giovedì 29 agosto 2024

Variazioni di comportamento.


In certi casi, almeno da qualche tempo a questa parte, nei momenti frequenti in cui mi ritrovo da solo e normalmente immerso nei miei tanti pensieri, noto una specie di ombra davanti ai miei occhi, come una sagoma scura che, pur non mostrandosi mai con troppa evidenza, ed in più soltanto di sfuggita, riconosco perfettamente nella persona che ho immaginato potesse essere fin dall’inizio. Sono convinto, in tutto questo, che è il mio passato che viene ogni tanto a farmi una visita, ma mentre questo ragazzetto, che poi rappresenta me stesso nell’età adolescenziale, fino a poco fa si è sempre manifestato ogni volta nelle sue fattezze complete, adesso è come se non riuscisse più a farsi vedere in modo integrale, e per qualche motivo scegliesse - o fosse appena in grado - di evidenziare ai miei occhi soltanto l’ombra di se stesso, giusto il profilo della propria sagoma, una fisionomia netta e leggermente scura, senza maggiori caratteristiche riconoscibili. Cerco di restare indifferente a questa sua presenza silenziosa che a momenti appare e scompare, anche per non mettere lui ulteriormente in difficoltà per la sua presunta inefficienza. Fingo insomma di ignorarlo, anche se alla fine mi giro di colpo verso questa strana ombra, dicendogli all’improvviso: <<Stai forse cercando di spiare i miei comportamenti, immaginando magari che in questa nuova forma io non riesca a notare troppo la tua presenza?>>. La sua sagoma allora schiarisce leggermente, poi si muove, ed io rifletto che con ogni probabilità nell’arco di pochi secondi lui finirà di nuovo per scomparire del tutto, senza neppure prendersi la briga di rispondermi; ma poco dopo noto il suo profilo appoggiarsi ad un mobile, mentre stiamo nel mio appartamento, e poi tornare a farsi vedere da me in modo più completo, ma solamente per qualche secondo, quasi per porgermi una specie di saluto.

Riconosco che il nostro rapporto è sempre stato difficile, finendo spesso per incolparci a vicenda di quanto siamo stati incapaci di dare inizio a dei comportamenti positivi verso gli altri nei nostri diversi periodi di esistenza. In ogni caso, io mi sono quasi affezionato a questa sua presenza, e spesso ripercorro volentieri, anche tramite i suoi suggerimenti – in genere soltanto delle indicazioni silenziose - le vicende che volta per volta riconosco perfettamente nella mia memoria come essersi modificate in qualche caso anche in senso positivo, ma la maggior parte delle volte in modo assolutamente negativo, anche se a seconda dei casi. Lui poi sparisce del tutto, ed io prendo la giacca ed esco da casa. Fuori, lungo la strada, mi avvolge la tranquillità del pomeriggio, e quando un’auto delle forze dell’ordine mi supera, sorrido per quel loro pattugliamento quasi inutile. C’è stato un lungo periodo, dopo il termine della mia lunga condanna alla detenzione carceraria, in cui venivo controllato regolarmente dalle divise, e i gendarmi in quei casi avevano sempre verso di me quell' insopportabile atteggiamento di chi sa con certezza che prima o dopo sarei ricascato in qualche faccenda delittuosa, nonostante il mio impegno continuo nel rigare diritto. Poi hanno allentato la loro presenza, anche se ogni tanto proseguono a farsi vedere lungo la strada dove abito, quasi per darmi un ulteriore avvertimento e ricordarmi il brutto periodo di prigionia. Ma in un attimo io mi incarno nel ragazzetto di prima, sparisco agli occhi di tutti, e tento di riflettere tutto con la mente sgombra, quella di chi ancora non ha commesso mai alcun reato.

