venerdì 29 gennaio 2016

Costruzione dell'immagine.

           

            Quando qualcuno nomina Anna Calmassi, almeno nel nostro ambiente, non ci si può proprio esimere dall’apprezzamento che si conviene nei confronti di una donna del genere. La sua capacità di aver sempre coniugato così bene razionalità e sentimento nel proprio campo è tale da lasciare tutti più che convinti delle sue doti e della sua bravura. Lei quando trova il tempo di giungere fin qui per spiegarci le sue ultime fatiche, lo fa sempre con una particolare attitudine, non dimenticando mai almeno in parte di schernirsi e di mostrare quasi una deliziosa vena di timidezza. Qualcuno poi, quando si apre alle domande, non evita mai di chiedere come Anna riesca ad essere così remissiva e contemporaneamente grande in quello che fa, ma lei evita sempre questi argomenti, preferendo parlare della sua attività più concreta, dando più volentieri un certo seguito a chi le chiede dettagli ben precisi di alcuni dei suoi lavori.
            Sorride, Anna, parla a lungo con la sua voce calma, porta sempre a conclusione ogni argomento, infine ringrazia tutti, abbandona il microfono, stringe la mano a molti tra gli intervenuti, indossa il suo impermeabile e poi lascia la sala. Sale su un’auto che è venuta apposta per prenderla, fa una telefonata e subito dopo cerca di rilassarsi. Si sente nervosa, questi incontri le stanno pesando sempre di più, le domande della gente si mostrano insidiose, qualcuno poi trova sempre il modo di rivolgersi a lei in maniera estremamente insopportabile, almeno alle sue orecchie.
            Giunge nel suo appartamento, abbandona su una sedia la grossa cartella zeppa di tante cartacce, toglie il soprabito, gli orecchini, la collana vistosa, e infine si siede, stanca e stufa di tutto. Gli organizzatori l’hanno pure invitata a cena per quella serata, e lei naturalmente non ha potuto dire di no, quindi dovrà cambiarsi d'abito e ripetere di nuovo tutta la insopportabile pantomima della donna perfetta, ed Anna, almeno in questo momento, non sa proprio come riuscirà a ritrovare di nuovo la forza per apparire come tutti desiderano che sia.
            Lui arriva poco dopo, entra con la sua chiave, la stringe un attimo a sé senza parlare, la bacia sul collo con apparente trasporto, poi le prepara qualcosa da bere. Anna, dice con calma; sei sicura di farcela da sola a reggere la tensione dei nuovi saluti, apprezzamenti, lusinghe, e altri aggettivi sparsi? Lei lo osserva almeno un attimo, poi sbatte il bicchiere per terra, mandandolo in mille frantumi. Sono nauseata da tutto, dice con rabbia, anche da te che fai il cascamorto con la prima che ti capita a tiro, e non dire di no che tanto ho i miei informatori. Voglio indossare sopra la faccia una maschera della vera me stessa, trasformarmi almeno per un periodo nella persona che sono davvero, e smetterla con questa costruzione intollerabile di donna perfetta. Voglio andarmene, questo è il punto, fuggire da qui, ritrovare alcuni di quei valori che valgono almeno la pena di essere presi in considerazione. L'uomo, da tempo abituato a quegli sfoghi, naturalmente resta in silenzio.
            Poi Anna si sdraia, lui le prende la mano, ma lei lo allontana: preparami la doccia, gli dice, e lui esegue prontamente quanto richiesto. Anna, dice lui dall’altra stanza, e lei si mette le mani sopra le orecchie per non sentire ancora quel nome che tutti ogni giorno le ripetono intorno, come un passaporto da persona perfetta. Infine accende la televisione, gira subito su un programma dove probabilmente si potrebbe parlare di lei, ma adesso stanno solo trasmettendo delle pubblicità. Spegne, getta in malo modo il telecomando sopra un divano, toglie la gonna, si guarda un momento nel riflesso di in un grande specchio che troneggia su una parete di quella sala, e poi fa una smorfia. Strizza gli occhi, si accarezza la pelle, si liscia con la mano i capelli, poi dice sottovoce alla sua immagine: ti odio, non era certo cosi che ti avrei voluto.


            Bruno Magnolfi

mercoledì 27 gennaio 2016

Accettarsi così

           

            Adesso esco, devo uscire al più presto, per forza, anche se veramente non so neppure perché io debba proprio andare, ma clamorosamente sono consapevole di essere già in forte ritardo, così come ho anche l’improvvisa certezza del fatto che mi stanno indubbiamente aspettando con grande impazienza là fuori, e che forse sono anche un po’ stufi o perfino rassegnati del mio solito comportamento poco corretto. Chiudo la porta, volo rapidissimo lungo le scale del condominio, ma infine mi accorgo di essermi dimenticato di prendere i soldi. Così mi immobilizzo per un momento in un gesto di stizza, poi torno indietro, appena per un attimo mi ritrovo ancora nel mio appartamento, cerco ciò che mi serve, ma adesso mi sento quasi scoraggiato, anche se riprendo con impegno la corsa, praticamente cosciente del fatto che il tempo non è mai un elemento controvertibile.
            Per strada sembrano tutti tranquilli, si guardano attorno, sorridono, qualcuno si ferma ad osservare certe vetrine;  io immagino soltanto le facce dei miei amici del bar, pronti come sempre a portarmi con loro, a farmi entrare ancora una volta in una storia come sanno metter su solo loro, forse un po’ anche da inventare al momento, magari da rendere viva grazie a qualche trovata, ma certamente da escogitare con orari precisi, senza attendere niente. Rallento, mi sento affannato, vorrei essere spesso più tranquillo di quanto sono cosciente di essere e soprattutto mostrare, così mi fermo appena un secondo sul marciapiede, mi guardo indietro, tiro un lungo respiro, e infine riprendo con un passo più calmo, fino ad arrivare al locale.
Se ne sono già andati, dice il barista che conosco da sempre. Vorrei piangere, mi dispiace avere deluso i ragazzi ancora una volta, ma non c'è niente da fare, sono fatto così, sono sempre in ritardo, non riuscirò mai a cambiare. Mi siedo ad un tavolo, prendo una birra, attendo che il mio pessimo umore riprenda un po' fiato, però sono giù, mi sento uno scemo, dovrei assolutamente evitare di far sempre queste figure. Mi chiedo dove siano andati tutti gli altri, magari a far baldoria da qualche parte dove vorrei tanto essere anch’io, ma non posso assolutamente immaginare che cosa sia passato nelle loro teste stasera, e verso dove quel qualcosa li abbia portati.
Sorseggio la birra, guardo il video musicale in funzione di fronte a me sulla parete, e cerco di apparire sostanzialmente indifferente quando chiedo al cameriere se sappia per caso verso dove si siano diretti i miei amici. Lui scuote la testa, non ha sentito dire neppure una frase per sbaglio a riguardo, mi spiega; l’unica cosa che mi può confermare è quella per cui sembra mi abbiano aspettato quanto più è stato loro possibile. Lo ringrazio comunque, forse potrei telefonare adesso, cercare in qualche modo di raggiungerli, penso, ma ormai non sarebbe più la medesima cosa, perciò è inutile anche rifletterci. Mi guardo ancora attorno, credo di aver perso molto con questa serata mancata, forse qualcosa che non ritornerà mai più indietro, di cui dovrò rammaricarmi chissà per quanto tempo. Così infine mi alzo, pago la birra, mi appresto ad uscire da questo stupido locale, per quello che ho da fare posso tranquillamente tornarmene nel mio appartamento, perciò apro la porta, esco nel fresco della strada, e i miei amici adesso sono li, di fronte a me, che mi fanno cenno con la mano, come mi avessero aspettato fin dall'inizio. Li raggiungo, sono senza parole, ma vorrei ringraziarli in qualche modo, mi pare un miracolo essere ancora insieme con loro, ma poi lascio perdere, a cosa serviranno mai le mie sciocche frasi, rifletto: non cambierò, questo è il punto, non riuscirò mai a cambiare il mio comportamento, tanto vale farsene da subito una ragione.


Bruno Magnolfi

lunedì 25 gennaio 2016

Un altro che non sono.

            

            Non ho fatto nulla, sono assolutamente innocente, dice Antonio quasi tra sé, praticamente sottovoce, anche se lo fa con un tono che verrà dichiarato sulla carta stampata del giorno seguente deciso e convinto, quasi quello di un individuo che non fa che mostrarsi verso gli altri come un soggetto umile e sottomesso, pur conservando una sua personalità molto ferma, propria di un individuo che non è soltanto il povero ragazzo praticamente preda di una forza insospettabile a lui superiore, ma anche tutt’altro. Intorno in molti lo guardano con grande attenzione, ma nessuno dei presenti, almeno all’apparenza, concede davvero troppa importanza a quelle parole. Con ogni evidenza tutto ciò che l’inquisito esprime anche in questa fase, è subito registrato e soprattutto analizzato in ogni sua parte, esattamente come se quelle espressioni che adopera fossero costituite da sillabe, frasi e parole estremamente più complesse di ciò che realmente sono, forse mostrandosi addirittura frutto di una mente contorta, indubbiamente da interpretare, e alla quale senz’altro è doveroso concedere lo stesso ordinario beneficio di un qualsiasi assunto filosofico a cui, nelle pagine della cronaca dei quotidiani locali, sembrano praticamente riferite.
            La vittima indagata, detto ciò, resta subito dopo in silenzio, con gli occhi bassi, l’espressione di chi non si aspetta proprio niente di buono da tutta quella faccenda. Qualcuno senza alcuna professionalità da difendere, mormora di alcuni elementi evidenti che non avrebbero neppure alcuna necessità di essere dimostrati. Poi, mentre si continua ad interrogarsi praticamente su tutto, si dichiara ufficialmente una breve sospensione tecnica di quei lavori. Si levano subito in coro commenti e polemiche varie contro qualsiasi cosa sia stata trattata fino a questo momento, qualcuno alza addirittura la voce, però girandosi subito di spalle al momento in cui si ritiene troppo osservato. Altri abbandonano il luogo, sollevando le braccia quasi in segno di resa della civiltà.
Antonio alza lo sguardo, si osserva attorno, perde per un attimo la sua espressione dimessa e forma nell' aria densa un grido rovente di rabbia e disprezzo per la speculazione giornalistica in atto sul proprio caso. Si instaura immediatamente appena un attimo di silenzio profondo, in cui tutti si voltano verso di lui, anche se Antonio adesso è tornato immediatamente a sedersi e ad abbassare lo sguardo. Gli avvocati lo raggiungono subito, qualcuno vicino torna ad accendere il proprio registratore, altri prendono nota delle parole e del tono usato per essere espresse. Infine una donna, non troppo avanti con gli anni, si avvicina ad Antonio, e con la punta delle dita gli accarezza una mano mentre lui resta immobile, quasi ripiegato sopra di sé. Io ti credo, gli dice sporgendosi, e poi più nulla. Intorno qualcuno osserva la scena, due o tre fanno cenno di si con la testa, forse una piccola breccia si sta aprendo tra le file dei colpevolisti per forza. Alcuni trovano immediatamente lo spunto per una storia che nasce proprio in quel preciso momento, insospettabile, che addirittura getta chiara luce su nuovi e imprevedibili scenari.
Infine si riprendono i dibattimenti, ma Antonio a questo punto ha un lieve malore, si accascia, viene portato subito fuori dal personale addetto alla sua salvaguardia. Tutto, nella confusione generale, perde immediatamente di qualsiasi interesse, e in molti si accalcano già per andarsene, il presidente quindi grida silenzio più volte, ma oramai ogni cosa sembra sgonfiarsi, forse bisognerà attendere la prossima udienza per riattivare la curiosità di chiunque. La sala ormai è quasi vuota, i tassisti lungo il viale si precipitano a portar via i professionisti e gli addetti ai lavori che già stanno dietro a qualche altra cosa, ma all’improvviso si dice tra i corridoi che Antonio sia rientrato nell’aula che adesso evidenzia soltanto pochi rumori soffusi, e che sia tornato al suo posto, piazzandosi in piedi, a guardare i pochi rimasti negli occhi per poi infine arringarli: mi dispiace farvi perdere tempo, dice asciutto; ma non sono certo io la persona che state cercando.


Bruno Magnolfi

venerdì 22 gennaio 2016

Nessun desiderio.


Seduto, senza più alcuna voglia di risollevare le proprie sorti, fermo dentro al silenzio, sembra quasi lui possa stare così per un tempo addirittura lunghissimo, come se in natura non esistesse neppure un motivo plausibile per cambiare qualcosa di questa semplice immobilità appagante e praticamente infinita. Sfumati rumori fuori dalle finestre mostrano a tratti un senso vago di prosecuzione distante di tutte le cose, eppure ciò che conta, alla fine dei tanti pensieri che rotolano senza controllo, è solamente questo ovattato e pressante desiderio di niente.
Marco Ferrario in certi giorni cerca di evitare persino ogni ordinaria riflessione, lasciando abbassare, per un naturale comportamento, le palpebre dei suoi occhi esattamente nell’attimo in cui la sonnolenza si fa davvero persino troppo forte, comprendendo benissimo quanto purtroppo le immagini della propria fantasia lo portino subito verso strade terribilmente complesse, intricate, feconde di un passato incoerente mal reinterpretato e disuguale di ciò che la sua memoria, senza questi momenti da niente, potrebbe probabilmente proporre.
Non c’è niente da ricordare, dice certe volte a qualcuno ripetendolo caparbiamente anche fra sé. Gli viene servita alla solita ora la sua desiderata tisana appena tiepida, proprio come lui la preferisce, e dal tavolo dove è stata appoggiata ne raccoglie di buon grado la tazza, ringraziando naturalmente chi la offre, anche se in sostanza il suo sguardo, identicamente in tutto quel tempo, resta volto ad osservare avanti a sé soltanto qualcosa di impalpabile. Non c’è niente da proporre, prosegue a pensare, se non questa mia presenza per tutti snervante ed apatica, senza alcuna ulteriore definizione di sorta. Qualcuno lo chiama dal corridoio, Ferrario riconosce forse il tono di voce, lentamente si volta e saluta con un cenno uno dei suoi conoscenti che cerca in certe giornate di frequentare di più. Come va oggi, chiede quello usando l’espressione dell’esatta retorica che pone, e lui mostra soltanto il leggerissimo sorriso di chi apprezza indubbiamente quella domanda, ritenendo però del tutto inutile e addirittura scontata la risposta da dare.
Il pomeriggio sprofonda in una serata monotona e pressappoco uguale a qualsiasi altra, con delle variazioni di luce nell’aria che si materializza come un’aureola attorno alle chiome degli alberi fuori dai vetri, e nel corso dei minuti sempre più angusta ed impercettibile. Nel salone dove sta posizionata la sua carrozzella a quell’ora c'è sempre abbastanza silenzio, almeno fino a quando gli altri anziani del centro si trattengono tutti a chiacchierare delle medesime cose nelle salette da gioco che rimangono attigue. Con una mano allora Marco Ferrario sposta leggermente appena una ruota della comoda sedia su cui passa il giorno, e d’improvviso immagina la sua assenza come una veloce dimenticanza che può essere presto superata, tanto che adesso senza neppure pensarci decide di muoversi, naturalmente non visto, e di percorrere il lucido pavimento di fronte a sé per andarsi infine a rinchiudere, quasi per un auto castigo, dentro un piccolo e buio stanzino di servizio. Lo cercheranno, suppone; anzi, sarà senz’altro così, ma probabilmente questo non avverrà prima dell'ora di cena, quindi ne dovrà trascorrere là dentro ancora parecchio di tempo, ed è comunque quasi certo che nessuno almeno fino a quel momento si preoccuperà neppure un briciolo di questa sua assurda assenza: sarà nascosto da qualche parte da solo, si dirà sottovoce tra i corridoi, d'altronde da uno così non c'è da aspettarsi che questo.


Bruno Magnolfi

martedì 19 gennaio 2016

Mercato d'espressioni.

            

            Lei, mi dice indicandomi col dito un donnone con la faccia arcigna mentre me ne sto al mercato a girellare quasi senza meta. Questa tizia se ne sta praticamente ferma dietro al banco di frutta e di verdura, ed io, forse per un timore probabilmente ancestrale e innato in me, rispondendo a mia volta in qualche modo istintivo a quel richiamo, mi immobilizzo con immediatezza cosi come mi trovo, ad appena qualche metro di distanza, assumendo subito un’espressione che reputo da probabile innocente, quella tipica cioè di chi neppure per sogno si è  mai macchiato di una qualche remota brutta azione. Dopo appena un attimo di silenzio immagino però che quella donna verso di me stia facendo semplicemente uno sbaglio di persona, oppure che voglia soltanto farmi un qualche scherzo, come certe volte riescono ad improvvisare alcuni commercianti dei mercatini rionali; ma in seguito mi pare quasi di intuire come questa strana donna che prosegue imperterrita ad indicarmi col suo dito ed anche a guardare verso di me con espressione più che severa, non ci stia per niente con la testa, e nelle sue malate fantasie mi abbia semplicemente fatto incarnare in chissà quale altro individuo, tanto che cerco a questo punto di schernirmi e di prendere tempo per non cedere a qualcuna delle sue idee malsane.
            Mi sposto leggermente, girando in parte attorno al banco degli ortaggi, ma lei mi segue con attenzione ruotando il suo sguardo solidale a me, mentre sembra quasi che una sorta di ulteriore acredine nei miei confronti continui a tenerla inchiodata in quella inquietante espressione quasi di rabbia. Mi volto, prendo tempo senza perderla dal mio campo visivo, ma quella insiste: lei, torna a dire con voce imperiosa, e poi aggiunge: so per certo che è stato proprio lei. Scuoto la testa, ammicco un leggero sorriso che denota naturalmente solo un grande imbarazzo. Qualcuno intanto si gira per guardarmi, si fermano accanto in diversi perdigiorno, ed io a questo punto non so proprio cosa dire, ed anzi rifletto che forse qualcosa avrò pure combinato, magari inconsapevolmente, per scatenare questa assurda reazione del donnone, ma non essendomi reso conto di niente non intendo certo adesso reagire oppure difendermi, ed anzi credo proprio sia meglio lasciare che le cose svaporino in un modo del tutto naturale.
Quella però adesso fa un passo minaccioso verso di me, ed io mi guardo subito attorno cercando in qualche modo una possibile via di fuga. Venga qui, fa la tizia, ed io muovo appena un mezzo passo timoroso verso di lei, ma poi basta, perché mi sembra già ampiamente sufficiente. La riconosco, dice quella, ed io mi sento morire solo al pensiero di dover dimostrare magari che non sono affatto la persona che lei pensa. Intanto un uomo anziano mi si accosta, curioso mi chiede sottovoce: ma che è successo? Ed io non so proprio cosa dirgli, vorrei quasi voltarmi e andarmene via di passo svelto, senza tante spiegazioni, ma non posso far la figura del vigliacco che ha paura di qualsiasi cosa, perciò resto lì senza però sapere cosa dire e cosa fare. Qualcuno poi si rivolge a quella donna, lei si gira e abbassa lentamente quel suo dito minaccioso, ed io potrei pure approfittare dell'occasione e defilarmi, però mi sento come paralizzato da questa astrusa situazione.
Passano un paio di minuti, di tutti quelli che mi trovo intorno nessuno si rivolge più verso di me, e neppure quella tizia che mi indicava fino adesso con acredine sembra avere più interesse a guardarmi anche soltanto di sfuggita, cosi osservo le persone che ho vicino, e quasi vorrei parlare loro, spiegare che c'era un errore iniziale in tutta la faccenda, forse uno stupido scambio di persona, ma nessuno all'improvviso sembra avere interesse per le mie cose, anzi tutti mi voltano le spalle, ignorano completamente ogni mio stato d'animo, come non fosse successo proprio niente, ed io allora mi giro, riprendo il mio comportamento, e torno in un attimo nient'altro che quello che ero fin da subito, una persona come tutte, uno che girella senza meta tra i banchi del mercato.


