giovedì 31 ottobre 2019

Tempi correnti.

    

            Fuori si trovano facilmente delle miriadi di difficoltà da affrontare. Possiamo fingerci indifferenti per qualche tempo, possiamo ignorare quello che ci sembra più ostico, addirittura immaginarci di essere esenti da alcuni di questi problemi che spesso si parano davanti, ma ad un certo punto, poi, dobbiamo scegliere. Sonja si siede da sola come sempre nel piccolo ufficio sul retro del circolo culturale, fissa qualcosa sulla parete di fronte a sé, ed immagina, come molte volte le capita, che tutto rapidamente si stia trasformando, e lei, insieme ai suoi collaboratori, sia chiamata a comprendere forse prima di altri verso dove vadano effettivamente le cose, e quale sia il vero cambiamento in atto in questo momento. Lei si è sempre guardata attorno, ha cercato di ascoltare chiunque, si è messa nella condizione di recepire rapidamente ogni più piccolo utile suggerimento anche involontario, ma la sua difficoltà è rimasta comunque la medesima, e ancora perciò si domanda che cosa possa fare davvero per opporsi a questo presente così sfavorevole.
            Resta piuttosto faticoso convincersi di avere sbagliato in certi casi, di aver interpretato in una maniera scorretta proprio quello che stava avvenendo, e di essere rimasti imbrigliati all’interno di in una realtà che non avevamo per niente considerato, quasi dichiarandoci incapaci di aver saputo leggere proprio quello che era sotto gli occhi di tutti, quasi come degli umili sciocchi, come dei superficiali. Così lei va avanti, a volte quasi per una sorta di inerzia, o anche per abitudine, nonostante adesso avverta la mancanza di quell'entusiasmo del quale ora più che mai avrebbe forte necessità. Poi, all'improvviso, si accorge che cultura è una parola molto ampia, piena di risvolti, e di lati più in ombra, di falsi piani, a cui sottostanno sempre altre cose, ed allora immagina un dibattito in cui affrontare il tema della riformulazione del termine, ed inizia perciò ad approntare un elenco di possibilità che metta insieme tutto quanto risulti in qualche modo possibile, un ventaglio di tante diverse occasioni.
            Non è il libro, non è la parola scritta, non è qualcuno che sappia già tutto rivolto alla fronte di chi non sa niente, non è un filo che lega gli aspetti più diversi ad una stessa matrice, non è neppure un luogo in cui identificarsi una volta per tutte; sono le tante correnti del sentire comune che formano la cultura, e quindi va spostato il concetto, non più inglobando ulteriori aspetti, ma sostituendo il pensiero iniziale con qualcosa di maggiormente impalpabile, un elemento sfuggente che esiste e si trasforma con estrema facilità. Il "Victor Jara" indubbiamente è rimasto un po’ addietro, ora riesce a mostrare soltanto il lato nostalgico della visione, è necessario faccia un guizzo, un salto di qualità, affronti una svolta, qualcosa che vada di pari passo al cambiamento in atto nel tessuto sociale sia della città che della provincia.
            Va aperto un tavolo di confronto su questi temi, pensa adesso Sonja, e stimolare chi desidera intervenire su tutte le problematiche di questo genere: si deve chiamare a raccolta chiunque in questo sforzo corale, tutti coloro che desiderano ridefinire anche i propri concetti, e trovare una sintesi larga, una vera soluzione ai tanti problemi, una nuova idea che sappia essere il più possibile all’altezza dei tempi correnti.


            Bruno Magnolfi
           

           

martedì 29 ottobre 2019

Certamente benvenuto.


           

            “Eccomi qua”, dice lui con un sorriso, mentre sta sopraggiungendo davanti all’entrata del circolo culturale “Victor jara”, nello stesso esatto momento in cui Sonja, con la testa persa come sempre dietro a tutti i suoi pensieri, si fa sulla porta per entrare. “Bentrovato”, gli fa lei con un leggero moto di sorpresa; “immagino che oggi sia arrivato fino qui per tesserarti”, gli chiede. “Certamente”, risponde subito lui, “in fondo non chiedo di meglio che passare qualche serata qua dentro a discutere di sociologia e di politica”. Anche lei gli sorride, poi apre la porta vetrata con le proprie chiavi e lo fa accomodare all’interno. “Comunque stiamo pensando di mettere in pista nei prossimi tempi anche delle cose un pochino più leggere: qualche serata di canzoni, un piccolo spettacolo teatrale, addirittura delle prove di ballo impartite da un vero maestro della disciplina”. “Bene”, fa lui, “mi sembrano degli ottimi propositi”.
            Giunge un gruppetto di soci del circolo, alcuni sinceri affezionati che si fanno vedere là dentro praticamente ogni pomeriggio, impegnandosi generalmente per dare una mano, ad esempio,  con le locandine e i manifesti da affiggere, e che adesso entrano subito nella sala principale e salutano cortesemente loro due. “Possiamo andarcene a prendere un caffè nel locale di fronte”, dice lei sottovoce; così lui annuisce e in un attimo escono sulla strada. “Mi piace il clima che si respira attorno al tuo circolo”, fa lui; “c’è un’aria positiva, una voglia di fare, la sensazione che tutto sia possibile se soltanto lo si vuole”. “Forse”, fa lei, “però nel dettaglio le cose non sono così semplici, e c’è sempre bisogno dell’impegno di tutti per far funzionare al meglio le cose”.
            Poi si siedono ad un tavolino del bar, si fanno portare i due caffè, ed intanto lei continua a sorridere guardandosi attorno, salutando qualche persona presente dentro al locale. “Tutti ti conoscono”, dice lui, “e tutti quanti ti rispettano, anche se probabilmente non hanno le tue stesse idee politiche, o i tuoi ideali”. “Questo è vero”, dice Sonja, “però quando quello che fai viene portato avanti con passione e correttezza, le persone prima o dopo se ne accorgono, ed allora non possono far altro che usare dei riguardi nei tuoi confronti”. Carlo si sente sciolto quando sta con lei, non come quando si trova con le sue colleghe insegnanti che dentro la scuola lo spingono a mostrarsi sostanzialmente rigido nel suo compito, ed anche estremamente riflessivo in tutto ciò che fa e che dice, preoccupandosi solo delle opinioni che possono formarsi nei suoi confronti.
            Sonja porta con sé una ventata di spirito e di intelligenza, qualcosa che non è facile avvertire negli individui, almeno ultimamente. "Ho persino qualche idea da suggerirti", dice lui con serietà; "niente di stravagante, qualcosa che forse, e naturalmente se ti va, può essere sviluppata facilmente dentro al tuo circolo. Sonja gli sorride, si rende conto che lui è proprio nella posizione di aiutare davvero il "Victor Jara", ma non per questo desidera farlo sentire nell’obbligo di impegnarsi in qualche cosa; anzi, come per tutti coloro che si prestano ad ogni attività, vuole assolutamente metterlo in condizioni di sentirsi libero di scegliere, prendendo autonomamente ogni decisione. “Nel tuo circolo potrei aprire un doposcuola, al pomeriggio, almeno per le materie che conosco”, dice lui; “ed invitare magari qualche collega a fare lo stesso fino a coprire ogni materia del liceo. Ci sono ragazzi che rimangono indietro per tante ragioni diverse, certe volte del tutto incolpevolmente; aiutarli potrebbe essere fondamentale per la loro crescita, sia psicologica che intellettuale. E poi levarli dalla strada può essere un vantaggio per tutta questa città”. Lei lo guarda, gli sorride, annuisce; sorseggia il suo caffè, poi dice soltanto: “certamente, sei il benvenuto”.

            Bruno Magnolfi

domenica 27 ottobre 2019

Futuro incerto.


