domenica 30 dicembre 2018

Uomo centrico.


L'uomo guarda la strada. Nel caffè dove si trova ci sono rimasti ormai pochi individui, qualcuno di loro gioca a carte, altri si limitano ad osservare il gioco che si svolge sopra ai tavolini, e nessuno sembra interessarsi a qualcosa di diverso, a parte lui. Sulla piazza, fuori dai vetri del locale, ci sono adesso i soliti ragazzi di ogni giorno: parlano, ridono, si fanno cenni in genere comprensibili solamente a loro, e dei quali paiono snodare continuamente un grande campionario.
L'uomo lì osserva, forse tenta di decifrare senza impegno qualcuno di quei loro messaggi, anche se a tratti sembra poco attento a quanto va avanti sulla piazza. Poi accade qualcosa: un tizio si stacca dal gruppo e si avvicina lentamente ad un altro che se ne sta da solo, e in un attimo gli sferra un pugno in pieno viso, tanto da farlo cadere a terra. Resta fermo qualche momento, come a controllare che il lavoro sia stato eseguito bene, quindi lentamente torna sui suoi passi.
L'uomo sul momento vorrebbe quasi intervenire, ma in fondo sono cose che non lo riguardano, così resta immobile dentro al bar, nella stessa posizione di prima. Il ragazzo caduto a terra peraltro si rialza poco dopo, nessuno sembra dire niente, le cose paiono proseguire come se nulla di rilevante fosse accaduto. Il ragazzo che le ha prese si guarda attorno, ma non sembra neppure troppo contrariato, forse si aspettava già un atteggiamento violento di quel genere, probabilmente c’era qualcosa rimasto insoluto da tempo tra quei due.
L’uomo immagina che certe scaramucce magari siano all’ordine del giorno tra quei giovanotti che se ne stanno tutto il giorno a bighellonare sopra alle panchine; forse non hanno niente di cui occuparsi veramente, e quindi ogni tanto la loro noia sfocia in qualcosa che non ha nulla di razionale, qualcosa che permette loro di sfogare con pochi mezzi tutto il proprio rancore represso. Il ragazzo si tocca la faccia, gli altri lo guardano senza dire nulla, poi lui entra dentro il bar, si fa servire dal cameriere qualcosa da bere, e poi chiede del bagno, probabilmente per controllare meglio quanto sia successo o meno sopra al suo viso.
L’uomo aspetta che accada qualcosa, forse si attende una reazione, ma dopo poco il ragazzo ritorna, beve al bancone la sua ordinazione, si guarda attorno e sembra proprio non abbia maturato alcun rancore in quei pochi minuti. Poi se ne va, uscendo dal locale con molta calma e senza dare alcuna soddisfazione al gruppo dei ragazzi che sono rimasti là di fronte, sopra le panchine, quasi immobili, lasciando che quello che ha sferrato il pugno prosegua a darsi forza del proprio stare immerso in quella compagnia.
L’uomo forse vorrebbe aver detto qualcosa al ragazzo che le ha prese, ma probabilmente il suo intervento sarebbe stato preso soltanto per una sciocca curiosità, così alla fine gli pare che tutto vada bene in questo modo: non ci sono ragioni importanti che spingono l’uno contro l’altro, sembra pensare; anzi, spesso sono soltanto dei pretesti quelli che fanno montare la rabbia nella testa di qualche facinoroso. Lui se ne frega, questo è il punto: non c’è niente di fondamentale in ciò che avviene, tanto vale reputare ininfluente qualsiasi cosa non riguardi direttamente ciascuno di noi. Così possiamo proseguire senza indugio nei nostri compiti, pensa, scansando gli altri quando questi sembrano mostrare troppo interesse anche per delle emerite sciocchezze.


Bruno Magnolfi 



giovedì 27 dicembre 2018

Nulla di me.


        

            Sono confuso ed anche indolenzito, però mi guardo attorno e mi rialzo, seppure con un’estrema lentezza, dopo essere caduto a terra in malo modo, quasi scivolando ma solo per la semplice sorpresa che ho provato, dopo aver perso il contatto con la pavimentazione della piazza, nella ricerca strenua, contemporaneamente, di comprendere che cosa fosse successo per davvero, e soprattutto perché non fossi riuscito ad immaginare, almeno un attimo prima che proprio succedesse, quello che stava sul serio per accadermi, senza alcun preavviso. Lui mi guarda truce, con la stessa espressione di estrema cattiveria che aveva ancora sulla faccia appena un attimo prima, ma a me pare ancora inverosimile che abbia potuto colpirmi così, senza essere stato neppure provocato. Mi sembra tutto assurdo, penso che ricorrere alle mani sia qualcosa assolutamente di ridicolo per chiunque tenti di affidare a questo sciatto comportamento l’unico sistema per rimediare alla propria deficienza di parole per spiegarsi e farsi comprendere. Questo forse gli vorrei dire adesso a voce alta, mostrandogli l’errore, l’insensatezza, la stupidità, però riflessivamente evito di farlo, come per un senso di sopportazione ed anche di tolleranza per quanto già accaduto.
            Lui, dopo un momento, ancora un po’ rigido nelle sue movenze di persona che agisce solamente d’istinto, con ogni evidenza preferisce allontanarsi, come per non avere più niente a che fare con un essere che neppure si ribella ad un comportamento scellerato come il suo, che non replica un bel niente, non accetta neanche di scendere sullo stesso medesimo livello, e forse per questo non merita neppure alcuna azione reiterata. Lo guardo, ma pur osservandolo in ogni suo dettaglio, lo fisso senza trovare in lui un interesse vero. In fondo ho capito perfettamente il messaggio che ha voluto porre in questo modo strambo alla mia attenzione. Tutto così mi pare ancora più ridicolo, ed adesso che ci penso meglio, perfino parlargli mi parrebbe fuor di luogo. Sanguino dal labbro, è il minimo che possa essermi accaduto, così sputo a terra un bolo semplice di schiuma rossa, come a mostrare il succo della mia sofferenza che ingloba in sé anche la sopportazione che tento di mostrare per il suo comportamento stupido, erroneo, privo del senso che generalmente si cerca dalle cose, e che io cerco negli altri soprattutto.
            I ragazzi poco lontani immagino ci guardino ed abbiano già preso posizione entro se stessi, in genere si sta sempre col più forte in questi casi, anche se adesso non mi interessa per niente il loro inutile pensiero, ed io non appaio certo quello che ne esce meglio da questa situazione, anche se mi sento comunque superiore, non fosse altro per essere riuscito almeno in qualche modo a conservare la mia calma, a non aver accettato una sfida da ragazzi sciocchi e senza stile, comportamento che reputo non mi appartenga affatto. Mi rialzo e resto lì, sopra i miei piedi, nell’attesa che sia lui a togliersi di torno, o che comunque dimostri che il suo modo di pensare è di fatto definito soltanto dall’uso delle mani, e da nient’altro. Poi avverto qualcosa di grottesco in tutta la faccenda, così mi volto da una parte, mi asciugo con un fazzoletto, e senza dire niente vado con calma ad infilarmi dentro al bar Soldini, giusto per bere un goccio d’acqua ed andare in bagno a controllare nello specchio cosa sia successo alla mia faccia. Quando torno ad uscire sono tutti ancora lì, nessuno dice niente, ed a me viene persino da sorridere, non per un moto di sfida, quanto per il senso di patetico di tutta la faccenda. Poi me ne vado, non ho niente da fare in quei paraggi.

            Bruno Magnolfi

martedì 25 dicembre 2018

Domani, forse.




