sabato 17 gennaio 2009

Il ragazzo.


            I pomeriggi erano immobili, a volte parevano addirittura senza scopo. C’erano delle volte che il ragazzo non sentiva neanche la voglia di uno scopo, di un motivo per scuotersi di dosso quel torpore. Tutto appariva uniforme, in quella silenziosa solitudine. Quando guardava fuori della finestra, oltre lo steccato attorno alla ferrovia, vedeva solo quell’ammasso lontano di case dai colori tenui, sbiaditi, con i tetti rossi che si confondevano tra loro, quasi a ridosso della collina, e i cavi elettrici a mezz’aria, nel tremolare romantico delle giornate calde di sole dell’estate avanzata. “Esci; cosa stai ancora qui?…”, diceva la mamma mentre continuava a lavare i pavimenti con un secchio d’acqua saponata. Allora lui si alzava dalla poltrona in finta pelle, vicino alla finestra, e di malavoglia percorreva il breve tratto di corridoio lasciato asciutto proprio per permettere a lui di andarsene fuori. Il sole era caldo dentro all’aria bianca quasi ferma sopra al giardinetto davanti alla costruzione bassa, affittata a suo padre vent’anni prima. A quell’ora suo fratello era ancora a scuola, all’istituto tecnico, dove spesso i ragazzi rimanevano anche il pomeriggio, a fare pratica di macchine e d’elettricità, così diceva suo fratello, e lui rimaneva solo, senza nessuno cui fare riferimento. Senza lo stupore delle cose importanti che sapeva fargli respirare lui, senza quella complicità che sentiva dentro, quando si sentiva trascinare verso cose che a volte non capiva, ma in mezzo alle quali si sentiva comunque solidale. Adesso era senza stimoli: guardava le case, la strada bianca, la ferrovia, e gli pareva tutto troppo uguale, ordinario, senza seguiti. Là in fondo c’era la stazione, con il suo monotono traffico di pendolari che andavano e venivano dal lavoro nella fabbrica, e la polvere rossiccia dei freni che le ruote dei vagoni spandevano sulle traversine e lungo i binari morti. Era bello camminare lungo la massicciata, sentire ogni tanto il richiamo forte e stridulo di qualche convoglio che pareva lamentarsi avvicinandosi. Camminando, a due o tre metri dai binari, c’è un attimo di formidabile risucchio quando un treno ad alta velocità transita vicino. Poi i vagoni seguono fedeli la locomotiva in un assordante rumore di ferraglia in movimento. Infine, quando anche l’ultima coppia di ruote fugge via come le altre, rimane in aria solo una nuvola di polvere brunita, ed il naturale ritorno del silenzio è tanto veloce da non lasciare alcun ricordo. Poi più niente.
C’erano dei giorni che il ragazzo non sopportava nessuno. Pareva che tutti volessero indicargli qualche cosa, dare dei consigli su cosa fare e come comportarsi. Lui si sentiva come strattonato da ogni parte. Era difficile, in queste condizioni, riuscire a conservare un’idea propria, un senso proprio delle cose. Il ragazzo a volte si sentiva frastornato, con l’insegnante a scuola che gli chiedeva perennemente il perché di quel silenzio, del suo sguardo nel vuoto. Al pomeriggio poi anche la mamma si metteva ad insistere per sapere chissà cosa. A volte lei però alzava la voce, forse per cercare una reazione da lui. La maggior parte delle volte al ragazzo dispiaceva tutta quella confusione, quell’interesse verso i suoi comportamenti. Nessuno rifletteva che dentro alla sua testa prendevano corpo i pensieri, le riflessioni. Non c’era alcun bisogno di parlarne. Anzi, solo il silenzio favoriva le idee. Con suo fratello era diverso. Lui non chiedeva mai di fare qualcosa. Iniziava a farla, semplicemente, oppure diceva: “vado al fiume a farmi un bagno”, o qualsiasi altra cosa gli passasse per la testa. Il ragazzo non si era mai sentito in dovere di seguirlo: era sempre stata una sua scelta; anzi, andava con lui perché era sicuro non gli avrebbe chiesto niente, né di seguirlo né altro. Nel quartiere suo fratello si era fatto una certa stima per quei suoi modi. Per fare a pugni non aveva mai avuto bisogno di provocare nessuno. Lasciava agli altri il compito di far volare le parole grosse. Lui badava ai fatti, nient’altro.
