lunedì 29 novembre 2021

Nessun seguito.


            Quando suona la prima campanella, tutti i ragazzi entrano nel loro liceo senza troppa fretta, scorrendo il vasto corridoio fino ad infilarsi in piccoli gruppi nella propria classe. Qualcuno ha già battuto una mano sulla spalla di Lorenzo: si è saputo in giro del suo acclamato concerto tenuto al jazz club quel fine settimana, e in diversi hanno anche scoperto che di quella formazione, di cui lui è il batterista, fa parte persino Franca Neri, quella ragazza della loro classe, di poche parole, sempre un po’ per conto proprio, che fino ad oggi non ha mai rivelato a nessuno di suonare il pianoforte. Ancora qualche frase di compiacimento, poi ognuno raggiunge il proprio banco, appoggia i libri, si siede, in attesa dell’insegnante della prima ora. Franca non c’è oggi in classe: forse è ancora lì a godersi il successo della musica suonata nel locale, oppure le è venuta un po’ di febbre per l’intensità delle emozioni che ha provato. Lorenzo ne è dispiaciuto, desiderava molto parlare con lei questa mattina, magari durante la pausa tra una lezione e l'altra, e dirle così che era felice dei risultati della loro musica, che gli piaceva molto stare insieme a lei, che non riusciva a stancarsi mai di quei suoi modi. "Più tardi le farò una telefonata", pensa adesso istintivamente, ma come per alleggerire quell'assenza inaspettata; "o magari le invierò un messaggio con il cellulare".

            Poi arriva l’insegnante di letteratura italiana, la signora Sarti, ed osserva per un attimo tutti i ragazzi della classe; quindi sorridendo si rivolge subito a Lorenzo, con maniere e parole semplici, per annunciargli, casomai non lo sapesse, che è appena uscito sul quotidiano cittadino un articolo sulla loro recente esecuzione musicale: <<molto incoraggiante>>, gli dice; <<sembra quasi, per il giornalista, che in giro ultimamente non si trovasse più nessuno disposto a suonare della musica come quella che riuscite a portare avanti voi col vostro gruppo>>. Lorenzo la ringrazia, in parte si sente intimidito dai tanti complimenti, così osserva di sfuggita gli altri ragazzi che lo guardano, e gli pare di poter raccogliere improvvisamente i frutti dei suoi diciotto anni dedicati a quella musica. I complimenti naturalmente sono rivolti adesso anche alla pianista, oggi sfortunatamente assente, visto che il giornale riporta in calce i nomi di tutti i componenti del quintetto. Lorenzo si sente maggiormente dispiaciuto, adesso che la mattinata poteva rivelarsi il giusto coronamento del sacrificio, suo e di Franca, di suonare e credere in quella loro musica, quasi da non sentirsi degno di quelle parole che comunque apprezza. Poi si passa subito ad esaminare i temi scolastici, ma lui, nel chiuso del suo banco, scrive immediatamente un messaggio a Franca: <<Come stai? Qui stanno tutti dalla nostra parte. Ed io sto dalla tua. Fammi sapere presto come va>>.

            Lontano da lì Simone invece si sente disperato, anche se non può far altro che aspettare l’arrivo di qualche notizia su di sé. Ha telefonato a sua madre, che non chiedendogli niente di particolare, ha dimostrato subito di non essere al corrente del suo maldestro tentativo di sequestrare Franca. Quindi la ragazza non ha fatto il suo nome, almeno per adesso. In ogni caso, più trascorre del tempo e più le sue speranze di appianare tutto quanto si fanno probabili. Però lui comunque si sente male nei confronti della ragazza, che non avrebbe proprio voluto spaventare, come invece è successo, e che gli era stupidamente parso potesse addirittura stare al suo gioco, almeno per una serata, e fargli avere, tramite suo padre, qualche soldo di cui sente forte la necessità. “Idee da idiota”, pensa adesso, “che non avrebbero mai potuto avere un seguito positivo, neppure se avessi preparato le cose con una maggiore cura”. La sua fortuna, comunque, è stata soltanto quella di avere avuto, con estrema rapidità, un ripensamento totale, e poi l’abbandono di quel suo progetto.

            <<Sto bene>>, risponde subito Franca a Lorenzo; <<ho avuto solo un piccolo problema, per questo oggi non sono venuta a scuola. Però mi fa molto piacere tutto quello che mi hai scritto. Domani ci sarò>>. “Forse dovrei dirgli tutto quello che è successo”, pensa però un attimo dopo; “anche per mettermi al riparo da ulteriori problemi che forse potrebbero anche insorgere. Ma è difficile, e poi devo riuscire a ripensare tutto quanto senza l’appannamento che mi provoca la paura che ho provato”. Quindi scende dall’auto di sua madre, e camminando insieme a lei entra dentro la Stazione della Polizia, per rispondere ad alcune domande generiche sui fatti, nella maniera esatta come si sono svolti, e per firmare una regolare denuncia contro ignoti, che probabilmente, così almeno le è stato detto, non avrà comunque alcun seguito.

 

            Bruno Magnolfi

             

sabato 27 novembre 2021

Istinto da evitare.


            Sto già nella mia cameretta, a sistemare le ultime cose per domani, avanti di coricarmi, e riguardo distrattamente un piccolo disegno a matita che ho fatto ieri, tra un servizio e l’altro, in questa villa dove svolgo praticamente l’attività di tuttofare. I coniugi Neri probabilmente si trovano nella loro camera da letto, vista l’ora, proprio dalla parte opposta della villa, e qui da me non giungono rumori. Invece è proprio la signora che arriva di corsa trafelata a chiamarmi, a un certo punto: <<Caterina, per favore, vieni subito>>, mi fa. Infilo le scarpe alla svelta e le vado dietro lungo il corridoio. Il signor Carlo è lì, nell’ingresso, con il telefono in mano, che sembra quasi pazzo mentre cerca di assumere un contegno, o trovare una soluzione a qualcosa, non saprei.  <<Ma che succede>>, chiedo sottovoce alla signora, senza comprendere niente dalla scena. <<Stai con noi>>, fa la signora sul punto di piangere, <<magari ci sarà bisogno di te fra non molto>>. Suonano da fuori, vedo dei lampeggianti, aziono il cancello automatico in fondo al vialetto, dopo che il signor Carlo mi ha chiesto di far entrare subito all’interno di casa le forze della Polizia. Giungono dentro la villa in tre, e rivolgono ai Neri una fila di domande, ma non sembrano affannati, anzi: cercano di riflettere, di comprendere qualcosa che non appare neanche a loro del tutto chiaro. Sembra sia giunta una telefonata di qualcuno che sta tenendo in ostaggio la signorina Franca, ma a me sembra quasi uno scherzo, stento perfino a crederci. Loro prendono degli appunti, installano subito delle apparecchiature elettroniche sul tavolo del salone, e intanto si tengono in contatto con la centrale o con qualcuno che è rimasto fuori sul loro mezzo, con certe altre attrezzature tecniche.

            Non si sa bene cosa si stia aspettando, trascorrono dei minuti tesissimi, ma uno di loro dice ad un tratto che il cellulare pur spento della ragazza è localizzato molto vicino, e addirittura in avvicinamento. Non passa molto che giunge in fretta dal cancello della villa uno dei poliziotti rimasti fuori, proprio insieme a Franca, seria e pallida, ma assolutamente in piena salute. La signora Carla perde ogni controllo e si lancia immediatamente ad abbracciarla mentre piange e trema senza alcun ritegno, ma anche il signor Carlo non riesce ad essere particolarmente razionale. Franca viene fatta sedere, dichiara di stare benissimo e che è stato soltanto uno stupido scherzo di un ragazzo mezzo ubriaco di cui adesso non ricorda neppure il nome. Le vengono rivolte ancora alcune domande da parte dei poliziotti, ma poco dopo, vista la loro inutilità nel trattenersi ancora, riprendono rapidamente tutte le strumentazioni e se ne vanno, riservandosi di interrogarla meglio domani mattina nella sede del Comando. Preparo subito una tisana rilassante per tutti quanti, e i signori Neri adesso sembrano ad ogni attimo come sul punto di ridere per niente, o di parlare sguaiatamente a voce alta, quasi gridando, nel tentativo forse di placare la paura che si sono presi.

