I
pomeriggi erano immobili, a volte parevano addirittura senza scopo. C’erano
delle volte che il ragazzo non sentiva neanche la voglia di uno scopo, di un
motivo per scuotersi di dosso quel torpore. Tutto appariva uniforme, in quella
silenziosa solitudine. Quando guardava fuori della finestra, oltre lo steccato
attorno alla ferrovia, vedeva solo quell’ammasso lontano di case dai colori
tenui, sbiaditi, con i tetti rossi che si confondevano tra loro, quasi a
ridosso della collina, e i cavi elettrici a mezz’aria, nel tremolare romantico
delle giornate calde di sole dell’estate avanzata. “Esci; cosa stai ancora
qui?…”, diceva la mamma mentre continuava a lavare i pavimenti con un secchio
d’acqua saponata. Allora lui si alzava dalla poltrona in finta pelle, vicino
alla finestra, e di malavoglia percorreva il breve tratto di corridoio lasciato
asciutto proprio per permettere a lui di andarsene fuori. Il sole era caldo
dentro all’aria bianca quasi ferma sopra al giardinetto davanti alla
costruzione bassa, affittata a suo padre vent’anni prima. A quell’ora suo
fratello era ancora a scuola, all’istituto tecnico, dove spesso i ragazzi
rimanevano anche il pomeriggio, a fare pratica di macchine e d’elettricità,
così diceva suo fratello, e lui rimaneva solo, senza nessuno cui fare
riferimento. Senza lo stupore delle cose importanti che sapeva fargli respirare
lui, senza quella complicità che sentiva dentro, quando si sentiva trascinare
verso cose che a volte non capiva, ma in mezzo alle quali si sentiva comunque
solidale. Adesso era senza stimoli: guardava le case, la strada bianca, la
ferrovia, e gli pareva tutto troppo uguale, ordinario, senza seguiti. Là in
fondo c’era la stazione, con il suo monotono traffico di pendolari che andavano
e venivano dal lavoro nella fabbrica, e la polvere rossiccia dei freni che le
ruote dei vagoni spandevano sulle traversine e lungo i binari morti. Era bello
camminare lungo la massicciata, sentire ogni tanto il richiamo forte e stridulo
di qualche convoglio che pareva lamentarsi avvicinandosi. Camminando, a due o
tre metri dai binari, c’è un attimo di formidabile risucchio quando un treno ad
alta velocità transita vicino. Poi i vagoni seguono fedeli la locomotiva in un
assordante rumore di ferraglia in movimento. Infine, quando anche l’ultima
coppia di ruote fugge via come le altre, rimane in aria solo una nuvola di
polvere brunita, ed il naturale ritorno del silenzio è tanto veloce da non
lasciare alcun ricordo. Poi più niente.
C’erano dei
giorni che il ragazzo non sopportava nessuno. Pareva che tutti volessero
indicargli qualche cosa, dare dei consigli su cosa fare e come comportarsi. Lui
si sentiva come strattonato da ogni parte. Era difficile, in queste condizioni,
riuscire a conservare un’idea propria, un senso proprio delle cose. Il ragazzo
a volte si sentiva frastornato, con l’insegnante a scuola che gli chiedeva
perennemente il perché di quel silenzio, del suo sguardo nel vuoto. Al
pomeriggio poi anche la mamma si metteva ad insistere per sapere chissà cosa. A
volte lei però alzava la voce, forse per cercare una reazione da lui. La
maggior parte delle volte al ragazzo dispiaceva tutta quella confusione,
quell’interesse verso i suoi comportamenti. Nessuno rifletteva che dentro alla
sua testa prendevano corpo i pensieri, le riflessioni. Non c’era alcun bisogno
di parlarne. Anzi, solo il silenzio favoriva le idee. Con suo fratello era
diverso. Lui non chiedeva mai di fare qualcosa. Iniziava a farla,
semplicemente, oppure diceva: “vado al fiume a farmi un bagno”, o qualsiasi
altra cosa gli passasse per la testa. Il ragazzo non si era mai sentito in
dovere di seguirlo: era sempre stata una sua scelta; anzi, andava con lui
perché era sicuro non gli avrebbe chiesto niente, né di seguirlo né altro. Nel
quartiere suo fratello si era fatto una certa stima per quei suoi modi. Per
fare a pugni non aveva mai avuto bisogno di provocare nessuno. Lasciava agli
altri il compito di far volare le parole grosse. Lui badava ai fatti,
nient’altro.
Mentre cammina
il ragazzo però non pensa a questo. Non sa neanche di preciso verso dove è
diretto, ma forse non ha grossa importanza. Il viottolo polveroso accanto alla
ferrovia appare deserto nel sole spietato. Velocissime e stupide lucertole
paiono scappare dappertutto, al minimo rumore. Il resto è secco, fermo e polveroso.
Ci sono degli orti in questa zona, difesi in qualche modo da reticolati
improvvisati, qualche pezzo di lamiera e siepi informi e spinose che si
arrotolano su fili di ferro rugginoso. La terra però è tenuta bene, con le
canne in fila che tengono su i pomodori, ed i solchi precisi per la lattuga
rigogliosa. Un anziano, là in fondo, raccoglie le zucchine o i cetrioli, e
sembra non accorgersi di niente, di nient’altro se non di quel suo fare, quel
trattare con cura le piantine. Accanto ad uno spiazzo erboso c’è un cunicolo
che passa sotto alla ferrovia, e alcuni tubi ci corrono attraverso. Il ragazzo
lo conosce bene, tante volte è già passato da lì, con la testa bassa e stando
bene attento a non scivolare giù dal grosso tubo dell’acquedotto che fa da pavimento.
Buio, maleodorante e sinistro, però l’unico mezzo per ritrovarsi in fretta di
là, verso la campagna aperta, dove tranquillo scorre il fiume verde contornato
da alberi frondosi. La collina, un po’ distante, si solleva stancamente,
mettendo in mostra il suo fianco d’ulivi. Va costeggiata tutta quanta per
arrivare fino al fiume, stando ben attenti a non prendere un viottolo
sbagliato, per non ritrovarsi davanti a qualche macchia di rovi invalicabile.
C’è un posto, proprio sull’argine del fiume, una specie di rientranza ben
asciutta, ma quasi al livello dell’acqua, tutta circondata da un costone di
terra, con dei cespugli polverosi ed erba alta tutt’intorno. E’ suo fratello
che gli ha insegnato come arrivare fino lì, e lui diverse volte c’è già stato,
anche se mai da solo. Al ragazzo piace il fiume, stare lì a guardare la
corrente lenta che accarezza l’erba della riva e sentire il fresco dell’acqua
vicina. Da quel piccolo spiazzo si gode la frescura dell’acqua senza essere
notati da nessuno. Il ragazzo non c’è più tornato da parecchio tempo, però si
ricorda del viottolo che scende fino lì. Mentre cammina tiene lo sguardo avanti
a sé, con passo calmo, da passeggiata senza scopo. Una mano, a dimostrazione
del suo disimpegno, da ragazzo grande, sicuro di sé, rimane sprofondata nella
tasca dei blue-jeans, come a proteggersi dall’aria, o dagli insetti. Fa caldo a
camminare sopra alla terra secca ricoperta dalle erbacce, e l’unica possibilità
per avere un po’ di refrigerio è quella di costeggiare i salici che in parte
ombreggiano il viottolo. La campagna sembra riarsa, e solo attorno agli argini
del fiume l’erba verde e rigogliosa contorna l’acqua disegnandola.
Arrivando
direttamente sopra al costone di terra erbosa il ragazzo si accorge che c’è
qualcuno. Si accuccia con gli occhi tra l’erba e vede che c’è suo fratello
avvinghiato ad una donna nuda, e stanno lì a toccarsi e a rotolarsi nello
spiazzo. Il ragazzo guarda meglio: riconosce la donna, è una vicina di casa, e
quasi sta per urlare che lasci stare suo fratello. Poi si trattiene. Le
mammelle grandi e bianche della donna stanno lì, nel sole, e suo fratello
continua a toccarle e a stringerle. Lui guarda e vede, ma è come se non
vedesse.
Quando il
ragazzo si solleva dalla sua posizione, lo fa con calma, stando ben attento a
non provocare alcun rumore, e si allontana piano, senza affrettarsi. Al ritorno
il viottolo fino alla ferrovia pare inesistente tanto pensieri e riflessioni
continuano a turbinare nella mente. Forse vorrebbe piangere, ma non ha senso, e
si frena, cercando di pensare ad altro. Sopra al cunicolo che attraversa i
binari c’è un treno merci che manovra lentamente. Il ragazzo di treni se ne
intende; sa che i manovratori hanno già agganciato i vagoni che servono, e tra
poco il convoglio sarà di partenza. Non c’è alcun bisogno di pensarci, arranca
sopra alla massicciata e rapidamente mette il piede sul predellino del primo
vagone che passa con il portellone aperto. E’ un attimo, scivola dentro e si
rannicchia nel buio per evitare di essere scorto da qualcuno. Il convoglio
inizia la sua corsa e in un momento la periferia della città corre via veloce
accanto al treno. I pensieri si sono calmati adesso, e il ragazzo ora si sente
assorbito solo dal rumore delle ruote. Non ci sono più pensieri che turbinano
confusi; c’è la calma della corsa, quelle immagini di cose che scorrono vicino.
Forse il ragazzo si sente in parte proprietario del richiamo lamentoso della
locomotiva, e forse pensa anche al risucchio d’aria, e a tutti coloro che
continuano a camminare lungo la massicciata, ma sa bene che a sentirlo sono
solo quelli che in un modo o nell’altro non sono riusciti a salire.
Bruno
Magnolfi