Bruno Magnolfi

venerdì 15 gennaio 2016

Pigra formazione del rispetto.

            

            Il ragazzo resta immobile, con le mani sprofondate dentro le tasche, mentre gli altri intorno si limitano ad osservarlo. Sullo spiazzo subito di fronte alla birreria adesso non c’è proprio nessuno, se non quel gruppo di amici che spesso si ritrova davanti a quei tavoli, tanto per trascorrere certe serate un po’ vuote. E’ una domanda assurda, dice lui, non merita neppure una risposta. D’accordo, però in altri casi non ti sei fatto alcuno scrupolo, quando si è trattato di metterti in evidenza davanti a qualche tipa che ti piaceva, dice qualcuno. Lui sa che i ragazzi stanno sempre dalla sua parte, anche se cercano di stuzzicarlo certe volte, e di provare a mettere in mostra qualche suo punto debole. Lui prosegue a fare il superiore, è il suo atteggiamento normale, ma non ci pensa neanche a dare seguito a certe sciocchezze. Però su quella faccenda torna a rifletterci, perché da un paio di giorni qualcosa dentro se stesso non va affatto come dovrebbe.
            Va bene, dice a un certo punto, vi pago un altro giro di bevute se la finite una buona volta con questa storia. Gli altri ridono, però sono tutti d’accordo, si può anche passare sopra a certe cose, in fondo adesso non c’è nessuna di quelle ragazze che in genere capitano da queste parti. Cosa importa se stasera è uscita qualche nota stonata, se proprio lui, sempre attento a cose del genere, ha cercato di mettersi in mostra parlando a vanvera proprio di una di loro, una delle ragazze che tutti quanti vorrebbero avere vicino, così benvoluta dagli altri e soprattutto carina, piacevole, intelligente, sempre disponibile ad ascoltare chiunque.
            Non lo so, dice qualcuno davanti alla birra; secondo me dovremmo soltanto essere più solidali tra noi, evitare certi battibecchi privi di qualsiasi scopo, cercare di aiutarci l’un l’altro nelle faccende di tutti i giorni che ci riguardano, e poi basta. Sei soltanto un buonista, dice lui; le cose non sono mai così semplici, e in fondo si tratta di comprendere dei meccanismi maledettamente oscuri e complicati che certe volte ci trascinano sopra a dei campi minati. Le donne sono intriganti, spesso ti mettono in condizione di scoprirti anche se tu non vorresti. Segue una pausa di silenzio, nessuno riesce a trovare qualcosa di concreto da controbattere, ma in ogni caso resta nell’aria quella battuta pesante che lui si è permesso nei confronti della loro amica.
Lui forse adesso vorrebbe aggiustare al meglio le cose, ma gli torna difficile fare retromarcia su un argomento così importante per tutti loro. Alza le spalle, si volta, cerca di cambiare discorso, ma improvvisamente arriva lei, inaspettata, infreddolita, lo sguardo un po' perso, un mezzo sorriso sopra la faccia. Ciao, dice, sono venuta a vedere come ve la state cavando stasera senza neppure una delle ragazze, però mi sembra male, almeno a giudicare dalle vostre espressioni. Gli altri ridono, ma lui resta serio, quasi punto sul vivo. Poi beve un sorso, si siede, dice qualcosa a voce bassa, come tra sé, e infine, con tono maggiormente deciso, le fa: devo chiedere scusa, mi sono lasciato andare quando ho parlato un po’ male di te, riferendosi direttamente a lei e guardandola fisso. In fondo non penso davvero le cose che ho detto, ho soltanto cercato di farmi grande stupidamente, come un bambino. Va bene, fa lei, non credo comunque sia accaduto niente di irreparabile, perciò possiamo archiviare la cosa e cambiare argomento, ti pare? Si, fa lui, soltanto vorrei tu sapessi che sei la migliore fra noi, e forse è solo questo che a volte mi brucia. Nessuno è migliore di altri, dice lei. Ognuno di noi però ha la coscienza di sé. Dobbiamo soltanto rispettarci l’un l’altra, convincersi bene di questo, e poi alla fine di tutto non c’è neppure bisogno di altro.