Sono pulito, rifletto, in grado di disporre della mia persona come più desidero, anche se i freni che sento continuamente dentro di me sono di una tale potenza quasi da costringermi all’immobilità. Nella scuola elementare di via delle matite credo nessuno mi tenga in una qualche considerazione: forse vedono in me uno sbandato, un ragazzo che se ne sta sempre da solo, che non cerca mai un rapporto con gli altri, come forse sarebbe naturale, ed alla fine appare quasi prigioniero dei suoi stessi modi di comportarsi e di pensare. Forse un compagno di classe un po' differente dagli altri lo si può soltanto ignorare, pensano tutti, e quindi tenere sempre a distanza, come se evitandolo ci si mettesse al riparo da problemi e da comportamenti poco ordinari; oppure si può sempre tentare di ridicolizzare ogni gesto che lui possa compiere, ogni parola che dice, qualsiasi posizione assuma nel banco scolastico, e tutte le espressioni che sembra mostrare durante l’orario delle lezioni, ogni volta ridendo delle sue smorfie e di qualsiasi altro atteggiamento possa assumere. Non ci sono molti argomenti di cui discorrere durante le pause ricreative, e quindi niente di meglio che darsi di gomito e parlar male di quel bambino con la faccia decisamente sempre troppo seria, che non si accosta mai a nessuno. Io non ho mai pensato che la colpa di tutto fosse in qualche maniera della mia famiglia, però ho sempre creduto che la mia personalità fosse esattamente quella che riesco a evidenziare nei confronti di chiunque, senza fare alcuno sforzo per modificare qualcosa di me. Sono fatto così, sembro affermare a tutti quasi ogni giorno, inutile tentare delle variazioni di comportamento.

 

Bruno Magnolfi

martedì 13 agosto 2024

Mai spaventato.


            La morte di mia madre fu preceduta da una lunga agonia. Agli inizi lei si recava in ospedale soltanto per un giorno nell’arco di un determinato periodo. In seguito, quando le sue condizioni si aggravarono, venne ricoverata per più giorni, anche se poi la lasciavano ogni volta tornare a casa per almeno una settimana. Negli ultimi tempi, invece, venne trattenuta in corsia in maniera stabile, collegata ad alcuni impianti specifici che sicuramente le permettevano di tirare avanti, pur lasciandola praticamente inerte dentro al suo letto, quasi in uno stato di incoscienza. Tutti, in quel periodo, sperammo che se ne andasse in fretta, anche perché era evidente che non sarebbe mai più stata una persona a tutti gli effetti, ma lei invece proseguì a resistere, nei confronti anche di ogni responso medico, e per un tempo che parve giorno dopo giorno addirittura interminabile, quasi a stabilire che la propria presenza nel mondo avesse un significato talmente superiore alla nostra umana sopportazione, da sfidare ogni possibile idea del limite. Ero preparato da molto tempo perciò alla sua dipartita, tanto che, insieme a mio padre, sempre più lontano dal senso di famiglia che io e lui eravamo rimasti strenuamente a tenere in piedi nonostante tutto, ci eravamo ridotti ad andare a fare visita a quel corpo quasi esanime immerso dentro un letto e costituito solo di attenzioni infermieristiche e di sensori elettronici perennemente in funzione, soltanto una volta a settimana, e restando separati da lei da un paravento e ad una certa distanza, proprio per non creare ulteriori problemi alla sua evidente debolezza, nell’arco di un tempo non superiore ad una rapida mezz’ora e basta.

A scuola qualcuno tra i miei compagni di classe era forse a conoscenza della situazione che stavo vivendo, tanto più che alla lunga quasi sembrava, almeno in certe espressioni da tutti riservate proprio nei miei confronti, che in qualche modo me la fossi meritata, opprimendo ogni mia sensibilità con l’imposizione di un senso di colpa che difficilmente riuscivo a scrollarmi di dosso, in considerazione delle opinioni che mi pareva di avvertire costantemente attorno a me. Era rimasta soltanto Marta, ad un certo punto, a rivolgermi la parola ogni tanto, commisurando la sua perenne serietà alla mia incapacità di sorridere o di mostrare una volontà di leggerezza che non riuscivo a provare più, in nessuna situazione. Lei si avvicinava a me ogni tanto durante le pause tra una lezione e l’altra, ma senza mai neanche toccarmi, o anche solo guardarmi direttamente, e mi diceva qualcosa che appariva soltanto il tentativo, almeno così io immaginavo, di farmi pensare a qualcos’altro, anche se certe volte pareva quasi una vera crudeltà passare sopra a tutti i miei guai soltanto per scambiare qualche parola su cose del tutto futili ed insignificanti. Avvertivo in me un forte cambiamento in atto, in quei momenti, ed il senso forzato di solitudine che mi stringeva quasi in una morsa, in realtà sembrava la condizione vera a cui da sempre pareva fossi stato condannato. Con parole sicuramente sbagliate, cercai in un paio di casi di spiegare questa sensazione anche a Marta, mentre uscivamo insieme dall’edificio della scuola media di via delle matite, ma lei in quelle occasioni rimase in silenzio, quasi che nei suoi pensieri non ci fosse alcun rimedio a ciò che avevo da sempre probabilmente coltivato, almeno nella sua più profonda opinione.

