mercoledì 30 maggio 2018

Superamento di tutto.



Lei adesso siede al suo tavolo cercando di conservare una certa tranquillità, ed almeno in apparenza sembra non avere al momento dei grandi pensieri dentro la testa, anche se tra qualche minuto dovrà per forza rimettersi in moto per le cose ordinarie di cui deve assolutamente occuparsi, ed affrontare tutti quei piccoli problemi che oramai costituiscono la maggior parte di tutto il suo tempo. Suo figlio alla fine si è addormentato nel proprio lettino dopo la giornata trascorsa come sempre nella scuola materna. A volte il bambino sembra nervoso, dice di avere male alla testa, in qualche caso si comporta con gli altri compagni in maniera leggermente aggressiva, così le hanno spiegato in fretta le sue maestre quando è andato a prenderlo la scorsa settimana. Il pediatra non ha poi dato molta importanza alla cosa, ma lei si, anche se adesso vorrebbe proprio non avere anche questa preoccupazione.
Deve controllarsi al massimo, questo è il punto, ed almeno in casa riuscire a non dare mai alcuna possibilità al suo bambino di respirare un’atmosfera tesa, nervosa, priva di quella calma fondamentale alla sua crescita sana, e che in questo momento soprattutto deve avvenire in maniera il più possibile naturale, senza alcuno strappo possibile. Che suo padre se ne sia andato da qualche tempo sembra adesso un dettaglio quasi lasciato alle spalle, ma se fino a poco fa lei credeva di essere riuscita a tenere assolutamente sotto controllo anche questo, negli ultimi giorni non le sembra più un elemento di cui essere così tanto sicura.
Poi c’è il suo lavoro, e con tutti i permessi che ha dovuto prendere ultimamente per stare proprio dietro a suo figlio, non sa spiegarsi neppure lei come i dirigenti della sua azienda riescono ancora a conservarla al suo posto. Continua a ripetersi come per convincersi che le cose uno di questi giorni miglioreranno, e che tutto andrà bene, che ci sarà dietro l’angolo una notizia positiva anche per lei. Perché deve tenere alto il morale, guardare in avanti, cercare di cogliere tutti gli aspetti migliori che ogni giornata le può presentare, e poi posare sempre i piedi per terra, farsi aiutare da tutti coloro che le ruotano intorno, essere sempre cortese con le poche amiche rimaste, con i colleghi sul posto di lavoro, con la sua vicina di casa che a volte le tiene anche il bambino, quando lei magari deve uscire anche solo per comperare qualcosa.
Non è facile, lei lo sa bene, ed è consapevole di tutto, perciò si alza improvvisamente da quel tavolo, va ad osservare ancora una volta suo figlio che in questo momento sembra proprio tranquillo, che crescerà bene nonostante tutte le difficoltà, lei ne è più che sicura, e che non ricorderà mai l’apprensione sprecata dalla sua mamma durante questi suoi anni d’infanzia. Vorrebbe quasi con un colpo di spugna allontanare da sé ogni brutto pensiero, tutte le preoccupazioni che spesso sembrano attanagliarla, il senso di disperazione che a volte la prende, ma non sempre riesce a mostrare al bambino quella serenità che lei vorrebbe e che sente utile, necessaria, quasi un ingrediente fondamentale per tutti questi giorni difficili.
Poi lui però si sveglia, si guarda attorno come fa sempre, muove la manine per cercare l’appiglio di cui forse sente profonda necessità; così lei lo prende, lo stringe a sé come la cosa più preziosa che ha, ed il bambino sorride: va tutto bene, è tutto già superato.


Bruno Magnolfi



lunedì 28 maggio 2018

Senso del ridicolo.



Siamo noi, spesse volte, ad indicare la via giusta a tutti quanti. Ed anche se in certe occasioni si sente ridere qualcuno in modo platealmente denigratorio dentro al buio della sala, ciò non comporta da parte nostra alcun cambiamento di rotta, visto che noi siamo sicuri di quello che è meglio fare per il bene della nostra gente. Mandiamo avanti le cose come sempre si è fatto, produciamo idee e riflessioni che onorano qualsiasi tipo di causa giusta e condivisibile, e ad ogni serata siamo sicuri di rendere più fluido e piacevole il nostro spettacolo, tanto che in molti si accostano ogni volta a quel gruppo corposo composto dei nostri sostenitori.
Siamo noi a guardarci attorno per trovare la giusta ispirazione ogni volta che la realtà sembra bloccata, e non ci vuole molto per mostrare quelli che sono i nostri principi fondamentali, sempre dettati dal buon senso e dall’equilibrio. Ci muoviamo sempre in mezzo a molte complicazioni, e spesso ci troviamo costretti semplicemente ad ignorare le critiche aspre che ci vengono rivolte, ma abbiamo la sicurezza che alla fine tutti resteranno soddisfatti del nostro impegno, e sappiamo che prima o dopo non ci sarà più alcun bisogno di trovare delle scuse per giustificare ancora una volta una scarsa affluenza di pubblico ai nostri spettacoli.
Siamo noi che stiamo coi piedi sopra a questo palcoscenico, e se le luci riescono ad illuminarci a dovere, mostriamo volentieri la faccia a tutto questo pubblico, perché non abbiamo niente da nascondere, oltre al nostro muoverci qua sopra con i tempi e con le espressioni che la tradizione dello spettacolo ci ha da sempre permesso di utilizzare.  Ci sentiamo bene, a nostro agio, apprezzati e sostenuti da tutti coloro che ci hanno seguito fino adesso, gridandoci certe volte dei consigli e mostrando il loro disaccordo quando qualcosa nelle nostre scelte non è del tutto andato per il verso giusto.
Siamo noi a far vedere alla platea di che pasta siamo fatti, e non hanno alcuna importanza i sacrifici a cui abbiamo dovuto sottoporci, le ristrettezze a cui ci siamo arresi, il duro lavoro che da sempre ci ha comportato questa preparazione ad uno spettacolo come quello nostro. Ci impegniamo a fondo tutti quanti, cerchiamo sempre il massimo, a cominciare dalle prove, e stiamo sempre estremamente concentrati fino a quando siamo del tutto sicuri che niente di quello che verrà sarà lasciato al caso.
Siamo noi, fin dagli inizi, coloro i quali riusciranno a mostrare qualcosa di notevole, e non ha alcuna importanza se tra tutti quanti quegli spettatori che restano immersi dentro la sala buia, ce ne sarà qualcuno che avrà avuto da ridire, e che uscirà da qua dicendo ad altri che lo spettacolo ha lasciato molto a desiderare o che magari a lui non è piaciuto affatto; non importa, penseremo, in fondo tutto il mondo è composto da opinioni, e sarà bene rispettare anche quelle che non ci sono favorevoli. Saremo stati noi comunque ad essere quelli che si sono messi in gioco per tutto il tempo, ed alla fine se anche avremo superato il senso del ridicolo, forse era proprio anche così che si doveva fare.  
           

            Bruno Magnolfi


domenica 27 maggio 2018

Appuntamento difficile.



Devo muovermi, sono già in ritardo. Non capisco neppure come possa essere capitato, forse mi sono trastullato un po’ troppo nella convinzione di avere davanti tutto il tempo di cui avevo voglia, ed invece le lancette dell’orologio sono andate avanti velocemente quasi per conto loro, in un modo del tutto inesorabile, tanto che adesso mi trovo nella situazione imbarazzante di chi non ha più alcuna possibilità neanche di riflettere meglio su quello che mi attende.
Prendo la giacca ed esco di corsa, pur sapendo perfettamente che il mio presunto successo in ciò che ogni giorno mi trovo a dover affrontare è semplicemente determinato dal dettaglio, dalle piccole cose, da quei particolari minimi e sottili per i quali soltanto dedicando loro la giusta attenzione si può ottenere i risultati in qualche modo sperati, lasciando alle spalle la superficialità risultante quasi sempre dalla fretta eccessiva. Forse ho i capelli poco pettinati, la mia camicia non è del colore che avrei voluto indossare, le mie scarpe non sono neppure perfettamente pulite. Però mi rassegno: certe volte le cose non possono essere altro che così.
Sul portone trafelato incontro la mia vicina di pianerottolo mentre sta rientrando, una persona comprensiva e sempre cortese con me, capace di prendermi la posta quando non ci sono, o anche di passarmi qualcosa da mangiare in certe serate in cui il mio frigorifero e la mia dispensa dimostrano di essere vuoti. Mi saluta vistosamente e con una certa determinazione, perciò mi fermo, le dico subito che ho fretta, ma lei inizia col raccontarmi qualcosa di importante dell’amministratore di condominio e delle sue strane trovate, così capisco subito che devo per forza interromperla, anche se in maniera garbata, se voglio occuparmi ancora della mie cose. Le dico che passerò più tardi da lei, ed a quel punto mi potrà raccontare tutto con calma, poi volo alla fermata del bus, che naturalmente transita proprio in quel momento senza di me.
Decido di andare a piedi, perciò attraverso subito la strada in un punto peraltro dove non è permesso, tanto che le auto di passaggio mi strombazzano come per farmela pagare. Sono già in un bagno di sudore per l’agitazione, e mi sento inadeguato sempre di più ad affrontare quanto il mio dovere richiede. Sono sicuro che qualcuno dirà immediatamente che sono in ritardo come è mio solito essere, e le mie scuse non verranno neppure prese in considerazione. Arranco, alla fine arrivo in una piazza e vedo un bus, così ci salgo insieme ad altre mille persone che mi stringono in una morsa incredibile. Non riesco neppure a vedere verso dove si vada, ma alla fine mi rendo conto che la direzione del mezzo pubblico non è quella giusta per me. Impiego due fermate prima di riuscire a scendere da lì, e mi sento sempre più disperato.
Alla fine decido di entrare in un bar per cercare di calmarmi, così mi siedo ad un tavolo libero e mi faccio servire dell’acqua e anche un caffè. Non sto bene, questo è il punto essenziale: non posso andare da alcuna parte, non posso presentarmi a nessuno, devo lasciare che le cose restino così come sono se non voglio riuscire a peggiorarle. Alla fine telefono: non importa, mi dicono all’apparecchio; non c’è affatto bisogno che lei si presenti; così, mi spiegano, può restare tranquillo e beato nella sua casa. Va bene, rispondo, ringrazio il vostro pensiero, magari prenderò nei prossimi giorni un nuovo appuntamento.


