martedì 27 febbraio 2018

Coraggio, forse.




Non voglio sentirmi soddisfatto, pensa Corrado mentre staziona in ufficio seduto alla sua scrivania, a quel quarto piano del palazzo delle assicurazioni. Nella tasca interna della giacca c'è quella busta, ne sente la presenza continuamente mentre prosegue a lavorare sul suo terminale. Tra poco sarà l’ora di andarsene per gli impiegati come lui, strisciare nella feritoia della macchina lungo il corridoio la propria scheda elettronica, salutare tutti quanti nell’ingresso al piano terra davanti alla portineria con un semplice gesto oppure con un debole sorriso, e poi come ogni giorno uscire subito dall’edificio, con il suo passo tranquillo, quasi rilassato, come se tutto fosse già perfettamente concluso e sistemato. Niente di diverso da sempre, niente da far notare a tutti quei suoi colleghi, a parte naturalmente il Torrini, già pronto da domani, come aveva minacciato, a passare il suo debito nelle mani di certi suoi amici, se non fosse stato bloccato proprio quest’oggi da quel sintetico biglietto scritto di fretta e lasciato sul piano della  sua scrivania: caffè, dopo il lavoro. Che vuole dire tutto per chi sa, ma assolutamente niente per qualcuno che lo avesse letto per puro sbaglio, e che per Corrado in questo momento rappresenta la liberazione, una grande boccata di ossigeno e di fiducia in sé.
I soldi sono nella busta, neanche uno di meno per quel prestito a strozzo di qualche settimana addietro; adesso lui avrà più tempo per rimettersi completamente in carreggiata. Gli scappa quasi da ridere ripensando a quanto è stato facile trovare un accordo col Baronti: è sufficiente chiedere certe volte, gli diceva sua madre quando era ancora piccolo; certo, se già si cerca di immaginare ogni risposta prima di porre qualsiasi pur semplice domanda, non si va mai molto lontano. Cammina svelto adesso sopra al marciapiede per allontanarsi da lì, ma in seguito rallenta, quindi si ferma ad osservare distrattamente qualcosa, poi però riprende anche se con una lentezza maggiorata. Quando entra nel caffè, lo fa senza guardarsi neppure attorno, come tuffandosi di colpo dalla strada oltre quella porta che trova ora molto accogliente.
Quando arriva il Torrini, dopo appena dieci minuti, Corrado sta già seduto al tavolino sul retro del locale, davanti ad una piccola birra che si è fatto servire; non hanno bisogno di usare molte parole loro due, lui guarda l’altro per un attimo, quindi tira fuori la busta bianca e anonima dalla sua giacca. Le banconote vengono contate in fretta, quasi con indifferenza per non destare curiosità, direttamente tra le ginocchia sotto al piano di quel tavolino, ed il Torrini poi fa sparire velocemente tutto il denaro, gli batte piano una mano sopra al braccio, e quindi si alza per andarsene senza aver avuto proprio un bel niente di cui parlare. Corrado allora lo guarda mentre va via e poi si guarda intorno: impossibile ritrovarsi nel futuro in una situazione di quel genere con il suo collega, pensa quasi imbambolato da quei fatti. Infine si alza, paga la sua birra, se ne va anche lui da quel locale, col solo desiderio di raggiungere in fretta la propria abitazione e di non pensare più a niente almeno per tutta quanta la serata.
Ma un piccolo dolore lo prende quando è già in vista del palazzo dove abita: un’uggia, una noia leggera non meglio localizzata che lo accompagna in quegli ultimi passi con qualche fitta leggermente più forte fino al suo appartamento. Entra in casa rispettando un perfetto silenzio, muovendosi peraltro con grande lentezza, quasi con titubanza, poi saluta sua moglie con un gesto privo d’enfasi, e un’espressione seria e di leggera sofferenza, per poi infine dirle soltanto: non sto bene, proprio mentre sente mancare l’appoggio di una gamba, accostandosi perciò con una mano alla parete, subito prima di sedersi. Resta lì, fermo, praticamente immobile mentre Anna continua a chiedergli qualcosa senza ricevere risposta: lui sa che a breve dovrà rendere i soldi anche al Baronti, non può certo interrompere in questo momento il suo lento e graduale ritorno alla normalità, non potendo peraltro rischiare neanche per sogno che arrivi fino ai suoi e a chi lo conosce la notizia terrificante di quei suoi sordidi e meschini affari che ha messo in piedi ultimamente. Magari si sente un po’ da solo in questa fase, forse addirittura oltre come mai si sia sentito fino a questo esatto momento, però sa perfettamente cosa ci sia da fare per lui da ora in avanti, dovendo almeno affrontare tutto quanto ciò che lo aspetta con grande coraggio e convinta determinazione.  

Bruno Magnolfi

sabato 24 febbraio 2018

Giudizio finale.