Dopo la mezzanotte in piazza non rimane generalmente più nessuno, almeno durante le giornate invernali maggiormente fredde. Quelli che hanno stazionato qui anche stasera hanno lasciato soltanto qualche carta in giro, ed una bottiglia rovesciata sopra al marciapiede, perciò queste panchine adesso appaiono vuote, mentre il bar Soldini di fronte ormai ha tirato giù le sue serrande. Soltanto due ragazzi con le mani nelle tasche sembra abbiano ancora voglia di tirare tardi, e gironzolano senza meta lungo la strada parlando tra loro a bassa voce.
Non so cosa pensare, dice uno; a volte le cose sono così complicate che la soluzione migliore sembra proprio quella di non prendere alcuna decisione. Con i miei non riesco più neanche a parlare, c’è una distanza siderale tra di noi, e d’altra parte qui in paese non si trova neanche uno straccio di lavoro. Perciò vorrei andarmene, prendere tutto e trasferirmi in città, per poi mettermi lì a fare qualsiasi cosa possa capitare, anche il manovale o il lavapiatti se necessario, mi basterebbe giusto qualcosa per tirare avanti, magari trovare una stanza d’affitto e poi guardarmi attorno. Però, così da solo, mi risulta un po’ difficile.
L’altro lo guarda un attimo, annuisce. Poi dice che lui avrebbe in mente qualcosa di diverso: vorrebbe iniziare a lavorare con il suo fratello più grande che fa l’idraulico, imparare il suo mestiere e poi, poco per volta, mettere su un’attività per conto proprio. Il problema è che mio fratello almeno fino a questo momento mi tratta con superiorità, e non mi ha preso mai troppo sul serio, e poi dice che almeno in questi quattro o cinque centri abitati qua d’attorno sono già fin troppi gli idraulici in circolazione, probabilmente non ci sarebbe del lavoro sufficiente anche per un altro. Per questo attendo, fa ancora il ragazzo: aspetto con pazienza che qualcosa succeda.
Forse l’unica cosa da fare è proprio quella di aspettare, fa annuendo con la testa il primo: qualcosa prima o dopo dovrà pur accadere, preoccuparsi troppo, avanti che il tempo sia maturo, non mi pare neppure una buona idea. Sarà, fa l’altro, però anche strascicarsi tutti i giorni così, senza uno scopo, a me è venuto piuttosto a noia: vorrei impegnarmi almeno in qualcosa, mettere a punto una strategia per tirarmi fuori da questa pausa infinita.
Potremmo fare i ladri, dice subito l’altro tanto per ridere: mettere a punto un bel colpo magari in una banca di uno dei paesi qui vicino per non farci riconoscere, e poi mettersi fermi per un po’, magari utilizzare la grana per impiantare con calma qualcosa e sistemarci. Magari fossimo capaci di una cosa di quel genere, fa l’altro; il fatto è che mi sembra troppo complicato perfino mettere a punto un piano che mostri un suo senso compiuto.
Bé, allora non ci resta proprio altro che star qui a guardare, farci quattro chiacchiere ogni sera con tutti gli altri ragazzi, fingere di essere soddisfatti di quello che già abbiamo, e poi buttare giù qualche birra fresca fintanto che i nostri genitori ci passano ancora qualche soldo. No, vorrei un’occasione, niente di più, una semplice possibilità almeno per darmi un’occhiata attorno, tirarmi fuori da questo posto così vuoto di tutto. D’accordo, fa l’altro, qualcosa prima o poi capiterà; per adesso andiamocene a dormire, come sempre, domani poi vedremo.

Bruno Magnolfi  

venerdì 21 dicembre 2018

Fantasie difformi.



Lei osserva attentamente un angolo della parete che ha di fronte. Pare assurdo che questo forte senso di solitudine si faccia sentire proprio adesso, quando sembra non abbia più alcun significato. Il silenzio però è come una coltre densa certe volte, che pare avvolgere in un bozzolo tutta la casa; come il freddo di queste sere invernali, ad esempio, insieme al buio profondo all’intorno, che quasi gli impedisce di manifestarsi degnamente a quei tre o quattro lampioni là di fuori, sul bordo della strada, in questa località probabilmente anche troppo isolata. Passa un'automobile ogni tanto, a ricordare un’esistenza reale là intorno, con un percorso indiscutibile che ha un inizio ed anche una fine, di un viaggiatore che forse nota vagamente, anche se per un solo attimo, quelle case senz’altro abitate da qualcuno, al di fuori dal suo parabrezza - da dentro le finestre s’avverte leggermente il rombo di ogni vettura quasi in ogni stanza -, ma poi basta, tutto passa, rapidamente: un semplice momento, ed è già tutto finito. La campagna aperta ed anche i boschi fitti poco lontano sembrano quasi incombere, come sempre hanno fatto peraltro, anche se adesso sembrano più immobili, cristallizzati ed innocui dentro la notte, come una vecchia fotografia rimasta in un cassetto fino a diventare un qualsiasi oggetto inutile.
Posso alzarmi da questa sedia, pensa lei senza convinzione. Posso trovare qualcosa di cui occuparmi per riempire questa lunga pausa, come ogni volta, perdendomi con facilità in piccole operazioni di manutenzione delle cose, oppure in grandi progetti che perdono di senso e di importanza soltanto con il tempo, che riesce a neutralizzarli lentamente ma con facilità, rendendo tutto quasi indolore. Posso leggere un libro, magari, e perdermi rapidamente nella fantasia di qualcun altro, respirando vicende e descrizioni che forse non sono esattamente quelle mie, ma in parte probabilmente le assomigliano, o che potrebbero addirittura essere state inventate da qualcuno dal pensiero vivace come il mio, e che magari mi è vicino, in qualche modo, che quando sogna, forse, ecco che fa i miei stessi sogni, ripercorrendoli come un sentiero già tracciato. Odio gli altri, a volte, questa è la verità; o almeno tutti coloro nei confronti dei quali posso scagliarmi facilmente con il mio spirito ipercritico, quelli che sento estranei, diversi, lontani, quelli dei quali non conosco niente, e che forse proprio per questo mi fanno paura, rendendo il mio pensiero instabile, senza le sue basi solide. 
Non ho mai sofferto di solitudine, deve esserci un’altra spiegazione. Mia figlia è fuori, rientrerà più tardi, forse sono preoccupata per lei, ed è tutto qua. Oppure, all’improvviso, sento che qualcosa si sta modificando, ed io ho paura delle variazioni, non vorrei dover affrontare qualcosa a cui non sono preparata. Ma come prepararmi, come tentare di accogliere ciò che forse è già dietro quell’angolo, senza sapere prima cosa sia. Meglio guardare ancora questa parete bianca, immaginarla senza spigoli, senza asperità, e disegnarci sopra qualcuna delle mie fantasie, per poi pensare ancora che tutto sarà sempre così, invariabilmente.


Bruno Magnolfi


mercoledì 19 dicembre 2018

Sfida triste.



I ragazzi ne hanno discusso a lungo. Nei loro pareri sembravano quasi tutti divisi su due fronti, ma appena qualcuno ha iniziato a sbuffare mostrando una certa insofferenza, l'argomento è velocemente decaduto, lasciando ognuno ad esercitarsi sulle solite battute di sempre trangugiando qualche bottiglia di birra pagata sempre dagli stessi. Nei momenti iniziali alcuni c'erano rimasti male, non sembrava proprio che quella ragazza fosse un motivo plausibile per prendersela tanto. In ogni caso l'amico di sempre per tutti era Renato, non certo quel cervellone tutto studio che non si sapeva neppure cosa ci venisse a fare alle panchine insieme a loro.
Renato si è invaghito troppo di quella merciaia, avevano detto immediatamente; lei non vale quasi niente, lavora tutto il giorno in quella bottega per vecchi, non può minimamente sapere cosa ci gira in mente a noi che abbiamo il polso della situazione tutti i giorni, stazionando in questa piazza, al centro delle cose. Poi avevano smesso, perché era chiaro come Renato si fosse sentito forte dell'appoggio morale dei suoi amici, e forse anche per loro aveva voluto affrontare la questione proprio in quel modo. Aveva agito d’istinto, è vero, però quel gesto era stata una soddisfazione che certo si voleva togliere da tempo. Tommaso probabilmente non si sarebbe fatto più vedere davanti al bar Soldini, la faccenda si poteva dichiarare praticamente chiusa, anche se probabilmente neppure Clara sarebbe facilmente tornata nella piazza.
Invece no, giusto qualche giorno dopo, eccola con Tommaso che entra con indifferenza dentro al bar Soldini. Nessuno dei ragazzi naturalmente si azzarda a dire niente, e Renato volta subito le spalle alla scena per non dare importanza a quanto sta avvenendo. Qualcuno dei ragazzi fa presente la cosa, quasi per stuzzicare una reazione, ma Renato sembra di pietra, non si muove, guarda a terra, sembra non voler fare proprio niente, neanche pensare. Non ci sono molti argomenti da affrontare sopra quelle panchine del giardinetto in mezzo alla piazza, così ognuno cerca di immaginare dentro se stesso quale possa essere il proseguo per Renato di tutta la faccenda. Dopo un po’ i due escono dal bar, Tommaso lancia un lieve cenno di saluto verso i ragazzi, come a mostrare di non coltivare alcun risentimento, mentre Renato resta bloccato nella medesima posizione, anche se poi tutto sfuma lentamente.
La cosa ha preso una brutta piega, dice uno dei ragazzi. A me non frega niente, sbotta un altro. Renato cerca di mettere a punto un atteggiamento di strafottente indifferenza, ma si vede che è nervoso, che non si sente a posto. Infine, dopo una certa riflessione, riesce a dire soltanto: non vale niente quella stupida, quasi bisbigliando dentro se stesso, ma lasciando comprendere a tutti gli altri che per lui oramai si è conclusa completamente la vicenda, non ci sarà più alcun seguito, proprio perché l’oggetto del contendere tra lui e quel Tommaso ha perso talmente tanto senso, da non suscitare in lui neanche una briciola di ulteriore volontà nello sfidarlo ancora. Gli altri lo guardano, nessuno dice nulla, forse nessuno trova niente da ridire, poi uno si alza con indifferenza, per andare a prendersi soltanto un'altra birra.


Bruno Magnolfi 

lunedì 17 dicembre 2018

Intenti insani.


          

            4 dicembre
Sono sospesa. Il lavoro va bene, che c’entra, ho delle buone idee da mettere in campo nei prossimi mesi, ma tutto questo è soltanto la metà dei miei pensieri.
5 dicembre
Vorrei che qualcuno mi indicasse la via migliore per non avvertire costantemente dentro di me questa ansia. Mi sembra di vivere un incubo in cui sentirmi obbligata a muovere il corpo senza toccare assolutamente nessuno, come se tutti gli altri fossero portatori di infezioni fulminanti. Forse ho soltanto bisogno di mettere a punto la mia strategia, e non voglio in nessun modo essere condizionata da chi mi sta attorno.
6 dicembre
Stasera mi sono vista di nuovo con Tommaso. Mi piace stare con lui, sentirlo parlare dei propri studi e dipanare le sue opinioni che mostrano lo spirito curioso da cui è animato. Mi piacerebbe fare qualcosa insieme a Tommaso, andare da qualche parte, forse impegnarmi in un piccolo progetto: magari sperimentare una novità per ambedue, andare da qualche parte, vedere degli spettacoli, qualcosa forse di poco ordinario, in modo da poter scambiare in seguito i propri rispettivi pareri. Non succederà niente di tutto questo, almeno per ora, ne sono certa; però tutto in seguito potrebbe essere possibile; chissà, tanto vale rincorrere dei sogni.
7 dicembre
Mia madre mi ha spiegato con molta calma che non va bene secondo lei che io tiri tardi ogni sera una volta chiuso il negozio di merceria. Qualcuno mi ha visto, ha subito aggiunto. Eri con un ragazzo, ed anche se oramai sei grande, le tue sembrano soltanto delle sciocchezze da ragazzina. Non le ho risposto neppure, non mi va certo di essere trattata in termini puerili. Forse per troppi anni mi sono assopita su un comportamento monotono e privo di qualsiasi novità. Perciò devo cambiare, i tempi sono ormai più che maturi, ed indipendentemente da Tommaso devo trovare la maniera per essere più autonoma, e smettere di occuparmi soltanto delle cose che in qualche modo fanno piacere a mia madre.
8 dicembre
Nonostante sia festa oggi ho trascorso interamente la giornata dentro casa. Non ho quasi rivolto la parola a mia madre, escluso le frasi ordinarie; non mi va di parlarle, mi piace che si renda conto di quanto io sia rapita da tutti i miei pensieri. Ad un tratto durante il pomeriggio ho avuto voglia di uscire, prendere la macchina e farmi un giro senza meta, magari passando dal centro del paese. Avrei potuto incontrare Tommaso, riflettevo, ma la delusione di non vederlo da nessuna parte sarebbe stata troppo forte, perciò ho rinunciato del tutto.
9 dicembre
La giornata di oggi è scivolata via come sempre dentro al negozio, senza novità. So dove abita Tommaso, ho trovato l’indirizzo sull’elenco telefonico, e passando da lì con indifferenza ho visto piazzata fuori dalla sua casa la bicicletta che usa sempre per girare nel paese. Potrei mettere un biglietto piccolissimo da qualche parte in quel manubrio, così che lui possa trovarlo, ben ripiegato, ma senza che faccia troppa mostra di sé a tutti i curiosi che affollano questo centro abitato. Ma non saprei proprio che scriverci, non ho le parole che piazzate sopra un foglietto spieghino in maniera adeguata me stessa, perciò non farò niente neppure di questo, anche se uno di questi giorni se non accade nulla ho deciso che scaraventerò in terra quella stupida bicicletta; così, senza motivo.

Bruno Magnolfi

giovedì 13 dicembre 2018

Conseguenze lampanti.



Certe giornate sono infinite. Affronto le cose come sempre ho fatto in questi ultimi tre anni, ma qualche volta nonostante tenti di comportarmi secondo le più ordinarie consuetudini, tutto questo non sembra bastare. Fingo che le cose vadano sempre per il meglio, specialmente quando intravedo i soliti clienti che vengono allo studio, e forse dal punto di vista lavorativo non devo registrare neppure qualcosa di importante che in questo periodo si sia messo effettivamente di traverso. Ma la giornata di ciascuno di noi tra questi uffici, io penso non sia composta dalle sole mansioni occupazionali che vengono comunque portate avanti: ci sono certamente mille pensieri che aleggiano nell’aria e che pretendono il loro spazio, e poi ci sono altrettante preoccupazioni più o meno importanti che spesso tolgono in qualche caso anche il respiro, soltanto a pensarle.
Forse non nutro sufficiente interesse per il mio lavoro, questo è il mio pensiero segreto; magari non esattamente come qualcuno tra gli altri ragazzi pieni di entusiasmo con i quali portiamo avanti le cose in questa grande stanza ingombra di vecchie scrivanie, però niente di quello che faccio lo lascio mai del tutto al caso: rifletto, preparo gli incartamenti, affronto ogni aspetto che mi si pone davanti con ampia e sufficiente serietà, almeno secondo il mio parere. Qualche volta ho anche pensato che non era proprio la mia aspirazione questo occuparmi dei vari conteggi delle piccole società artigianali che sono presenti in questo nostro diffuso territorio, però penso che qualcuno deve pur farlo, ed in fondo io non ho mai manifestato interessi diversi dopo aver preso il diploma di ragioneria, e forse non l’ho mai fatto neppure prima.
Ho avuto la fortuna di poter entrare in periodo di prova, tramite le amicizie di mio padre, in questo studio dove si mette a punto la consulenza del lavoro, le buste paga per le organizzazioni che hanno dei dipendenti, e gli aspetti più commerciali riguardanti le dichiarazioni dei redditi e tutte le altre cose di questo genere che affliggono piccole ditte, società agricole, negozi e professionisti. Nessuno però mi ha mai spiegato a muso duro che non ero adatto per questo mestiere, tanto che il mio datore di lavoro al contrario si è mostrato piuttosto contento di assumermi come apprendista.
Di fatto non mi lamento, ho sempre qualche soldo dentro le tasche, però ogni giorno non vedo l’ora di uscire da questi uffici e raggiungere gli altri ragazzi sulle panchine disseminate in mezzo alla piazza, scrollarmi di dosso questi obblighi assurdi, e sentirmi finalmente libero, almeno per un’ora, ed assaporare una birra insieme a loro, parlare con tutti delle cose che mi interessano di più, che poi non so neppure io quali possono essere, tanto a me basta che siano totalmente diverse da queste odiose scartoffie. Poi c'è questo passaggio di proprietà del negozio della signora Martini, e la società che sembra formarsi è a favore di una ragazza che conosco di vista, un tipo a posto, forse un po’ riservata, ma che sembra portare avanti bene le cose in quella bottega, tanto che tutti sembra ne parlino in termini positivi, come la persona giusta per quel lavoro, quella che proprio ci voleva.
A me fa piacere, ho visto le carte sopra la mia scrivania, domani sono sicuro dovrò occuparmene, e magari indicare le documentazioni che mancano per mandare avanti la pratica. Con poco potrei complicare le cose, se solo volessi, basterebbe far sparire un foglio o una firma. Non farò niente del genere, è chiaro; ma un giorno di questi dovrò pur comportarmi in maniera stravagante, uscire almeno per un attimo da questa monotonia che non lascia respiro. Mi sento già pronto perfino ad affrontarne tutte le conseguenze.