Bruno Magnolfi


mercoledì 23 maggio 2018

Strade diverse.



Il primo appare stanco, forse svogliato, e trascina leggermente una gamba quasi come se quella autonomamente si rifiutasse di muoversi. Guardandolo con attenzione si vede che il suo è un atteggiamento annoiato, di chi forse farebbe qualsiasi cosa pur di ritrovare un briciolo di quell’entusiasmo che ha di fatto perduto, ma in mancanza di questo non è proprio disposto a preoccuparsi di nulla. Gli altri, chi più chi meno, somigliano a lui in questi suoi atteggiamenti,  anche se a ben guardare si notano delle sottili differenze. Tutto il gruppo nel suo insieme sembra composto da individui tranquilli, soggetti che forse non farebbero del male a una mosca, ma si tratta di trovare come sempre la giusta occasione per vedere come in realtà potrebbero davvero comportarsi.
La prima avvisaglia di una situazione sfuggente si ha quando tutti si fermano in una stradina come per scambiarsi delle opinioni su qualcosa. Qualcuno di loro alza la voce, ma soltanto per dare maggiore importanza a quanto vuol dire, e dopo pochi secondi si apre qualche finestra dai silenziosi caseggiati vicini. Alcuni condomini si limitano semplicemente ad osservarli, invece qualcuno tra questi dice qualcosa per farsi sentire da quel gruppo di perdigiorno, ed altri due o tre si danno appuntamento al portone, tanto per farsi riconoscere come gente che non ha certo paura di qualche stupido vagabondo.
Il gruppo in strada si muove con indolenza, percorre la piccola via normalmente deserta con la medesima lentezza di prima, e quando arriva all’incrocio avverte il richiamo di qualche soggetto che si è spinto fino ad arrivare alle loro spalle, ed adesso senza problemi osserva gli altri quasi con espressione di sfida. Il primo fa cenno a tutti di proseguire senza fermarsi, conservando il suo atteggiamento distaccato e menefreghista, ma qualcuno del gruppo si volta quasi per fronteggiare il gruppo dei nuovi arrivati.
I primi cazzotti arrivano subito, qualcuno tira anche qualche pedata, ma in tutto questo non sembra ci sia la volontà da parte di nessuno di farsi del male. Uno cade a terra ma soltanto perché è scivolato, ed un altro si mette a correre per distogliere l’attenzione di tutti, ma infine si sente nell’aria un po’ chiusa dalle facciate di quelle case, un colpo secco di arma da fuoco.
Ognuno si immobilizza, si osservano reciprocamente le mani di tutti, ma nessuno sembra abbia niente a che fare con quello sparo inquietante, sempre che invece non sia stato un semplice petardo lanciato da una finestra per l’iniziativa di un buontempone. Ognuno riprende lentamente ad occuparsi dei propri interessi, quello che era malamente caduto si rialza in fretta e riguadagna l’appartenenza al suo gruppo, i residenti di quella via tornano verso le proprie abitazioni. Ma proprio in questo momento un nuovo sparo sembra trafiggere l’aria, ed uno del gruppo lancia un urlo reggendosi un braccio. E’ stato colpito, dicono gli altri, così in un momento si disperdono tutti andandosi a rannicchiare nei luoghi più nascosti che trovano attorno. Frettolosamente si nascondono ognuno in un luogo diverso, e sentendosi ancora un po’ sotto tiro ciascuno di loro cerca soltanto di salvare la propria pelle, fino a quando il ferito semplicemente chiarisce che nel brusco movimento fatto per la paura del colpo un muscolo gli ha provocato un crampo ad un braccio, dolorosissimo. Si scopre in questo modo che gli spari erano davvero petardi, e quando qualcuno inizia a ridere di tutta questa situazione creatasi, gli altri subito lo seguono, iniziando ad andarsene con una certa cautela e  poco alla volta, ognuno comunque per la sua strada.