           

            Oggi pare proprio un giorno qualsiasi, e per lei non sembrano esserci di fronte delle particolari novità. Sonja si guarda attorno mentre cammina lungo la strada principale della sua cittadina: non ha alcuna fretta, sa che più tardi dovrà soltanto fare alcune telefonate di conferma per mettere in piedi ciò che ha in mente di organizzare nei prossimi giorni per il suo circolo culturale. Non si tratta di qualcosa di insolito, ma di un semplice incontro, da programmare per la settimana seguente, con un importante esponente politico di quella zona, una persona nota, uno di cui lei peraltro ha sempre avuto molta stima, e che forse potrà chiarire meglio, per i cittadini che vorranno intervenire alla serata, questo periodo complicato che sembra evidenziarsi da un po’ di tempo a questa parte. Però anche tutto questo fa parte ormai degli appuntamenti abitudinari che lei organizza ogni tanto, appuntamenti ai quali ultimamente partecipano purtroppo soltanto poche persone.
            Non c'è più molto interesse per certe questioni, ogni individuo sembra perdersi esclusivamente dietro ai propri problemi strettamente personali, ignorando con determinazione tutto ciò che invece sta succedendo a tutti quanti. L'empatia  si è fatta solo un pallido ricordo, l'egoismo ed il proprio stretto particolare sono diventati oramai poco alla volta gli unici metri di giudizio sui quali misurare qualsiasi scelta singola. Però bisogna guardare avanti, pensa chi come lei vorrebbe salvare almeno qualcosa di questo singolare periodo storico, e preparare tutto quanto come se da un momento all'altro potesse davvero cambiare d’improvviso questa tendenza. Prodigarsi per gli altri sembra sia diventato un comportamento quasi risibile, e chi si comporta in questo modo viene additato come stravagante, oppure ignorato, senza l'uso di mezzi termini. E’ una vera guerra, pensa a volte Sonja a voce alta, quando si trova in casa con i suoi genitori, oppure al circolo con i più stretti affezionati, quasi a far risaltare il comportamento sempre più altruista delle persone che, proprio come fa lei, si preoccupano del bene di tutti.
            In ogni caso c’è solo da andare avanti, procedere oltre questi sciocchi pessimismi e mettere in pista tutto ciò in cui davvero si crede, tentando quando è possibile anche nuove strade per smuovere in qualche modo le coscienze. Per Sonja questo è un pungolo ulteriore, anche se riflette molto attentamente alle parole che certe volte le dice in fretta sua madre, quando la consiglia di pensare un po' anche a se stessa, e di smettere di dedicarsi esclusivamente a tutti quanti. I suoi genitori avrebbero voluto una vita almeno in parte diversa per la loro unica figlia, anche se si ritengono molto orgogliosi di tutto quello che fa. Una famiglia, un marito, dei figli, le solite cose, pensano a volte, anche se ormai difficilmente potrebbero fare a meno della sua inseparabile presenza nella loro giornata. Lei sa benissimo cosa passa loro nella mente, ed è forse per questo che non li lascia mai affrontare a lungo quell’argomento.
            In fondo va bene anche così, sembra certe volte suggerire ogni suo comportamento. Al circolo culturale è molto considerata, sembra quasi che tutti sappiano benissimo che probabilmente senza di lei le cose per l’associazione non avrebbero alcun futuro, e che se Sonja non si fosse prodigata in quell’ambito per tutti quegli anni fino adesso, ad ogni buon conto la loro piccola città sarebbe peggiore, priva di quel fulcro culturale che porta generalmente le persone verso il rispetto e alla riflessione attenta su ogni opinione anche diversa dalla propria. C’è da esserne orgogliosi, pensa ancora qualcuno che la conosce bene, anche se sono ormai soltanto in pochi.

            Bruno Magnolfi    

giovedì 24 ottobre 2019

Energie da spendere.


       

            I genitori di Sonja trascorrono quasi tutte le ore della giornata dentro la loro casa modesta. Lui, al mattino, con gli occhiali sul naso ed i gomiti puntati sopra al tavolo della cucina, legge ad alta voce l’immancabile quotidiano che gli ha comperato poco prima sua figlia, in modo da comunicare almeno le notizie più rilevanti anche alla moglie; lei ogni tanto propone, proprio su quella base di informazioni, qualche semplice commento bonario, a volte prendendo direttamente la pagina del giornale per assaporare l’articolo in questione lei stessa, e suo marito generalmente concorda con il suo parere, mostrandosi quasi sempre d’accordo. Raramente trovano qualcosa su cui tirare fuori opinioni diverse, ed anche in quel caso sono sempre pronti a trovare una rapida intesa. Quando poi rientra la loro figlia per il pranzo, proseguono con i loro bonari commenti, e lasciano che lei, con le sue maniere più esuberanti, riporti le notizie della piccola città in cui hanno sempre vissuto, ascoltando con interesse ogni novità. Qualche volta si rammentano di alcuni periodi del passato, quando erano giovani, ed allora ogni fatto ricordato viene sempre messo in relazione con la situazione politica e sociale di allora, come fosse un giustificativo a tutto ciò che era accaduto a quei tempi, mostrando comunque la loro chiave di lettura di ogni vicenda.
            In quei casi Sonja li ascolta, cerca di comprendere lo spirito vero di quelle cose che vengono ricordate dai suoi genitori, e quasi sempre chiede degli ulteriori chiarimenti o delle spiegazioni aggiuntive. Loro due sanno raccontare bene le cose che hanno vissuto, qualche volta lei si sente addirittura immedesimata dentro a quei fatti che riportano, e questa che prova la ritiene una sensazione molto importante. Qualche volta ha invitato al suo circolo tutti gli anziani del suo paese, almeno quelli che ne avessero avuto la voglia, per ripercorrere tutti insieme, in certe serate dedicate proprio alla memoria collettiva, le varie fasi dell’ultima guerra, vista questa volta dal punto di osservazione non della storia ufficiale, bensì della povera gente, degli sfollati, delle famiglie in mezzo ai disagi, delle persone sbandate e senza alcuna certezza. Qualcuno in quei casi si è perfino commosso nel ritrovare anche in altri paesani dei ricordi così forti e ancora attuali.
            I ricordi di certe cose sono sempre degli elementi formidabili, Sonja ne ha profonda certezza, ed il centro abitato dove loro vivono ed affondano le proprie radici, è stato testimone diretto di gesti e di fatti importanti, elementi che hanno lasciato innumerevoli strascichi in molta parte della popolazione più anziana, con tantissime piccole vicende ancora non del tutto venute alla luce. Questo, del circolo culturale “Victor Jara”, è ciò che a lei sembra importante più di qualsiasi altro aspetto: riuscire a creare, mediante la memoria collettiva, una specie di strato di solidarietà all’interno della cittadinanza, qualcosa che prenda le mosse magari proprio da quel passato, per trasferirsi rapidamente nella piena attualità. I ragazzi e i cittadini più giovani naturalmente non danno alcuna importanza a queste cose, però secondo lei soltanto parlarne, far circolare le informazioni, portare le persone a scegliere una parte effettiva di appartenenza, è già un primo segno importante di costruzione della coscienza. Il suo impegno è tutto in funzione di questo risultato, ed i momenti di stanchezza che a volte sembrano fermare ogni spinta, sono secondo lei semplici momenti di riflessione di un pensiero più grande; qualcosa di importante, senza alcun dubbio, qualcosa per cui vale la pena di spendere tutte le proprie energie.

            Bruno Magnolfi 


martedì 22 ottobre 2019

Appuntamento preciso.


          

            Carlo Cantoni è un insegnante di mezza età, poco conosciuto in paese, se non dai colleghi e dai genitori dei ragazzi a cui impartisce le sue lezioni. Riservato, taciturno, ha avuto la cattedra di letteratura italiana al liceo di quella cittadina appena tre anni addietro, dopo un passato di precariato svolto in altri piccoli centri fuori regione; e così ha lasciato i suoi luoghi di appartenenza per trasferirsi da solo, visto che non tiene una propria famiglia, in un piccolo appartamento in affitto vicino alla piazza principale. Naturalmente da quando vive e lavora in quella cittadina, si è recato numerose volte nella biblioteca comunale, ed ha consultato e preso in prestito svariati volumi sulla sua materia di insegnamento, e vi ha portato in visita anche i suoi alunni durante un paio di occasioni particolari; però non si è mai interessato delle attività del circolo culturale "Victor Jara", ma forse soltanto per una sorta di timidezza nei confronti di certe tematiche affrontate negli incontri patrocinati da quella direzione.
            Però lo incuriosisce sapere che ci sono delle attività di quel genere e in pieno fermento tra i suoi concittadini, e già più volte si è riproposto di mettere il naso là dentro appena se ne presenterà l’occasione. Nel tempo libero lui passeggia volentieri lungo la strada principale del paese, e qualcuno certe volte lo saluta riconoscendolo naturalmente come l’insegnante di lettere. Poi qualche volta passa davanti al circolo culturale, e si limita a dare uno sguardo alla bacheca affissa su un fianco dell’entrata per aggiornarsi sulla prossima attività, e poi basta. Stasera però in quel preciso momento esce da dentro Sonja, la direttrice, per un caso assolutamente fortuito, e vedendolo intento a leggere il manifesto che pubblicizza un incontro che si terrà là dentro tra qualche giorno, lo saluta con un sorriso, non tanto perché lo riconosce, ma al contrario proprio perché in paese non lo ha mai notato. Carlo si sofferma un momento, saluta la donna con cortesia, e poi le chiede se sia possibile per uno come lui dare un’occhiata qualche volta alle attività che vengono portate avanti nel circolo.
            “Naturalmente”, fa subito lei; “ogni settimana di mercoledì per esempio si tiene un dibattito intorno ad un tema di attualità: ci sono delle volte che si presentano in pochi, ma in altri casi la sala è quasi piena, dipende soprattutto dall’argomento. Però se vuole entrare in qualsiasi momento della giornata si può sedere ad un tavolino e consultare le riviste e i quotidiani che acquistiamo ogni giorno, trattenendosi quanto desidera, proprio come fosse una biblioteca”. “Bene”, fa Carlo, “questo mi fa molto piacere”, e così si presenta, stringendo la mano alla direttrice del circolo e promettendo di prestare maggiore attenzione alle prossime attività. “E poi naturalmente c’è un calendario preciso all’interno che è nostra cura aggiornare a proposito di qualsiasi iniziativa venga portata avanti dal nostro circolo”, insiste lei; “così, in qualsiasi momento si può conoscere cosa venga organizzato per le settimane future”.
            Lui torna a sorriderle, si aggiusta per un momento dentro al suo soprabito grigio, poi, con un leggero tentennamento, le chiede se sia possibile prendere assieme a lei un semplice caffè, una delle prossime sere, “magari proprio domani a quest’ora, nel locale di fronte, e parlare più estesamente di tutto quanto”. Sonja lo guarda un momento, sembra riflettere con serietà: “ma certo”, dice alla fine; “l’aspetto dentro al mio circolo, così posso illustrarle ogni dettaglio”.