Qualche volta vorrei proprio starmene lontano da tutto, trovare da qualche parte una qualsiasi cuccia dove rintanarmi come un animale, e poi starmene lì, senza avere più niente a che fare con questa insopportabile normalità che costringe ognuno a rivestirsi con dei panni che spesso non sono affatto i propri, ed a parlare agli altri con una voce quasi sempre stridula e antipatica, utilizzando dei vocaboli insignificanti che purtroppo proprio per questo vengono compresi perfettamente da chiunque, e per il medesimo motivo rapidamente sdoganati e catalogati come sostanziale chiacchiera ordinaria. Questo soprattutto vorrei evitare: parlare come tutti, essere riconosciuto come un altro che dice ciò di cui blatera chiunque, ma non per voler essere una persona così diversa da coloro che stanno qua da queste parti, ma solo per non cadere anch’io nei luoghi comuni da cui tutti siamo circondati.
Generalmente prendo solo un aperitivo al pomeriggio quando mi fermo in questo locale che frequento ormai da qualche tempo, poi mi piazzo seduto per i fatti miei ed osservo generalmente senza molta insistenza chi mi sta più vicino. Dai soliti che stazionano qua dentro forse potrei anche essere riconosciuto come un tipo solitario, un soggetto taciturno, uno che non si relaziona facilmente con gli altri, ed invece tutti quanti si limitano semplicemente ad ignorarmi, a fingere che neppure io ci sia, anche se in fondo ognuno di loro sa benissimo chi sono e che cosa rappresento. Non me ne importa, io non ci vorrei neppure venire qua dentro, però non saprei neppure dove altro andare, e poi mi interessano proprio i modi  con cui tutti qui si scambiano tra loro le cose che hanno da dire e raccontarsi.
Parlano di donne, di attività sportive, di macchine, anche di bassa politica, tutta roba del genere di cui a me di normale non fregherebbe assolutamente niente; ma è la maniera come loro sanno trattare questi argomenti che continua a piacermi fuori da ogni dubbio. Generalmente sanno tutto di qualsiasi cosa, o almeno fingono di saperla, e poi controbattono sempre qualcun altro qui presente tirando fuori degli argomenti spesso anche poco credibili e surreali, plasmando a piacimento dei dettagli decisamente superficiali di cui forse hanno sentito parlare in giro da altre persone ancora. Non c’è quasi niente di serio in questi discorsi, a parte i loro modi, così sembrano riderne loro stessi ogni tanto; ma qualche altra volta invece si accapigliano davvero ed alzano la voce per quanto dice l’uno o l’altro, anche se in genere fanno questo soltanto per riempire di senso qualche argomento su cui si sentono più deboli.
Esco dal locale quasi sempre nauseato, però so che qualcuno nota il mio silenzio, questo mio starmene da parte; forse viene soppesato in qualche modo il mio giudizio, questo mio statico stare ad ascoltarli senza mai l’idea di intervenire. Cammino per strada adesso, ripenso tutte le parole che ho sentito fino ad ora, e non ne trovo neppure una da salvare, come se niente di tutti quei discorsi avesse un peso. Chissà se qualcuno riesce a giudicare se stesso tramite la testa di uno come me; magari è stato anche formulato un pensiero così fatto, e sulla base di ciò forse qualcuno avrà l’ardire prima o dopo di chiedermi un’opinione su quanto mi trovo spesso ad ascoltare. Devo prepararmi, ecco, devo arrivare pronto a quel momento, devo trovare fin da adesso la parola giusta da dire a chi potrà farmi quella domanda, offrendo una risposta che chiuda di colpo un periodo e contemporaneamente ne faccia  anche un compendio; una parola che da sola nella sua semplicità mostri un risultato tangibile e concreto, qualcosa di definitivo, un segno che lasci dietro di sé un’eco importante, alla fine quasi un giudizio.


Bruno Magnolfi

mercoledì 21 febbraio 2018

Realistico.




L’impressione iniziale è quella di un vago profilo di ragazza dallo sguardo quasi severo, disincantato, di chi sa piuttosto bene cosa fa e cosa si prepara ad affrontare, senza per questo minimamente abbattersi, senza grandi paure, lasciandosi catturare nell’attimo preciso in cui solleva il suo interesse dai libri sui quali ha appena finito di studiare, ed osserva qualcosa avanti a sé lungo una direzione prospettica lontana, verso il futuro insomma, non quello suo del tutto personale, non verso ciò che magari le potrà succedere direttamente a lei negli anni a venire, ma verso il  futuro pur nebuloso e incerto di tutta la sua generazione.
Un progetto anche troppo ambizioso per un semplice disegno, però sicuramente anche il tema più importante e significativo che si può respirare tra i muri di un edificio scolastico. Cinzia ne ha parlato un pomeriggio con Francesco, e lui sfumando sulla carta qualche tratto incerto con una matita morbida ha cercato di dare un senso abbastanza preciso a quella idea di fondo. Lei non ne è convinta però, e forse neanche lui: troppo semplicistica, le dice mentre sorseggia un’aranciata davanti al tavolo del solito localino nei dintorni del liceo.
Mi pare stupido disegnare una figura che rappresenti tutti, dice lui, però non saprei come superare questo scoglio. Potrebbe essere una persona precisa, una di noi scelta tra le classi e le sezioni, con tanto di nome e cognome, fa lei, così potrebbe rappresentare maggiormente se stessa pur rimanendo una come tutti. E magari trovarne una con evidenti difetti, in modo da non lasciare proprio alcun dubbio, dice lui con ironia. No, non funziona, aggiunge poi; dobbiamo riflettere meglio, travate il dettaglio giusto che riesce ad interpretare il nostro pensiero di fondo, sempre che si voglia intraprendere davvero questo lavoro.
Così, quasi per scherzo, loro due hanno deciso di andare a parlarne con il loro preside, e la mattina seguente mentre come sempre sono a scuola, chiesto naturalmente il permesso agli insegnanti, si sono ritrovati di fronte a quella porta un po’ imperiosa, a cui hanno bussato con una certa titubanza, finendo per essere veramente ricevuti. Il preside del liceo è una persona apparentemente buona, un uomo che ascolta sempre gli altri e difficilmente assume un’espressione contrariata, anche se il suo ruolo sicuramente non è facile. Ha detto che l’idea è senz’altro ottima, sicuramente da sostenere, anche se, ha spiegato: non sono queste le cose che mi aspetto da voi studenti. Ci vorrebbe qualcosa di inclusivo, ha detto alzandosi da dietro la sua scrivania; un gioco, una festa, un concorso di idee, insomma un progetto che coinvolgesse proprio tutti, che facesse sentire ognuno come un importante piccolo ingranaggio nel motore principale della nostra scuola, piuttosto che qualcosa finito e realizzato da due come voi, senz’altro preparati, ma che purtroppo non sono tutti gli altri.
Cinzia e Francesco sono rimasti un attimo in silenzio, quasi perplessi; poi si sono alzati, hanno ringraziato, salutato, ed alla fine sono usciti dall’ufficio. Nel corridoio lei ha detto subito che il loro disegno e soprattutto la loro idea va comunque portata avanti, e lui senza guardarla si è sentito di annuire senza aggiungere nient’altro. Poi sono rientrati ognuno nella propria classe.