Bruno Magnolfi



lunedì 21 maggio 2018

Normalmente.




In giornate come quella di oggi mi sento confusa. Anche se cerco di svolgere normalmente le solite cose di sempre le mie attività per loro natura mi appaiono in questo momento piuttosto strane, sfuggenti, come se avessero improvvisamente perso di senso e non mi procurassero in questi frangenti alcun piacere. Potrei forse telefonare per esempio alla mia amica di sempre per chiederle se le vada di uscire con me, ma evito persino di pensare una cosa del genere, così quando prendo la borsa per andarmene in giro, anche se non so neanche io verso dove, mi assicuro giusto di averci messo dentro le chiavi del mio appartamento, e poi basta.
Già mentre scendo le scale dapprima rallento, osservo qualcosa lungo il corrimano metallico e infine mi fermo proprio sul pianerottolo del piano inferiore, indecisa se sia il caso di uscire davvero o magari tornarmene verso la mia poltrona per accendere con tranquillità la televisione. Alla fine mi faccio coraggio ed esco risoluta dal portone condominiale, anche se non ho ancora deciso se andarmene a destra oppure a sinistra lungo la strada. Sto lì che fingo di cercare qualcosa nella borsetta tanto per prendere tempo, quando mi ferma un mio conoscente che abita da queste parti. Ci sono giornate in cui tutto va storto, mi dice, ed io gli sorrido come a conferma di quelle sue parole giustissime, così lui si ferma, mi chiede se può accompagnarmi per un tratto di marciapiede, ed io incoraggiata da quella specie di acquisita solidarietà gli rispondo con un altro sorriso consenziente che si può fare.
Lui si sente sostenuto dal mio comportamento, e così inizia a raccontarmi diverse cose che lo riguardano, anche se a me sembrano molto normali e prive di qualsiasi interesse. Lo ascolto, ma vorrei dirgli che i suoi argomenti in definitiva sono insulsi, e che forse sarebbe meglio che stesse in silenzio piuttosto che raccontare cose del genere. Lui ad un tratto dice che vuole offrirmi un caffè, ed io lo accontento entrando con lui dentro un locale lì accanto. Poi però chiedo del bagno, sparisco in un piccolo corridoio su un lato di quella sala e dopo un bel pezzo senza farmi vedere guadagno l’uscita e torno lungo la strada.
Rido da sola come una pazza del mio innocuo trucchetto, cammino subito a passo svelto per allontanarmi da quella zona, infine mi fermo per guardare qualche vetrina. Tutti si aspettano qualcosa da me, questo è quello che mi fa più impazzire, e che io mi comporti come le abitudini vorrebbero, decidendo cioè al posto mio, e che magari assuma un atteggiamento normale come chiunque altro che gira qua attorno. Ed invece è proprio questo che non mi va giù: sentirmi ordinaria, soggetta ad una logica stabilita da sempre, costretta a comportarmi come tutti questi altri. Non che mi senta particolarmente diversa da loro, soltanto vorrei decidere per conto mio tutto ciò che è meglio per me. Rientro in casa, getto la borsa sulla poltrona e accendo la televisione, proprio mentre suona il telefono: è la mia amica, dice che oggi non ha voglia di uscire, e che forse potremo vederci domani. Va bene le dico; infine riaggancio.


Bruno Magnolfi




giovedì 17 maggio 2018

Identici.