Mio padre, per parecchi giorni a settimana, era sempre via con il suo autocarro, ed io, per tutto quel lungo periodo, restavo praticamente da solo a preoccuparmi della casa e di ogni altro aspetto delle mie giornate. Qualche volta avevo pensato di invitare Marta nell’appartamento che abitavo, anche soltanto per un sostegno morale, ma attesi per un sacco di tempo che fosse lei, conoscendo bene la mia situazione, che per generosità proponesse di seguirmi, magari alla fine dell’orario scolastico, anche soltanto per mangiare qualche cosa con me nella mia cucina, ma questo non accadde mai, ed io smisi persino di pensarci. Venne il custode della scuola, mentre eravamo nei nostri banchi a seguire una lezione, e disse a bassa voce che dovevo prendere tutte le mie cose, perché nel corridoio c’era mio padre che era venuto a prendermi. Compresi immediatamente di cosa si trattava, ma non dissi niente, così presi i quaderni e i libri a testa bassa ed uscii dall’aula silenziosa, quasi contento di potermene andare via, fuori dagli orari previsti. Mio padre, in una delle pochissime volte in vita sua, mi appoggiò il suo braccio forte e pesante sulle spalle mentre uscivamo dall’edificio, e poi mi disse che alla fine dell’anno scolastico saremmo andati ad abitare in città, abbandonando quel paesello, e che adesso però ci sarebbe stato il funerale della mamma, che finalmente aveva terminato di patire. Pensai subito che quello fosse il momento giusto per piangere mentre scendevo la scalinata, ma poi non feci niente del genere, limitandomi soltanto ad annuire. Però pensai immediatamente che la mia vita stesse cambiando con estrema rapidità, e che io, anche se d’ora in avanti non mi fossi sentito del tutto pronto a quelle variazioni, fossi comunque chiamato ad affrontare qualcosa che adesso assolutamente non potevo neppure immaginare, ma del quale non avrei mai dovuto sentirmi in nessun modo spaventato.

 

Bruno Magnolfi

giovedì 1 agosto 2024

Mondo sconosciuto.


            Ho sognato che camminavo lentamente lungo una strada deserta, e che accanto a me si trovava Marta. Non parlavamo tra di noi, forse in quel momento avevamo già detto tutto quello che c’era da dirsi, ma io avevo voglia all’improvviso di tenerla per mano, di avvertire con forza la sua presenza, forse per farle sentire il mio affetto, o la mia vicinanza, oppure per evitare di perdere ancora una volta lungo la via una persona preziosa come lei. Mi svegliavo, poi, che era già pomeriggio; d’altronde, dopo aver lavorato durante tutta la notte precedente, era il minimo di riposo che potessi concedermi, anche se odiavo quel tempo quasi gettato via, come se avessi potuto impegnare quelle ore in chissà quali altre imprese. Uscivo da casa, allora, e mi pareva che ogni dettaglio che vedevo fosse esattamente come sempre, senza alcuna differenza rispetto a tutti gli altri giorni; di colpo provavo però il desiderio di avvertire come un dolore, una piccola sofferenza, uno stimolo che mi scuotesse, ma non un vero dolore fisico, intendiamoci, soltanto una piccola fitta, un’amarezza, forse una semplice delusione data da qualcosa di specifico che però non trovavo né d’intorno, né dentro di me. Forse anche nei miei anni della scuola elementare dovevo aver già provato qualcosa del genere, anche se adesso non mi ricordavo con esattezza di nessun momento specifico del genere. Mi fermavo ad un angolo, poi, ed ecco subito che il mio fedele anticipatore di tutto appariva dal niente come ogni volta. <<Certo>>, mi fa; <<alcune volte desideravo profondamente provare del dolore che dimostrasse la mia scarsa sensibilità, ma era proprio la sua assenza ad evidenziare il mio carattere>>. Lo guardo, capisco che non deve essere stato facile tirare avanti in quegli anni, anche se adesso io non mi ricordo molto di quei dettagli di cui lui è testimone. <<Restava sempre la solitudine a giocare un ruolo importante>>, fa lui, <<che però agiva anche come cauterizzatore per le mie ferite>>.