Bruno Magnolfi


lunedì 19 febbraio 2018

Ignorati cambiamenti.




Tutti hanno sempre parlato male di me, o almeno credo. Ho sentito affermare in certe situazioni persino delle cose decisamente piuttosto pesanti contro i miei comportamenti, ed ho pensato quasi sempre che tutte quelle cose si riferissero soprattutto ai miei difetti, forse anche alla mia timidezza malcelata, a questa maledetta necessità di mettermi sempre da una parte, di starmene ritirato da solo anche se per un semplice tentativo di difesa. Ho cercato qualche volta senza successo persino degli alleati tra coloro che mi rimanevano vicino, persone che sull’immediato sono addirittura apparse davvero simili a me nei loro atteggiamenti, magari anche quelle segnate nella propria intimità da cicatrici profonde inferte da malelingue simili a quelle che mi hanno talvolta condannato senza alcun appello.
Quando ho deciso infine di disinteressarmi di tutti quanti, qualcuno di loro è venuto persino a cercarmi, a rendersi conto di persona, forse per il ricordo che aveva dei miei comportamenti un  po’ ridicoli di autodifesa, rammentando magari alcuni modi di fare praticamente assurdi che da un certo periodo in avanti sinceramente non ho più voluto neppure interpretare, preferendo di fronte a tutto l’indifferenza piuttosto che qualsiasi altra reazione. In seguito si è voluto soltanto esagerare alcuni tra i miei piccoli gesti davvero piuttosto discutibili, ma di cui si è voluto dimostrare ad ogni costo la gravità anche là dove non c’era, citando dei casi accaduti in periodi addirittura molto lontani e di cui non ricordavo quasi nulla, come evidenziando in questo modo la mia vera indole, il mio carattere più sostanziale.  
Certe volte ho dovuto e voluto addirittura tentare di nascondermi, rifuggendo da tutti quei discorsi insulsi che parevano continuare ad inseguirmi, e nei miei travestimenti ho sempre cercato di peggiorare quanto potevo la mia immagine, in maniera da sentirmi al mio interno meno sporco di quanto in fondo forse apparivo agli altri. Qualcuno allora con determinazione mi ha puntato contro il dito, ridendo addirittura dei miei scialbi tentativi, mostrando nuovamente ciò che pur non essendo vero sembrava però a chiunque in evidenza. Mi sono rintanato allora, e non ho più voluto incontrare anima viva per dei lunghi periodi di astinenza e solitudine, fino a quando il bisogno degli altri non mi ha fatto ritornare per le strade, ormai vecchio, impaurito di tutti, incapace di vere relazioni, eremita nello spirito e nel corpo.
Adesso sembra che niente abbia più significato, se non una pallida memoria delle cose che purtroppo tendono ad ingarbugliarsi di continuo, probabilmente modellando i fatti in funzione proprio delle mie intenzioni involontarie, e così si perdono poco per volta tutti gli sforzi messi in campo sia in un senso che nell’altro, lasciando solamente in aria delle sfumate impressioni che non costituiscono neppure il senso reale degli stati d’animo di cui tutto si è normalmente alimentato. Sorrido ora nel ripensare a tutto quanto, anche se purtroppo un’amarezza vaga prosegue ad accompagnare la mia strada, lasciandomi perplesso a ripensare su quanto avrei avuto bisogno di coraggio per cambiare del tutto ogni mio inadatto atteggiamento, nell’attimo stesso in cui esattamente questo sarebbe stato ancora possibile.

Bruno Magnolfi

venerdì 16 febbraio 2018

Possibile sorte.




