Sto
male, dico. Un sottile dolore persistente, una spalla che mi sento intorpidita,
gli fo. Lui mi guarda un momento, poi volta lo sguardo da un’altra parte quasi
non mi avesse neppure sentito. Trascorrono due minuti: forse è solo una piccola
botta che ho ricevuto senza averle dato troppa importanza, gli fo. Qualcosa di
cui in questo momento neppure mi ricordo. Va bé, magari passerà, non è certo il
caso di farla lunga, aggiungo cercando di interpretare e dare fiato alla sua
indifferenza. Trascorrono altri minuti. Non riesco quasi ad alzare questo
braccio, gli dico per stuzzicarlo. Ma il dolore è diffuso, e non so comprendere
come potrei individuare la fonte del mio malessere se anche volessi. Lui si
volta un attimo verso di me, poi mi accarezza una mano, come ad incoraggiarmi a
stare buono, e poi nient’altro. Sto fermo, in silenzio, così non mi può
succedere niente di brutto penso, ma dopo un attimo una piccola fitta mi
avverte che il dolore è ancora lì, sotto una spalla.
Lui
si gira dopo il mio gemito, mi guarda con una certa intensità: vuoi che provo a
toccarti la zona per comprendere dove si trova precisamente questo benedetto
dolore, mi fa. Te ne sarei profondamente grato, gli dico. Lui mi viene più vicino,
mi stampa un bacio accanto alla bocca, poi mi prende il braccio e lentamente me
lo muove. Mi piace quando cerca di prendersi cura di me, lui lo sa benissimo e
cerca di farlo il meno possibile, proprio per non farmi abituare. Ecco, gli fo
ad un tratto, in questa posizione il dolore aumenta. Lui senza aggiungere
niente lascia andare il mio braccio e mi prende la mano per un attimo, poi si
volta ricominciando esattamente con la sua proverbiale indifferenza.
Se
vuoi si può fare un salto ad un pronto soccorso, mi dice in un sussurro. No,
non credo abbia molta importanza, gli dico. Piuttosto mi piacerebbe che tu mi
tenessi la mano, proprio come hai fatto prima. Lui allora mi prende ancora la
mano, ma senza alcuna intensità, tanto che dopo un po’ sfilo la mia dalle sue
dita. Ti sento distante, gli dico, e a me sembra quasi di essere da solo col
mio piccolo dolore. Lui si alza, si volta verso di me per un attimo appena, poi
va nell’altra stanza. Quando torna mostra di aver indossato la giacca: esco, mi
dice, ho bisogno di stare un po’ per conto mio. Non rispondo niente, mi sento
sprofondare per quel suo atteggiamento, ascolto la porta di casa che si apre e
si chiude e resto ancora fermo, come paralizzato. Non era mai accaduto qualcosa
del genere, oppure non lo ricordo, così attendo da un attimo all’altro che lui ritorni
indietro, che mi chieda perdono, che tutto si risolva in un attimo senza
importanza. Ma niente succede, se non quel mio piccolo dolore che prosegue
insistente.
Mi
alzo, vado alla finestra, non vedo niente. Nessun rumore, nessun particolare
che mi faccia stare meglio di questo malessere che mi sta prendendo sempre di più.
Sto calmo, rifletto, cerco di comprendere meglio ogni particolare, infine esco
anche io, in preda alla disperazione. Cammino per strada nei dintorni del mio
appartamento, non incontro nessuno che mi riconosca, non vedo nessuno che io sappia
riconoscere. Ma il mio dolore alla spalla adesso non c’è quasi più, oppure è
stato soppiantato da qualcos’altro con un’importanza maggiore.
Bruno
Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento