno procede, sembra quasi sospeso nell’aria, poi frena apparentemente con delicatezza, e qualcuno si avvicina dalla mia parte, mi osserva senza insistenza, poi dice qualcosa che però non riesco a comprendere. Sono sporco, immagino, ho la faccia scura e la barba di cinque o sei giorni, chiunque guardandomi riesce a capire di quale categoria io sia parte. Poi rifletto più a fondo: no, non lo so quale sia la stazione prossima, anzi non ne ho la minima idea, non so neppure verso dove ci stiamo realmente dirigendo. L’uomo di fronte a me mi regala un’altra semplice occhiata, poi guarda il tabellone in alto che indica tutto il tragitto.
            Torno a rannicchiarmi proprio come prima, ma adesso la mia intimità se n’è andata, così cerco qualcosa dentro una delle tasche di questa giacca bisunta, ma non trovo niente. L’uomo si volta, torna indietro lungo il corridoio colorato, il treno sta per fermarsi, guardo in giro se per caso ci fosse il controllore, ma all’improvviso sento di essere solo, forse come mai mi sono sentito. Siamo fermi, le porte pneumatiche scorrono, scendo sul marciapiede, sotto la pensilina, e dietro di me c’è ancora quell’uomo. Non si preoccupi, mi dice, questa è la stazione di un paese accogliente.


            Bruno Magnolfi 

giovedì 5 settembre 2013

Perfetto. (Pausa n. 5).

            

            In fondo non ha poi alcuna importanza questa bramosia di comprendere, di interpretare al meglio queste giornate e anche tutta questa stagione. Non importa affatto essere o sentirsi all’altezza di questi momenti, riflette Corrado mentre rientra al molo con la sua piccola barca a vela dallo scafo di legno. Il vento quel pomeriggio è girato lentamente verso ovest come molte altre volte ha già fatto, ma questo non significa per nulla che domani sarà una cattiva giornata, pensa, oppure estremamente ventosa. E’ così, pensa ancora Corrado allentando la scotta, proprio nella stessa maniera per cui anche se credo che il mio continuare ad uscire in barca sia solamente per una assodata abitudine, ciò non significa che poi non sia bello farlo, magnifico anzi, come star qui in questo momento a respirare l’aria di mare, e questa brezza così dolce e piacevole.
            Sul piccolo molo c’è sua moglie ad attenderlo, perché lei in genere è ansiosa, e quando Corrado fa qualche bordo con la sua piccola barca, lei non lo perde di vista, spesso aiutandosi anche con un vecchio binocolo. Si sente anziano lui, a volte stanco, ed anche se rimprovera sempre sua moglie di essere una persona terribilmente cocciuta in quel suo non volerlo mai perdere di vista neanche un momento, sa bene che se non fosse per lei probabilmente avrebbe da un pezzo tirato in secco lo scafo, lasciando semplicemente il fasciame ad allentarsi al sole d’estate sopra l’invasatura.
            Gli piace anche sapere che c’è, che lo osserva, anche se sa che per nessun motivo al mondo lei metterà mai piede sopra la sua piccola barca. E’ come se sua moglie ritenesse del tutto necessario, nella personalità di suo marito, quel suo misurarsi periodico durante la bella stagione, con quei venti non sempre troppo leggeri, e quella vela che a volte si gonfia a dismisura e sbanda lo scafo, fino a impegnare l’uomo quasi al suo limite. Lui a volte ci pensa, e non riesce a comprendere completamente a quale necessità corrisponda tutto quel comportamento: sa però che è così, quasi come un elemento acritico dei loro modi di essere, difficilmente modificabili.
            Lei certe volte lo aiuta quando rientra al molo di attracco: gli tiene la prua al vento mentre lui cala la vela e sfila la scotta dai bozzelli, e allenta la drizza, ripone il timone, la deriva e tutte le altre attrezzature prima di fissare la cima alla bitta di ormeggio, per poi rientrare con lui nella loro casetta d’estate poco distante. Ma lui quest’anno, per parecchi giorni, ha lasciato la barca attraccata al molo quasi senza neppure guardarla: Corrado pensa, riflette con attenzione, attende che sua moglie forse gli chieda qualcosa, lo incoraggi ad armare lo scafo e ad uscire, ma lei non lo fa. Da pensionati quali sono ambedue, mantengono un ritmo di vita monotono, orari dei pranzi e delle cene sempre gli stessi, comportamenti che sono quasi fotocopie gli uni degli altri; e lui adesso si intestardisce ad attendere un segno, forse gli basterebbe una sola parola, oppure che lei affrontasse una volta per tutte l’argomento di quella sua barca, ma in questo attendere Corrado invece le parla di tutto, compra del pesce al mercato, le propone aperitivi al caffè, passeggiate romantiche lungo la riva del mare e tante altre cose del genere, ma niente di quanto vorrebbe succede davvero.        
La fine dell’estate poi si fa avanti senza che Corrado, da molte settimane, sia più uscito a farsi un giretto con quella sua barca. Allora va al molo da solo e incolla sopra la prua un cartello che ha preparato: vendesi, recita quel piccolo rettangolo di cartone, poi se ne torna nella loro casetta di legno. Lei non chiede niente, trascorrono in questa maniera ancora due giorni, poi lui torna al molo, sempre in solitudine, quasi a sincerarsi che la sua barca ancora galleggi. Il cartello però non c’è più, qualcuno lo ha tolto con attenzione, asportando ogni residuo della colla e del nastro che era servito per tenerlo attaccato. Corrado riflette, ma quella sera si sente silenzioso, non dice quasi niente a sua moglie, anche se cenano insieme e poi vanno a passeggiare sul mare come fanno ogni sera.
            Il giorno seguente però lui tira giù dalla rimessa la vela e tutte le attrezzature della sua barca, giusto forse per far prendere a quelle cose un po’ d’aria, e con quei sacchi sopra le braccia si predispone ad andarsene al molo. Sua moglie lo guarda, poi delicatamente lo tira a sé con un mezzo sorriso, e infine lo bacia sopra la bocca: non serve altro, pensa lui, è tutto perfetto così.

            Bruno Magnolfi