Non ci devono essere ritardi nella consegna, gli fa lui; e l’altro operaio che fino adesso ha cercato di accampare qualche motivo per prendersi un po’ più di tempo, all’improvviso abbassa la testa e poi ricomincia a lavorare su quell’auto già parzialmente smontata. In carrozzeria è tutta una questione di giusto tempo, né troppo né poco: le macchine non possono stazionare là dentro chissà per quanti giorni, perché il posto all’interno viene subito a mancare, e comunque i tempi fisiologici per quanto riguarda ad esempio la stesura delle vernici con la relativa essiccazione, non possono essere certo ridotti. Andrea sa valutare piuttosto bene questi parametri, ed in questo segue fedelmente il titolare dell’officina che è sempre prudente quando comunica le date di riconsegna delle vetture ai suoi clienti.
Poi saluta i ragazzi e va via come tutti gli altri dipendenti alla fine della loro giornata di lavoro. Ci sta bene là dentro Andrea, non ha dubbi, però da un po’ di tempo sta pensando sempre più spesso di cercare un’altra carrozzeria dove andare a lavorare. Non lo ha detto a nessuno, forse non ci vuole neppure pensare troppo seriamente, però sa che è così, che andrà a finire così, perché non riesce più a lavorare sentendo altrove la propria testa. Lei è troppo vicina, in quell’ufficio di là dalla porta coi vetri, ed Andrea certe volte non riesce quasi a distogliere lo sguardo da Anna, è diventata come una calamita che lo attrae continuamente.
Non c'è niente tra loro, probabilmente non ci potrà mai essere niente, e forse proprio per questo è doveroso per lui dare un taglio a tutte le cose. Ha deciso, non ne parlerà preventivamente con nessuno, prenderà semplicemente degli accordi con qualche altra officina, con la sua esperienza nel settore non ci dovrebbero essere problemi, e poi uno di questi giorni consegnerà una semplice lettera di dimissioni proprio nelle mani di Anna, la loro ragioniera da sempre. Si giustificherà dicendo a tutti che il nuovo titolare gli ha offerto uno stipendio più alto, o delle condizioni di lavoro migliori, oppure che a lui ogni tanto piace cambiare, e nella nuova azienda gli è stato offerto di rivestire il ruolo di capofficina.
Qualcuno avrà da ridire, magari si chiederanno ulteriori spiegazioni, si proverà in ogni modo a farlo tornare sulla sua decisione, ma alla fine tutti si dovranno piegare a quella che evidentemente è proprio la sua volontà, compresa anche Anna, che probabilmente in quel giorno se ne rimarrà nel suo ufficio senza dire un bel niente, comprendendo perfettamente i motivi e la nobiltà di un gesto del genere. Presto si dimenticheranno l’uno dell’altra, e non ci sarà più niente da dire su quell’argomento, e dopo un tempo infinito forse si rincontreranno per caso, ed allora potranno sorridersi con maggiore libertà, e magari decidere di vedersi qualche volta per bere assieme qualcosa dentro un caffè.
E così Andrea potrà ancora dire che ha fatto proprio di tutto per dimenticarla, per non pensare più ad Anna; salvo rendersi conto che forse questo non era del tutto possibile.

Bruno Magnolfi



mercoledì 14 febbraio 2018

Punta di matita.




Lo ha visto andare via, Cinzia. Stava compilando gli ultimi esercizi di matematica nella camera al piano superiore, ed ha gettato distrattamente uno sguardo dalla finestra verso il giardinetto davanti alla sua casa, proprio nell’attimo in cui il signor Renai con la mano sul cancello si è voltato a salutare. Allora lei dopo qualche minuto è scesa, è andata da suo padre che nel frattempo era rientrato nel suo studio, e con tutto il riguardo e la cortesia possibili gli ha chiesto sorridendo una qualche spiegazione. E’ un assicuratore, oltre ad essere il padre di un tuo compagno di liceo, le ha detto corto il signor Baronti; è venuto fino qui soltanto per propormi una nuova polizza. Certe volte il mondo è piccolo, le cose paiono imbrogliarsi in un momento, ma è sempre meglio avere le idee piuttosto chiare su quanto ci succede attorno.   
Francesco a scuola il giorno seguente non ha proprio saputo neanche spiegarselo, però in fondo del mestiere di suo padre lui non conosce praticamente quasi nulla, ha soltanto visto qualche volta da fuori il palazzone delle assicurazioni che si erge lungo il viale, dove sa che lui va a svolgere ogni giorno le sue mansioni di impiegato insieme a chissà quanti altri. Certo, che i loro genitori adesso abbiano cominciato quasi a frequentarsi, anche se soltanto per ragioni sostanzialmente di lavoro, potrebbe essere qualcosa di antipatico, ma nonostante tutto questo secondo lui senz’altro non potrà mai cambiare niente nel loro rapporto e in loro due. Per Cinzia invece qualcosa sembra si sia messo di traverso, anche se non saprebbe spiegare il motivo esatto di questa sensazione negativa che sta provando.
Così poi sono usciti assieme nel pomeriggio, ed hanno fatto il solito giro lungo le strade del centro per parlare e scambiarsi delle idee. Mi pare tutto così strano, ha detto Cinzia ad un certo punto. Se tuo padre lavora dentro ad un palazzo pieno di uffici, non capisco proprio per quale motivo debba andare al domicilio di un cliente. Non lo so, ha risposto Francesco, ma ciò che credo importante è che in fondo tutto questo non riguarda niente di noi due. Ti voglio bene, ha detto allora lei senza guardarlo, per me non sei soltanto un amico o un semplice compagno di liceo. Lui è rimasto in silenzio, ma un’emozione forte e improvvisa lo ha raggiunto agli occhi fino a farlo quasi lacrimare. Lei gli ha preso la mano infilando delicatamente la propria nella sua tasca del giubbotto, Francesco l’ha subito stretta e si è sentito bene, come mai era stato.
Lungo il corso sono entrati in un caffè, si sono seduti ad un piccolo tavolo in disparte e si sono guardati per un po’. Lui ha tirato fuori una matita, e su un tagliolino di carta ha sbozzato rapidamente l’espressione di lei, i suoi occhi, il suo sorriso. Avevano voglia di abbracciarsi, ma a nessuno dei due veniva in mente di volersi spingere con rapidità troppo in avanti. Così hanno bevuto semplicemente un succo di frutta a mezzo, poi sono usciti e Francesco ha deciso di riaccompagnarla fino davanti alla sua abitazione. Potremmo lavorare insieme ad un grande disegno, le ha detto d’improvviso, qualcosa da appendere in seguito magari nel corridoio principale della scuola se il preside ce lo permette, e a lei l’idea è subito piaciuta molto. Perciò si sono dati appuntamento per il giorno seguente, portando già le proprie idee ed anche i progetti da confrontare, ancora prima dell’inizio della realizzazione vera e propria dei bozzetti.

