Sminuzzando
una semplice carota, sul piano della cucina, inevitabilmente il coltello quasi
gli sfugge di mano. È un attimo, una sciocchezza, che poi sembra accada
frequentemente a chiunque, e la lama affilata ecco che va ad aprire la pelle e
la carne del dito indice mentre sta cercando di tenere ferma quella carota, e
subito rivela una piccola ferita, un piccolo taglio che mostra immediatamente
il rosso intenso del sangue che sgorga. Renato mette la mano per istinto sotto
al rubinetto dell’acqua, ed osserva a lungo quella striscia rosata di liquido che
va a perdersi frettolosamente dentro lo scarico. Non prova dolore, ma si sente
incuriosito da questo stupido incidente, avverte quasi una certa attrazione per
quel mostrare l’interno di sé, ed anche se non sa spiegarne il motivo, si
scopre incantato da quelle sue gocce di sangue. Poi si medica con dell’alcol ed
una fasciatura ben stretta, però smette naturalmente di preparare la cena per
sé e per Sergio, e quando il suo coinquilino rientra in casa, gli spiega
semplicemente di aver lasciato purtroppo a metà alcune cose. Niente di male, tutto
è rimediabile, però d’improvviso Renato stasera si sente fortemente pensieroso,
ed il suo silenzio sta come ad indicare qualcosa che lui sembra incapace di comprendere
appieno.
Più tardi,
mangia qualcosa seduto al tavolo davanti ad un Sergio perplesso, ma non lo
guarda nemmeno, sfugge completamente qualsiasi argomento cerchi di avviare
l’altro, e in seguito insieme a lui si limita ad infilare i piatti sporchi nel
lavastoviglie, per poi andare a rintanarsi velocemente nella propria stanza. Certe
volte la solitudine è preziosa, riflette, specialmente quando qualcosa risulta
poco comprensibile. Osserva di nuovo la piccola ferita alla mano, toglie la
fasciatura e studia quel taglio che adesso sembra non porre più alcun problema.
Poi prende un coltellino richiudibile che tiene da sempre dentro un cassetto, e
adesso lo apre e lo osserva a lungo, apprezzandone il filo della lama piuttosto
affilata. Il desiderio di farsi del male è forte, procurarsi una nuova ferita,
sentir pungere il ferro dentro di sé, e poi osservare il sangue scendere di
nuovo lungo la propria pelle, ed apprezzare il piccolo dolore che provoca una
ferita; quindi restare immobile, fermo, come stregato nell’attesa che il
proprio corpo si dimostri in grado di tamponare autonomamente quanto accaduto, e
rimediare a tutto ciò con una sorta di capacità taumaturgica, richiamata al
presente dalla sua stessa forza, da quello spirito interno nascosto e mai
praticato, che deve esserci però, indubbiamente.
È una
vertigine, per Renato, un breve momento di perdita completa di razionalità, che
fortunatamente dura ben poco, giusto il tempo per rendersi conto che la realtà
è qualcosa di differente, dettata com’è dalla logica, dal bisogno di mostrarsi
concreti, e soprattutto incapaci di azioni assurde, impegnata nel misurare costantemente
la differenza del dolore avvertito nel corpo oppure nella mente. Poi decide di
uscire, sistema il suo coltello dentro una tasca, indossa la giacca e poi via,
senza neppure sapere dove andare o perché, ma scende le scale quasi di corsa,
affronta la strada con la convinzione di sentirsi imbattibile, ed anche se non
riesce a spiegare a sé stesso quei suoi assurdi comportamenti, però adesso sa
che sta bene, e che prova un equilibrio interno che raramente ha avvertito in
questa maniera, o forse mai. Non ci sono pericoli, nessuno desidera fargli del
male, ma in ogni caso lui è pronto, è consapevole di poter fronteggiare
qualsiasi avversario, concreto o immaginario che sia. Si sofferma ad osservare
qualcosa, sorride nel pensare che si può essere differenti in un solo attimo se
con semplicità si decide che valga la pena, ed anche se è conscio che qualcosa
dentro di sé sta avvenendo senza che lui lo desideri, però sa che è giusto, che
è naturale, che è del tutto spontaneo.
Quando
infine rientra nel suo appartamento si sente spossato, come se avesse dovuto
lottare per riuscire a comprendere qualcosa che ancora gli sfugge, e in ogni
caso sa che sta meglio, che da ora in avanti dovrà sempre più spesso fare i
conti con qualcosa che regna dentro di sé, e che fa parte del suo stare al
mondo. In silenzio, con calma, torna nella sua stanza, si sdraia sul letto,
chiude gli occhi colmi delle tante visioni che ha avuto stasera, e forse è
contento, come se in questo esatto momento avesse una consapevolezza che
precedentemente non aveva mai avuto. Nello specchio del bagno vede una persona
più sicura di sé, più convinta di ciò che rappresenta nel vetro la propria
espressione del viso: domani sarà un giorno migliore, riflette Renato; domani
potrò finalmente mostrarmi deciso, convinto di ciò che io sono, capace di non
essere più raggirato da qualche stupida situazione fino ad oggi per me inafferrabile.
Poi va a dormire, immergendosi in un sonno pesante pieno di immagini veloci e
sfuggenti, qualcosa che ancora non sa cosa intendono rappresentare, ma che
sicuramente fanno parte di lui, del suo vissuto, della sua volontà.
Bruno
Magnolfi
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