Bruno Magnolfi 


martedì 11 dicembre 2018

Problema perfetto.


     

            Anche riflettendoci sopra con molta particolare attenzione, lei si sente praticamente sicura del fatto che fin da quando era piccola non abbia mai avuto una vera e propria amicizia femminile. Certo, nel suo percorso ci sono state delle compagne di scuola, naturalmente anche di giochi, e poi alcune vicine di casa, persino una simpatica compagna di banco degli ultimi anni, fino agli esami di maturità; ma nemmeno una di queste è stata tale da definirsi, a suo parere, una vera e propria amica intima. Niente e nessuna a cui sentirsi particolarmente vicina. Forse lei non si è mai concessa abbastanza, pensa adesso; magari il suo carattere è apparso sempre un po’ troppo duro o scostante a tutte le ragazze che ha conosciuto fino ad oggi in tutti questi anni; però, in ogni caso, se deve essere del tutto sincera, lei non ha mai avvertito l’assenza bruciante di una vera amica del cuore, perciò si può anche sostenere che non l'abbia mai veramente desiderata.
Forse, nella sua infanzia non precisamente spensierata, c'era semplicemente sua madre onnipresente come figura femminile, pronta a riempire eventuali vuoti che si potessero manifestare durante la sua crescita ed in tutto quel lungo periodo della vita; però è anche vero che la presenza di uno spiccato senso critico sostanzialmente innato dentro di lei, non le ha mai permesso di accettare pienamente nelle sue giornate una sua semplice coetanea. Anche con i maschi peraltro non è certo andata meglio: troppo giocherelloni, secondo il suo parere, con la testa perennemente in aria, incapaci di quella serietà che lei al contrario ha sempre cercato in se stessa e anche attorno alla sua persona, inadatti forse a piegarsi verso una logica di impegno e di attenzione maggiori nei confronti della realtà; incapaci di essere davvero affidabili, riservati, composti.
Soltanto adesso sembra quasi mancarle qualcosa di quella leggerezza che pur inconsciamente non ha mai voluto prendere realmente in esame, ed il rendersi conto all’improvviso di una carenza del genere dentro di sé, non sembra comunque procurarle molto di più che qualche piccolo superabile problema. Si riconosce incapace di sentirsi come le altre, e forse non vuole neppure cercare di esserlo; si guarda attorno certe volte cercando dei riferimenti che difficilmente ha preso davvero in esame. Perciò qualche volta si sente inadatta a stare con gli altri, ed anche se cerca di addomesticare il più possibile la propria personalità, alla fine non è quasi capace di mostrare un comportamento naturale e spontaneo. Sto scoprendo qualcosa per la prima volta, dice stasera a Tommaso mentre lui sembra prendersi cura con attenzione della sua incapacità di lasciarsi un po’ andare. Non sono mai stata così poco razionale, dice ancora, ma forse ho perso qualcosa.
Lui la guarda a lungo mentre lasciano scorrere il tempo nella sua macchina immobile. Vorrei recuperare qualcosa di quello che ho lasciato per strada, dice Clara in un soffio, senza quasi riferirsi esattamente a lui, ma quasi parlando a se stessa. Tommaso la guarda, pesa con attenzione le parole che gli vengono a mente, ritiene che tutto si stia complicando al punto da sfuggirgli quasi di mano, però vuole stare ancora a quel gioco, ritiene che non ci sia niente di così importante quanto porsi degli obiettivi attuabili, e lui in questo momento è sicuro di non sentirsi a posto da solo. Lo dice in fretta, come in risposta a quanto ha appena ascoltato, ma lei risponde che in questo periodo non è più sicura di niente, le pare che il suo apparente equilibrio si stia rapidamente perdendo, anche se è dentro di lei che tutto deve essere risistemato, e che forse non avrebbe alcuna importanza confessargli in questo momento di volergli davvero bene, senza prima aver considerato tutti gli aspetti che una frase del genere comporta. Tommaso annuisce, anche se non è del tutto sicuro di aver compreso perfettamente il problema.  

Bruno Magnolfi

sabato 8 dicembre 2018

Sbagli evidenti.



Buongiorno signora Marisa, fa Remo alzando appena sufficientemente la voce, giusto quello che serve per farsi sentire. Lui si è sempre riferito a questa donna mantenendo una certa distanza, anche se la conosce da sempre, d’altronde lei non ha mai fatto un bel niente per concedere al suo vicino una maggiore confidenza. Forse gradisce un cesto di lattuga che ho appena colto, le chiede. La signora Carraresi si muove leggermente mostrando oltre la siepe del suo giardinetto soltanto la parte superiore del corpo. Ha come al solito un'espressione piuttosto seria, quella di chi sta forse riflettendo intorno a delle cose lontane, chissà, trattenendo nella mente magari alcuni pensieri remoti, però all’improvviso sembra tornare velocemente al presente, e guarda l’uomo per un solo attimo ma con una certa attenzione, quasi fissandolo, per poi sorridergli leggermente, con una vaga spontaneità, ed al contrario di quanto ci si potesse aspettare, alla fine allunga verso di lui un cenno decisamente affermativo, con il suo capo fasciato, così come è solita addobbarsi, con un grande fazzoletto a colori.
Remo allora apre il cancelletto della sua proprietà, e con le mani ingombre da una cesta colma di diverse verdure, attraversa la polverosa strada statale in quel momento deserta nella località del Platano, osservando bene se non stiano sopraggiungendo proprio in quel momento delle automobili. Marisa apre a sua volta il cancello del suo giardino, allarga maggiormente il sorriso al vicino che sta raggiungendola, accoglie con le mani i prodotti dell’orto che lui le sta offrendo, e poi, mentre lo ringrazia con un complimento di poche parole, lascia che Remo le dica a sua volta qualcosa, come una specie di confidenza: sono preoccupato, le fa lui adombrando per un attimo la propria espressione; ho visto sua figlia correre, qualche giorno addietro, poco prima di sera, come se le stesse per accadere qualcosa. E con lei c’era un ragazzo, uno forse della sua stessa età, che le diceva qualcosa mentre andavano da qualche parte, di fretta, in mezzo al paese, come se non avessero proprio più tempo per ponderare meglio le cose.
Niente, fa subito la signora Marisa; sono soltanto delle sciocchezze di due ragazzi, niente che abbia una minima importanza. Non si deve affatto preoccupare, continua, va tutto bene adesso che Clara ha acquisito il negozio di merceria della signora Martini. Bene, fa Remo, allora complimenti per la carriera che sta facendo la sua ragazza: così fa felice la mamma, immagino; d’altra parte la signora Martini era ormai troppo anziana per occuparsi ancora di un negozio che sembra sempre pieno di tanti clienti. Questo è vero, fa lei, gli affari sembrano andare piuttosto bene. Così lui si volta su un fianco, guarda per un momento la strada, riflette, poi saluta inchinando anche la testa mentre sorride alla signora Carraresi, quindi torna rapidamente sul suo cammino, raggiungendo il cancelletto rimasto aperto e richiudendolo con cura alle sue spalle. Marisa invece rientra nella sua casa senza tentennamenti, appoggia sul tavolo di cucina i prodotti dell’orto, poi si siede nervosamente, in preda ad una certa agitazione della quale conosce bene il motivo. Non le piace che Clara sia sulla bocca di qualche conoscente qualsiasi, tutto qua; anche se in fondo sembra proprio che poco per volta stia giungendo anche per lei il tempo in cui fare delle inevitabili scelte; nonostante, a suo modo di vedere, siano quasi del tutto sbagliate.