            La signorina Franca invece sembra non avere neppure troppa voglia di star qui: dice soltanto che l’esibizione del suo gruppo di jazz, in quel locale dove suonavano stasera, è andata molto bene, anche se purtroppo le è stata rovinata la soddisfazione da questo scherzo idiota. Suo padre le tiene una mano e la guarda senza riuscire più a staccare gli occhi dal suo viso, e sembra come poco fa una persona del tutto diversa da quella che conosco. Poi dice che per lui quelle telefonate sono state terribili, e che in un attimo ha sentito di perdere tutte le certezze su cui ha sempre fatto forza. <<Devi essere più accorta>>, dice alla figlia, <<e imparare a diffidare delle persone che non conosci bene>>. Franca annuisce, ha lo sguardo a terra, ma non sembra troppo abbattuta, piuttosto è come se stesse facendosi più adulta al’improvviso, direttamente sotto gli occhi di questi suoi spauriti genitori. Quindi tutti a letto, è persino troppo tardi, un buon sonno farà soltanto bene.

            Metto a posto le cose, porto le tazze sporche in cucina, riordino le sedie smosse, poi mi ritiro anche io nella mia cameretta. Negli occhi però conservo quelle espressioni spaventate che ho visto questa sera: potrebbero essere i soggetti giusti per un bel disegno, penso, o anche più di uno; qualcosa da iniziare subito, immediatamente. O magari no, rifletto meglio: perché prima deve forse trascorrere almeno un po’ di tempo, in modo da far acquisire, a questi miei pensieri di adesso, una posatezza che adesso non ho, e in maniera che siano capaci di perdere la carica di un segno troppo affrettato. Sarebbero soltanto dei frutti acerbi, altrimenti; persino troppo istintivi.

 

            Bruno Magnolfi

mercoledì 24 novembre 2021

Evidente sofferenza.


Come un improvviso flusso d'aria, che forma una debole corrente tra due aperture opposte di un appartamento, qualcosa trascina le giornate quasi non fossero costituite da tanti piccoli, diversi, spesso insignificanti avvenimenti, e mostrassero invece un'unica natura, quasi un vincolo di collegamento tra di loro, più o meno un medesimo procedere. Non ci sono fratture, nessuna interruzione, ogni elemento costituisce nell’insieme un plasma omogeneo che sembra disegnare tutto il percorso, come una lumaca mentre striscia lungo il muro. Tanti elementi che si saldano, perdendo, nel procedere, la propria unicità. Poi, in tutto questo muoversi e agitarsi quasi senza uno scopo concreto, e questo ridere sguaiatamente, come si fossero comprese d’improvviso delle ragioni nascoste per comportarsi in questo modo, giunge qualcuno che sostiene di aver individuato l’errore di base del sistema, per cui nulla, di ciò che è stato accolto fino adesso come vero, si possa ora considerare effettivamente come la realtà; piuttosto, sembra d’improvviso come una foto ritoccata, un’immagine falsa, anche se realistica; un disegno ben fatto, ecco tutto; una finta prospettiva, insomma, una facciata che copre una natura differente.

Non è possibile, si dice in certi ambienti; non voglio neppure crederlo. Eppure qualcosa si è strappato, e l’apertura ha mostrato subito a tutti la carne viva, tanto che ricomporre adesso quella struttura per cercare di ripararla, non sembra neppure più fattibile. Si mostrano espressioni serie, facce tirate sopra a dei pensieri tetri, quelli di chi deve progettare di nuovo tutto il percorso, perché la strada seguita fino ad ora, purtroppo, sembra proprio non portasse in nessun luogo. Che importa, tirare avanti senza avere un vero senso che muove ogni nostra azione, dice qualcuno; ci possiamo abituare, si vive alla giornata, forse è persino sufficiente dare la colpa di tutto a qualche tizio molto in vista, ed abbracciare così una causa semplice, che intenda attaccare finalmente il nostro grande nemico, qualsiasi esso sia, per sentirsi in questo modo realizzati, delle vittime costrette a soccombere sotto al tallone del potere, individuato in qualche modo con i nostri semplici mezzi. Importante adesso è reagire, indipendentemente dalle motivazioni. Così dimentichiamo tutto e diamo addosso al primo che ci capita, perché già soltanto una riflessione più profonda pare immediatamente una qualsiasi debolezza, e così è bene evitarla.

Questo pensa Franca, ormai da sola dentro la sua stanza; e ad un comportamento ordinario, che in condizioni più normali le sarebbe stato direttamente suggerito dalla situazione stessa che si è creata attorno a lei, lei si è opposta, appena pochi minuti fa: prendendo tempo, minimizzando quanto è accaduto, descrivendolo, ai propri spaventati genitori, come uno scherzo venuto male e basta. Nessun nome, almeno non adesso, soltanto un gran bisogno di dimenticare in fretta tutto quanto. Ma dentro se stessa, lei riflette meglio e bene su come Simone abbia voluto amareggiare la sua bellissima serata. C’era la necessità, dentro quel ragazzo, come di sporcare ai propri occhi qualcosa quasi di perfetto, pensa Franca ora. Quindi il restringere tutto quanto dentro un gesto solo, per mostrare così tutta la sua forte sofferenza e il proprio folle disagio, nello stridore, tra quel se stesso spettatore di un successo e quel successo stesso, di un ragazzo in evidente difficoltà, messo di fronte ad una ragazza che suona il pianoforte in un meraviglioso gruppo jazz, esprimendo se stessa con i suoni, in faccia a lui che, tutto al contrario, non riesce ad esprimere assolutamente niente.

“Non posso condannarlo”, pensa ancora Franca, “anche se non desidero certo rivederlo. Si tratta adesso di non dire niente a mio padre di quanto è accaduto, e soprattutto di non fargli capire chi sia stato a fare quella deprecabile telefonata minatoria, anche se lui tornerà ogni giorno a chiedere quel nome ed una spiegazione più esauriente di quei fatti”. Le cose poi, fortunatamente, sono rientrate in fretta a casa sua, e anche le forze dell’ordine, immediatamente intervenute, non hanno più insistito, accogliendo la spiegazione dell’amico ubriaco e dello scherzo. Ma adesso è dentro di lei il problema, all’interno di Franca e della sua coscienza: perché non è certo troppo facile restare del tutto distanti e indifferenti, di fronte alla dimostrazione di una simile evidente sofferenza.

 

Bruno Magnolfi           


lunedì 22 novembre 2021

Senza una briciola di saggezza.


            E’ fatta la frittata. Proprio adesso, ora che mi sono giocato tutto e ho perso. Non posso neppure tornare a casa, almeno fino a quando non capirò quali siano i risultati, lì pronti ad aspettarmi. Devo dormire nella mia macchina, evitare luoghi conosciuti, sparire agli occhi di chiunque, e poi attendere. Attendere un segno, un gesto, un risultato. Sono nelle mani e nelle parole di una ragazzetta, che può fregarmi tutto, oppure può salvarmi, senza che io sappia minimamente cosa farà. Era spaventata, lo so, comprendo il suo stato, e appena rientrata in casa forse ha sibilato subito il mio nome; oppure no. Suo padre avrà voluto sapere ogni dettaglio, le avrà estorto sicuramente tutti i particolari, abituato com’è a conoscere tutto quello che succede; oppure no. Resisti Franca, penso; non dirgli niente delle mie stupidaggini, non fare il mio nome, inventa qualcosa: un amico ubriaco, uno scherzo scemo, una sciocchezza senza conseguenze; oppure no.