            Bruno Magnolfi

lunedì 21 ottobre 2019

Inutile depressione.


        

            Certe sere dentro al circolo culturale “Victor Jara” non rimane nessuno, ed allora Sonja accosta la porta principale, spegne le luci generali, poi si siede alla scrivania nel suo piccolo ufficio sul retro, e riflette. Non ci sono molte cose da scartare nella sua giornata, però senz’altro sono tutte migliorabili. Lei ha rinunciato a sentirsi da sola come accadeva una volta: in fondo le basta l’affetto di chi la sostiene, di chi crede nelle sue proposte, coloro i quali condividono le sue idee, e sono sempre pronti a darle una mano. Poi ci sono i suoi genitori, sempre più anziani, sempre più bisognosi di lei, del suo aiuto, della sua rara capacità di affrontare i problemi e risolverli, almeno quando è possibile. Infine, più tardi, chiude la porta con le chiavi e se ne va a casa da loro.
            Ciò che fa per il circolo culturale non è mai sufficiente, o almeno Sonja non prova quasi in alcun caso quella profonda soddisfazione che tante volte desidererebbe avvertire, ed allora si interroga su tutto ciò a cui è possibile dare seguito sin da domani, ed inventare dal niente nuove iniziative, inserire ulteriori appuntamenti con nomi noti, magari orchestrare una più efficace pubblicità da affiggere sui muri della sua cittadina. A volte si sente una rompiscatole nei confronti di chi collabora con lei, proprio perché insistente, pignola, mai soddisfatta. Qualcuno nel tempo si è anche defilato per questo, lei lo sa benissimo. Non ha un carattere facile, ed anche se chiede sempre l'opinione di tutti, quando crede di essere dalla parte della ragione diviene irremovibile nei suoi convincimenti, e quindi praticamente insopportabile.
            I suoi genitori non le chiedono mai niente sulla sua attività, perché quando ne ha voglia è lei stessa che spiega attorno a cosa stia lavorando per il circolo culturale. Al mattino però va nell’ufficio di un avvocato a sistemarne la corrispondenza, e soprattutto a studiare i complicati incartamenti dei processi per cui il suo datore di lavoro deve intervenire, sottolineando a matita le cose più importanti di ogni atto giuridico, ed estrapolando i passaggi veramente importanti di ogni documento, di fatto predisponendo ogni cosa per far funzionare bene la giustizia ed il lavoro del suo avvocato. Svolge con scrupolo e attenzione questa sua attività, naturalmente, anche se per lei è soltanto quella che le procura un piccolo stipendio con cui riesce a tirare avanti. Perché con il lavoro al circolo culturale, oltre qualche simbolico rimborso spese, non prende niente, anche se è questo ciò che Sonja vorrebbe fare a tempo pieno: organizzare l’intera vita culturale della sua cittadina.
            Dentro al circolo lei si sente bene, al meglio delle sue possibilità, e quando infine riesce ad organizzare la presentazione di un libro importante, di una tavola rotonda su un argomento di stretta attualità, di un dibattito pubblico sul futuro politico del territorio, ecco che Sonja si sente una persona capace, una donna che riesce a marcare la vita della sua cittadina, un personaggio pubblico degno dei suoi compaesani. Qualcuno aveva parlato di lei come candidata a sindaco per le elezioni seguenti, ma poi non se ne era fatto di niente. Non ha alcuna importanza, aveva pensato lei in quella occasione. “C’è bisogno di aprire maggiormente gli occhi su quello che sta avvenendo; si sente nell’aria la necessità di qualcuno che prenda sottobraccio la popolazione e la faccia riflettere su se stessa. Forse sono io che devo farlo”, aveva pensato, “e questo è esattamente il ruolo che mi sono ritagliata, perciò forza, avanti, senza mai lasciarsi deprimere”.

            Bruno Magnolfi
           


domenica 20 ottobre 2019

Proposte non troppo ricercate.


    

            Ci sono persone a cui non interessa mai niente. “Va bene”, dicono con superficialità, “però in questo momento ho altro a cui pensare”, anche se di fatto non hanno proprio nulla di cui occuparsi. Ciondolano davanti ad un caffè e dicono giusto qualcosa a chi conoscono, dando già per scontate un sacco di cose. Poi camminano senza fretta lungo un marciapiede, e si guardano attorno quel minimo che basta per sentirsi immersi in una realtà abitudinaria e senza novità.
            A Sonja disturba anche solo la vista di questi individui senza spina dorsale, però riesce almeno ad ignorarli quando li incontra, seppure a malapena, perché sa che con loro, se non cambiano atteggiamento, non avrà mai niente a che fare. Tutta la sua attività in fondo sarebbe tesa a coinvolgere anche proprio coloro che sembrano vivere in una indifferenza generale, ma le torna difficile prendere in considerazione chi non crede minimamente nella possibilità di cambiare le cose, e che tutto sia destinato a rimanere invariato.
            La nascita del circolo culturale di fatto affonda le proprie radici esattamente nella convinta volontà, per quei suoi fondatori e sostenitori, di dare fiato e futuro a qualcosa che potesse attirare l’attenzione di tutti i loro concittadini intorno a dei temi di natura culturale e di partecipazione generale: qualcosa intorno a cui iniziare a parlare, a discutere, incontrarsi, tentando di far smettere le persone interessate di essere soltanto cittadinanza passiva, priva di qualsiasi capacità intellettuale, e quindi con opinioni non sorrette da riflessioni ben ponderate.    
            La mattina, al circolo “Victor Jara”, è possibile entrare e sistemarsi ad un tavolo per consultare uno dei tanti quotidiani che vengono acquistati e messi a disposizione di tutti quanti, ogni giorno. A Sonja era parsa da subito un’idea meravigliosa quella di poter lasciare a chiunque la possibilità di acquisire tutte le informazioni necessarie per comprendere meglio la realtà, e di formarsi così delle opinioni, come minimo più approfondite, su qualsiasi argomento di interesse, anche se in seguito, con il passare del tempo, l’operazione si è andata a restringere ad un numero talmente esiguo di persone da risultare quasi fallimentare.
            “Che cosa importa”, le aveva detto qualcuno; “l’elemento fondamentale è sapere che nella nostra cittadina esiste un faro che ci illumina, e sul quale possiamo contare in qualsiasi momento”. E forse a Sonja è bastato da allora questo pensiero, tanto che quella consuetudine in tutti gli anni di vita del circolo non è mai stata abolita. Nella sala aperta al pubblico ci sono libri, riviste, materiale di consultazione, e a qualcuno dei soci qualche volta era anche venuto in mente di dare maggiori possibilità per svagarsi, permettendo agli utenti il gioco delle carte e altre cose del genere.
            “Non è facile”, le ha anche detto tante volte Virginia, la sua amica bibliotecaria. “In fondo i nostri scopi sono simili, però quello che dobbiamo intraprendere non sarà mai un percorso lineare e tranquillo. Dobbiamo inventarci qualcosa di diverso ogni volta, e poi anche avere il coraggio di cambiarlo quando è il momento, perché le cose che ci sembrano funzionare perfettamente oggigiorno, in poco tempo si stemprano, perdono consistenza, e poi non valgono più. Dobbiamo collaborare, questo si, perché soltanto in questa maniera riusciremo a dare maggiore spessore alle nostre iniziative, e poi dobbiamo cercare comunque l’appoggio di tutti, perché se anche le nostre idee sono buone, le migliori possibili, ugualmente serve che i nostri concittadini le riconoscano come tali, e rifiutino l’immagine di ricevere proposte calate troppo dall’alto”.