Bruno Magnolfi

mercoledì 13 gennaio 2016

Lontano da qui.



Per favore, già che vai di là, prendi le mie pastiglie, Giovanni. E dove le hai messe, fa lui, che notoriamente non riesce mai a trovare niente delle cose che servono. Non so, forse le ho appoggiate sul ripiano dell’armadietto di cucina. Anzi, lascia perdere, vengo io a cercarle, tanto ormai ho infilato le pantofole. Fuori dalle finestre è ancora quasi buio, guardando bene si intravede soltanto una striscia di chiarore appena sopra il profilo delle colline basse oltre la distesa smisurata delle case. In quell’ultimo piano del palazzo sembra quasi di possedere in certi casi una speciale sensibilità, un potere pronto a registrare qualsiasi micro variazione in funzione del clima e dell’orario durante la giornata, come se quel piccolo e scomodo appartamento in affitto fosse più inserito dentro alla volta del cielo sopra l’immensa vallata occupata dai quartieri della città, che appoggiato ai mattoni e al cemento di tutte le costruzioni da cui è strettamente circondato.
Abbiamo terminato il caffè, fa lei, dobbiamo ricordarci di andare a comprarlo. Giovanni, mi stai ascoltando, o sei già immerso nelle tue cose? No, no, dice lui, sono qui, magari appuntiamolo sul solito taccuino. Va bene, dice lei, mi sa che devo mettere l’impermeabile anche oggi, la giornata non promette niente di buono. Ieri sono andata al lavoro con la gonna e nel camminare sui marciapiedi pieni di buche con l'acqua mi sono schizzata tutte le gambe, tanto che appena arrivata in ufficio sono dovuta entrare in bagno a sistemarmi. Basta un niente certe volte per renderti la giornata praticamente insopportabile. Giovanni, mi stai ascoltando o ti sei già perso nei tuoi pensieri? Sono qui, fa lui, però stavo osservando qualcosa laggiù, pare ci sia come una luce, un riflesso, forse un piccolo incendio, non saprei dire.
Lei senza interesse guarda fuori dai vetri mentre butta giù una pastiglia rosa aiutandosi con un bicchier d’acqua: è soltanto il riverbero di una finestra, dice poi senza alcuna inflessione. Dovresti smetterla di trascorrere le giornate a guardare le cose più strane che ci circondano, Giovanni; finirai per convincerti chissà di che cosa. Lui si discosta dalle tendine, mette sul fornello la caffettiera già pronta, prepara sul tavolo due tazze bianche, e infine, mentre lei torna in camera, ritorna a guardare qualcosa tra i tetti e le case in fondo a quel quartiere. Ha preso fuoco qualcosa, laggiù, dice tra sé; se soltanto avessi un binocolo potrei almeno sincerarmene. Un binocolo, dice poi ad alta voce, ecco cosa mi piacerebbe. Lei torna ormai già completamente vestita, lo guarda solo un momento, ma in modo sufficiente a mostrare così la sua contrarietà all’argomento, e infine aggiunge del latte nella sua tazza.
Una sirena lontana sembra voglia sottolineare qualcosa di grave che sta succedendo proprio in questo momento, e Giovanni torna subito a cercare di vedere il punto di prima, dove ormai si notano con evidenza delle lingue di fiamma e del fumo nero mentre escono mescolandosi in aria da una finestra. Poi un forte scoppio fa volare in un attimo tutti i piccioni di quella zona, quasi a rendere visiva a tutti la drammaticità della situazione. Loro due allora si accostano alla finestra e cercano di guardar bene con occhi sgranati, ma il telefono squilla, e lei fa cadere involontariamente sul piano del tavolo la tazza con dentro il caffè. Buongiorno, dice qualcuno all’apparecchio, posso fare delle domande per un sondaggio? No, non è il caso, risponde Giovanni. Va bene, dicono all’apparecchio, la ringraziamo comunque: volevamo soltanto monitorare la vostra eventuale disponibilità ad un servizio del genere, quindi è sufficiente così; buona giornata.