            Non lo so; il mio è un delirio. Volevo stare vicino a questa ragazzetta, capire tutto di lei, come se fosse chissà chi, come se tra le note del suo pianoforte ci fosse stato fin dall’inizio il mio destino, come se lei fosse lì per aver compreso tutto anche di me e di ogni altra cosa, come se potesse lei spiegarmi, farmi capire, dirmi, proprio lei, quali scelte compiere. E poi non ho più resistito, e allora: <<Franca>>, le ho detto; <<passa attraverso di te il mio futuro; e il mio riscatto di persona destinata al niente; di uno stupido, proiettato in mezzo a tutti come un numero. Tu che hai la testa e anche tante altre possibilità, fai uno sforzo adesso, porgimi una mano>>. Sembrava facile, e invece era soltanto un trabocchetto, l’avvisaglia di una scorciatoia falsa, impossibile, soltanto assurda. Mi sono fermato, <<questo adesso lo devi almeno riconoscere>>, perché mi sono reso conto d’improvviso che la mia scorciatoia avrebbe soltanto fatto male a tutti.

            Adesso puoi inventarti un pezzo nuovo sul tuo pianoforte, magari con dei suoni lenti, dolci, armoniosi, che mostrano la vertigine di una mente disgraziata come la mia, che normalmente porta tutto fuori strada, senza volersi abbassare al suo destino innato. Lentamente, si perde ogni razionalità, si vaga per un cammino di cui non si comprende neppure il senso, e ci si perde, perché non si può far altro. Forse era già prevista un’interruzione brusca tra il nostro tentare di conoscersi, perché il corto circuito tra ragazzi così diversi come siamo noi, arriva rapido, senza che neppure lo vogliamo. Adesso puoi semplicemente rovinarmi, e far mettere alla porta anche mia madre, che lavora a casa tua da tanti anni. Non so neppure con chi io stia parlando, forse con me stesso, per mettere in fila tutti i miei guai. Perché con Franca non potrò più parlare, questo almeno appare chiaro. Non potrò più neppure avvicinarla, qualsiasi cosa accada. 

            Per un attimo, giusto poco fa, mi sono sentito quasi un guerriero, insieme a lei al mio fianco, come se la vittima potesse stare dalla parte del carnefice. Mesi e anni trascorsi a costruire qualcosa che serva nel futuro, e poi azzerare di colpo ogni futuro, questo ciò che si è verificato. Ho creduto per un attimo nel riscatto di tutto questo tempo dentro un gesto solo, e nel massimo del gesto sono caduto, forse per il mio stesso orgoglio. Chissà come doveva andare tutta la faccenda dentro la mia testa, adesso non riesco più neppure a stabilirlo. Ma so soltanto che da forte come mi sentivo, ho raggiunto in quell’attimo il massimo possibile della debolezza, consegnando me stesso nelle mani di questa ragazza, che forse ha semplicemente scambiato con me qualche parola qualche volta, e magari anche soltanto per pena o cortesia, considerata la diversità profonda che ci ha sempre separato. Sono nelle sue mani, comunque, e mi ci sono messo da solo.

            Chiudere gli occhi, e far trascorrere in un attimo tutto il tempo che mi serve per diventare un altro, per modificare la struttura di tutti i miei pensieri, e togliere da dentro di me quel dolore che a volte provo per non riuscire ad essere pacato, serio, senza quei colpi di testa che mi caratterizzano. Vorrei essere un anziano, adesso, uno di quelli che girano osservando con attenzione tutto il mondo, e poi portare con me, proprio come loro, quella piccola saggezza che mi manca, quel senso delle cose giuste, fatte bene, che non mi faccia mai restare nella bocca l’amarezza che ho provato già in certe situazioni; la stessa che, in questo momento, sembra quasi il sapore vero della mia esistenza.

 

            Bruno Magnolfi

sabato 20 novembre 2021

Nessun'altra possibilità.


            I ragazzi sono contenti. Adesso hanno mille idee che continuano a girare nelle loro teste, anche se la preoccupazione più importante rimane quella di non farsi prendere stupidamente dal piccolo successo riscontrato in questa serata fortunata, di fronte ad un pubblico particolare, composto persino da qualche giornalista, e poi da molte persone attente e competenti, e magari scordare in fretta così i propri veri scopi. Gli elementi giusti per questo piccolo concerto si sono allineati bene proprio da subito, ancora prima di iniziare a suonare dentro al locale, forse per una serie di combinazioni favorevoli, forse per il nuovo assetto della loro formazione, ma essenzialmente perché il calore della gente, stipata in questa piccola sala, si è mostrata come la molla più efficace, capace di spingere fin dall’inizio il loro jazz difficile proprio verso i territori che tutti sembravano desiderosi di ascoltare. Adesso che ormai è tardi, e quasi tutti sono andati via, loro rimangono piacevolmente in silenzio, mentre continuano a riavvolgere i cavi dell’amplificazione e a rimettere al loro posto gli strumenti; anche perché sarà soltanto la riflessione attenta di ogni dettaglio sonoro che hanno proposto sulla piccola pedana di questo club, che potrà permettere loro di spingersi in avanti, di maturare i suoni giusti, di trovare i fraseggi più adeguati, ed elaborare i pezzi ancora meglio di come li hanno suonati questa sera.

            In diversi tra i presenti, una volta terminato di esibirsi, hanno sentito il dovere di complimentarsi con questi ragazzi per la buona qualità della musica che hanno fatto ascoltare, e tutto è sembrato comunque piuttosto spontaneo e naturale, proprio come il loro genere, che in fondo tenta di coniugare in modo semplice due realtà distanti come il free jazz e il funcky. Alcuni hanno poi apprezzato particolarmente la pianista, una ragazza giovane ma già determinata e tecnicamente molto forte, assolutamente affiatata e in linea con i suoi compagni. “Un tempo continuo e uniforme di percussioni, una linea di basso con pochi fronzoli, degli interventi di tastiere su scale minori, e poi fraseggi delicati di suoni tra i due fiati”, questo verrà scritto domani in una recensione. “Una musica semplice e anche complessa, che mescola tante cose diverse, conservando però una matrice propria, un’idea di fondo personale, insomma un proprio stile”.

            Lorenzo non è rimasto molto contento quando Franca se n’è andata in fretta con quel Simone, subito offerto di accompagnarla a casa. Avrebbe voluto forse che rimanesse qualche altro minuto, magari per poter parlare ancora un po’ di tutto: della musica, del futuro, dei ragazzi del gruppo, forse anche di loro due. In fondo è lei che pur giungendo solo adesso a far parte del quintetto, ha dimostrato di riuscire ad essere subito il baricentro di tutti i loro suoni. Lui è molto soddisfatto di averla presentata agli altri, anche se non sa bene come gestire questi sentimenti che gli nascono dentro all’improvviso, riconoscendo che non si era quasi accorto di Franca al liceo, prima di sapere che suonava il pianoforte. Solo ora si rende conto che lei possiede delle capacità notevoli, non ultima quella di saper ascoltare gli altri. ed intervenire nei momenti più adeguati.

            Sembra che si sia aperta ormai una nuova fase per il loro gruppo: tutti gli altri ragazzi parlano apertamente di come strutturare i nuovi pezzi basandosi sugli accordi del pianoforte, ed anche i momenti più estemporanei, nelle loro parole, sembra che debbano essere sempre sorretti dalle sonorità della tastiera. Fare musica non è una cosa semplice, pensa certe volte Lorenzo mentre è solo. Bisogna sentire dentro di sé la spinta per elaborare ogni dettaglio, e poi metterla a disposizione di tutti gli altri, in maniera che si crei quel tessuto capace di favorire qualsiasi scambio. Suonare il proprio strumento in solitudine è assurdo, riflette ancora. Viene a mancare il senso delle cose, come se qualcuno parlasse a voce alta di se stesso, ma senza riferirsi a niente e a nessuno. Mi manca, pensa ancora Lorenzo. Vorrei sapere tutto di lei; e poi le sue opinioni, i suoi piccoli segreti, la sua maniera di affrontare ogni giornata. Dovrò parlarle, decide d’improvviso; indipendentemente dalla musica e dal nostro gruppo. Devo stare con lei, vicino a lei, anche solo per guardarla respirare. Non vedo per me proprio nessun’altra possibilità.

