La strada
all’imbocco del paese faceva una curva larga, molto larga, che iniziava davanti
ad un bar e proseguiva per un po’ fino ad immettere su un drittone in mezzo
alle case. Ormai era notte fonda, e anche il bar aveva chiuso alle spalle di
quella decina di ragazzi che ancora avevano voglia di ridere e di giocare. Era
stato allora che quei due, tra tutti gli altri, avevano acceso quella moto, una
moto bianca, una Laverda, bellissima e nuova, e avevano chiesto agli altri di
guardarli mentre rifacevano quella curva, quella curva larga, davanti al bar,
prima di immettere nel drittone davanti alle case e alle finestre di tutto il
paese. Erano passati a 80, a
90, a
100, e tutti gli amici applaudivano e facevano il tifo nel vedere quella moto
che si piegava, affrontava la curva, la dominava. Qualcuno nelle case si era
già svegliato col rumore alto del motore a pieni giri di quella moto bianca, ma
loro andavano avanti, quei ragazzi senza paura, su e giù lungo la curva, quella
curva larga, quasi in mezzo alle case. Sempre più forte, 110, 120, la velocità
non era più minimamente importante, la curva, quella curva larga, si inchinava
di fronte a quella moto, e nessun altro passava a quell’ora di notte, solo
quella moto che pareva volare lungo la curva, prima di distendersi nel
drittone, proprio in mezzo alle case. Poi un ultima volta, con il motore quasi
al massimo, la moto si piega ad affrontare la curva a una velocità paurosa, il
motore romba altissimo sopra le case e sui ragazzi sopra a quel marciapiede. Un
attimo, una frazione di tempo infinitesimale, il faro della moto che illumina
davanti a sé come in un lampo, e sparisce dietro la curva, la curva larga,
subito prima di tutte le case. Una frazione di secondo, un tempo infinitesimale
in cui la moto sparisce alla vista dei ragazzi, ed un boato spaventoso ferma il
sangue di tutti, anche quello dei paesani che non ne potevano più di quel
motore a pieni giri e pensavano già di chiamare i carabinieri, per interrompere
il rumore, quella gara folle in quella notte fonda, quel ridere stupido, quel
divertimento fatto di niente. La corsa immediata degli amici dietro la curva è
quasi assurda, insensata, persino ridicola. Dietro alla curva, quella curva larga,
prima del drittone proprio in mezzo alle case, resta solo un muro di un
negozio, sfondato coi corpi e col groviglio di rottami che una volta erano una
moto bianca, una Laverda, nuova, potente. E adesso il silenzio di tutta la curva
e del drittone con dentro le case e tutta la gente, suona strano e inadeguato,
inadatto alla fine di una qualsiasi serata.
Bruno Magnolfi
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