sabato 11 aprile 2009

Dove vuoi tu.



La nonna veniva a prendermi generalmente nel primo pomeriggio. Avevo quattro o cinque anni, e in quelle giornate assolate andavo volentieri con lei ad accompagnarla nei suoi giri, che poi erano sempre i medesimi: una visita al cimitero, a pulire la tomba del nonno che non avevo mai conosciuto ma che in vita si era chiamato proprio come me; oppure in qualche vecchio negozio a far quattro chiacchiere con qualcuno che la nonna conosceva chissà da quanto tempo, oppure per comprare qualcosa che le serviva; e immancabilmente in chiesa, ogni giorno, però non alla messa, ma all’ora in cui non c’era nessuno, e giusto per stare lì in silenzio per cinque minuti o pochi di più. La chiesa era grande e i soffitti con volte a crociera a me parevano altissimi, e nel fresco silenzio dei muri e all’ombra del grande pronao di ghisa, rimbombava il formidabile colpo del maglio che spaccava le loppe di minerale e di pirite nella fonderia poco lontana. Era bello pensare in silenzio, senza alcuna fretta in mezzo a confondermi, e quel suono profondo, quello che arrivava immancabile ogni poco dalla fonderia, prolungato nel tempo dai muri e dagli alti soffitti, pareva una parte costituente la chiesa, come se fosse il lavoro, il sudore dei minatori che estraevano il minerale e degli operai che fondevano il ferro e la ghisa, a entrare là dentro, a parlare di loro, delle difficoltà della vita, e forse anche del nonno, morto per essere caduto da un’impalcatura mentre portava avanti anche lui il proprio lavoro. La nonna aveva cresciuto i suoi figli ancora piccoli tutta da sola, fin da quel giorno, chissà con quante e con quali difficoltà, ed ora che quelli erano grandi, aveva me, che volentieri le stringevo la mano callosa, e le facevo capire ogni volta che mi piaceva andare con lei, ero contento di accompagnarla in tutti i suoi giri, ed io davvero sarei andato dappertutto al suo fianco, in ogni posto dove lei avesse voluto.

Bruno Magnolfi



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