 

            Bruno Magnolfi    

giovedì 18 novembre 2021

Rapita e liberata.

 

            Adesso che lei è qui, accanto a me, proprio dentro la mia macchina, continuano a venirmi in mente una gran quantità di pensieri assurdi, insieme a certe idee addirittura malsane, insensate, e poi perfino a dei guizzi rapidissimi di pura pazzia. Naturalmente cerco di scacciare velocemente dalla mia testa tutte queste scariche di adrenalina, ma loro sembrano prenderla d’assalto, e poi la circondano, la riempiono, la paralizzano quasi, e a me non permettono neanche di riflettere nient’altro. Guido nervosamente l'utilitaria attraverso la città, lei ha già chiesto qualcosa sulla musica che tutti abbiamo ascoltato nel locale, forse soltanto per parlare un po’, ed io le ho risposto con parole isolate, frammentarie, come fossi fortemente concentrato su altri argomenti. Invece mi è piaciuto molto tutto il concerto di stasera, soprattutto l’incredibile capacità che ha mostrato Franca nello stare concentrata su quel suo pianoforte, ed infilare un suono dietro l'altro come se non avesse mai fatto altro che jazz in tutta la sua esistenza. L'ho amata mentre suonava, ho sentito di riuscire a respirare la medesima aria sua, come per una immedesimazione diretta in lei, nel suo talento, nel suo plasmare i suoi suoni, con quella incredibile sensibilità così reattiva nei confronti degli altri ragazzi del suo gruppo. Ma non posso dirle tutto questo, non troverei neppure le parole adatte, e poi devo essere freddo adesso, come se lei fosse per me una persona quasi del tutto estranea.

            Svolto rapidamente verso la periferia mentre guido, e Franca si accorge immediatamente che non siamo sulla direzione giusta, però non dice niente, lascia che sia io casomai a spiegarle tutto, perché è evidente che dovrò darle a un certo punto almeno una giustificazione di quello che sto facendo. Accelero, sono nervoso, lei si accorge benissimo del mio stato alterato, così mi chiede sottovoce, ma quasi con indifferenza, verso dove ci stiamo dirigendo, anche se io non le rispondo subito, e attendo ancora un po’, come per guadagnare tempo. Infine ci lasciamo alle spalle le ultime case di città con i lampioni stradali fiochi e radi, e dopo qualche altro metro, vado a fermare la mia macchina vicino ad un distributore automatico di benzina, dove c’è abbastanza luce, ma non si vede in giro anima viva. <<Devo rapirti>>, sbotto senza guardarla mentre spengo il motore. Lei ride nervosamente. <<Stai scherzando>>, mi dice. Le getto un’occhiata: <<purtroppo non ho scelta>>, le faccio; <<tu rappresenti tutto ciò che io non sono; quindi devo osservarti, studiarti, capire molte cose di te; e poi farmi dare un bel po' di quattrini dalla tua famiglia>>.

            <<Sono stanchissima>>, fa lei; <<dai, per favore, portami a casa>>. Io intanto scendo dalla macchina, rapidamente prendo il suo zaino dal sedile e ne tiro fuori il cellulare. Compongo il numero, e camuffando la mia voce dico in fretta a chi risponde che Franca sta bene, ma non può tornare a casa. Poi riaggancio. <<Ti stai rovinando>>, dice Franca conservando una calma che adesso mi colpisce. <<Ti prenderanno subito, non potrai mai riuscire in una cosa di questo genere>>. <<Zitta>>, dico a voce alta mentre cerco di riflettere su quale sia il prossimo passo. Ci vorrà mezzo milione, penso, si potrebbe fare tutto in fretta, e già per domani ogni cosa tornerà al proprio posto. Lascio partire una seconda telefonata verso lo stesso numero, e adesso mi risponde il padre di Franca, lo riconosco subito, così dico alla svelta che deve mettere insieme la cifra che ho pensato, il prima possibile, avanti che a Franca succeda qualcosa di spiacevole. <<E nessuno provi a chiamare la polizia>>, sottolineo svelto; <<altrimenti succederà l’irreversibile>>. Poi riattacco.

            Franca adesso è spaventata, ha capito benissimo che faccio sul serio, che il meccanismo ormai è scattato, e che non posso più tornare indietro. Piagnucola tenendosi la faccia con le mani, e a me dispiace molto vederla così, mi piacerebbe quasi dirle che era uno scherzo, che è tutto a posto, che adesso può smetterla di piangere. Sono spaventato, non so neppure io cosa sia meglio fare, mi sento in una posizione in cui ogni scelta si fa più complicata. Per un attimo avevo pensato che le cose si sarebbero dipanate con facilità, come per una serie di suggerimenti concatenati l’uno all’altro, ma non è vero. Rientro in macchina, avvio il motore, e a tutta velocità arrivo fino alla villa dove abitano i genitori di Franca. Mi fermo a quasi cento metri, le dico di scendere, e che sia lei ad inventare qualcosa di plausibile, che non faccia troppo male a nessuno di noi. Franca prende lo zaino, il cellulare, la custodia con la sua tastiera; poi scappa verso casa sua.

 

            Bruno Magnolfi         

martedì 16 novembre 2021

Pronta a difendere tutto.


            Il mare era tranquillo quel giorno; un vento leggero di bonaccia sonnacchiosa sembrava essere stato capace, durante la notte, di calmare poco per volta qualsiasi moto ondoso, lasciando in quella mattinata di sole la superficie dell’acqua come una tavola azzurra, una distesa aperta e leggera, soltanto una dolce massa trasparente e rinfrescante per gli occhi. La fotografia che ho tra le mani risale a diversi anni più indietro, ora mi ricordo esattamente il momento: ero con Franca, in una di quelle giornate autunnali piene di luce, quando in spiaggia non ci va più quasi nessuno, e noi due a quell’epoca ci eravamo regalate due giornate per noi, un fine settimana senza pensieri, lontane da tutto, sistemate in una pensione ancora aperta lungo quel litorale. Camminavamo senza scopo sulla battigia, si rideva di sciocchezze, lei era ancora la mia bambina, forse l’ultima volta che mi è sembrata davvero così, e a me giungeva dal largo del mare l’impressione di essere davvero felice, spensierata, senza il tormento di alcuna preoccupazione. <<Mamma>>, diceva Franca correndo sopra la sabbia, <<è tutto così bello oggi; vorrei non cambiasse mai nulla>>. Le sorridevo, la prendevo per mano, poi andavamo a sederci accanto ad una barca capovolta. Osservo ancora quella foto semplice, scattata da un signore con il suo cagnolino, incontrato per caso, e provo lo struggimento di qualcosa che in seguito è quasi sfuggito ai miei desideri.

            Forse mi aveva già avvertito qualcuno, dicendo che la crescita inesorabile di Franca avrebbe scatenato in me un progressivo senso di solitudine, ma non avevo immaginato fosse davvero possibile, o almeno non con quella forza che in seguito si è dimostrata. Lo so, sono le sue scelte, anche quel prendere le distanze da ciò che la sua famiglia le rappresenta, l’imparare a camminare da sola, senza più alcun sostegno, in assenza dei troppi legami che renderebbero in seguito tutto ancora più difficile. Però è doloroso osservarla sganciarsi poco per volta dai suoi genitori senza poter fare nulla per evitare questo passaggio. Con questi pensieri riguardo ancora un momento la foto, ed infine la vado a riporre insieme alle mie cose, in mezzo alla nostalgia che sempre mi procurano i miei più intensi ricordi. Per certi versi sono stata proprio io ad incoraggiarla nel perseguire a fondo i propri interessi, come qualcosa per cui valga la pena combattere, e Franca ha fatto esattamente così, nonostante suo padre non avesse mai evitato di mostrarle le sue reticenze.