Bruno Magnolfi 



mercoledì 5 dicembre 2018

Pugno inspiegabile.



Lui sta fermo sul marciapiede. Finge di leggere qualcosa che tiene con apparente interesse tra le sue mani, anche se in realtà, non sapendo prendere una decisione, cerca soltanto di perdere tempo e di concentrarsi su come sia meglio comportarsi nei prossimi minuti. Ciao, gli dice un ragazzo che lo conosce da sempre mentre passa sopra al marciapiede di fronte. Lui gli risponde di malavoglia soltanto con un cenno, quasi scacciando da sé quell’incontro casuale, forse anche senza importanza, ma che infine gli fa decidere di non andare per niente davanti al negozio di Clara. Lei non è stata precisa l’ultima volta che loro due si sono visti, e non gli ha dato nessun appuntamento per farsi rivedere, forse immaginando che in qualsiasi momento per lui sia possibile arrivare facilmente fino alla merceria, piazzarsi là davanti, magari poco prima dell’orario di chiusura, ed attendere la sua uscita inevitabile. Ma Tommaso non vuole certo mostrarsi a tutto il paese mentre staziona come un fesso là davanti a quella bottega, quasi non riuscisse più a vivere senza incontrarsi con quella ragazza, come se non fosse capace di gestire le cose in un’altra maniera, come una stupida forzatura, quasi un obbligo quell’aspettarla all’uscita, che peraltro non lascia alcuna libertà di scelta neanche per lei, ed è per questo che se anche gironzola per le strade pensando solo a Clara, cerca di evitare il passaggio da quelle parti.
Perciò svolta per le vie minori che circondano tutto quel quartiere centrale, osserva attentamente ogni cosa che incontra nel suo camminare, riflette cercando di ponderare al meglio tutti i dettagli che devono essere presi in considerazione, ed alla fine, proprio all’angolo con la strada principale del centro abitato, avvista parcheggiata proprio la macchina di Clara. Non è sicurissimo che sia proprio la sua, però gli sembra impossibile che possa essercene una così uguale a quella che lui già conosce, così strappa velocemente un foglietto tra quelle quasi inutili carte che tiene regolarmente dentro le tasche, e scrive un saluto indirizzato a lei con una matita, lasciando il messaggio piegato sotto ad un tergicristallo. Poi se ne va, anche se gli pare di non aver completato perfettamente l’opera come vorrebbe: domani sarà la medesima cosa riflette, mi dovrò inventare ancora qualcosa; così dopo pochi passi torna subito indietro, riprende lo stesso foglietto e scrive sul retro che il giorno seguente l’aspetterà proprio a quell’angolo, lì dove adesso staziona l’automobile, perché deve dirle qualcosa di estremamente importante.
Non c’è qualcosa di così fondamentale da dirle ad essere sinceri, però nello spazio temporale di un’intera giornata qualcosa si farà pur venire alla mente. Quindi se ne va verso la piazza: può fermarsi dai soliti ragazzi a fare due chiacchiere, bere una birra con calma, ed infine rincasare senza problemi. Ma quando arriva proprio nei pressi delle panchine dove tutti stanno seduti, si accorge che c’è Renato che gli sta andando incontro con passo minaccioso. Gli si para davanti, lo guarda, e senza neppure aprire la bocca per dirgli qualcosa, gli sferra un pugno in piena faccia, facendolo cadere a terra indolenzito e con un rivolo di sangue sopra le labbra. Tommaso incredulo si rialza con calma, gli altri lo guardano senza aiutarlo, quindi si asciuga lentamente la bocca con il suo fazzoletto; poi se ne va, senza trovarci niente da dire.


Bruno Magnolfi



lunedì 3 dicembre 2018

Così come dev'essere.



Guardo dalla mia finestra la casa delle Carraresi, proprio di fronte alla mia abitazione, dall'altra parte della strada statale, in questa località da sempre chiamata del platano. Mi sembra tutto così particolare quando immagino cosa accada là dentro; intendo il fatto che loro due, queste due donne, si sono sempre dimostrate persino troppo riservate, serie ed anche oltremodo coscienziose in tutto quello che hanno fatto, quasi incapaci, dico io, di qualsiasi leggerezza, forse persino di reggere la spinta ordinaria della quotidianità senza riuscire costantemente a crucciarsene, ed a fare di ogni sciocchezza un elemento da ponderare, da prendere con estrema quanto inutile serietà. È vero che non le ho mai viste litigare tra di loro, eppure sono ugualmente certo che sia sempre mancato un clima realmente disteso tra quelle stanze. Più che una famiglia la loro, a volte mi è parsa la semplice somma algebrica tra due persone.
Io sono soltanto un pensionato che cura l'orto accanto alla propria casa e che si fa generalmente gli affari propri. Eppure provo un certo dispiacere nel rendermi conto che le cose in quella abitazione sembrano restare identiche da un anno a quello seguente, e che nessuna risata forse è mai riuscita a levarsi davvero tra quelle mura domestiche. La vita per noi gente di paese si mostra già piuttosto severa con le sue giornate noiose e normalmente avare di vere e proprie novità. Ma per loro due, queste due donne dall’immagine di persone così irreprensibili, le cose probabilmente potrebbero andare meglio se soltanto volessero.
Il marito di Marisa in fondo, ancor prima di morire, so per certo che le ha lasciate con un bel gruzzolo in banca, e con diverse proprietà sparse da queste parti, ma loro invece di godersi qualcosa di quei soldi e questi averi, sono sempre rimaste lì a bisticciarsi, con le facce tirate e qualche piccola mania per ciascuna, come portare i sacchetti della nettezza nell'area ecologica ogni giorno alla stessa medesima ora. Oppure farsi vedere sempre separatamente, mai insieme, come se uscire insieme fosse in questa zona qualcosa assolutamente da evitare.
Buongiorno, dico certe volte alla ragazza quando esce di casa nello stesso minuto di ogni giorno per mettere in moto l’auto ed andarsene al negozio dove lavora. Lei mi risponde con cortesia ma senza enfasi, come se già nei minuti precedenti avesse avuto qualche piccolo screzio con sua madre; la sua espressione appare quasi tirata, i gesti nervosi, lo sguardo di chi pondera bene cosa dire e soprattutto che fare, senza sprecare niente nei suoi comportamenti. Più tardi esce sua madre in giardino, guarda i suoi fiori, le piante, controlla l’altezza dell’erba, e pare proprio che di null’altro le importi se non di quei vegetali che in certe stagioni peraltro appaiono quasi inerti.
Ero riuscito a notare, nelle settimane addietro, che lei aveva iniziato a frequentare il vicino di fianco alla sua casa, a parlare con lui, ad andare persino a prendere il caffè a casa sua, e mi sono subito chiesto quanto tempo mai sarebbe trascorso fino ad interrompere tutto quanto. Difatti adesso sembra che neppure si conoscano, proprio come avevo immaginato, e lei è tornata ad ignorare chiunque le si muova attorno, proprio come sempre. Forse sono io che vorrei tutti gli altri magari più spensierati ed allegri, ma in ogni caso un giorno di questi attraverserò questa strada proprio per chiedere alle Carraresi il motivo del loro comportamento, e che cosa le porti ad essere in buona sostanza esattamente così come sono.