Ma certo, penso io: la solitudine come colpa di tutto, e anche come fuga dalla realtà. In fondo è ancora questo che cerco adesso intorno a me, magari apprezzando quelle radici lontane capaci di dimostrare la coerenza di ogni mio comportamento. Seguo il ragazzo, e lui senza voltarsi si inoltra dentro un caseggiato che non conosco, inerpicandosi rapidamente lungo le strette e buie scale condominiali che giungono fino ad un pianerottolo dove è presente la porta chiusa di un appartamento. Osservo il nome sopra al campanello, e mi rendo subito conto che è proprio lì che abita Marta, mentre resto solo, senza più la compagnia del piccolo Paolo. Forse dovrei suonare, presentarmi mestamente a lei con qualche spiegazione che giustifichi in qualche maniera la mia presenza in quel luogo, ma decido che in nessun caso potrei essere ben accolto, per cui decido di andarmene senza fare nulla, anche se memorizzo velocemente ogni dettaglio che riesco a vedere. Chissà per quale motivo il caso mi ha portato fino a questo appartamento, rifletto, forse soltanto perché si ritiene possa esserci un futuro nella conoscenza tra me e questa donna, anche se a me non pare proprio possibile. Il presente è dato da tanti dettagli casuali, penso, ma soltanto la memoria a distanza riesce a dare un senso a tutti i piccoli fatti che si susseguono durante le giornate.

Torno a casa con la forte sensazione di non essere riuscito neppure oggi a mettere assieme qualcosa di positivo, ed anche se penso che il significato dei miei comportamenti si mostrerà probabilmente con una grande evidenza soltanto alla fine di tutto il percorso, nonostante per ora tutto quanto resti a me quasi ignoto, ugualmente l’impressione immediata di inutilità di tutto ciò che compio, o anche di ciò che forse desidererei soltanto compiere, è forte, quasi quanto il sapore di disfattismo che da sempre accompagna ogni mio comportamento. Si presenta ancora e all’improvviso, proprio davanti ai miei occhi, il piccolo Paolo, esattamente qui, dentro casa mia, quasi a mostrarmi che era tutto esattamente nella stessa maniera anche quando andavo a scuola, negli anni lontani delle elementari. <<Non avevo alcun sogno per il mio futuro>>, mi dice lui con timidezza. <<Nessuno mi chiedeva mai che cosa avrei desiderato fare una volta diventato grande, forse proprio perché si capiva immediatamente che non coltivavo dentro di me alcuna speranza, nessun desiderio particolare, e quasi non esisteva un vero futuro tra i miei pensieri, lasciando tutto lo spazio possibile dentro al mio cervello solamente all’immediato e semplice presente>>.

Mi lasciavo andare ad un gesto di fastidio allora, e lui forse per questo spariva, quasi fosse cosciente dell’ingombro dato dalla sua presenza. Avrei voluto addormentarmi di nuovo, all’improvviso, e poi riprendere il mio sogno nel punto esatto in cui si era interrotto, per comprendere con precisione verso dove riuscisse a portarmi quel mio esile filo di pensiero, anche se oramai pareva impossibile, e nonostante l’amarezza evocata appena poco fa sembrava mostrarsi proprio adesso, con tutta la sua forza. Fuori dalle finestre, lungo la strada, qualcuno parlava a voce alta, ma sembrava soltanto l’eco di un mondo a me completamente sconosciuto.

 

Bruno Magnolfi