            Riconosco che lei ha avuto fin da piccola una sua forte personalità, ed anche se a me piacerebbe oggi poterla ancora guardare in una certa maniera, mi devo convincere che oramai Franca è una donna, una persona che ha compreso perfettamente i meccanismi maggiori che regolano la realtà, ed io non ho da raccontarle quasi più nulla per indirizzare di nuovo i suoi desideri, come fosse ancora bambina. Devo accettare quindi, non posso fare altro. Il problema è suo padre. Carlo mi ha già spiegato varie volte di non essere troppo contento dell'andamento che hanno preso le cose, ma con lei per adesso si è limitato a sbuffare qualche volta e niente di più; però io avverto che nell'aria si stanno addensando le nuvole classiche di un gran temporale, uno di quelli che in un attimo ti bagna interamente di pioggia e di vento, nonostante l'ombrello. Ho cercato già di mediare, naturalmente, ma tutto ciò che posso fare capisco benissimo che non sarà mai sufficiente ad evitare lo scontro. Non riesco a far fronte in una maniera adeguata alle cose che vedo, questo è il punto; perciò tendo sempre di più a darmi forza per mezzo dei sentimenti che già conosco, quelli che riguardano il passato della mia famiglia, come per farmi schermo verso quanto forse ci aspetta.

            Franca poi non mi racconta quasi più niente di quello che fa quando esce da casa. Si reca al liceo, poi al Conservatorio, e anche dal maestro Bottai qualche volta; ma poi fa le prove con questo gruppo di jazz, come fosse una pianista già navigata, una musicista piena di capacità e d’esperienza. Ci si è buttata in mezzo a questa faccenda, come fosse la sua vera strada, ed io non so più dirle niente, non riesco neanche a chiederle qualcosa a riguardo. Trascorre molto tempo fuori dalla nostra abitazione, e Carlo ha già cominciato col dire che sta tralasciando i suoi studi liceali, che ha preso una strada sbagliata, che è necessario farla riflettere. Non lo so, non mi aspetto niente di buono prossimamente; in ogni caso Franca è mia figlia, ed io sarò sempre pronta a difenderla.

 

            Bruno Magnolfi  

giovedì 11 novembre 2021

Enormi verità.


            Simone è un bravo ragazzo. La sua mamma da quando è nato lo ha tirato su, anno dopo anno, completamente da sola, con tante rinunce e parecchi sacrifici, e lui soltanto quando ha raggiunto la maggiore età ha iniziato a rendersene conto davvero. Per questo oggi si trova talvolta a disprezzarla, lei e il suo mestiere di cuoca, perché sa di doverle molto, di essere stato per lei anche il motivo principale per cui tirare avanti, in certe giornate. Non vorrebbe sentirsi così, però non ne può fare a meno, tanto che adesso cerca sempre di darle un aiuto, proprio per coprire il suo sentimento nascosto. Ed è anche consapevole di assomigliarle in moltissime cose, e che il tratto di esistenza che lui si trova davanti, ad iniziare da subito, probabilmente non sarà molto diverso da quello compiuto da sua madre fino a questo momento. Simone comunque coltiva dentro di sé un modello di donna molto diverso da lei, anche se riconosce che sua mamma non ha potuto scegliere mai, ed è sempre stata costretta a percorrere le strade che si è trovata di fronte. Così lui prova spesso un'insofferenza a cui non si sente di trovare una motivazione diversa da questo generico e innato malessere che lo accompagna, quasi un dolore esistenziale, ed anche i lavoretti precari che si trova ad accettare come cameriere, secondo il suo parere, sono semplicemente la conseguenza logica di tutti gli aspetti irrisolti che oramai trascina con sé. Si reputa una persona sensibile, sotto quella scorza che cerca di mostrare durissima, e forse per questo non si fa troppe illusioni sul proprio futuro.

            Frequenta qualche altro ragazzo scombinato come lui qualche volta, anche se spesso trascorre delle serate in giro da solo, quando risulta libero da impegni di lavoro, anche per non avere mai degli obblighi con nessuno. In certe occasioni intravede Franca, la figlia dei signori Neri, almeno quelle volte in cui lui va a prendere con l’utilitaria la sua mamma, che lavora nella cucina di quella villa, e gli sembra una ragazza invidiabile e fortunata, ma non tanto per essere nata in una famiglia di ricchi, quanto perché vede in lei una persona con la possibilità di scegliere davvero cosa farne della propria vita. Frequenta il liceo con ottimi voti, suona il pianoforte, studia al Conservatorio, adesso sta persino in un gruppo di jazz, tutto quello che per lui semplicemente sarebbe sempre apparso del tutto impossibile. Per questo stasera Simone si è spinto fino in questo piccolo locale da solo, perché là dentro c’è Franca con il suo gruppo di suonatori intellettuali che si esibiscono proprio stasera, e lui vuole ascoltarla, vuole sapere tutto quello che fa, desidera rendersi conto di quali siano i suoi scopi, cosa le passi dentro la testa, quali siano i suoi orizzonti, quali le sue necessità. È difficile per Simone avere chiari i propri intenti, e di fronte ad una domanda di questo genere non saprebbe proprio che dire; però sa che adesso vuole capire, conoscere, immaginare, sentirsi vicino a quello che Franca cerca di essere.

            Resta quasi immobile per tutto il tempo, nel buio in fondo alla sala, ed ascolta con un certo impegno quella musica così difficile; poi, quando loro hanno finito e Franca sembra abbia smesso di ridere e di parlare con tutti, lui l’avvicina con timidezza, le fa i complimenti, e quindi si offre di accompagnarla a casa con la propria utilitaria, lei e la sua custodia rigida con dentro il pianoforte elettronico. Lei adesso sta accanto a Lorenzo, anche perché è la persona che conosce meglio là dentro, ma lui ha soltanto un vecchio motorino, non può accompagnarla. E’ arrivata fino al locale con un tassì, e naturalmente pensava di tornare indietro nella stessa maniera, ma l’offerta di Simone non le dispiace, così può anche sentire da lui un parere obiettivo su ciò che ha ascoltato. Lorenzo appare impacciato, forse non vorrebbe vederla andar via con un tizio più grande, ma non può fare niente, non gli è neppure possibile opporsi, lui è soltanto un amico di Franca, nient’altro. Si offre di portarle la tastiera fino alla macchina, che fortunatamente non è molto distante, poi la saluta, ed infine torna indietro, ad aiutare gli altri del gruppo a rimettere a posto le cose dentro al locale.

            Franca è contenta, tutto sta andando nella maniera migliore per lei: le dispiace vedere Simone sempre con quell’espressione abbattuta, quindi gli spiega il solito concetto che lui conosce a memoria, per cui se le cose si desiderano veramente, a volte è possibile persino vederle realizzate. Lui annuisce, non sopporta le frasi ad effetto, in ogni caso sa che per quanto riguarda la ragazza che gli siede accanto, in questo momento tutto ciò sembra proprio una grande verità.

 

            Bruno Magnolfi

martedì 9 novembre 2021

Attesa risposta positiva.