Non fanno più caso a coloro che regolarmente tendono a scambiarli uno per l’altro, anzi, generalmente sono disponibili senza correzioni a rispondere ognuno a nome del proprio fratello gemello pur di non tornare nuovamente a chiarire quello che sembra essere il dubbio principale di chi gira attorno alle loro giornate. Sorridono sempre con una stessa identica espressione, e spesso mostrano come di essere già oltre certe sciocchezze, e di avere ormai maturato negli anni una logica del tutto inattaccabile. Per il resto fortunatamente si possono incontrare insieme quasi sempre, visto anche che costituiscono una piccola società per la quale riescono a svolgere uno stesso mestiere, e persino quando si recano fino al solito caffè per una pausa, lo fanno come fossero due bravi amici, parlando e scherzando con tutti senza alcuna preoccupazione, lasciando che ognuno tra coloro che incrociano tragga le proprie indiscutibili conclusioni su chi sia veramente l’uno e chi l’altro.
Il loro abbigliamento certe volte mostra a chi li frequenta di meno qualche indicazione ulteriore, ma si è dato il caso, più di una volta, di averli visti indossare una stessa giacca prima ad uno dei due, ed in seguito all’altro. Marco, gli dicono, e quello si volta quasi a dare soddisfazione a chi crede di aver indovinato la persona giusta. Ascolta tutto come sempre, forte della sua invidiabile pazienza, annuisce quasi per incoraggiamento, fino a quando viene fuori per un qualche motivo che in realtà lui è proprio Mario, anche se non è interesse di nessuno dei due chiarire la loro identità esatta. Anche in casi di grande evidenza loro due si scherniscono, fino a confondere completamente le idee in chi hanno di fronte.
Ognuno ha la propria famiglia, questo è chiaro, ed abitano in due appartamenti attigui di un caseggiato del centro, tanto che certe volte si vedono perfino a sera tardi, direttamente sul pianerottolo condominiale, giusto per scambiarsi sottovoce le ultime opinioni su qualche questione di lavoro e cose del genere. Le loro soddisfazioni sembrano sempre una spanna oltre tutti, ed i loro modi di essere appaiono precisi per quello che sono: due inseparabili a cui piace più di ogni altra cosa scambiare reciprocamente la propria esistenza. 
Vista la loro somiglianza perfetta nessuno è mai certo di avere di fronte un preciso gemello dei due, ma in tutti i casi forse non è poi molto importante, neppure per tutti quelli che dicono di conoscerli bene. Sentirli parlare tra loro è quasi un piacere, considerato che hanno dei modi di abbreviare e storpiare le proprie espressioni in maniera tale da farle apparire chiare solamente a se stessi. La fusione tra i due appare perfetta nel momento in cui parlando con qualcuno iniziano e finiscono vicendevolmente tutte le frasi che adoprano, quasi fosse soltanto una bocca sola a dire le cose. Nessuno li ha mai visti litigare tra loro, ma forse soltanto perché conservano una personalità riservata e un’empatia superiore.
Certe volte qualcuno per vedere cosa succede li chiama, usando soltanto uno dei due nomi personali piuttosto che il loro cognome; è come un discrimine quel piccolo richiamo, quasi che proprio da lì si potesse valutare qualsiasi variante apprezzabile: naturalmente i gemelli si voltano insieme però, in una sintonia che in ogni occasione lascia tutti i presenti senza alcun dubbio.

Bruno Magnolfi






mercoledì 16 maggio 2018

Luce diretta.


            