Bruno Magnolfi



giovedì 29 novembre 2018

Distanza di affetti



Domani dovremo fare per forza degli acquisti, dice nervosamente ma sottovoce la signora Marisa Carraresi; nel frigorifero ormai non c'è quasi più niente da mangiare. La figlia prosegue con indifferenza a sparecchiare la tavola presso la quale le due donne hanno appena finito di cenare, evitando di guardarla e sistemando piatti posate e pentole dentro la lavastoviglie aperta. Va bene, risponde lei senza smettere un attimo di occuparsi in quella sua ordinaria attività: posso passare dal negozio di Cesare, appena chiusa la merceria per la pausa del pranzo, preparami intanto una lista delle cose da acquistare, per favore.
Marisa toglie intanto la tovaglia, la scuote e quindi la piega per riporla dentro uno dei cassetti del mobile, poi rallentando i suoi movimenti mostra una specie d’inquietudine. Forse mi piacerebbe stare più tranquilla, dice quasi dando voce ai suoi pensieri; non perché non ce ne siano i presupposti, quanto perché provo costantemente dentro di me un indefinibile senso di precario, come un bisogno di arrivare da qualche parte che non so neppure io dove sia, né perché dovrei mai andare verso quel luogo. Adesso non so neppure spiegare il motivo per cui ti dico queste cose, prosegue, e forse alla fine sto soltanto invecchiando, come è giusto che sia.
No, dice Clara; queste cose mi paiono al contrario delle riflessioni importanti, che non c’entrano per niente con l’età, qualcosa che evidentemente mette subito in gioco anche il mio ruolo, almeno quello che tu credi dovrei rivestire come compito principale in questa casa e nei tuoi confronti. Probabilmente senti come tuo il processo che ultimamente mi sono accollata, e forse ti sembra che le cose che sto tentando di fare siano addirittura superiori alle mie forze, ed in questo sentirti quasi sicura della mia debolezza, vai indagando dentro di te quali possono essere le componenti del tuo modo di essere che generandomi sei riuscita a trasmettermi, magari anche durante questa frequentazione a volte esasperante tra di noi, da quando papà non c’è più.
Mi dispiace alterare così la tua sensibilità, risponde la signora Carraresi mentre prende la scopa per spazzare il pavimento della cucina. Però le sensazioni vanno sempre oltre ciò che noi si vorrebbe, per cui indipendentemente dalla mia volontà si sta manifestando qualcosa capace di farmi sentire non propriamente tranquilla, tutto qua. In fondo tu ormai sei una donna con un futuro avviato, e con una personalità che probabilmente riuscirebbe a tener testa a molte delle difficoltà che sfortunatamente potresti incontrare, e poi, alla fine, sarà la tua vita a decidere.
Non mi sembra così, dice Clara; conosco il mio lavoro e prendermi adesso delle responsabilità aggiuntive per quanto riguarda il negozio non mi spaventa. Nel tuo preoccuparti invece, c’è qualcosa fondamentalmente di egoistico da parte tua, qualcosa che mostra il bivio di fronte a cui probabilmente ti senti in questo momento: farti carico di una parte dei miei problemi come fossero tuoi, oppure abbandonare completamente il pensiero di me, lasciando che io prosegua nelle mie cose senza interessartene minimamente. Capisco il tuo punto di vista, anche pur definito da un vago malessere, come dici tu, in ogni caso non riesco a capire il motivo per sottrarmi un sostegno di cui adesso sento avrei davvero tutta la necessità.
Non so, risponde la mamma, forse non riesco a sentirmi propriamente dalla tua parte, forse le differenze tra i nostri caratteri hanno segnato un discrimine in tutti questi anni che per me sembra ormai qualcosa di insormontabile. Però non devi mai credere che manchi il mio sostegno a qualsiasi cosa deciderai del tuo futuro. Sono tua mamma, alla fine, e voglio dimostrarti fino a che punto so esserlo, anche se tu forse continuerai come sempre hai fatto nel tenermi a distanza.


Bruno Magnolfi



mercoledì 28 novembre 2018

Senza occhiali.


       

            Qualche volta mi ritrovo a camminare sopra ai marciapiedi del mio Borgo, senza pormi davanti neanche una vera e propria meta, semplicemente passeggiando con la testa ingombra come sempre da tutti i miei pensieri, fumando ogni tanto con tutta calma qualche sigaretta, e magari salutando certe volte le persone che più conosco di vista, al momento in cui le incontro lungo la via principale del paese o sulla piazza. Non mi interessa troppo intrattenermi a parlare come qui fanno quasi tutti tra di loro, per me è già sufficiente soffermarmi qualche momento ad un angolo oppure vicino ad un’insegna, magari anche davanti a qualche negozio che mi piace, per esempio, naturalmente senza entrarvi mai a comperare qualche cosa; mi basta accorgermi che gli esercizi funzionano, che sono pieni di gente, e poi rendermi conto che gli abitanti di questa cittadina sono costantemente in giro, e che le cose proseguono come sempre hanno fatto, senza fretta, proseguendo nel loro percorso, giorno dopo giorno.
Ripenso a molte cose durante il mio monotono camminare, ma l'argomento che più mi attira rispetto a tutti gli altri, è il ricordo che trattengo dentro me di questo paese dove mi sono trasferito tanti anni fa, e misurare ancora quelle differenze che si sono accumulate da allora nella sua fisionomia. Molte abitazioni sono andate giù e poi sono state ricostruite, altre invece completamente ristrutturate, e le botteghe che c’erano sono passate spesso di mano modificandosi e trasformandosi completamente. Gli alberi dei giardinetti sono cresciuti, naturalmente, e lungo il viale si è proceduto comunque anche a qualche abbattimento, per evitare guai causati da piante troppo vecchie. Non sono un nostalgico, però ricordo alcune di queste repentine variazioni, e spesso ogni cambiamento mi rammenta qualche cosa o qualcuno per ogni periodo di riferimento. Mi hanno detto qualche tempo addietro che vorrebbero fare una pubblicazione usando le fotografie dei decenni passati, raccolte forse da qualcuno appassionato di cose di questo genere. Ma a me non so se interessa davvero; a me in fondo bastano i ricordi, è sufficiente la memoria fintanto che riesco ad averla.
Certi giorni entro dentro al bar Soldini sulla piazza principale. Anche questo locale è cambiato tante volte, così come sono cambiate le persone che lo gestiscono, e come anche quelle che si sono alternate tante volte nel frequentarlo. Adesso ci sono spesso dei ragazzi che stazionano perennemente qua davanti, e quando fa più freddo entrano dentro al bar e se ne stanno per ore ai tavolini senza fare niente se non bere delle birre e chiacchierare. Ridono, cercano di scherzare, ma alla fine stanno qui soltanto a perdere del tempo. Come me d'altra parte, che continuo a girare qua attorno senza decidermi mai a niente. Non so che cosa mi aspetto da questa cittadina: però è come se avessi di fronte, ogni volta che ne osservo meglio i dettagli, qualcosa che mi appare vivo: quasi un organismo che tende lentamente a modificarsi, ad adattarsi ai tempi ed a quanto va accadendo.
Abito da solo, non ho molto di cui vivere, però mi sento tanto attaccato a questi caseggiati, a queste strade, a questi muri, e forse anche agli abitanti che incontro quasi ogni giorno lungo le vie, anche se mi tengo sempre da loro ad una certa riflettuta distanza. Non è semplice diffidenza la mia, soltanto la ricerca di un parere autonomo, di un’opinione più obiettiva, di un’idea che probabilmente agli altri sfugge, rispetto a quanto probabilmente pensano tutti, scambiandosi i pareri ogni volta che si trovano a parlarne. Non mi sento certo al di sopra di nessuno, soltanto guardo le cose coi miei occhi, e non vorrei mai trovarmi ad indossare degli occhiali che fanno diventare simili le immagini pur nitide e precise che presentano.

Bruno Magnolfi

lunedì 26 novembre 2018

Troppo lavoro.