Bruno Magnolfi  

lunedì 12 febbraio 2018

Risultati lavorativi.




Non me ne frega poi molto dei comportamenti sul piano interpersonale, diciamolo chiaro; a me in azienda basta che i conti tornino e che a nessuno venga in mente di approfittarsi delle situazioni che qua dentro certe volte sembrano quasi scorrere esattamente ognuna sotto al proprio naso. Il funzionario del piano di sopra mi chiama di rado nel suo ufficio, e normalmente mi chiede in quei casi come vadano le cose e se ci siano dei problemi tra questi corridoi, anche se in genere lo fa quasi di sfuggita, senza approfondire mai troppo gli argomenti; salvo le poche volte in cui riesce invece ad avere chissà come delle informazioni riservate su qualche movimento poco chiaro, ed allora mi guarda fisso, pesa ogni parola delle risposte o dei tentativi di spiegazione che riesco a fornirgli, e forse aspetta come un mastino che il sottoscritto nella tensione del momento possa finire addirittura per contraddirmi. Fino ad oggi diciamo sono sempre stato capace di uscirne piuttosto bene dai suoi interrogatori, o almeno tutte le seccature che ci sono state hanno sempre avuto una risoluzione buona o convincente, però ognuna di quelle volte ho provato dei veri e propri brividi davanti a quel suo sguardo quasi implacabile.
Perciò, se non ci fosse per me l’obbligo tra i miei compiti diretti come capufficio di rispondere quasi di tutto ciò che viene eseguito dal personale del mio piano, non starei a preoccuparmi neanche troppo dei discorsi che circolano su qualcuno dei miei impiegati, anche se per esempio sembra proprio che purtroppo sia il Torrini che il Renai in modo ciclico riescano a darmi invariabilmente qualche piccolo mal di testa, tanto che ho pensato di far avere prima o dopo un rapporto completo su di loro sia al mio diretto funzionario che al nostro capo del personale, e richiedere più o meno espressamente di spostare almeno uno dei due lavoratori verso qualche altra mansione, magari più semplice e anche meno remunerativa, oppure ad un piano inferiore, dove non ci siano troppe possibilità di provocare dei danni all’azienda e alla compagnia. Dal punto di vista squisitamente occupazionale del Torrini non ho avuto quasi mai niente di cui lagnarmi, salvo il fatto che lui appare spesso come un tipo astuto, pieno di sotterfugi, un furbo insomma, laddove del Renai invece non ho certo una grande opinione, confermata peraltro dai suoi risultati mediocri in tutti questi anni di lavoro da quando sta con noi.
Nei momenti in cui gli spiego qualcosa, una nuova procedura di inserimento dei dati per il centro di elaborazione ad esempio, è sempre un po’ pigro ed anche riottoso nell’apprendere le novità, come se non comprendesse affatto l’importanza della precisione e del giusto comportamento nei confronti delle posizioni dei nostri assicurati; sembra quasi a tratti che il suo lavoro non gli piaccia, non lo interessi, non intenda migliorarlo, e che cerchi sempre la maniera per tagliare corto sulla propria attività e sui propri compiti. Ho fatto capire più volte al Renai che in questa maniera non si può certo andare molto lontano, e lui mi ha sempre guardato con l’espressione di chi non ha alcuna paura delle mie larvate minacce, e che la sua personalità non potrà mai abbassarsi così tanto da accettare i consigli o i suggerimenti che possono arrivare talvolta anche da un semplice capufficio come me. Comunque, se ci fosse un nuovo richiamo anche generico da parte del nostro funzionario, o anche meglio dal direttore generale, qualcosa magari che riguardi la gestione dei clienti da parte di qualcuno di questi miei impiegati, allora mi vedrei proprio costretto a tirare fuori tutte le mie carte, indipendentemente da ciò che potrebbe in seguito accadere; ed in quel caso credo proprio che mi sentirei senz’altro più che tranquillo della mia decisione di additare chi non reputo all’altezza o che non riesce a stare al proprio posto, decisione che in quel caso ognuno sopra di me comprenderebbe come presa indubbiamente dopo un lungo e attento esame.

Bruno Magnolfi

venerdì 9 febbraio 2018

Giro di giostra.




