Si muovono tutti quanti
forse troppo in fretta, dice l’uomo, adesso non riesco neppure a mettere a
fuoco le persone che normalmente mi hanno sempre incuriosito. E’ come se non ci
fosse più necessità di scambiarsi una parola o un gesto di saluto. Sei soltanto
ammalato, dice lei, adesso devi soltanto pensare a curarti e riposare,
lasciando perdere questi piccoli dettagli senza alcuna importanza. Trascorre
qualche minuto di silenzio, lui resta seduto a guardare ancora qualcosa fuori dal
vetro della sua finestra, lei va avanti e indietro a sistemare alcune piccole
cose prima di uscire dall’appartamento. Probabilmente sono diventato soltanto
un vecchio noioso, fa lui sottovoce mentre cerca di sistemarsi con il piede una
pantofola. Lei non gli risponde, si limita a guardarlo per un attimo per poi
proseguire con le sue faccende.
Questa finestra è
sempre stato il mio passatempo preferito da quando non posso più uscire di
casa: osservare da qui le persone che conosco come anche quelle che non ho mai
visto, è come stare in mezzo a loro, ascoltare in qualche modo le parole che si
dicono, comprendere i sentimenti che si scambiano o semplicemente manifestano. E’
quasi assistere ad un film muto dove tutti i comportamenti dei protagonisti si
comprendono benissimo: i sorrisi, il modo di salutare, gli argomenti delle
discussioni, le chiacchiere leggere, tutto. Ma adesso anche la vista non mi
sostiene più, e a volte mi pare che tutti abbiano la medesima espressione, e che
le persone che transitano lungo questa strada siano praticamente identiche, esattamente
tutte con la stessa faccia, i medesimi gesti, gli stessi pensieri nella testa.
Forse è così, dice
lei sorridendo mentre ha già preso la borsa e si dispone a uscire.
Probabilmente qualcuno si è accorto della tua curiosità, e così si è sparsa la
voce tra chiunque si trovi a passare proprio da queste parti, di fare in modo
di evitare ogni espressione davanti alla tua finestra, e di tenersi il più
possibile indifferente anche a qualsiasi incontro gli possa capitare. No, non
dire sciocchezze, sbotta l’anziano alzando leggermente un braccio. Non è così
che va il mondo, nessuno fingerebbe mai qualcosa soltanto per non dare
soddisfazioni ad un povero vecchio. Sono i tempi che sono cambiati, piuttosto,
e nessuno oramai ha più niente da dirsi, figuriamoci poi ad esprimere i propri
sentimenti con i gesti.
Va bene, adesso esco,
dice la figlia aprendo l’uscio; ripasso comunque prima dell’ora di pranzo, per
vedere se hai bisogno di qualcosa. Va bene, va bene, dice lui senza voltarsi e
mantenendo gli occhi sulla strada. Un tempo dovevamo farci comprendere ad una
prima occhiata, dice poi tra sé. Ed eravamo pronti ad interpretare con
attenzione qualsiasi sottigliezza nei modi di comportarsi della gente che ci
trovavamo ad incontrare. Non è più così, è evidente, e tutto poco per volta si
è appiattito in un vocabolario formato da due o tre gesti, poche espressioni,
qualche faccia composta per pura convenienza. Non importa, dice poi come se la
figlia fosse ancora lì vicino a lui; prendo atto di quanto è capitato negli
ultimi anni, ed uno di questi giorni mi farò preparare una grande fotografia
della mia faccia da mettere sopra questo vetro, così che tutti mi credano
ancora pronto come sempre ad osservare il mondo da questa stupida finestra. E
la mia soddisfazione sarà soltanto quella di mettermi a sonnecchiare sopra
questa sedia ed immaginarli tutti ancora lì, lungo la strada, proprio come un
tempo, a scambiarsi saluti ed espressioni, a fare gesti con le braccia e con il
viso, sorridendosi tra loro o guardandosi anche storti; ancora veri però, senza
alcuna maschera.
Bruno Magnolfi
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