Che cos'hai stasera, dice uno dei ragazzi. Niente, fa lui. Forse soltanto un po’di sonno. Si, fa l'altro, tanto lo sappiamo che hai perso la testa dietro alla merciaia. Non dire stupidaggini, dice Renato senza dare troppa importanza alla cosa. Quella è soltanto una cretinetta, non vale neppure la pena di perdere del tempo con una come lei. Ma se ti hanno visto tutti, fa un altro ancora tenendo gli occhi verso la piazza e sorridendo, che girellavi sempre davanti al suo negozio; e magari lei adesso per ringraziamento non ti guarda più neppure in faccia. Questo non è vero, dice lui; casomai ho cercato di farle un favore invitandola a venire qualche volta qui con noi. Mi avrebbe fatto piacere se ci avesse frequentato, se fosse stata un po’ qui a chiacchierare al nostro solito posto di ritrovo. Però lei è sempre troppo impegnata con il suo negozio. Oppure con Tommaso, fa quello di prima.
Nessuno aggiunge niente, Renato si volta verso la strada, come a cercare altri argomenti, uno di loro si alza dalla panchina per annunciare di andare a farsi dare una birra al bar Soldini. Non è il caso di insistere troppo, pensano tutti; si vede che Renato ci sta male. Ma è proprio in quel momento che qualcuno avvista proprio Clara, da sola, che sta camminando dall’altro lato della piazza, mentre si avvicina a loro senza mostrare alcuna fretta. Lei solleva una mano per salutare chi la sta guardando, evidenziando con il gesto un significato che appare con chiarezza, mostrando cioè quanto non stia recandosi propriamente verso di loro, ma soltanto che si trova a passare per casualità proprio da quelle parti. Renato sembra paralizzato, non se la sente di muovere neppure un passo verso la merciaia, anche se vorrebbe. Gli altri lo guardano, in attesa.
Ma nel momento in cui lei sembra proseguire come se nulla fosse verso la sua strada, lui si stacca dal gruppo, le va incontro da un fianco alla stessa velocità in cui si muove Clara, e dopo alcuni passi ne richiama l’attenzione con un semplice saluto a voce bassa. Lei si ferma, gli sorride, scambia con lui qualche parola, muove una mano in un gesto che vorrebbe forse convincerlo anche maggiormente di quello che gli sta dicendo con la voce, cioè che sta recandosi da qualche altra parte, e che ha qualcos’altro da fare che non starsene con lui o con loro in quella piazza. Per questo Renato impercettibilmente abbassa lo sguardo, lascia trascorrere appena un secondo, e quindi la saluta, tanto che anche ad osservarlo non sembra proprio ci sia altro da fare. Naturalmente nessuno tra i ragazzi sopra le panchine ha perso una sola virgola di tutta questa scena, ma quando Renato si volta per tornare verso di loro, nessuno sembra aver dato la minima importanza a quella cosa, ed ognuno immediatamente riprende la propria ordinaria espressione volgendo la testa in direzioni diverse e casuali. Renato adesso non ha più voglia di star lì in quella piazza ad incassare battutine spiritose, però andandosene subito il suo comportamento sarebbe anche troppo sospetto, per questo si costringe a restare ancora un po’, almeno per un'altra decina di minuti, quando poi dice che se ne deve proprio andare verso casa, ha bisogno di riposo spiega: ultimamente forse ho lavorato troppo con mio padre, dice come tra sé.


Bruno Magnolfi


giovedì 22 novembre 2018

Rientro a casa.



Forse ho sbagliato a dire così a mia madre, ho pensato subito dopo averle spiegato praticamente che lei non avrebbe dovuto più entrare nell’organizzazione delle mie giornate. Probabilmente però affiora dentro di me in certe occasioni quel carattere brusco che credo peraltro di aver ereditato proprio da lei, e che mi è sempre parso orribile in chiunque. Ma è stato come un segnale che le ho voluto lanciare, qualcosa che stesse a significare che oramai sono più che adulta, so camminare perfettamente sopra le mie gambe, non ho più tanto bisogno delle sue opinioni sempre un po’ sprezzanti.
Ho guidato per i tre chilometri fino al Borgo, ed ho parcheggiato la macchina lungo la strada principale, dove la metto quasi sempre, proprio di fronte alla merceria, prima di aprire con calma la serranda del mio negozio ed entrare in mezzo a tutti i silenziosi articoli da cucito e abbigliamento. Anche se oggi siamo chiusi al pubblico vorrei riconsiderare con calma le cose da sostituire nell'arredamento interno, e lo voglio fare ponderando bene ogni scelta, senza avere nessuno intorno ad influenzarmi. Ho riabbassato la serranda da dentro, e poi sono rimasta lì, guardandomi attorno e prendendo degli appunti completati da qualche piccolo schema.
Dopo una mezz’ora stavo poi per chiudere e ritornare verso casa, quando ho sentito qualcuno che mi chiamava debolmente dalla strada.  Ho chiuso allora la porta alle mie spalle, ho fatto scattare la serratura con la mia chiave - non si sa mai -, poi mi sono voltata. C’era Renato lì accanto, fermo, con le mani nelle tasche, la faccia di chi non sa proprio cosa farne della sua giornata. L’ho salutato, lui mi ha fatto una domanda su qualcosa di generico, io mi sono guardata velocemente attorno, come per mostrare una fretta che in realtà non avevo affatto. Non ti sei più fatta vedere, ha detto lui. Sono molto indaffarata come vedi, gli ho risposto. Certe volte bastano anche cinque minuti per mantenere dei contatti, ha detto lui in modo secco. L'ho guardato sorridendo, come fosse una risposta, poi con le chiavi in mano mi sono mossa lentamente in direzione della macchina. Lui mi è scivolato accanto come per accompagnarmi lungo quei pochi metri, ed io allora gli ho detto che forse sarei passata dalla piazza durante la settimana entrante. Lui ha annuito mentre io salivo in auto ed infilavo la chiave nel cruscotto.
Poi senza dire più nulla ho avviato il motore dopo aver chiuso lo sportello, e lui è rimasto lì a guardarmi mentre armeggiavo con il cambio quasi senza decidermi a partire. Non sono tranquilla, ho pensato subito, qualcosa sembra andare storto anche se non vorrei. Gli ho fatto un cenno distensivo con la mano, ma forse il mio nervosismo era ormai evidente. Mi sono allontanata pensando che sia Renato che tutti gli altri ragazzi certamente non mi avevano fatto mai niente di male. Forse adesso però li sentivo lontani, come fossero piccoli, mentre io cercavo di essere già donna. E poi però c’era Tommaso nella mia mente, che probabilmente in questo momento era in casa sua a studiare, a costruirsi un futuro, a guardare avanti a sé, non come loro che continuavano a vivere troppo alla giornata. Poi sono rientrata a casa dalla mia mamma, quasi senza esserne però troppo contenta.

Bruno Magnolfi





martedì 20 novembre 2018

Letture divaganti.




Domenica scorsa mi sono alzata presto, d’altronde come faccio quasi ogni mattina. Ancora in vestaglia ho girato per la casa silenziosa, ho controllato subito che la caldaia del riscaldamento funzionasse ancora a dovere, che il vento durante la notte non avesse strappato come a volte è successo le protezioni alle piante del mio giardino, che la lavastoviglie azionata la sera prima per caso non avesse fatto dei capricci. In mancanza di un uomo in questa casa mi devo fare carico di tutto, è oltremodo evidente. Poi in fretta mi sono vestita, ho ascoltato qualche notizia usuale alla radio, ed infine, considerato che Clara probabilmente stava ancora dormendo dentro la sua camera, con indosso soltanto una giacca di lana pesante e stringendo le braccia per ripararmi un po’ dal freddo, mi sono spinta fuori per un attimo fino quasi alla staccionata di separazione dei nostri giardini, giusto per dare il buongiorno al mio vicino di casa se magari fosse stato lì. Le cose non vanno più tanto bene con lui, ma non vorrei avere tutta la colpa di  questa battuta di arresto tra di noi; il mio vicino, in due o tre occasioni, pur ridendo per togliere in qualche modo importanza alla faccenda, ha sottolineato un carattere forse troppo brusco di alcune mie espressioni, e proprio per questo ho deciso in questi giorni di stare leggermente più alla larga da lui, anche se ne sono piuttosto dispiaciuta. D'altronde gli uomini si sono spesso comportati così nei miei confronti, e dopo un primo periodo di entusiasmo mi hanno sempre cercato qua e là dei difetti da evidenziare.
            Quando poi sono rientrata in casa, mia figlia stava seduta in solitudine al tavolo della cucina, impegnata nella prima colazione. Ci siamo salutate. Mi sembri contenta, le ho detto, forse per ascoltare che cosa mai potrebbe aver risposto. Lei mi ha guardato, ha riflettuto un momento, e poi: nel pomeriggio esco con un amico, mi ha detto, con estrema semplicità. Sono rimasta perplessa, non era mai stata così diretta con me, tanto da farmi dimenticare per un attimo di chiederle chi fosse quell'amico. Si chiama Tommaso, ha detto lei interpretando velocemente i miei desideri, poi si è alzata, ha sistemato il tavolo e le stoviglie, ed è uscita dalla stanza. Non capisco quando abbia trovato il tempo di farsi delle nuove amicizie, mi chiedo, visto quanto sembra costantemente impegnata nel negozio di merceria di cui sta prendendo la gestione, ma la sua età ormai è quella giusta per portarla a guardarsi bene attorno.
            Fino ad oggi non sono mai stata gelosa di lei; non me ne ha mai data l’occasione, è quasi meglio dire, però adesso sento che nella sua voce e nei suoi atteggiamenti c’è qualcosa che fino a poco fa non si mostrava. Non voglio indagare né farle delle domande, lei sa che non fa parte del mio modo di fare, però tutto questo apre uno scenario che non avevo mai considerato, e che improvvisamente mette in discussione molte cose. Poi è ricomparsa nel soggiorno ben vestita e pettinata: esco per un’ora, mi ha detto facendo tintinnare in mano le chiavi della macchina, ed io le ho risposto, senza dare alcuna importanza alla cosa, che l’avrei attesa per il pranzo. Lei è uscita, ed io improvvisamente ho sentito cadere su di me una solitudine che non avevo quasi mai provato, forse neppure quando se n’è andato mio marito. Infine mi sono seduta: devo riflettere, ho detto a voce alta; poi ho preso un libro e mi sono messa a leggere.