Non saprei davvero spiegare quale sia il motivo. E’ probabile che le cose possano riuscire soltanto in questa maniera, forse non c'è neanche da chiederselo. Sono piccole storie quasi sempre incompiute quelle che girano attorno, ecco quanto si delinea poco per volta. Scampoli di giornate che non trovano mai un vero epilogo. Ci sono persone magari che si pongono degli obiettivi, mettono a punto i progetti, ed in seguito fanno di tutto per riuscire a raggiungerli, anche accorgendosi in corso d’opera che i loro proponimenti erano profondamente sbagliati, o che loro stessi non nutrono più grande interesse per quei risultati, proprio mentre stanno giungendo alle conclusioni ampiamente previste. Sono decisi, convinti, e non hanno quasi mai veri dubbi. Qui al contrario tutto quanto è continuamente messo in gran discussione, ogni pensiero appare sempre inappropriato, e l’indeterminatezza è la regola portante.
C’è sempre nell’aria come un attendere il momento opportuno, il giorno migliore, le condizioni adeguate, magari mettendo in unica riga le sensazioni più adatte, i più positivi stati d’animo, un esatto compendio di elementi tutti in fila tra loro, che forse però non avrà mai veramente un suo esito. Si compie un nuovo giro di giostra, si osserva qualcosa, si traggono delle conclusioni che vanno ad aggiungersi a tutte le altre, senza trovare un nesso tra loro, senza un prima né un dopo. Questa sostanzialmente la realtà delle cose.
Vorrei avere ancora tanto tempo per osservare queste persone che mi passano quotidianamente davanti, ridendo talvolta, appoggiandosi al bancone di questo vecchio bar soltanto per il tempo preciso di sorseggiare il caffè, scambiandosi in due o in tre quanti sono, come peraltro appare già ovvio, soltanto qualche parola di fretta, qualche espressione ritagliata da chissà quale contesto, frammenti di frasi che prevedono comunque già un’intesa precisa, un uso consumato dei gesti, e che vanno certo a colmare perfettamente tutti gli spazi rimasti tra le poche sillabe appena pronunciate. Buongiorno, dico a tutti come ho sempre fatto in tutti questi anni, ma forse non riesco più ad inquadrare davvero le maschere di questi clienti, e spesso non so neppure individuare, magari anche per mio disinteresse, i loro veri argomenti che accennano.
Qualcuno è da solo ad entrare nel bar, ed allora cerco di fargli da spalla mentre gli offro tutti i servizi di questa casa, trattandolo con deferenza, con consumato mestiere, ma anche con un filo di complicità. Poi c’è una signora che da qualche tempo passa da qui, sempre di mattina, sempre da sola, mi ha detto di chiamarsi Anna, ma soltanto dopo diverse volte che si faceva vedere. La sua storia non dev’essere semplice, lo vedo da come saluta, come sorride, da come mi chiede il caffè. Qualcosa in lei rimane sempre nell’aria, come sapesse fin dall’inizio che il suo giro di giostra non avrà un compimento, non tornerà al punto che si era immaginata all’inizio. Non le chiedo niente, non posso chiederle niente, ma so che in lei le cose non vanno di certo verso la direzione prescelta, forse non sono mai andate in quel senso, e lei però se ne è accorta soltanto da poco tempo, durante il percorso. Prende il caffè, una sfoglia alla crema, mi guarda appena un momento, come di sfuggita, poi sembra già altrove, alla ricerca di qualcosa che non è lì con Anna, e che forse non sa neppure lei dove poterlo trovare.

Bruno Magnolfi

giovedì 8 febbraio 2018

Verso casa.




Anna cammina per strada, è da sola, non ha nessun posto preciso verso dove dirigersi, però prosegue in avanti, un passo dietro l’altro, con la mente sufficientemente leggera. Va tutto bene, è un bel pomeriggio, Andrea stamani con una scusa le è andato vicino, le ha soltanto sorriso, ma questo gesto è stato più che sufficiente per farle apprezzare il senso migliore della sua giornata. Non ci sono grandi obiettivi da raggiungere, non c'è da immaginarsi chissà quali sorprese per il futuro, le cose vanno per il loro corso così, senza grossi tentativi da fare.
Sua madre tanti anni fa le aveva detto che ogni giornata va sempre presa con leggerezza, senza mai affrontare troppo seriamente i piccoli fatti che possono accadere. Anche di fronte alle difficoltà bisogna pensare che tutto prima o dopo si sistema, le spiegava certe volte, basta avere una buona dose di pazienza. Lei adesso però non sta più bene come una volta, e non ha semplicemente un piccolo problema da superare: sente ogni tanto un malessere dentro la testa che giorno dopo giorno la sta come consumando, senza che riesca a fare praticamente nulla per alleviare quel piccolo dolore che prova. Non è neppure Andrea il suo problema, niente affatto; piuttosto è quello che lui, neppure volendo, solamente con qualche sguardo e qualche parola dolce detta ogni tanto di nascosto sul posto di lavoro dove si incrociano, le ha fatto facilmente comprendere, senza bisogno di altro.
Con suo marito le cose non vanno, questo è il punto essenziale: loro sono ormai troppo distanti, non c’è più affiatamento, praticamente nessun momento di intimità. La loro è ancora una famiglia, ma lo è soltanto di facciata, anche se soprattutto c’è il loro figlio da crescere, ma per il resto si è formata poco per volta una vera distanza tra lei e Corrado, qualcosa che per molto tempo Anna non ha voluto neanche vedere, e che in questo momento le appare invece persino troppo evidente. Comunque non vanno prese decisioni affrettate, le cose poco per volta troveranno una propria direzione, questo le suggerirebbe sua madre, e lei è disposta assolutamente a seguire questo consiglio, anche se la sua serenità è quasi compromessa.
Chissà quante donne vivono le sue stesse difficoltà, chissà in quante famiglie persiste una condizione del tutto simile alla sua. Lei prosegue a camminare, a guardare dritto avanti a sé, quasi indifferente a tutti coloro che le passano vicino. Potrebbe esserci addirittura Andrea dietro le sue spalle, oppure persino suo marito, tanto si sente a disagio: si trova sempre più smarrita e in difficoltà se solo prova a pensare a cose del genere; addirittura le sembra che le sue stesse caviglie non siano più capaci di tenerla bene sui piedi, perciò sente la necessità di fermarsi, di riprendersi almeno per un po’, anche se tutto appare così difficile. Vacilla, alla fine, si blocca un momento come per aver dimenticato qualcosa, poi riprende a camminare, ma più lentamente.
La solitudine, ecco cosa sente adesso nei propri piedi, anche se a lei non riesce facile allontanarsi da tutti: si è isolata, non riesce a parlare con nessuno di queste sue cose, così può soltanto permettersi di pensarle. Infine torna a fermarsi, si appoggia per un attimo al muro, si sente sfiancata, si tocca con la mano una caviglia ed infine con grande coraggio si volta: no, non c'è nessuno dietro di lei, nessuno che la possa giudicare per quei suoi insoliti comportamenti. Ed allora può tornarsene a casa adesso, alla fine qualche respiro più profondo l’ha fatto, ha provato senz’altro a riflettere meglio, è riuscita a capire magari qualcosa di più in tutto quanto, e da questo momento perciò può riprendere ad essere quella di sempre.