            “Iniziano quasi ogni brano con dei suoni distesi, pacati, mescolando piccole frasi strumentali in un’atmosfera completamente atonale, organizzando piccole tensioni che tendono in seguito a distendersi. Poi alcune volte si riconosce una linea di basso che richiama gli altri verso un nucleo armonico, ed alla fine giungono una serie di accordi del pianoforte che tendono come a completare tutti i valori sospesi. Gli altri a quel punto iniziano a muoversi, generalmente senza fretta, su una delle scale modali, ed anche le percussioni strutturano comunque un ritmo più o meno cadenzato. Non dura molto, i fiati sono i primi a rompere il gioco, e tutto confluisce nuovamente nell’alveo dei suoni liberi, ma sempre su dei toni piuttosto smorzati.” Difficile rendere il senso di un’esperienza complessa come quella di ascoltare della musica di chiara provenienza free jazz, però ripensata con maniere gentili, senza urla, senza alcuna ricerca del grido tirato. Pare quasi, in certi momenti, di trovarsi davanti ad un quintetto da camera, una combo gentile e garbata, capace di mescolare con strumenti tradizionali tanti linguaggi diversi, fondendo facilmente tra loro culture e reminiscenze lontane, quasi un elenco completo e disordinato di idee.

            “Il locale è il solito jazz club, come ce ne sono tanti ormai in ogni città; piccolo, disadorno, mal illuminato, dove le prime sedie per il pubblico sono accostate alla pedana dei musicisti, quasi nel tentativo di mescolare quei ruoli. La musica si tocca davvero in luoghi del genere, letteralmente, ed anche se spesso vi si possono incontrare solamente i soliti appassionati, ugualmente stasera si respira un’aria diversa, che non sa di risaputo, e che si inoltra per nuovi sentieri, seppure riconoscibili.” Come spiegare quando qualcosa ti prende, ti stuzzica, ti colpisce, anche se non ne vedi nell’immediato una ragione precisa? Perché chi sta suonando non si permette di fare il virtuoso del proprio strumento, piuttosto sa lasciare continuamente all’altro la possibilità di introdursi, di fraseggiare, di esprimersi, nella ricerca continua di un vero dialogo sonoro. Non si avverte alcuna necessità di primeggiare in una musica del genere, e in questa maniera si apprezzano gli spunti, gli accenni, addirittura le piccole citazioni.

            “La bravura di questi ragazzi sta proprio nel cercare di non scavalcarsi mai l’uno con l’altro, e di evitare continuamente gli assolo sparati a cui qualcuno forse è più abituato, lasciando la contemplazione, per un pubblico attento come questo, di un’atmosfera dipanata, senza sforzi, quasi rarefatta in certi momenti.” La difficoltà di chi suona non sta nello spremere lo strumento per cavarne fuori mille sonorità complesse, ma di lasciare al contrario che la semplicità di ogni suono avvolga una struttura composta da tanti piccoli tasselli, di eguale importanza l’un l’altro, lasciati come un mosaico a galleggiare su una musica spesso libera da ingombranti strutture. “Qui si attinge ad un archivio mentale di elementi diversi, e si elabora in senso creativo strutture melodiche e armoniche in tempo reale, nell’interazione e nel rispetto di ognuno, all’interno di un gioco strumentale  continuo di tutti quanti i componenti del gruppo”.

            <<Mi è proprio piaciuto>>, dice G.M. ad un conoscente che ha incontrato davanti al bancone di legno del jazz club per un’ultima bevuta, prima di andarsene via, per scappare a riscrivere rapidamente gli appunti sul pezzo in pubblicazione domani. <<Forse non siamo neppure più abituati ad ascoltare una musica del genere, anche se è l’alternativa più forte al prodotto di largo consumo>>. L’altro sorride, e quando si volta ci sono proprio due dei ragazzi del gruppo di jazz, quelli che per primi hanno finito di riporre i propri strumenti, ed adesso si sono fermati lì accanto, forse per bere qualcosa anche loro. <<Ci fa molto piacere>>, dicono sottovoce sorridendo la pianista ed il batterista, inarcando la testa in mezzo alle spalle, come a mostrare quasi un infantile moto di timidezza. <<Eppure non ci voleva molto ad inventare una musica così>>, dice ancora il giornalista; <<era sufficiente pensarci>>. Il tono è molto cordiale, i ragazzi spiegano in due parole le loro recenti esperienze fino a stasera; G. M. naturalmente prende appunti, e sembra molto contento di essersi imbattuto in due strumentisti così giovani e freschi per una musica talmente fuori dalle mode come quella che hanno proposto stasera, perciò chiede ancora qualcosa sui ruoli all’interno della loro formazione, ed infine rinnova con enfasi i suoi complimenti.

            <<Se qualcuno ci aiuta, addirittura vorremmo fare a breve una registrazione seria del materiale che abbiamo suonato stasera. Magari per riversarlo poi su un vinile>>, dice Lorenzo, il batterista. G.M. allora si volta mentre sta uscendo: <<Stiamo a vedere che cosa succede dopo la pubblicazione del mio articolo sul giornale di questa città; magari la risposta positiva che adesso cercate potrà giungere proprio da lì>>.

 

            Bruno Magnolfi

domenica 7 novembre 2021

Altrimenti nulla.


<<In fondo sono quasi contenta>>, dice la prima ragazza alla sua amica mentre si stanno accomodando dentro al locale. Si sono date appuntamento proprio là dentro, di sicuro anche per incontrarsi con certi amici che naturalmente adesso sono già in ritardo, ma soprattutto per venire ad ascoltare un nuovo gruppo che suona musica free jazz, del quale negli ultimi giorni si parla molto in giro, in questa specie di buco adibito a club dove comunque si beve, si ascoltano delle sonorità dal vivo, si trascorre forse una serata un po’ diversa da qualsiasi altro posto di tutta la città. <<Certo>>, fa l'altra; <<soltanto in questo modo potevi comprendere>>. Scelgono un tavolino libero, si siedono, si guardano in giro. Per il momento vengono diffuse certe datate registrazioni di Miles Davis tratte dal suo periodo acustico, ma non è detto che la musica rimanga la medesima ancora per molto. Arrivano altri nel locale, e in mezzo a tutti anche gli amici delle due ragazze, così per un attimo si sprecano sorrisi, baci e saluti, fino a quando tutti decidono finalmente di sedersi. <<Difatti, adesso ho capito>>, fa la tizia di prima senza alzare troppo la voce. <<Voi avete sempre dei segreti>>, dice uno dei ragazzi appena giunti, magari soltanto per mostrare che lui sta sempre attento a ciò che gli succede attorno. Le ragazze lo guardano, sorridono, trattengono i loro pensieri dietro a delle maschere di ordinaria socialità, anche se è evidente quanto abbiano in profondo disprezzo i ficcanaso.

La musica per il momento non è ad un volume troppo alto, si può parlare, anche se al loro tavolo, escluse le ordinazioni rivolte ad un giovanotto vestito strano che si occupa di servire quella ventina di clienti già presenti, nessuno sembra abbia troppa voglia di parlare. <<Noi stiamo bene>>, fa dopo un attimo una delle due ragazze di prima, come se qualcuno avesse nutrito dei dubbi in quel senso; ma l'altra le riserva un’occhiataccia con espressione seria, come se quella avesse iniziato a svelare qualcosa di sé o di loro due. <<Se continui in questo modo me ne vado>>, le afferma in un orecchio dopo un attimo, quasi l’avesse offesa. Uno dei ragazzi dice di conoscere il bassista del gruppo che suonerà fra poco, ma questa informazione non sembra interessare molto nessuno dei presenti al tavolo. <<Vado a telefonare>>, dice poi la ragazza senza riferirsi a qualcuno in particolare, e quindi si alza preoccupandosi soltanto del suo cellulare. Dopo un attimo l’altra la segue, quasi ci fosse la necessità di un sostegno morale in ciò che sta facendo la sua amica. Dopo pochissimo però tornano a sedersi tutt’e due, probabilmente senza essere riuscite a parlare con nessuno, anche se adesso sembrano quasi più tranquille.