            Bruno Magnolfi 


sabato 17 novembre 2018

Adesso o mai.



7 novembre
L'ho visto, l'ho riconosciuto nonostante stesse quasi fermo in una zona male illuminata. Spero che qualche altra volta passi davanti al mio negozio, che si soffermi, mi dica qualcosa, e magari trovi un po’ di tempo anche per me.
8 novembre
Non so neppure dove abita; mi ha detto che studia molto, che non esce quasi mai di casa. Eppure dovremo tornare ad incontrarci ancora, almeno per una fortuita combinazione.
9 novembre
Sono già due volte che allungo la strada quando esco dalla merceria, proprio per transitare nei pressi della piazza dove stazionano sempre i soliti ragazzi. Ma lui non c'era. Già lo sapevo che non li frequentava molto, che non gli piace stare lì con loro a perdere del tempo. Però speravo che aspettasse me, che facesse in modo di incontrarmi, come io vorrei fare con lui.
10 novembre
Eppure devo trovare un sistema per vederlo. Lui eppure sa dove mi trovo durante tutta la giornata lavorativa. Non capisco perché non passi almeno una volta davanti alle vetrine del mio negozio. Uscirei subito per salutarlo, per dirgli qualcosa, fargli un saluto, nient'altro.
11 novembre
Devo togliermelo dalla mente. Mi pare di essermi fissata: continuo a scrutare la strada fuori dai vetri della merceria per vedere se per caso ci fosse il mio Tommaso da qualche parte. Sono forse stata uno sciocca l'altra sera quando l’ho visto poco lontano dal negozio mentre chiudevo. Dovevo andargli incontro, dirgli subito qualcosa, creare una possibilità, piuttosto che attendere tutto questo tempo stupido e inutile.
12 novembre
Stasera, quando uscirò da qui una volta chiuso questo negozio, arriverò a piedi lentamente fino in piazza, sfiorando le panchine davanti al bar Soldini. E’ come l’ultima possibilità che gli concedo. Se non sarà come spero in mezzo a tutti gli altri ragazzi, cercherò d’ora in avanti di non pensare più a lui, di togliermelo dalla mente, e certamente non starò ancora ad aspettarmi di vederlo da un momento all’altro sulla strada davanti alla merceria. Non ci saranno altre occasioni, ho deciso; le cose si concluderanno lì in questa maniera. Magari starà lì, di spalle, chiacchierando con qualcuno, indifferente a tutto, come fosse cosa normale, ed io saluterò in fretta tutti gli altri senza neppure trattenermi molto, fingendo anzi di avere fretta per non lasciare in aria delle cose ancora da definire. Tommaso si offrirà di accompagnarmi, allora, e così ci sarà il tempo di parlare e di darsi un nuovo appuntamento.
            Lo vedo adesso, proprio mentre scrivo su questo mio diario: è qui, davanti alla vetrina; sorride nella mia direzione, aspetta che io chiuda il negozio, e già mi tremano le gambe. Però sono contenta.


Bruno Magnolfi



mercoledì 14 novembre 2018

Estrema semplicità.



Mi piace sapere in partenza se una certa cosa la posso fare oppure no, anche se ovviamente mi rendo conto non sia così facile comprenderlo. Però trovo tutto ancora un po’ più complicato quando si va a sollecitare in qualche modo le opinioni di qualcun altro, perché in genere non collimano mai perfettamente con quelle che io ho messo a punto, magari soltanto per la mia innata abitudine di trascorrere molto tempo - forse anche troppo – in perfetta solitudine, e di non riuscire per mia natura a fare delle scelte che tengono davvero conto degli altri. Così mi limito a girare per strada, ed anche se so già verso dove vorrei andare in alcune serate come questa, in ogni caso mi prendono continuamente dei forti dubbi sul fatto che quanto ho deciso di tentare, per situazioni come quella che ho in mente, sia poi davvero la cosa migliore da farsi. Provo un deciso entusiasmo, ma non vorrei proprio sbagliare, e ritrovarmi magari a sciupare qualcosa rispetto all’ attesa che ho maturato dentro di me, considerato che continuo solo a girare attorno al problema, nella speranza che la soluzione trovata sia davvero quella migliore.
Stasera non ho neppure troppa voglia di farmi vedere in giro da tutti, ed è anche per questo motivo, a parte l'umidità che persiste in queste giornate, che mi sono ficcato questo cappellaccio sopra la testa, immaginando così di essere un po’ meno riconoscibile. Mi piacerebbe forse addirittura zoppicare o caratterizzare la mia camminata in qualche maniera che non è la mia, proprio per lasciare immaginare a chi mi incontra per strada un'altra persona sotto queste vesti, qualcuno che soltanto difficilmente potrei veramente essere io. Ma poi sorrido di tutte queste mie fantasie, e vado avanti con normalità cercando di mantenere la stessa convinzione e la medesima volontà che mi ha portato poco fa ad uscire di casa. 
Non mi va di mettermi troppo vicino al negozio proprio nel momento in cui si sta avvicinando l’ora della chiusura; mi basta rimanere nei dintorni, attendere, piazzarmi in una zona del marciapiede poco lontano che resta scarsamente illuminata dai lampioni già accesi, e lì aspettare il momento maggiormente opportuno per farmi avanti, immaginando poi di lasciarmi riconoscere soltanto accennando un semplice gesto o una parola appena pronunciata. Però potrebbe anche cadere a sproposito questa mia mossa, anche se continuo a ripetermi che qualcosa devo pur fare, e che devo mostrare la mia precisa volontà in qualche maniera. Ci penso ancora un momento, mentre torno indietro lungo la strada: non vorrei che qualcuno già a questo punto mi avesse notato. Così ripercorro ancora una volta il giro completo dell’isolato, sempre tenendo un comportamento da passeggiata solitaria.
Alla fine mi fermo, le vetrine che mi interessano sono ancora illuminate, anche se l’orario di chiusura della merceria è già trascorso, ed adesso Clara dovrebbe venire fuori, non può più tardare molto. Eccola, difatti, però non è sola: c’è una signora con lei, non posso farmi avanti in questo momento, così mi copro come posso sotto al cappello, e voltandomi spero dentro di me di non essere stato riconosciuto. Farò un nuovo tentativo sicuramente domani, o forse tra qualche giorno, penso; ancora non lo so, perché trovare lo stesso coraggio non sarà certo facile. Anche se a me basterebbe soltanto che lei mi dicesse: ciao Tommaso, con estrema semplicità.


Bruno Magnolfi