Bruno Magnolfi

martedì 6 febbraio 2018

Non è niente.



Non è niente, dico io senza cambiare espressione. Solo un senso di leggera amarezza che però in questi casi è quasi normale. Si va, si torna, ci si crede chissà quali grandi personaggi soltanto per aver provato a mettere insieme le cose a cui si è sempre creduto, e poi basta una battuta d’arresto nel programma generale ed ecco che ci ritroviamo subito piegati, come fossimo delle improvvise nullità che proseguono a lottare stupidamente per una ordinaria sopravvivenza.
E’ stato sufficiente un dolore che persiste anche adesso dentro l’addome, in qualche parte non meglio definita, e subito ci siamo immaginati le peggiori malattie, qualcosa che in poco tempo ci potrebbe persino togliere di netto la nostra autonomia, tutti i cardini su cui è stato imperniato il nostro darsi da fare nella ricerca di un’esistenza tranquilla e soddisfacente. Abbiamo dato la colpa a mille cose diverse, ma durante la notte ci siamo rigirati più volte dentro a quel letto nel tentativo di togliere di mezzo questo fastidio continuo, fino ad alzarsi al mattino già stanchi, provati oltretutto da un pensiero martellante che non ci ha mai voluto abbandonare.
Non è niente, vorrei anche dire a me stesso; ma alla fine devo consultarmi con il medico, indicargli tutti i particolari della mia giornata, dell’alimentazione, dei piccoli vizi, dello scarso moto a cui non abbiamo mai avuto il tempo di dedicarci, ed alla fine lasciamo sbuffando che ci prescriva tutta una serie di accertamenti clinici che solo a vederli scritti ci tolgono la voglia anche di cominciare ad affrontarli. Poi si abbassa la testa però, rassegnandoci a prendere gli  appuntamenti con gli ambulatori, e sempre di più ci si preoccupa anche di ogni pur piccolo particolare, mentre intanto si assume sempre più spesso un’espressione seria, quasi grave, permeata solo di vaghi sorrisi tristi che indicano la nostra più profonda remissività.  
All’improvviso ci sentiamo quasi delle persone completamente cambiate, soggetti presi di peso e traghettati in un mondo diverso, dove tutti gli altri sono felici meno che noi, al cui cospetto annaspiamo confrontandoci, nella speranza continua di vedere svanire di colpo quest’incubo, e di poter tornare il più presto possibile a ciò che eravamo fino ad un attimo prima. Viviamo in un tempo sospeso, limitandoci a parlare dei nostri guai solo con chi ci sta più vicino, ma certe volte tenendoci anche tutto per noi, esattamente come nel mio caso.
Non è niente, continuo a ripetermi; si prende una brutta paura e quindi si resta inebetiti per un lasso di tempo, ma poi tutto passa grazie ad una piccola operazione, oppure ad un farmaco provvidenziale, e noi all’improvviso ci sentiamo subito liberati da ogni preoccupazione, pronti per affrontare un nuovo trancio di esistenza con rinnovato entusiasmo, fuori dalle secche in cui la nostra nave si era malauguratamente arenata. Non è niente ripeto; niente di niente, continuo a dirmi dentro la testa, anche se devo ancora percorrere completamente quello stretto sentiero che alla fine mi indicherà che forse avevo proprio ragione.


Bruno Magnolfi 

lunedì 5 febbraio 2018

Ora di lettere.