            Sta zitta lei in certe occasioni; abbassa lo sguardo e si limita ad osservare una cosa qualsiasi che le rimane vicino, come le zampe di una sedia, per esempio, oppure anche la punta delle sue calzature. Se le si chiede qualcosa in questi momenti lei alza le spalle come per spiegare che non sa di cosa si parli, o che non sa rispondere, oppure che proprio non le va di parlare. Non c’è molto da recriminare in quei casi per chiunque cerca di comprendere in qualche modo quel suo disagio così delicatamente evidenziato, anche se certi atteggiamenti che assume in altre situazioni sembrano quasi di una persona del tutto diversa.
Difatti quando poi decide di parlare lo fa quasi sempre usando dei termini strani e delle frasi sconclusionate che sembra non portino mai da alcuna parte, anche se definiscono piuttosto bene la sua fantasia visionaria. Descrive in fretta qualcosa di incomprensibile, sprazzi di realtà che sembra non abbiano mai alcun senso. E poi parla di un uomo, di un’immagine centrale che forse possiede stampigliata nella mente, e che sembra soltanto lei riesca a vedere, pur mostrando che in mezzo alle sue parole non abbia proprio niente di divino come forse si potrebbe immaginare, visto che le sue spiegazioni definiscono soltanto un uomo qualsiasi, probabilmente qualcuno che lei stessa ha conosciuto una volta indietro negli anni, chissà quando, e che adesso comunque finge di ricordare piuttosto bene, tanto da elevarlo a personaggio meraviglioso.
Fanni, le chiedono a volte nell’istituto; chissà quanto tempo è passato dall’ultima volta che hai visto il tuo amico. Lei rimane immobile per qualche attimo, probabilmente colpita dal riferimento diretto, poi dice a modo suo che non è poi trascorso molto tempo. Era qui, forse ieri, non so. Mi ha toccato la mano, c’era la luce, c’era il sole, io sorridevo. Insieme, mi ha detto, nient’altro. Non so, qualcosa del genere, da qualche parte, con lui; volevo andarmene, lui si è voltato, si, io ho preso le mie cose, poi ho rinunciato. Si rideva, lui scherzava: però insieme, mi ha detto. Va bene, sono pronta, gli ho fatto. Si è girato, e anche io, ma forse era tardi, poi basta. 
Inutile insistere, il bisogno di andarsene è una costante naturale non soltanto per lei tra quelle mura, ed immaginare da parte di molti là dentro un personaggio che aiuti ad andarsene via è altrettanto normale; ma questa donna aggiunge spesso qualcosa di suo, si spinge più avanti: si era lontani da qui dice, giusto ieri; il sole scaldava, lui diceva cosa guardare. Stavo bene, si era contenti. C’era il sole nelle stanze, lo seguivo, non importava più niente.
Torna a casa sua qualche volta, ad intervalli regolari, per stare insieme con la sua famiglia, accanto a chi continua a volerle del bene. Buffo vederla andare via, con la sua espressione assente, le braccia a riposo lungo i fianchi e le sue immagini di sempre probabilmente dentro ai suoi occhi. Potrebbe cancellare tutto, solo volesse, tornare svagata, priva dei sogni e di quell’immagine d’uomo che a volte sembra addirittura riesca a perseguitarla. Ma lei guarda in basso, la punta dei suoi piedi, sta zitta a lungo, per un tempo vuoto ed indefinito, poi mormora qualcosa, come tra sé: il sole, con me e con lui, illumina le stanze. Non tornerò; starò per le strade, insieme, piene di luce.

Bruno Magnolfi

lunedì 14 maggio 2018

Fine della storia.


          

            Ho perso. Forse non è stata una vera colpa la mia e neppure credo si sia trattato di un madornale errore di valutazione; difficile difatti persino comprendere qualcosa capace di causare effettivamente tutto quello che è accaduto. Magari si sono anche verificate delle situazioni singolari per cui mi sono trovato praticamente preso in mezzo ad una serie di sciocchezze a cui non avrei mai dovuto dare importanza. Però di fatto sono caduto in uno stupido trabocchetto teso nient’altro che dagli eventi. E in ogni caso proprio non c’è appello per quanto riguarda la mia condizione attuale. Le cose stanno così e bisogna soltanto farsene al più presto una ragione. Non tanto perché penso di riparare tutto in qualche modo: non ne ho neanche la voglia, e poi sinceramente non ce ne sarebbe neppure il tempo. Quanto perché in questo momento cerco soltanto la possibilità di tirare ancora avanti alla meno peggio, e dopo basta.
            Ho avuto degli abbagli quasi in tutte le cose in cui in qualche modo potevo prendere delle decisioni che si sarebbero dimostrate fondamentali. Forse perché ho sempre pensato ottimisticamente che in seguito ci sarebbe stato tutto il tempo per modificare le mie scelte del momento, una volta eventualmente trascorsi i tempi delle necessarie piccole esperienze. Invece i fatti conseguenti si sono solidificati rapidamente mostrandosi ormai come dati di fatto, ed anche soltanto la possibilità di guardarmi ancora indietro per un’altra volta giusto per verificare quanto accaduto è presto venuta meno. Adesso sono da solo, senza alcuna nuova possibilità.
Non ha importanza mi dico, devo soltanto non pensarci più ed affrontare tutto quanto mi trovo ad avere di fronte elencando le cose una per una, senza cercare più nessun disegno di massima e soprattutto senza scopi. Mi accosto al bancone del bar mentre penso questo e sorrido a Giorgio che in fretta mi serve la mia solita birra. Lo conosco da sempre, lui sa che oramai sono fuori da tutti i giri, per questo mi dice qualcosa di leggero, quasi amichevolmente, senza chiedermi alcunché delle mie cose. Forse non dovrei neanche farmi vedere ancora qui dentro penso, probabilmente dovrei cercare dei posti dove nessuno mi conosce e magari costruirmi attorno poco per volta un personaggio diverso da quello che sono e che sono stato. Ma è tutto difficile.
Ho sbagliato, questo è il punto, anche se non so farmene ancora una ragione. Se chiudo gli occhi sonnecchiando mi pare quasi di aver ancora da definire una quantità discreta di passaggi, come se tutto dovesse ancora succedere, ma poi mi guardo attorno e vedo che la realtà mi è quasi ostile, probabilmente avrebbe voluto da me delle scelte differenti, delle convinzioni diverse e così forti da non avere mai permesso di far vacillare tutto l’impianto come invece è accaduto. Lascio i soldi della birra sul bancone e me ne vado. Non resta per me che ripercorrere a ritroso e con calma le strade che conosco; girare in lungo e in largo tutti i vicoli in cui ho lasciato qualcosa delle mie speranze; e poi alla fine dimenticarmi di me stesso, sciogliendomi in qualcosa di diverso da ciò che ero, impersonando qualcuno che non guarda più all’individuo come fosse lui davanti a tutti, ma che si sente soltanto una piccola parte di quella folla di persone che tirano avanti ogni giorno nella completa indifferenza.