            Bruno Magnolfi   

venerdì 18 ottobre 2019

Semi da spargere.


           

            Qualche volta lei si sente sola. Anche se ci sono tutti i soci e i sostenitori del circolo culturale che la conoscono e che le vogliono bene; anche se i suoi genitori come sempre l’aspettano a casa e fanno tutto quello che lei chiede loro di fare; anche se le telefonano spesso da chissà dove per proporle delle nuove cose, a lei e a tutto il suo circolo. Ugualmente, in certe occasioni, Sonja si intristisce, ed in quei casi diventa difficile farle passare in fretta il malumore: la cosa migliore è attendere che tutto quanto in qualche modo evapori, come poi sempre succede. Lei nel pomeriggio si siede nel suo piccolo ufficio del circolo "Victor Jara", e legge, consulta qualcosa, cerca di sprofondare quanto più le è possibile in mezzo ai suoi interessi, anche se infine si alza, prende la borsa con tutta la sua roba e va a farsi un giro a piedi, da sola, lungo le strade meno frequentate della sua cittadina. Cerca di scansare chi incontra, perché non ha voglia di parlare, tantomeno rispondere con garbo a chi le chiede cosa riservino prossimamente le attività del suo circolo.
            Sonja è da sola anche se non ha del tutto scelto di esserlo. E’ stata come una conseguenza dei suoi interessi, come se farsi una famiglia fosse stato sempre un pensiero minore in mezzo alle sue premure, una scelta da procrastinare facilmente nel tempo, senza decidere mai nulla di preciso al riguardo. Ugualmente però, questo aspetto adesso le manca: è come se si sentisse monca di una parte di sé, nonostante normalmente riesca a riempire ogni giornata di talmente tante cose da allontanare facilmente quel pensiero. Avrebbe potuto farsi delle vacanze spensierate, andarsene lontano per un po’ da quella realtà di provincia, e magari lasciarsi anche andare, provare a mostrarsi meno rigida su alcune posizioni, e favorire in qualche modo chi le stava vicino.
            Invece il suo carattere deciso ha sempre mostrato in apparenza a tutti gli altri una ragazza dura, forte, convinta di ogni sua scelta. Nessuno si è mai veramente accostato a lei cercando quella dolcezza nascosta che lei ha sempre tenuto segreta. E così nessuno si è mai realmente innamorato di Sonja, anche se lei qualche sbandata forse l’avrebbe anche presa, se non avesse sempre nascosto a tutti, ed anche a se stessa, i suoi veri e profondi sentimenti. E poi i suoi genitori hanno sempre fatto da zavorra inconsapevole ad ogni suo sogno, e lei ha sempre sentito il dovere di esserci prima di tutto per loro, e di prendersi cura di tutti i problemi che nel corso degli anni loro le hanno mostrato, tanto da dimenticarsi certe volte persino di se stessa.
            Se ci pensa si sente quasi in una situazione obbligata, per questo ogni tanto deve prendere una semplice boccata d’aria, un respiro profondo che le faccia passare la malinconia. Continua a camminare per un’ora o due, senza fermarsi, ed infine rientra al suo circolo, nel luogo dove i due o tre frequentatori abituali l’aspettano con calma, come ogni sera, per fare il punto della situazione, magari mettere in cantiere qualcosa di nuovo, affrontare come ogni giorno tutti quei piccoli problemi che facilmente possono insorgere. “Ci sono”, dice Sonja a chi l’attende quando apre la porta principale del “Victor Jara”, e quindi riprendere ogni interesse riguardo a tutta la situazione appena lasciata. “Dobbiamo mettere in stampa un nuovo piccolo manifesto da affiggere, informare chiunque, chiamare a raccolta tutti coloro che ne avranno la voglia, spiegare ai nostri concittadini che siamo ancora vivi, che il circolo funziona, e se anche qualcuno di loro considera ormai fuori moda portare avanti certe battaglie, noi lo facciamo e lo faremo lo stesso; perché possiamo spargere il seme del bene, persino in chi in qualche modo tenta di rifiutarlo”.

            Bruno Magnolfi  


giovedì 17 ottobre 2019

Ragionamenti importanti.


  

            Sono già sufficienti pochi elementi per veder passare via in un lampo un’intera giornata. Qualcuno telefona, e spiega o recepisce qualcosa con calma; Sonja memorizza subito il da farsi, poi si concentra sulla documentazione, sul materiale disponibile, su quello che può mettere assieme, prendendo appunti, elaborando, dando seguito a fatti e impressioni, fino a quando si guarda attorno per rendersi conto improvvisamente che è già persino troppo tardi, perché il tempo è passato molto velocemente, e forse lei, con una buona dose di responsabilità, ne ha perduto una bella porzione intorno a qualcosa che magari non aveva neppure tutta questa importanza. A che serve pensarci sopra, la cosa fondamentale è buttarsi nel mezzo a quanto si è desiderato da sempre, perché sarà d’improvviso che ogni sforzo tornerà indietro a restituire una doverosa soddisfazione, quella di sapere che tutto era assolutamente da compiersi, senza alcun tentennamento.
            Certe volte lei guarda per un attimo la sua ombra sul marciapiede, oppure il riflesso della sua faccia sopra una vetrina mentre cammina velocemente per strada, e sa che tutto è concreto, molto di più di ciò che si era potuta mai immaginare. Non cambierà certo la sua espressione nei prossimi tempi, se anche rimanesse in completa solitudine a combattere le sue piccole ma necessarie battaglie. Qualcosa la spinge, continua a spingerla, e lei non si arrende, non considerando dentro di sé neppure il motivo per farlo: dobbiamo vivere questo presente, osserva certe volte; con la consapevolezza di tutto quello che la realtà riesce a fornirci. “Ciao Virginia”, dice poi con un certo piacere alla sua amica che lavora presso la biblioteca comunale, quando la incontra per caso, o quando va fino da lei per parlarle. Si conoscono bene fin da quando erano due normali ragazze, ed adesso, pur con molti distinguo, si sentono quasi alleate nella loro battaglia per portare il maggior numero di cittadini verso quella cultura in cui credono.
            In fondo il loro lavoro non è troppo dissimile, e ci sono stati dei momenti in cui il piccolo circolo culturale di cui Sonja da molti anni è la presidente, ha collaborato con la biblioteca per attivare percorsi di formazione intellettuale sia per i ragazzi scolarizzati, che per adulti sensibili a certi argomenti. Così si sono ritrovate più volte dalla stessa parte, a condividere i medesimi sforzi nel tentativo di rendere tutto migliore. Sullo sfondo proseguono a muoversi, intorno a loro due, delle scelte che a nessuno tra i loro conoscenti viene mai in mente di criticare, perché certi ruoli si colgono quando è il momento ed una volta per tutte, e poi si rimane come invischiati in quel dato personaggio, praticamente per sempre, senza possibilità di uscire più dalla recita, neppure volendolo. Loro due si sorridono, conoscono perfettamente il peso della croce che portano sopra le spalle, ciò nonostante vanno avanti come sempre nei loro compiti, praticamente impassibili. 
            “Si potrebbe mettere a punto un convegno intorno alla presentazione di un bel libro che ho appena letto sullo sviluppo sociale dei piccoli centri”, dice Sonja con entusiasmo a Virginia; “un volume molto interessante che è stato da poco pubblicato. Conosco il curatore del saggio in questione, e lui credo proprio non avrebbe difficoltà nel venire fino da noi a presentarlo, e poi su questo potremmo restringere l’argomento fino ad affrontare i dettagli della nostra realtà di paese. Si potrebbe invitare persino il sindaco a fare un piccolo intervento sulle tante questioni ancora aperte circa la nostra cittadinanza”. “Va bene” fa l’altra; “magari vediamoci al circolo per parlarne un po’ meglio, in ogni caso mi pare proprio un’ottima idea”. Così vanno le cose, pensano ambedue subito dopo i saluti. Qualcosa dovrà pur decidersi a cambiare una volta o quell’altra, specialmente se tutti noi iniziamo a riflettere meglio almeno sulle cose importanti.