Bruno Magnolfi

lunedì 11 gennaio 2016

Futuro presente.

            

            Si dice che qualcosa tra breve verrà sicuramente modificato, ma ancora nessuno riesce a descrivere né quali siano nel concreto i cambiamenti che da qualche parte già si ipotizza, e neppure se a tutt’oggi ne siano stati previsti in qualche modo i termini specifici, visto che alla fine non si comprende affatto in quale misura questi porteranno come sembra delle vere e proprie variazioni. Lei scuote la testa, le viene persino da sorridere nel pensare a cose di quel genere; poi però accende la radio, canticchia il motivetto di una canzone molto nota che in questo momento stanno trasmettendo, e intanto, con tutta la calma necessaria, si prepara per uscire. Fuori il tempo è uggioso, lei cammina senza fretta sul marciapiede, perché le cose da fare in fondo sono le medesime di sempre, e quando intravede per strada la faccia simpatica del solito portalettere con la sua impeccabile divisa sulle spalle e la classica bicicletta tra le mani, nel medesimo momento in cui lo nota cosi indaffarato nella consegna a domicilio delle bollette e anche di qualche opuscolo di pubblicità, lo saluta subito con grande calore, forse perché le sembra adesso quasi un'assurdità o un'ironia che qualcuno come lui porti ancora avanti quel suo compito, mentre tutto appare con chiarezza sull'orlo di grandi e radicali cambiamenti.
L'uomo la vede, si sfiora il cappello con gesto consumato, poi abbassa subìto gli occhi sul pacco di carta e di buste che tiene nella sua borsa capiente, ma infine si ferma, come raggiunto da una riflessione superiore a tutto ciò di cui al momento si sta occupando. Come sta? Le chiede guardandola con interesse ed assumendo un’espressione seria da navigato conoscente di quasi tutte le persone di quel quartiere popoloso, anche se in giornate come questa probabilmente gli dovrebbe bastare giusto lo scambio di un semplice saluto con qualcuno che passa. La donna torna a guardarlo, e con un sorriso leggero gli mostra anche senza usare delle parole la risposta che le è propria. Sono preoccupata, a dire il vero, arrischia però subito dopo. Serpeggia uno strano nervosismo, spiega, un disagio come dire diffuso, una voglia di nuovo del tutto indefinibile. E' proprio così, dice l'uomo un po’ sottovoce, ormai è diventato difficile anche scambiare due parole come stiamo facendo noi due proprio in questo momento. C'è un'aria di sospetto tra tutte le persone, nessuno sembra avere più neppure la voglia di sbilanciarsi in gesti definiti oppure in affermazioni nette. Persino il mio semplice suonare il campanello di casa per una consegna è visto da qualcuno quasi come un atto deprecabile. Tutti quanti appaiono ritirati dentro al proprio guscio, nascosti, quasi senza possibilità di essere scalzati in qualche modo nei loro atteggiamenti.
La donna lo guarda, anche lei prova per quanto detto un malessere soffuso, quasi una febbre: qualcuno sicuramente non condivide perfino il suo fermarsi a chiacchierare lungo la strada, e lei sa di avvertire anche quel giudizio pesante sopra di sé, come se tutta la libertà fosse definita soltanto da pensieri ordinari e anche poco meditati. Infine si scrolla queste idee, ed anche se non lo crede dice in fretta all’uomo, tornando anche a sorridere, che tutto prima o dopo si sistemerà, che è soltanto questione di tempo e di un po’ di pazienza, così il portalettere le lancia un saluto e riprende subito i suoi compiti, distogliendo lo sguardo ed allontanandosi. Ma non è semplice come sembra, pensa lei immediatamente: ci vorranno chissà quanti anni, chissà quanta fatica, per ritrovare la stessa serenità di qualche tempo addietro; e forse, anche ritrovandola, senza dubbio non sarà mai più la stessa cosa, non faremo ancora le stesse riflessioni, non saremo più assolutamente gli stessi, e dovremo probabilmente adattarci a qualcosa di estremamente nuovo che pur non piacendoci per niente, non ci concederà neppure alcuna alternativa.


Bruno Magnolfi

martedì 5 gennaio 2016

Comportamento vincente.

            

            La signora di fronte abita da sola, ed appare legata ad orari ed abitudini del tutto ordinari, concedendosi ogni tanto, ma soltanto in certi casi, di fermarsi a chiacchierare con qualche vicina accanto al portoncino della sua abitazione. A me non interessa niente dei suoi comportamenti, sia chiaro, ma non posso fare a meno di notarla, di registrare mentalmente i suoi orari, osservare da dietro la tendina le sue espressioni, certe volte anche i suoi gesti e persino le sue maniere, anche se quando poi mi capita di incontrarla per strada, fingo con serietà e una certa naturalezza che la sua persona per me neanche esista, evitando perciò qualsiasi cenno o forma di saluto, e addirittura, di fronte alla sua presenza, di modificare in qualche modo i miei abituali comportamenti. La odio, questo è il punto principale, anche se non saprei davvero dire che cosa sia in particolare di lei a scatenarmi questo ferreo sentimento.
            Esco da casa soltanto se già sono convinto di non rischiare di ritrovarmela sul mio stesso marciapiede, vuoi perché ho scrutato con attenzione per qualche minuto se magari stesse per uscire a sua volta dal suo appartamento, vuoi perché non intravedo né a destra e né a sinistra il suo inconfondibile passo lungo la strada, come sempre si comporta con quei suoi modi soddisfatti nel ritorno da qualcuna delle sue sortite per fare gli acquisti. Me ne vado ogni volta con la compiaciuta coscienza di riuscire in questo modo ad allontanarmi da lei, dal suo mondo, e per questo motivo salire sul tram per andarmene da qualche parte, diventa per me quasi un gesto felice.
            Però mi fermo, questa mattina priva di impegni, soltanto per andare a sedermi su di una panchina dei giardinetti poco distanti dal mio quartiere. Apro il giornale, leggo qua e là qualche titolo, ed improvvisamente la vedo, proprio davanti ai miei occhi, a pochi passi, mentre senza alcuna fretta ed evitando persino di guardarsi troppo dintorno, sceglie di venire a sistemarsi anche lei sulla mia stessa panchina, accanto a me. Resto immobile, leggo, giro una pagina. Buongiorno, dice lei impersonalmente mentre io la ignoro, poi apre la borsa, ne tira fuori qualcosa e subito si va a preoccupare soltanto di quel suo passatempo, un piccolo lavoro all’uncinetto, così mi sembra.
            Neppure per un istante penso di andarmene, anzi resto ancorato al mio posto con tutte le mie forze, proseguendo a comportarmi con il massimo di indifferenza verso di lei, anche se nella tensione che provo non riesco neppure più a leggere. Infine anch’io dico buongiorno, pur in ritardo, proprio per evitare da parte sua un giudizio su di me come di persona poco educata, e lei sorride, costringendomi così a girare leggermente la faccia dalla sua parte, pur senza alcuna volontà. Provo il terrore più forte immaginando che all’improvviso si metta a parlarmi del clima, o della stagione, oppure di qualche notizia di cronaca intravista sul mio giornale, ma niente di tutto questo succede. Invece di colpo si gira dalla mia parte, scruta attentamente il mio profilo, ed infine torna al suo lavoro con l’uncinetto. Mi chiedo cosa ci sia che l’ha incuriosita, e tento di stare ancora più immobile di prima, pur nervosamente e quasi sudando per la tensione. Ma lei dopo un po’ torna a guardarmi, da quei cinquanta centimetri appena che ci separano.
            La conosco, mi dice alla fine; ho osservato a lungo i suoi orari e tutti i suoi comportamenti. Non importa se aveva deciso fino a questo momento di ignorare del tutto il mio abitare proprio di fronte alle sue finestre. Però sappia che da domani io cambierò radicalmente i miei modi di fare nei suoi confronti: spiccherò un saluto ogni volta che la vedrò dietro la sua tendina, attraverserò la strada apposta per augurarle una buona giornata, e non farò mai niente per evitare di incontrarla, anzi, il contrario; e tenterò così di neutralizzare il suo comportamento negativo nei miei confronti. Vedremo in seguito, tra qualche tempo, se risulterà ancora lei il vincitore.


            Bruno Magnolfi