Mentre cammina il ragazzo però non pensa a questo. Non sa neanche di preciso verso dove è diretto, ma forse non ha grossa importanza. Il viottolo polveroso accanto alla ferrovia appare deserto nel sole spietato. Velocissime e stupide lucertole paiono scappare dappertutto, al minimo rumore. Il resto è secco, fermo e polveroso. Ci sono degli orti in questa zona, difesi in qualche modo da reticolati improvvisati, qualche pezzo di lamiera e siepi informi e spinose che si arrotolano su fili di ferro rugginoso. La terra però è tenuta bene, con le canne in fila che tengono su i pomodori, ed i solchi precisi per la lattuga rigogliosa. Un anziano, là in fondo, raccoglie le zucchine o i cetrioli, e sembra non accorgersi di niente, di nient’altro se non di quel suo fare, quel trattare con cura le piantine. Accanto ad uno spiazzo erboso c’è un cunicolo che passa sotto alla ferrovia, e alcuni tubi ci corrono attraverso. Il ragazzo lo conosce bene, tante volte è già passato da lì, con la testa bassa e stando bene attento a non scivolare giù dal grosso tubo dell’acquedotto che fa da pavimento. Buio, maleodorante e sinistro, però l’unico mezzo per ritrovarsi in fretta di là, verso la campagna aperta, dove tranquillo scorre il fiume verde contornato da alberi frondosi. La collina, un po’ distante, si solleva stancamente, mettendo in mostra il suo fianco d’ulivi. Va costeggiata tutta quanta per arrivare fino al fiume, stando ben attenti a non prendere un viottolo sbagliato, per non ritrovarsi davanti a qualche macchia di rovi invalicabile. C’è un posto, proprio sull’argine del fiume, una specie di rientranza ben asciutta, ma quasi al livello dell’acqua, tutta circondata da un costone di terra, con dei cespugli polverosi ed erba alta tutt’intorno. E’ suo fratello che gli ha insegnato come arrivare fino lì, e lui diverse volte c’è già stato, anche se mai da solo. Al ragazzo piace il fiume, stare lì a guardare la corrente lenta che accarezza l’erba della riva e sentire il fresco dell’acqua vicina. Da quel piccolo spiazzo si gode la frescura dell’acqua senza essere notati da nessuno. Il ragazzo non c’è più tornato da parecchio tempo, però si ricorda del viottolo che scende fino lì. Mentre cammina tiene lo sguardo avanti a sé, con passo calmo, da passeggiata senza scopo. Una mano, a dimostrazione del suo disimpegno, da ragazzo grande, sicuro di sé, rimane sprofondata nella tasca dei blue-jeans, come a proteggersi dall’aria, o dagli insetti. Fa caldo a camminare sopra alla terra secca ricoperta dalle erbacce, e l’unica possibilità per avere un po’ di refrigerio è quella di costeggiare i salici che in parte ombreggiano il viottolo. La campagna sembra riarsa, e solo attorno agli argini del fiume l’erba verde e rigogliosa contorna l’acqua disegnandola.
Arrivando direttamente sopra al costone di terra erbosa il ragazzo si accorge che c’è qualcuno. Si accuccia con gli occhi tra l’erba e vede che c’è suo fratello avvinghiato ad una donna nuda, e stanno lì a toccarsi e a rotolarsi nello spiazzo. Il ragazzo guarda meglio: riconosce la donna, è una vicina di casa, e quasi sta per urlare che lasci stare suo fratello. Poi si trattiene. Le mammelle grandi e bianche della donna stanno lì, nel sole, e suo fratello continua a toccarle e a stringerle. Lui guarda e vede, ma è come se non vedesse.
Quando il ragazzo si solleva dalla sua posizione, lo fa con calma, stando ben attento a non provocare alcun rumore, e si allontana piano, senza affrettarsi. Al ritorno il viottolo fino alla ferrovia pare inesistente tanto pensieri e riflessioni continuano a turbinare nella mente. Forse vorrebbe piangere, ma non ha senso, e si frena, cercando di pensare ad altro. Sopra al cunicolo che attraversa i binari c’è un treno merci che manovra lentamente. Il ragazzo di treni se ne intende; sa che i manovratori hanno già agganciato i vagoni che servono, e tra poco il convoglio sarà di partenza. Non c’è alcun bisogno di pensarci, arranca sopra alla massicciata e rapidamente mette il piede sul predellino del primo vagone che passa con il portellone aperto. E’ un attimo, scivola dentro e si rannicchia nel buio per evitare di essere scorto da qualcuno. Il convoglio inizia la sua corsa e in un momento la periferia della città corre via veloce accanto al treno. I pensieri si sono calmati adesso, e il ragazzo ora si sente assorbito solo dal rumore delle ruote. Non ci sono più pensieri che turbinano confusi; c’è la calma della corsa, quelle immagini di cose che scorrono vicino. Forse il ragazzo si sente in parte proprietario del richiamo lamentoso della locomotiva, e forse pensa anche al risucchio d’aria, e a tutti coloro che continuano a camminare lungo la massicciata, ma sa bene che a sentirlo sono solo quelli che in un modo o nell’altro non sono riusciti a salire.

            Bruno Magnolfi



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