            Bruno Magnolfi

mercoledì 16 ottobre 2019

Rinnovato interesse.


            

            I suoi genitori adesso sono anziani; lei avrebbe voluto andarsene dalla loro casa quando era il momento giusto, ormai diverso tempo fa, ma in quegli anni giovanili purtroppo si sentiva troppo presa dalle cose di cui si occupava: la politica, innanzi tutto; e poi i convegni da organizzare per il circolo culturale, le letture da consigliare a tutti, i tentativi per coinvolgere nelle scelte in cui lei credeva sempre nuove persone. I suoi amori dell’epoca sono sempre stati troppo fuggevoli, veloci, forse superficiali, senza lasciare dietro di loro alcuno strascico, nel bene o nel male. Ed i suoi vecchi hanno bisogno di lei in questo momento, indubbiamente, e perciò niente infine si mostra possibile, se non continuare a vivere così, senza neppure porsi troppe domande.
            "Sonja", le dicono loro certe volte; "tu sei libera di fare le tue scelte, non devi preoccuparti mai di noialtri". Ma lei li guarda giusto per un attimo, e poi sorride, perché non sente alcun bisogno di affrontare di nuovo quell'argomento, neanche dentro se stessa, che forse è una delle tante spine che in qualche maniera potrebbe ancora sentire dentro al suo cuore. Prova una grande tenerezza, questo si, lei che adesso si sente forte di tutte le proprie convinzioni, per quei due anziani signori così fragili e quasi arrendevoli, grandi iniziali apripista forse inconsapevoli delle sue scelte, con le loro piccole esperienze scorse con garbo e quasi per caso dentro la storia, e che in questo momento fanno girare qualsiasi cosa della giornata attorno alla loro unica figlia. Lei adesso rappresenta il loro faro nel buio, e niente potrebbe essere davvero diverso.
            Lei lavora soltanto la mattina, in un ufficio di un avvocato della sua cittadina. E dal pomeriggio in avanti si concede completamente alla sua passione più forte: incontrare gli affezionati al circolo culturale “Victor Jara”, e progettare con loro gli incontri, i convegni, le letture pubbliche; e poi dibattiti, raduni, discussioni. Forse avrebbe potuto fare altre cose almeno in tutti questi ultimi anni, ma Sonja oramai neppure si pone una domanda del genere; per lei è questo di cui si occupa ciò che più conta, anche indifferentemente dai risultati. Quando rientra a casa dei suoi, generalmente la sera tardi, ed entra senza fare rumore nella sua cameretta, forse si sente ancora bambina, una ragazzina che deve ancora imparare a conoscere tutto, ma una volta coricata nel suo letto da adulta, riesce a sentirsi del tutto tranquilla, con la coscienza serena, pronta a compiere ancora dei sogni in quella sua casa dove ha abitato da sempre.
            Magari tutto questo è soltanto il frutto maturo di tante abitudini, pensa talvolta; però non c’è stato mai niente veramente di forte nella sua maturità, qualcosa che sia stato capace di trasportarla da qualche altra parte, via dalle sue origini, oltre le idee e anche lontano da tutti i pensieri che ha sempre avuto, tralasciando quella coerenza di cui invece si è sempre mostrata orgogliosa. Niente potrà più cambiare, pensa ancora ogni tanto, e questo pensiero piuttosto che renderla triste la fa sentire più forte, convinta, sicura di quello che debba aspettarsi da qualsiasi giorno nuovo. Cosa importa alla fine se non si trovano più dei concittadini disposti a condividere il suo stesso sentire. Ciò che ha valore lei sa che è radicato dentro se stessa, nella fatica e nello sforzo che ha fatto per arrivare fin lì. Il resto sono soltanto aspetti del tutto marginali, che non danno neppure fastidio, tanto sono privi di qualsiasi rilievo. Ci sarà un nuovo interesse da parte di tutti per gli argomenti importanti, prima o dopo; e sarà in quel momento che Sonja potrà dire di averlo sempre saputo.

            Bruno Magnolfi

lunedì 14 ottobre 2019

Collettivo.




            Le solite facce, anche stasera, al circolo culturale "Victor Jara". L'argomento di oggi gira attorno ad un vecchio militante scomparso da poco tempo, una persona del popolo, un uomo come potrebbe essere stato chiunque, che pur senza istruzione, o quasi, è riuscito a scrivere, pur tanti anni fa, un opuscolo breve, chiaro e conciso, nel quale riusciva a dire cose estremamente veritiere sulla gente, talmente evidenti da risultare ancora molto attuali. Qualcuno ascolta attento e si dimostra entusiasta del fatto che siano vissute persone del genere in questa città; altri invece si guardano attorno con poco interesse, senza perdere mai d'occhio il quadrante dell'orologio. Lei si chiama Sonja, ha passato da poco i quarant'anni, ed è appassionata da sempre degli argomenti di quel genere, forse più per una scelta iniziale da mantenere soprattutto per coerenza, che per una convinzione davvero profonda in tutto ciò che ultimamente viene estrapolato in serate come questa.
            Fa parte dei soci fondatori di questo circolo, ma all’epoca in cui si sentiva entusiasta di quanto portava avanti con grande determinazione, non avrebbe mai immaginato che le cose in seguito si sarebbero trascinate poco per volta soltanto con stanchezza, e per una sorta di inerzia data dall’affetto ancora in parte emanato da certi argomenti. Lei si sentiva una battagliera, soltanto qualche anno addietro, ma poi essere rimasta quasi da sola a cercare i soldi per le tante sottoscrizioni, giusto per riuscire a pagare l’affitto della sala e delle stanze attigue, affiggere sui muri qualche manifesto, rimborsare le spese di viaggio a qualche invitato per sentirlo parlare là dentro, le ha procurato un’amarezza che le risulta oggi sempre più presente e insopportabile.
            Forse la cultura era un punto di arrivo fondamentale, almeno una volta; significava dare l’opportunità a chiunque di comprendere da solo l’andamento della vita sociale e la gestione della cosa pubblica da parte dei politici di turno. Instillare nella testa della gente poco per volta degli argomenti alternativi sollevando piccole discussioni proprio dal basso, era per lei l’elemento determinante su cui far leva per formare una nuova coscienza, con idee più forti, consapevolezze essenziali, convinzioni maturate su tutto ciò che il giornalismo in qualche modo pareva nascondere. Il grande interesse verso quel progetto non è mai arrivato, e tutto è andato calando in questi anni, tanto che ultimamente si è discusso persino di chiudere il circolo.
            “Sonja”, le dicono gli amici; “bisogna arrendersi di fronte alla realtà”. Ma a lei ogni tanto pare ancora che tutto possa rimettersi a girare bene all’improvviso, e che quel progetto iniziale per incanto riprenda quota, dandole finalmente la soddisfazione che ha sempre cercato senza mai averla assaporata. Introduce la serata, dice che la memoria è sempre più importante, “che ci sono sempre state delle persone che hanno saputo guardare più lontano di tanti altri, e noi dobbiamo saper accogliere almeno nella giusta misura i loro insegnamenti, meditando bene su quanto è avvenuto, e poi sovrapponendo i risultati, quando è possibile, sulla realtà attuale, guardando tutto quanto con occhi rinnovati, con capacità di analisi e di critica superiori alla superficialità del giorno d’oggi”.
            Poi si siede, ascolta con attenzione gli interventi di alcuni altri che spiegano con calma la propria opinione. Ad una certa ora qualcuno se ne va, rimangono ormai in pochi, sempre i medesimi, ed anche se gli argomenti trattati non sono stati del tutto sviscerati, non ha alcuna importanza, bisogna chiudere, la serata se ne è andata in fretta, forse è rimasto qualcosa di tutte le parole pronunciate, o forse no; che tanto di meglio proprio non si poteva fare.

            Bruno Magnolfi      


domenica 13 ottobre 2019

Avanti comunque.