Bruno Magnolfi 

giovedì 10 maggio 2018

Fissazioni.




Prosegue in genere per tutto il giorno a correre da ogni parte e ad occuparsi di tutte quelle cose minute che sente dentro di sé come attività per lei non rinviabili proprio mentre le passano vorticosamente come sprazzi di colore davanti agli occhi o dentro la testa. E’ come se addirittura l’occuparsi senza fermezza di quelle semplici quotidianità, mettendole una dietro l’altra in maniera spesso nervosa però molto attenta, le procurasse quasi la salvezza dell’anima, concedendole forse almeno nei suoi pensieri e nelle speranze un futuro di qualità superiore rispetto a questo presente che adesso le scorre davanti; e proprio mentre sta in mezzo a tutti quei piccoli impegni che forse per gli altri potrebbero apparire magari delle sciocchezze qualsiasi, lei sente con le sue mani come si stesse dedicando ai fondamenti stessi di tutto il suo esistere, composto da minuti elementi a suo giudizio però importantissimi.
Quando rientra nel suo piccolo appartamento dove abita ovviamente da sola, dopo una mattinata monotona trascorsa in ufficio, è come se lei fosse perfettamente cosciente di avere soltanto perso del tempo fino a quel momento, e di avere di fronte improvvisamente l’ambita possibilità di recuperarne almeno una parte dedicandosi con tutta se stessa alle pulizie della casa, al lavaggio accurato dei panni, e alle tante piccole cose che chiunque al suo posto troverebbe del tutto naturali, ma che lei affronta con una dedizione ed una accuratezza persino maniacali. Qui sta tutta la grande differenza: scandagliare ogni angolo nascosto alla ricerca ulteriore di polvere, lavare più volte cose che appaiono già più che pulite, spostare tutti i soprammobili ricollocandoli perfettamente in dei punti esatti, e così via, fino a dedicarsi minuziosamente anche al suo corpo davanti allo specchio: le mani, il viso, i corti capelli. 
Quando torna ad uscire di casa, lo fa per andare a girellare negli stessi negozi che di solito frequenta: acquista una cosa qui, un’altra lì, e così via, convinta che ciascuna bottega abbia una sua propria specialità da offrirle, e non altre. Qualcuna tra quelle poche conoscenze che la frequentano, sorride con garbo alle sue fissazioni, evitando comunque di dirle in maniera diretta che il suo comportamento appare spesso del tutto incomprensibile. Non c’è niente di male, le sue attività non coinvolgono nessuno, la sua solitudine va a disvelarsi ogni giorno in quello che a suo parere è l’elemento fondamentale della realtà: rendere tutto migliore.
Certe volte però si abbandona al niente assoluto; pur sapendo che molte cose intorno a lei non sono adeguate al suo pensiero, lascia per qualche momento che tutto rimanga com’è, cercando di ritrovare le energie che in quei casi sembra le vengano a mancare. Poi tutto ritorna con naturalezza ad essere come ogni giorno, e spinta da un profondo senso di colpa lei ancora riprende ad occuparsi di tutte quelle cose che forse nei suoi pensieri ha tralasciato per un tempo quasi infinito. Così prosegue da un anno all’altro in questa maniera, ed affrontando con monotonia ogni suo impegno alla fine di ogni giornata si sente meglio, in pace con se stessa, più tranquilla insomma. Visto soprattutto che forse i suoi interessi più profondi non potrebbero riversarsi su nient’altro, e che lei non riuscirebbe mai ad essere diversa.