<<Sono curiosa però>>, dice la ragazza di prima mentre mette via il telefono. Nessuno comprende esattamente a cosa si stia riferendo, e lei aggiunge subito ridendo: <<della musica, è evidente>>, mentre prende un sorso della birra che intanto le hanno portato. Gli altri sembrano leggermente in imbarazzo, a qualcuno piacerebbe addirittura che, chi deve farlo, adesso iniziasse proprio a suonare sopra quella piccola pedana accostata alla parete di fondo, ma giusto per rompere quest’aria un po’ pesante attorno al loro tavolino. <<No, ragazzi, non ci credo; sembra che stasera arrivi anche un importante giornalista proprio qua dentro, un critico musicale, inviato qui per scrivere un articolo su questi che devono suonare>>. Gli altri si guardano attorno come per individuare tra quei due o tre che stanno ancora in piedi, il soggetto in questione, mentre la ragazza prosegue a consultare lo schermo del suo cellulare.

Parte in quell’attimo la suoneria proprio del suo telefono, e lei di colpo si alza, risponde rapidamente mentre sembra scappare via da qualche parte, nello stesso momento in cui i musicisti della formazione in cartellone, giungono infine con gli strumenti sopra al piccolo palco, e le luci si attenuano, lasciando accesi soltanto dei faretti sopra le loro figure. Torna la ragazza: <<scusate>>, dice con un certo imbarazzo. <<Purtroppo le cose non sono mai come vorremmo>>. Gli altri la guardano, anche la sua amica attende la conclusione di quella frase, ma sembra invece non ci sia alcun seguito. <<Non è un momento facile>>, dice l’altra ragazza, quasi per giustificare gli strani atteggiamenti di quella sua amica. Quindi il gruppo sopra la pedana inizia a suonare con una certa decisione. Tutti ascoltano, anche perché non è proprio possibile fare altrimenti.

 

Bruno Magnolfi       


venerdì 5 novembre 2021

Piccole soddisfazioni.


            Giro la mano che la sorregge, osservo con occhio clinico la lucentezza e i riflessi del metallo, quindi decido di dare a tutta la superficie un’altra passata col panno imbevuto di crema, almeno nei punti più in vista. Lucidare la tromba è diventata per me un’ossessione, nonostante certe volte sia molto attratto dal lasciare lo strumento alla sua natura opaca, sporca, vissuta, come fosse costituita soltanto di suono, e non di materia. Ma in me c’è anche il desiderio di tirar fuori, sempre e comunque, la sua voce migliore possibile, quel timbro caratteristico che cerco di mettere a punto in solitudine e con grande pazienza, adattando in varie maniere il mio labbro all’imboccatura, sperimentando con calma le diverse impostazioni, come le dita sui pistoni, e mettendomi alla ricerca delle vibrazioni che magari mi sembrano ogni volta quelle più adatte. Suono la tromba quasi sempre con una sordina leggera ben innestata, gustando appieno la risonanza di tutto il suo corpo, e comunque, quello che non mi piace per niente del mio strumento, resta proprio la sua natura squillante, per cui sono cosciente di soffiare dentro al canneggio quasi cavalcando un reale controsenso, nello sviluppare cioè la sua preziosa capacità di essere anche morbida, soffusa, persino delicata. Comunque posso tentare da solo qualsiasi esperimento, ma quando mi ritrovo in sala prove a fare musica insieme agli altri ragazzi, tutto improvvisamente mi appare diverso.

            Perché la propria personalità sullo strumento da sola non basta, non riesce a mostrare la confluenza di idee e di pensieri che è necessaria per raggiungere la fusione di tutti gli intenti in uno stesso manufatto sonoro. Noi suoniamo del jazz attuale portato all'estremo, una sorta di dialogo musicale complesso, senza uso di suoni elettronici, adoperando per ogni brano qualche manciata di regole armoniche le più varie, in certi casi anche adottate da epoche diverse dalla nostra, che poi seguiamo e rispettiamo, tentando però in varie maniere di superarle, sempre in un'alternanza continua di spinta verso un possibile limite. L'introduzione del pianoforte, come strumento centrale e principe della musica occidentale, all'interno della nostra formazione, forse era già nell'aria da qualche tempo, ma nessuno di noi sapeva bene come riuscire a collocarlo adeguatamente tra le nostre sonorità. Poi è arrivata Franca, e in un attimo ha risolto ogni dubbio. Lorenzo crede ancora di essere stato lui a presentarci questa brava pianista dagli studi classici, ma non è del tutto vero. Il fatto è che inconsapevolmente ne sentivamo tutti la mancanza, perché era come se non avessimo ancora il perno esatto attorno a cui far ruotare tutto il resto.

Naturalmente non sapevamo bene come avremmo reagito individualmente noi del gruppo, così come non era scontato che una ragazza sensibile e anche attenta come lei potesse davvero inserirsi adeguatamente in questa formazione. Ma già i primi risultati sono apparsi ottimi, ed anche le registrazioni che abbiamo fatto in sala prove per analizzare in seguito l’ascolto dei materiali, lo ha dimostrato ampiamente. Lo sforzo più grande a cui siamo chiamati adesso è quello di superare la spinta individualistica di ogni componente, e di piegare i suoni e i fraseggi di ciascuno verso un risultato ancora più collettivo. Franca ha compreso al volo la nostra filosofia, e l’ha subito abbracciata appieno, rivestendo benissimo il ruolo che dagli inizi le avevamo richiesto.

Lorenzo la guarda con degli occhi particolari qualche volta. Si nota che è attratto da lei, dal suo padroneggiare quella tastiera, dalle sue conoscenze musicali, ma anche da quei modi eleganti e pacati, da persona che ama stare in disparte, tirando fuori comunque un proprio notevole temperamento appena iniziamo a suonare. A me personalmente, e devo dire anche agli altri ragazzi, non interessa poi molto se quei due intrattengono tra loro una relazione speciale oppure no, considerato che sono anche compagni di classe all’ultimo anno del liceo; a me basta che siano sempre così seri e determinati quando vengono a suonare con il nostro gruppo, anche perché, se non sbaglio, la formazione così composta come risulta adesso, potrebbe attirare un discreto interesse e una forte curiosità al momento di portare la nostra musica in qualche locale cittadino. Qualcuno ci noterà nei prossimi tempi, ne sono praticamente sicuro; e questo senza dubbio sarà per tutti noi il motivo più saliente di una grande soddisfazione.

 

Bruno Magnolfi      

mercoledì 3 novembre 2021

Nervi saldi, possibilmente.

            

            Va persino troppo bene, almeno per il momento, penso. I ragazzi hanno accolto Franca in una maniera quasi entusiastica nel nostro gruppo, e a dire la verità le sonorità e l'importanza basilare di un pianoforte in una formazione come quella di cui sono soltanto il batterista, ha quasi rivoluzionato davvero la maniera che fino a questo momento avevamo noi di fare musica. Però non mi aspetto che vadano avanti sempre così le nostre cose: prima o dopo qualcuno punterà il suo dito proprio su di me per incolparmi di aver portato un elemento destabilizzante tra di noi, e di questo poco per volta me ne sono praticamente convinto. Perché è evidente che se non troviamo la maniera migliore per darsi un energico sostegno l'un l'altro, e di mostrare la massima solidarietà tra di noi, soprattutto scegliendo più saggiamente i propri spazi sonori, qualche volta capiterà che uno o due tra di noi si sentirà praticamente giustificato a tirare fuori qualche gelosia in merito al proprio strumento, dando corda alla sensazione inevitabile di apparire un po’ in secondo piano rispetto al tempo trascorso, quando suonavamo soltanto in quattro: una reazione che potrà anche farsi seria se non riusciamo subito a tenerla sotto controllo. Questo penso.