        

            Mio fratello gemello, come lo chiamo io: l’immagine di me dentro il piccolo specchio incorniciato che possiedo da sempre, che spesso mi ha aiutato nella mia solitudine, suggerendo comportamenti, idee, scelte; ormai si è fatto quasi un pensiero inerte, un semplice elemento della mia giornata che ancora resiste e che forse mi osserva sopra al piano di un mobile dentro l’appartamento, ma non produce più impulsi, opinioni, critiche, come faceva una volta. Forse mi sento più libero dal suo giudizio tagliente, ma in ogni caso di me ho maturato negli ultimi tempi una coscienza maggiore, una più forte fiducia nelle mie potenzialità, ed anche una necessità di considerare meno gli oggetti che mi circondano, a vantaggio magari delle persone.
            La mia collega mi ha telefonato, qualche tempo fa, e così finalmente ci siamo visti un pomeriggio per andarcene in un caffè della zona. Abbiamo parlato, come è naturale, senza svelare troppe cose della nostra diversa intimità, divertendoci a conoscere qualcosa di noi senza per questo approfondire eccessivamente i tanti aspetti. Poi sono tornato al lavoro, dopo la lunga malattia che mi ha costretto al riposo forzato, ed ho scoperto di essere stato trasferito al piano superiore nel palazzo della pubblica amministrazione, e di avere così nuovi colleghi, quasi tutte donne, e di non avere più niente a che fare con l’archivio e con quei faldoni polverosi che odiavo.
            Non è cambiato molto, a dire la verità, però si è modificato quel tanto che basta per farmi stare meglio: non ho grandi rapporti umani neppure adesso con gli altri impiegati, considerato che sono rimasto uno che se ne sta volentieri per i fatti propri; ma almeno adesso non sento parlare continuamente e soltanto di calcio, come avveniva costantemente al piano inferiore. Le ragazze che si trovano a questo piano sono gentili, educate, anche premurose, non fanno dei capannelli continui attorno alle macchine per il caffè, ed anche se le vedo spesso chiacchierare lungo i corridoi o nelle varie stanze, lo fanno con garbo, senza sentire mai la necessità di alzare la voce.  
            Con la mia collega del cuore ci salutiamo qua dentro con normalità, come fossimo assolutamente chiunque, in modo da non destare sospetti, anche se sono sicuro torneremo a vederci uno di questi giorni. Mi piace avere un rapporto preferenziale con lei senza che gli altri sospettino minimamente qualcosa, è come avere un alleato segreto, un doppio spessore nella giornata. Dentro la mia cartella proseguo a portare il mio specchio, ma mi basta sentirne la presenza là dentro per stare tranquillo, e non provo il bisogno di tornare a guardarlo o di saggiarne la superficie.
            Ci sono dei momenti durante la giornata di lavoro, in cui mi chiedo ancora a cosa possa portare quello che faccio, però non ho quasi più la preoccupazione di sentirmi del tutto inutile, un impiegato qualsiasi che si è ritrovato tra questi uffici quasi per caso, senza avere nemmeno una motivazione qualsiasi per occuparmi delle cose a cui devo dar seguito. Comunque, anche se non sono del tutto contento del mio lavoro, in ogni caso sto diventando sempre più un impiegato come lo sono tutti gli altri, indifferenziati, spersi tra queste scrivanie e i corridoi, e pronto a scambiare e a parlare degli argomenti comuni, quelli che a lungo andare sembrano essere sempre gli stessi, che legano tra loro però tutte le ore dei giorni e dei mesi che trascorriamo qua dentro, e che alla fine sono l’unico vero collante che riesce a tenere insieme tante diverse persone, forse con poca individualità, ma comunque piegate alla necessità di mandare avanti le cose.

            Bruno Magnolfi

venerdì 11 ottobre 2019

Cambiamenti in corso.

        

            Mi hanno telefonato in questi giorni scorsi alcuni colleghi dall'ufficio, naturalmente anche per chiedere notizie sulla mia salute, ma soprattutto per avere qualche informazione aggiuntiva su quanto stavo portando avanti ultimamente sul mio posto di lavoro. Sembra, a detta loro, che presto sarò definitivamente sostituito, ed io sospetto che ci sia già una persona che abbia occupato il mio posto in modo irrevocabile, e che per me al mio rientro verranno riservate altre diverse attività e mansioni rispetto a quelle che ho rivestito in tutti questi anni. Non so se sia una notizia positiva, mi spaventa dover imparare qualcosa di nuovo, occuparmi di argomenti che esulano del tutto dalle mie assodate abitudini. Per adesso comunque il dottore dice che non posso rientrare in ufficio, e che per un tempo ancora da definire devo cercare di dimenticare il lavoro, e pensare a tutt'altro. Però non ho molti argomenti a cui dedicarmi, e le giornate da trascorrere in casa con le pantofole ai piedi mi sembrano a volte interminabili.
            Mi sono reso conto che ci sono pochissime cose che mi legano al mio posto in pubblica amministrazione, se non le consuetudini, ed anche per quanto riguarda i colleghi, nessuno di loro posso considerare diversamente da una conoscenza puramente occasionale, anche se con alcuni ho lavorato insieme per tanti lunghi anni. Però tutto ciò non mi interessa neanche molto in questo momento. Dovranno cambiare molte cose, continuo a ripetermi quando mi guardo allo specchio per tagliarmi la barba; molte di più di quelle che mi vengono prospettate. Dovrò cambiare comportamento, inserirmi nelle nuove funzioni lavorative con uno spirito completamente rinnovato, ed affrontare i colleghi e le attività con un atteggiamento totalmente diverso.
            Nella serata poi mi sono deciso ad uscire di casa, considerato che per una malattia come la mia non si applica il protocollo della visita fiscale con gli orari di rispetto, e quindi posso considerarmi molto più libero, anche se dovrei tenermi il più possibile a riposo. Mi è venuta voglia di farmi un giro a piedi, e così ho preso un mezzo pubblico fino alla piazza principale della mia città. Mi sono guardato attorno, e mi pareva quasi di avere la possibilità di incontrare da un attimo all’altro qualcuno di mia conoscenza, ma non è stato così. Ho vagato a lungo senza una meta precisa, poi sono entrato in un caffè, e mi sono seduto ad un tavolino. Nell’alveo delle indicazioni riguardo la mia sindrome, ho ordinato al cameriere una camomilla, e mi sono lasciato subito avvolgere dal caldo della tazza e dal vapore che emanava la bevanda.
            Quando è entrata nel locale la mia collega di lavoro con alcune sue amiche, subito è venuta verso il mio tavolo, e mi ha stretto la mano sorridendo con sincerità, anche se forse avrebbe addirittura voluto darmi un bacio affettuoso. E’ la stessa con cui avevo fissato un appuntamento, qualche tempo fa, tirandosi indietro proprio all’ultimo momento, forse per paura che altri impiegati venissero a sapere della faccenda. Mi ha chiesto della mia salute, mi ha fatto i suoi auguri migliori, poi mi ha chiesto più sottovoce il mio numero di telefono di casa, ed il permesso per chiamarmi, dettagli che le ho fornito con immediatezza. Forse qualcosa inizia già a cambiare, ho pensato; e dopo cinque minuti sono uscito da quel bar per tornarmene a casa.


            Bruno Magnolfi  
          

giovedì 10 ottobre 2019

Cambio di alcuni dettagli.




            Alle spalle della mia scrivania c'è un armadio metallico, grigio, pieno di faldoni cartacei sistemati abbastanza in ordine, la cui prosecuzione naturale in ordine alfabetico si ritrova addossata al muro direttamente sul pavimento, visto che non c’era più spazio, accatastata alla meglio nell’attesa di nuovi scaffali a sorreggerne il peso. Ogni tanto, nel lavoro corrente che mi viene consegnato dagli impiegati che lavorano al pubblico, ci sono dei rimandi che mi impongono purtroppo di andare a controllare qualcosa tra i dati che trovo in quelle vecchie carte polverose, cosa questa che faccio sempre piuttosto malvolentieri, qualche volta indossando precauzionalmente anche dei guanti di gomma, vista la polvere. Non so cosa mi sia scattato stamani, e perché mai abbia perso completamente il controllo delle mie azioni, però all’improvviso ho rovesciato a terra una gran parte di quella documentazione mentre l’armadio era aperto, sfoderando un gesto repentino, nervoso, inarrestabile.
            Naturalmente sono intervenuti subito i colleghi, che mi hanno fatto sedere, una volta verificato con un certo spavento il tremolio nelle mani ed il pallore sulla mia faccia. E’ intervenuto persino il capufficio, attivato da qualcuno del piano, il quale non ha potuto far altro che constatare le condizioni di momentaneo ma grave disagio in cui stavo versando, visto che non rispondevo neppure alle domande che mi venivano rivolte, se non con dei semplici accenni; e così, considerato che non mostravo altri sintomi, si è deciso immediatamente di chiamare un taxi e di spedirmi al mio domicilio, a riposo, con il consiglio di consultare al più presto un dottore, naturalmente uno specialista di malattie del sistema nervoso.
            A me non è parso di sentirmi particolarmente esaurito, anche se è evidente come l’odio profondo per quei faldoni di documenti, affondi le sue radici in tutti questi anni, da quando mi ritrovo a doverli maneggiare; in ogni caso il gesto che ho compiuto quest’oggi, ripensando a tutto quanto ciò che è successo, mi è parso semplicemente liberatorio: “una scatto d’ira che coltivavo probabilmente da tempo, che tenevo nascosto persino a me stesso, ma nel quale riconosco alla perfezione i miei sentimenti. Certo, tutto questo non posso dirlo a nessun altro che a lei, caro dottore, perché i miei colleghi, e ancor meno i miei superiori, non potrebbero assolutamente comprendere una giustificazione di questo tipo. Certi materiali bisogna imparare ad amarli, dicono loro, perché sono semplicemente la base del nostro lavoro, ed è proprio nell’interno delle loro pagine che vive il senso profondo di ciò per cui siamo chiamati ad occuparci”.
            Il medico annuisce, prende appunti, cerca di mettersi nei miei panni per comprendere meglio la situazione; poi dice che sarebbe salutare per me un periodo durante il quale cambiare qualche mansione, occuparmi d’altro, magari sedermi in un ufficio diverso, un luogo che possa togliere dalla mia mente l’ossessione per quei faldoni. “Non sarà facile”, dico con sguardo basso; “in ogni caso se lei proprio mi prescrive una cura del genere, sarò costretto ad andare dal mio capufficio per fargli presente la sua volontà”. Il dottore perciò con poche parole verga sulla sua carta intestata quanto spiegato, poi mi prescrive qualche calmante, sottolinea alcune semplici raccomandazioni, poi se ne va. Sono a posto, penso; adesso non ho bisogno di altro.