Bruno Magnolfi   

domenica 6 maggio 2018

Soluzioni efficaci.


           

            Sono fermo, mentalmente intendo. Non riesco più minimamente neanche a pensare a delle faccende vagamente diverse da quelle consuete, perciò continuo a dibattermi nelle stesse semplici riflessioni che mi hanno accompagnato costantemente per tutti questi ultimi tempi, limando e scartando ogni poco soprattutto quelle che mi hanno procurato maggiore fastidio, finendo però col concentrarmi quasi sempre soltanto su appena due o tre minime cose, praticamente quasi sempre le stesse. Non so per quale motivo mi venga spontaneo comportarmi così, forse lo faccio soltanto nel tentativo volto alla ricerca di una autonoma e rapida nausea, in modo cioè da trovarmi costretto prima o dopo ad indirizzare la mia testa verso qualcosa d’altro tipo, qualcosa che magari sia assolutamente l’esatto opposto di ciò che mi sta appagando in queste giornate senza alcun significato. O forse anche perché dietro ogni mia scelta non c’è mai stato un ragionamento particolarmente profondo, soltanto qualcosa dettato da qualche capriccio, perlopiù momentaneo.
            Incontro un amico di vecchia data, lo guardo senza interesse, lui mi dice con poche parole che le cose per noi si stanno mettendo piuttosto male, come se non me ne fossi già accorto da solo, però lo assecondo, annuisco, dico a mia volta che non credo comunque ad un improvviso recupero dei valori che ci hanno portato fino a questo momento, ma lui dice che c’è persino dell’altro, e che ognuno di noi ormai sta pensando soltanto a se stesso. Lo squadro con maggiore interesse: mi pare sensata questa cosa che dice; ciascuno di noi è completamente scisso dagli altri, non c’è alcuna possibilità oramai di costruire un’intesa tra tutti quelli che siamo, l’individuo nella logica quotidiana è ormai al centro di tutto, ed è in guerra dichiarata con quanto sembra costituire il resto del mondo.
            Mi sento perduto, praticamente abbandonato nella corrente generale che indica come le idee siano frutto di qualcosa a noi superiore, come se tutte le scelte possibili fossero già state fatte da altri che volevano fin dall’inizio questo andamento di cose; così torno a guardare il mio amico ancora per qualche momento, quasi cercando una parola finale, ma improvvisamente però lo saluto, gli dico che ho bisogno di andarmene, di trovare in qualche luogo una forma che mi dia maggiore serenità, verso la ricerca di qualcosa di cui adesso non saprei proprio dire, ma che sento come un elemento fondamentale per le giornate a venire. Lui mi chiama da dietro quando gli ho già voltato le spalle, grida che forse ha la soluzione di tutto, che devo fermarmi, ascoltarlo, perché probabilmente la salvezza delle nostre giornate sta tutta racchiusa dentro poche parole, che sono poi esattamente le stesse che abbiamo sempre saputo, quelle alle quali adesso basta soltanto invertire la logica. 
Torno a fermarmi, mi volto, mi sento scettico verso un argomento del genere, però magari potrebbe avere ragione il mio amico rifletto: è sufficiente con grande semplicità rovesciare le cose, rendere tutto contrario, e lasciare poi che il resto vada avanti da solo, producendo improvvisamente una scia di soluzioni che non saremmo mai riusciti a mettere insieme andando avanti senza questa intuizione. Gli lancio da dove mi trovo un cenno di assenso, lo vedo sorridere mentre comunque sono già piuttosto lontano da lui, poi mi volto definitivamente verso la contemplazione dei miei fatti più personali, ed alla fine però mi sento leggero, come se con un gesto soltanto avessi davvero a portata di mano ciò che avevo sempre cercato.

Bruno Magnolfi