Il ragazzo sta crescendo, non ci sono dubbi. Lo guardo certe volte, senza che lui neanche si accorga di me, e vedo spesso nei suoi gesti e nei suoi atteggiamenti quella persona che senza dubbio mi piacerebbe essere stata esattamente alla sua età. Non è questa ragazza pur carina e sicuramente molto intelligente che viene certe volte a cercarlo in quei pochi minuti durante l’intervallo tra una lezione e l’altra, l’inizio della differenza ben calcata tra quello che era prima e ciò che invece è adesso. È lui stesso che in quest’ultimo periodo sta tirando fuori qualcosa che neppure sembrava minimamente ci potesse essere stato, e del quale non si immagina neppure adesso il motivo per cui lo avesse tenuto così celato, ma che invece con ogni probabilità già cercava, e chissà da quando, semplicemente di lasciarsi in serbo proprio per questo suo attuale e irripetibile momento magico. Già, perché di questo si tratta. Non so se gli altri intorno a lui se ne siano ancora accorti, sono quasi sicuro di no, ma Francesco sta rispetto a tutti loro un metro più in avanti, e può permettersi spesso di rimanersene in silenzio senza neanche guardarli, ed in certe occasioni fingere pure di ignorare proprio tutti, anche se quando poi dice qualcosa, cioè quando prende la parola per spiegarci semplicemente la sua idea, le sue frasi riescono immediatamente a evidenziare tutta la differenza che assolutamente ci sta dentro.
Nell’ultimo tema che ho dato da fare a tutta la classe intera, lui ha scelto subito di scrivere qualcosa sulla diversità, un argomento probabilmente che gli rimane congeniale sia per la sensibilità che lui stesso manifesta, che per l’attenzione che ha sempre mostrato rispetto a chi normalmente gli si muove attorno. Ha toccato dei punti delicati sul suo foglio, dei passaggi che mostravano un pensare oltre molte consuetudini, qualcosa che ha immediatamente fatto del suo tema un compito che sarebbe stato probabilmente da leggere con voce alta a tutto il resto della classe, magari nel silenzio generale, se solo io fossi stato maggiormente coraggioso, invece di essere un insegnante come tanti, forse un pavido, un qualsiasi lavoratore dell’intelletto, pronto come tutti a livellare verso la norma ogni manifestazione fuori dai canoni, uniformando ogni possibile audacia ad ogni qualsiasi manifestazione, praticando tutto il mio mestiere come fosse composto di ordinari impegni di lavoro, e dovessi proprio per questo cercare in tutti i modi come minimo di sminuire l’importanza di quelle sue strane maniere di disporsi. Comunque è forse anche soltanto per la sua integrità che cerco in fondo di fare tutto questo; per l’incapacità che avverto nell’aria che lo circonda di allacciare delle relazioni importanti con i suoi compagni, che probabilmente lo sentirebbero, se solo lo trattassi in altro modo, ancora più distante da loro, forse proprio differente, privo di quelle ridicole capacità essenziali che tutti credono di avere.  
Di nascosto torno comunque ad osservarlo, e vedo distintamente dentro di lui una certa sofferenza, come un’incomprensione che a sua volta Francesco rimanda agli altri dopo averne ricevuto forte esempio da loro, come per una specie di dialogo tra sordi, quasi per una sfida che lo relega a quel solitario e taciturno che rimane sempre e comunque, nonostante la sua maturazione in corso e nonostante i suoi tenui messaggi di tolleranza e di apertura verso tutti. Credo di comprenderlo, almeno in parte, ma non mi sento assolutamente in grado di aiutarlo, tanto più che non saprei proprio come fare per non sciuparne la indubbia carica emotiva e l’entusiasmo sicuro che a volte lascia intravedere nella convinzione delle proprie capacità che forse non emergono, ma che sicuramente lui trattiene con gran sforzo dentro di sé, con ogni probabilità usando un freno oramai ben congegnato, che forse riesce almeno a metterlo al riparo da altri sempre possibili ed odiosi inconvenienti.


Bruno Magnolfi 

venerdì 2 febbraio 2018

Malesseri identici.



Non mi sono mai posta troppe domande. Generalmente mi rannicchio in un angolo, socchiudo lentamente gli occhi, e poi me ne sto lì a pensare soltanto alle cose che mi fanno piacere. Qualcuno in passato mi ha detto anche che appaio spesso indifferente a tutto, però io credo che la mia sia soltanto una semplice difesa. La vicina di casa, mentre le due donne rimangono ferme una di fronte all’altra sul piccolo pianerottolo, l’osserva a lungo, quasi senza riuscire a trovare le parole per interromperla. Agli inizi le sembrava praticamente impossibile che una persona così riservata come la signora Anna improvvisamente si mettesse a farle delle confidenze di quel genere, proprio a lei che in tutto quel tempo da quando abitano in quella loro palazzina si è permessa di  scambiare appena qualche saluto frettoloso con qualcuno tra tutti gli altri condomini, o al massimo si è lasciata andare con i suoi maggiori conoscenti a qualche breve chiacchierata sulla manutenzione del loro caseggiato e magari sui piccoli problemi di normale convivenza tra le mura comuni. Ma adesso prova dentro di sé quasi un piccolo fastidio.
La capisco, le confessa però alla fine della sua riflessione: anche per me è un po’ così; tengo tutto dentro di me senza far comprendere a nessuno i malesseri che posso provare. In fondo però siamo donne, dobbiamo sempre cercare di tenersi da parte, per poi magari fare noi proprio le scelte più giuste quando alla fine queste contano davvero. Anna ride, non era certo questo l’argomento che aveva affrontato, ma in fondo fa lo stesso, le sue opinioni le ha ben chiare dentro di sé, e poi ha già fatto uno strappo alle sue regole soffermandosi a parlare di se stessa con questa vicina, meglio adesso non rivelarle troppe cose riguardo le sue opinioni, a scanso di equivoci. Vede, le dice ancora: io sono ottimista; credo sempre che tutto vada con certezza a finire nella maniera migliore, proprio come nelle favole per i bambini.
Si, ho capito, ho capito bene, fa l’altra; comunque adesso è meglio che vada perché ho ancora un sacco di cose da fare. Le due si salutano come sempre hanno fatto in tutto quel tempo incontrandosi, ed ognuna fatte le proprie rampe di scala rientra nel suo appartamento. Nella sua cameretta c'è Francesco che studia, Anna si muove piano nelle stanze di casa per non disturbarlo facendo rumore, anche se lui ad un tratto si affaccia alla porta soltanto per osservarla in silenzio con un sorriso, come non faceva oramai da un bel po’ di tempo. Lei va subito verso di lui e se lo abbraccia, senza dire niente: in fondo è un gesto semplice questo, però spesso assume più significati di qualsiasi lungo discorso. Poi ognuno torna alle proprie occupazioni.
Anna adesso si sente una sciocca per aver parlato delle sue intimità con quella vicina, ma aveva assolutamente bisogno di farlo, aveva proprio voglia di dire a qualcuno qualcosa che non aveva mai detto ad anima viva. Forse dentro di sé prova davvero un senso di disagio, magari c'è qualcosa che non va di cui non si è ancora del tutto resa conto. Però parlarne con qualcuno che appena conosci è perfetto, riflette con calma: ti aiuta a comprendere che anche tu sei una persona qualsiasi, una come tante, semplicemente una pedina di questa grande scacchiera, e molto probabilmente ogni malessere vero o presunto che puoi provare è proprio uguale a quello di tutti.


Bruno Magnolfi