            Bruno Magnolfi  

mercoledì 9 ottobre 2019

Doverose promesse.



Le giornate ultimamente sono tutte identiche tra loro. I medesimi gesti, le solite cose, le esatte parole da usare con le stesse persone. Ogni momento praticamente è la fotocopia esatta di un altro momento del giorno appena trascorso, ma con minori dettagli in evidenza, una risoluzione già più grossolana, approssimativa. Fingo indifferenza di fronte alla noia, e cerco di sorridere meditando intorno alle cose che già conosco, che rimando regolarmente a memoria. I miei colleghi di lavoro mi guardano, probabilmente avvertono nel mio sguardo sfuggente la sofferenza che ho fatto ormai propria, anche se poi inanellano qualcuna delle loro solite battute di spirito, e tutto per un attimo sembra come lasciato dietro le spalle, dimenticato.
Sto fermo alla mia scrivania, e mi pare impossibile accondiscendere all’obbligo di trascorrere tutte queste ore così, senza che nulla susciti almeno una briciola di vago entusiasmo. Gli altri naturalmente sono già davanti alle macchinette per il caffè a scambiarsi qualche superficialità senza alcun impegno di sorta, ed io proseguo a raschiare la carta dei documenti che devo trattare per puro mestiere, senza decidermi ad altro, se non guardare ogni tanto lo spicchio di cielo che si intravede da questa finestra: nuvoloso, sereno, grigio, piovoso, solare.
Quando poi esco dal palazzo dove sono allocati gli uffici, mi sembra tutto diverso nello spazio appena di un attimo, anche se poi l’andamento della giornata riprende rapidamente il suo corso ordinario con variazioni praticamente impercettibili. Tutti quanti noi strisciamo rapidamente il tesserino magnetico nella macchinetta, poi ci scambiamo giusto qualche saluto, ed infine nel parcheggio della pubblica amministrazione mettiamo in moto ognuno la propria automobile, lasciando altri allontanarsi a piedi o in modo ancora diverso.
Mi ferma un collega prima che esca da sotto la sbarra automatica, io abbasso il finestrino della mia utilitaria, e lui spiega rapidamente qualcosa che mi lascia perplesso. Mi chiede se posso dargli un passaggio, visto che stamattina lui ha portato la sua vettura in officina a revisionare, ma la sua domanda appare strana perché ci sono altri impiegati con cui generalmente lui si intrattiene in modo più amichevole di quanto faccia solitamente con me. Lo invito a salire, comunque, gli chiedo dove abbia bisogno di essere trasportato, e lui mi indica una strada effettivamente poco distante da dove abito io. Poi mi parla di un periodo poco felice, di difficoltà di tipo economico, di qualcosa che gli è andato storto ed anche altre cose del genere.
Continuo a guidare mentre ascolto con attenzione tutti i discorsi che il mio collega continua a sviscerare senza fermarsi, aspettando il momento in cui magari decida di smettere, e mi conceda la possibilità di affrontare un argomento meno pesante, ma quello insiste, seguita a elencare tutte le proprie sventure, ed alla fine mi chiede con decisione un prestito di denaro. Ancora prima che possa rispondergli, mi confida che per lui sarebbe una vera boccata di ossigeno, come si dice, ed io mentre fermo la macchina tenendo le mani ormai irrigidite attorno al volante, gli rispondo: “va bene, ma soltanto per una metà della cifra richiesta, perché non ho altri fondi che quelli”. Lui mi ringrazia, dice che già lo sapeva che ero il migliore, sorride, mi stringe la mano, poi se ne va, fissando per il giorno seguente la consegna dell’assegno promesso.


Bruno Magnolfi 



martedì 8 ottobre 2019

Quel che siamo.


          

            Durante questi giorni grigi in cui non succede proprio niente, mi sento un po’ giù di morale, quasi depresso. Persino rimanendo in casa come sempre, mentre giro nervosamente tra le stanze del mio piccolo appartamento, mi pare in questi casi di non essere a posto, anzi, quasi fuori luogo, e mi sembra praticamente che le pareti si avvicinino maggiormente tra di loro, mi attanaglino, riescano a tenere il mio corpo in una assurda costrizione, e che lo spazio necessario persino per muovermi all’interno delle stanze, vada a ridursi poco per volta con il semplice trascorrere delle ore. Così, per respirare, apro le tende di una finestra, cerco la luce del pomeriggio, e mi soffermo ad osservare, attraverso i vetri, la strada che come sempre scorre sotto di me, quasi ritrovandomi a cercare con occhi incantati qualcosa di più largo, di più arioso, uno spazio che lasci finalmente vagare la mia vista, e che magari mi permetta di concentrarmi su qualche particolare maggiormente inusuale, qualcosa che mi incuriosisca e così mi conceda almeno il tentativo dello svago.
            Nutro generalmente grande invidia per quelle persone che osservo e che si fermano volentieri a parlare lungo i marciapiedi, intavolando grandi chiacchierate su chissà quali argomenti. Dalla mia finestra non riesco certo a sentire ciò che dicono, però vedo spesso le loro mani sottolineare con larghi movimenti le parole che in quel momento stanno usando; forse le lanciano, le amplificano, ne riescono a piegare il significato magari in un certo verso, oppure proprio in un altro. A volte qualcuno tra gli individui che noto, sembra quasi mostrare una specie di danza, fatta di gesti e di espressioni del corpo e anche del viso, ma soprattutto delle braccia e delle mani che spesso seguono traiettorie immaginarie e riescono a fluidificare qualsiasi frase, ogni periodo, fino probabilmente a sentire attorno ai loro movimenti, un’attenzione quasi completa da parte di chi ascolta, un interesse sempre crescente per i temi a cui chi parla riesce a dare corda, come se nient’altro fosse maggiormente importante in quei momenti di ciò che viene riferito.   
Sento un rumore alle mie spalle, non saprei: forse un oggetto nella mia cucina che è caduto penso, così vado a guardare, ma non trovo proprio niente fuori posto. Torno alla finestra ed il rumore si ripete. Qualcuno non vuole che io perda tempo ad osservare gli altri sulla strada penso; così torno a chiudere le tende e ad interessarmi di qualcosa che reputo presente dentro al mio appartamento. Mi cade subito lo sguardo sul mio piccolo specchio, incorniciato ed esposto sul ripiano. Lo prendo, ne osservo l'immagine riflessa, e mi rendo subito conto che non sono io adesso quello nella superficie lucida. Fingo indifferenza, però una sottile angoscia mi pervade, per cui prendo tutto l’oggetto e lo ripongo in fretta dentro un cassetto. Poi decido di uscire e farmi un giro.
Incontro alcune persone che avevo visto poco prima dalla mia finestra, perciò le saluto, quasi fossero certe mie vecchie conoscenze. Mi guardano subito in un modo strano, non hanno probabilmente niente da dirmi, anche se io mostro di essere disposto ad ascoltarle. Una vecchia mi dice buonasera, ed io le sorrido come normalmente faccio con tutti i miei vicini di casa quando mi capita di incontrarli. Ma la mia solitudine non porta a niente penso, perciò giro attorno all’isolato e poi ritorno deciso tra le mura del mio appartamento. Sul pianerottolo suono il campanello al mio dirimpettaio, gli chiedo se a lui vada tutto bene, e così ci mettiamo a parlare per un po’ di fatti consueti, giusto per non salutarci in fretta e basta. Quando poi giro la chiave del mio appartamento mi sento preoccupato: vado subito al cassetto dove ho riposto quel mio specchio, e con un certo timore lo tiro fuori per osservarne la superficie: è mia la faccia che adesso vedo riflessa, tutto è tornato come deve essere, penso, e tiro subito un sospiro di sollievo. In fondo ci vuole poco per riconoscersi davvero in ciò che siamo, rifletto; non c’è neanche bisogno di preoccuparsi troppo.