            Credo peraltro di essermi messo in una situazione piuttosto difficile caldeggiando l’ingresso di Franca nel gruppo, e purtroppo soltanto adesso inizio a rendermene conto del tutto. Lei comunque è serena come non l’ho neppure mai vista da quando ho iniziato a conoscerla, e probabilmente si tirerà subito da parte se solo riesce ad intuire il suo possibile intralcio al percorso del gruppo, anche se sa perfettamente di non esserne causa diretta. E poi può darsi pure che superato il primo momento di entusiasmo per suonare davanti ad un pubblico di attenti ascoltatori, sia forse capace di mostrarsi meno partecipe delle nostre prove e dei nostri appuntamenti, considerato soprattutto anche gli impegni che sicuramente avrà nel futuro per seguire adeguatamente il suo percorso di studente del Conservatorio. A me piacciono sempre di più, sia il suo modo di fare, sia il carattere che mostra; e poi la grinta che tira fuori, la sua generale maniera d'essere, il suo inedito sorriso di adesso; ma anche di questo sono costretto a conservare in me una certa segretezza, per non apparire di parte in ogni scelta che adotto. Penso poi che anche a scuola le cose tra noi evidenziano la necessità di restare il più possibile riservate, soprattutto nei confronti dei nostri compagni di classe, specialmente i più impiccioni, che non cessano mai di porre delle domande spesso insidiose. Poi naturalmente c'è la nostra insegnante di letteratura, la cara signora Sarti, sensibile e attenta, che non ha mai sottaciuto, devo dire, la sua simpatia per il nostro banco scolastico, mio e di Franca, pur restando sempre imparziale nei suoi giudizi su tutti noi.

            Insomma, credo che la situazione si sia fatta piuttosto complessa, penso. Ma forse è proprio questo esattamente il momento di tenere il più duro possibile sulle nostre decisioni. Certo, personalmente vorrei essere più libero di manifestare i miei apprezzamenti, e forse mi dispiaccio parecchio di non poter esporre i sentimenti che provo, però poteva essere immaginabile fin dall’inizio che si evolvesse tutto in una situazione del genere, anche se per me non c’era altra strada per esaltare la vicinanza con Franca, almeno penso. Oggi la osservo mentre siamo in classe, al liceo, nascosto dietro ai miei occhiali da lettura, e mi sembra d’improvviso la persona che più desidero, quella per cui sono disposto a mettere in gioco quasi tutto, persino la mia batteria. Poi ci ritroviamo di nuovo con i ragazzi in sala prove, e allora devo ascoltare la musica che suoniamo con il distacco che serve, fino a sbottare e a prendermela proprio con lei, anche più del dovuto, quando mi sembra che il suo accordo arrivi in ritardo sulla battuta, oppure che il suo pianoforte imposti quasi una gara con le mie percussioni. Devo tenere i nervi saldi, penso allora. Mostrare tutta la capacità di stare dalla parte migliore, quella che non si lascia mai prendere dalle emozioni gratuite. Ma non è facile, lo ammetto, e non so proprio per quanto tempo potrà durare in questa maniera.

 

            Bruno Magnolfi   

       

lunedì 1 novembre 2021

Incolmabile distanza.


Mio padre fino a questo momento si è mostrato completamente indifferente alle mie attività musicali. Persino il fatto che io sia riuscita a superare l'esame di ammissione al Conservatorio, almeno per ciò che ha fatto vedere, non gli ha provocato alcuna reazione; che poi mi sia addirittura inserita in un gruppo di jazz, e con quello tenti prossimamente di suonare in qualche locale cittadino, forse gli ha suscitato addirittura un senso di silenziosa ripulsa, mescolando insieme in questo sentimento tutte quante le mie attività di pianista. Non ha importanza, già mi aspettavo qualcosa del genere, in ogni caso non voglio farmi influenzare dai suoi sottaciuti giudizi, né in un senso e neppure nell'altro. Porto avanti le cose che mi interessano, perseguo ciò che credo importante, senza tralasciare naturalmente tutto il resto. Ieri ho incontrato di nuovo Simone, il figlio della nostra cuoca, e mi è sembrato abbattuto, come se le cose non gli andassero bene. Non gli ho fatto nessuna domanda diretta, comunque, e lui non ha cercato di spiegare niente di sé. L'ho invitato al jazz club però, spiegandogli che finalmente avrei suonato là dentro col mio gruppo, giusto il prossimo venerdì. Mi è parso interessato, ha detto persino che forse ci sarà.

Anche a mia madre ho accennato che le prove col gruppo erano andate molto bene ultimamente, e che avendo ormai una buona decina di pezzi già pronti, eravamo stati invitati a suonare in un locale specializzato in musica dal vivo del nostro genere. Lei mi ha guardato senza riuscire sull'immediato a formulare un giudizio preciso; poi ha detto però che si sentiva orgogliosa delle mie scelte, e che sperava fossero proprio queste le cose in cui credevo davvero. Sono tornata nella mia stanza a provare qualcosa sul mio piano elettrico indossando le cuffie, ad improvvisare su qualche scala più difficoltosa, poi però ho smesso ed ho ripreso in mano i libri di testo del liceo. Con Lorenzo abbiamo deciso di cambiarci di banco, in maniera da non essere continuamente distratti dalla nostra voglia di parlare sempre di musica. Comunque non mi dispiace per niente sapere che lui sta adesso un paio di file dietro di me, che può vedermi quando gli pare, e magari immaginarmi ogni tanto mentre inseguo con degli accordi sulla tastiera quei difficoltosi tempi dispari della sua batteria mentale. Ci sentiamo molto più vicini adesso, devo dire, naturalmente grazie al fatto di suonare nello stesso gruppo di jazz, questo è il punto; e quindi per evitare che qualche insegnante più attento a certi dettagli iniziasse a prenderci di mira, abbiamo deciso di allontanarci, anche se solo su un piano squisitamente formale.

Mi sento bene, questa è il dato che ritengo più importante. Quando conosco adeguatamente le cose di cui si parla sono subito più sicura di me, e riesco così ad essere anche tranquilla. Le lezioni in Conservatorio sono già iniziate al pomeriggio, e almeno per il momento non mi sembra niente di difficile, anche se ho chiesto, nel caso manifestassi qualche problema, un aiuto da parte del maestro Bottai, che si è mostrato subito disponibile come sempre. Forse in tutto questo quadro, manca qualcosa di importante, ma per il momento non voglio pensarci, e lascio che le cose procedano come per conto proprio, dopo tutte le scelte che ho fatto. Quando sono vicina a Lorenzo mi sento quasi tremare: lo avverto, ogni volta che gli parlo, sempre più simile a me, come avessimo un canale speciale di comunicazione, e poi adoro la sua batteria, tramite lui mi pare addirittura che tutti i ragazzi che incontro siano improvvisamente migliori di come mi sembravano soltanto ieri. Lo ascolto chiacchierare ogni tanto, al cambio degli insegnanti, ma per me sembra quasi inutile con lui usare le parole ordinarie. Abbiamo un nostro linguaggio noi due, quella musica in cui fino ad oggi abbiamo mostrato di credere più che in tante altre cose.

Non so cosa potrà succedere nei prossimi tempi, ma oramai ho abbandonato l'idea di pensare al futuro, cercando di vivere il più possibile questo intenso presente. Resta mio padre, che attualmente sembra parlarmi, quando siamo a tavola, soltanto con dei monosillabi; ma non ha molta importanza: ho sempre sentito di essere molto diversa da lui, prima o dopo lo strappo più forte si sarebbe pur dovuto  manifestare. Non ritengo di fare niente di male: coltivo le mie scelte, cerco di dare corso alle cose in cui credo, penso che questo sia il massimo per le mie possibilità. Poi qualche volta osservo mia madre di nascosto: non posso certo essere come lei, rifletto; c'è una distanza formidabile tra noi, qualcosa che a me pare giusto si manifesti proprio in questo momento, quasi come un divario incolmabile.

 

Bruno Magnolfi