Bruno Magnolfi

domenica 6 ottobre 2019

Indifferenza motivata.




            Ad iniziare proprio da oggi, mio fratello gemello ha deciso di accompagnarmi fino al lavoro, almeno qualche volta. Se ne sta fermo sul sedile del passeggero dentro la mia utilitaria, e lascia che io guidi la macchina da casa mia fino agli uffici della pubblica amministrazione, senza provocarmi alcun nervosismo, anzi, spingendomi alla calma, come non ci fosse mai alcuna fretta, nonostante stamani io sia leggermente in ritardo. Non avevo mai preso in considerazione un’eventualità di questo tipo, però credo proprio che mi piaccia, perché è come avere uno sguardo maggiormente obiettivo su tutto ciò che si fa. Il modo di cambiare le marce dell’auto, le strade imboccate per muoversi all’interno della città, perfino le espressioni che si assumono guidando, magari proprio mentre qualche utente della strada mostra poco rispetto per tutti gli altri che gli si muovono attorno.
            Mi fermo al solito caffè per acquistare un giornale e consumare rapidamente la colazione. Lui sta con me, dentro la mia borsa portadocumenti, ed in qualche modo io so che mi giudica, che tende ad assumere un vago atteggiamento di critica, pur costruttiva, al minimo sospetto che stia per sbagliare qualche cosa. Mi sento forte con lui, è chiaro, è come se fossi sempre sorretto da una persona fidata. Potrei addirittura fare lo spaccone, dire al barista di prepararmi il solito macchiato, ad esempio, e cose di questo genere. Quando arrivo al parcheggio dell’amministrazione pubblica mi sento bene, talmente bene che resto in macchina col motore spento per almeno un paio di minuti, senza fare niente, solo per il gusto di assaporare la giornata prima di infilarmi dentro l’ufficio.
In ogni caso so che il tempo mi scorrerà meglio portando il mio gemello accanto a me, perché la sua presenza dentro la borsa è per me un elemento di tranquillità per tutto ciò che faccio. Striscio il tesserino magnetico e poi prendo l'ascensore, mentre qualche collega sta già parlando a voce alta lungo le scale, come se le sue parole fossero l'elemento fondante di tutta la giornata. Mi siedo alla mia scrivania e poi appoggio le mani sopra il piano. "Eccomi qua", mi sento di dire sottovoce alla borsa che staziona qua accanto; "una nuova giornata da trascorrere in questa stanza, una serie infinita di momenti da riempire di senso, cercando di recuperare almeno una parte di quell’entusiasmo che avevo nei primi giorni in cui sono stato assunto per questo lavoro".
Poi prendo la cartella, e l'apro con lentezza: dentro c'è il mio caro specchio avvolto con cura dentro una stoffa, ad evitare danni per qualche urto inaspettato. Guardo soltanto per un attimo il piccolo piano levigato dentro alla piccola cornice, e la mia faccia riflessa mostra un’espressione che vorrei definire di curiosità e di fiducia. Ripongo rapidamente tutto all'interno, non deve assolutamente succedere che a qualche collega venga la voglia di infilare il suo naso in mezzo alle mie cose segrete. Riprendo in mano le carte su cui stavo lavorando già il giorno passato e mi concentro su ciò che c’è da fare, ma dopo poco sento della confusione insolita provenire dal corridoio. Mi affaccio dal mio piccolo ufficio, e mi rendo conto che due impiegati si stanno prendendo a male parole, tanto che già qualcun altro si è avvicinato a loro per cercare di mettere fine alla discussione, e magari evitare, sia ai due che a tutti noi, dei guai anche peggiori.
Non c’è niente di sorprendente penso, la noia che imbeve questi uffici è capace di tirare fuori a chiunque i peggiori nervosismi, anche senza avere degli ulteriori motivi validi per farlo. Torno a sedermi e riprendo la mia cartella: guardo mio fratello di nuovo e so per certo che per me tutto è diverso; la coscienza di avere lui insieme a me, è capace di rendermi quasi un’altra persona, più equilibrata, più tranquilla, quasi indifferente a tutti gli altri.

Bruno Magnolfi

giovedì 3 ottobre 2019

Possibilità quasi insperate.



Impiego quasi un'ora per andare in ufficio a piedi. Però, in questo ultimo periodo, ho preferito spesso fare così, piuttosto che mettere in moto la mia utilitaria e farmi ancora prendere in giro dai colleghi, magari proprio mentre mi trovo nel parcheggio riservato a noi impiegati dell'amministrazione pubblica. Loro si comportano in questo modo giusto per farsi due risate alle mie spalle, considerato che la mia auto è vecchia e che di questo modello non se ne vedono quasi più in circolazione, ma a lungo andare quelle pungenti battute di spirito mi hanno quasi portato all'esasperazione. Avevo addirittura pensato di chiedere un prestito alla mia banca e di cambiare macchina, ma in fondo credo proprio che per ora non ne valga la pena.
La camminata in fondo mi distende i nervi, riempie un po' del mio tempo libero ed alla fine mi costringe soltanto ad alzarmi dal letto ogni mattina un po’ prima del solito. E poi mentre cammino rifletto. Così ho quasi deciso di chiedere un trasferimento. Non c’è niente che mi tenga incollato a questo posto di lavoro, perciò posso andarmene tranquillamente in un’altra sede dove magari riesco ad allacciare dei rapporti migliori con i colleghi che posso trovare.
Anzi, da quando ho maturato questo pensiero mi sento già piuttosto meglio: mi fa sentire quasi un'altra persona osservare i colleghi che perdono l’intera mattinata tra le macchinette per il caffè e le immancabili discussioni sul calcio; è come se io in questo momento mi sentissi in condizione di ridere in faccia a tutti quanti, di non provare più alcuna timidezza nei loro confronti, di essere capace di restare praticamente indifferente a qualsiasi battuta spiritosa riescono a pronunciare sul mio conto. Per questo motivo penso che tra qualche giorno tornerò ad andare agli uffici dell’amministrazione pubblica con la mia vecchia auto, mostrando agli impiegati che mi troverò d’attorno, quanto poco sia interessato ai loro stupidi commenti.
Per adesso cammino, certe volte mi sento stanco, ma incontrando molta gente lungo la strada, certe volte mi sembra persino di riconoscere qualcuno, qualche persona tra tutti quei passanti che rispetta i miei stessi orari e percorre lo stesso marciapiede su cui cammino io, naturalmente in senso inverso. C’è tra gli altri una donna di mezza età, una persona molto distinta, che ogni mattina incontrandomi finge costantemente di non guardare dalla mia parte, anche se io ho capito benissimo che desidererebbe solamente un pretesto per salutarmi magari con un bel sorriso. Ho pensato di farmi cadere qualcosa mentre cammino, ma sembra una scusa puerile. Perciò ho deciso che non ho bisogno proprio di alcun pretesto, ed una di queste volte semplicemente la saluterò, con la semplice cortesia di chi non ha secondi fini dentro la mente.
Lei potrebbe rispondermi con un normale buongiorno, riconoscendomi in colui che incrocia ogni mattina su quel marciapiede; oppure potrebbe addirittura soffermarsi un momento, come per dare il tempo a chi le si trova di fronte, di fare una formale presentazione, allungando due parole di circostanza. Decido che sarà in questo modo, perciò mi preparo, cammino con una maggiore lentezza ed attendo di vedermela arrivare davanti. Difatti eccola, vestita elegantemente come sempre, così scelgo la traiettoria più adatta, le vado quasi incontro, ed infine le dico semplicemente: “buongiorno”, con voce allegra; ma lei tira di lungo senza neppure guardarmi, forse immaginando che avessi lanciato il saluto a qualcun altro dietro di lei. Però non ha importanza, penso adesso; ci saranno sicuramente altre possibilità.


Bruno Magnolfi