Sto fermo, soltanto
mi piego per un attimo leggermente in avanti, ad osservare le mie scarpe con le
stringhe ben allacciate, ed il pavimento intorno, che noto di un colore
verdastro, praticamente indefinibile; poi torno a posizionarmi nella mia normale
posizione eretta, in piedi, immobile, con le mani dietro la schiena, solo,
dentro a questa spoglia sala d’attesa, dove non trovo nulla da fare per riuscire
a riempire in qualche maniera questo tempo che non serve a nulla, praticamente
un vuoto assoluto, uno spazio da neutralizzare alla svelta per poi dimenticarsene
in fretta.
Arriva una ragazza,
dice buongiorno, si siede subito su una delle poltroncine in fila lungo la
parete maggiore. Insignificante, rifletto; non scambierò neppure una sola
parola con una persona del genere, penso guardando qualcosa nel vuoto. In fondo
perché mai dovrei parlare con una persona che neppure conosco, con la quale non
ho sicuramente niente in comune, se non ritrovarmi a dividere con lei questa
breve fase temporale tutta soltanto da stringere, da appiattire, da annullare
nella maniera più indolore possibile.
Le sorrido
guardandola un attimo, i pensieri nella mia mente sembrano quasi battute di
spirito; sorride anche lei, la ragazza, ma soltanto per mostrare una stupida
condivisione con questa situazione insensata, poi chiede: è molto che attende?
Mezz’ora, rispondo alla svelta senza espressione. Torno a guardare qualcosa sul
pavimento, anch’io adesso mi sono seduto su una delle poltroncine, di fianco ma
a rispettosa distanza da quella ragazza, anche se non c’è niente da guardare su
questo pavimento, e meno che mai sulle pareti, niente che valga la pena anche
solo di pensare qualcosa che possa in qualche maniera provare a riempire un
luogo del genere.
All’improvviso però rifletto
con calma maggiore, e immagino la ragazza completamente indifferente a
qualsiasi stimolo fuori dai suoi comportamenti abituali: una persona fredda nei
confronti di chiunque non rientri nella sua cerchia degli individui preferiti
da lei, pronta a parlare con chiunque delle cose più stupide e superficiali
proprio per non parlare di niente, per mostrare la sua distanza da tutti. Forse
dovrei impegnare le mie risorse per mostrarmi il più possibile simile alla
gente che lei frequenta abitualmente, penso senza convinzione, forse potrei
addirittura riuscirci; ma cosa importa in fondo tutto questo: tra un attimo
probabilmente sarà il mio turno, rifletto rassicurandomi, potrei uscire
completamente in un attimo da questo vago imbarazzo, niente di questa stanza e
di questa presenza in seguito mi tornerà mai più a mente, in qualsiasi caso, e uscirò
di colpo e per sempre da questa assurda perplessità.
Ascolto il silenzio
venato da una sottilissima vibrazione elettrica: forse la ragazza sta cercando
le parole per dirmi qualcosa, qualcosa di ordinario di cui si usa parlare in
casi come questi. Forse sta pensando di chiedere come mi chiami, oppure quanti
anni abbia, o ancora il motivo che mi ha spinto fin qui in una giornata
qualsiasi di un maggio piovoso. Provo terrore nell’immaginarmi le cose che
potrebbe dire, così penso di spiegarle qualcosa che la lasci sgomenta,
impossibilitata persino ad esprimersi. Passa ancora qualche minuto nel silenzio
vibrante: sento la fronte sudata, questo vuoto apparente in realtà risulta
pieno di cose superiori alla capacità di contenimento.
Mi alzo, guardo con
severità la ragazza, prendo aria per dirle qualcosa che probabilmente non
dimenticherà per un pezzo, lei mi guarda nell’attesa delle mie parole, ma nello
stesso momento sento il mio nome nell’aria: è il mio turno, penso, devo entrare
nell’altra stanza, tocca proprio a me. Il tempo dell’attesa è finito, rifletto
con gioia: buongiorno, dico allora con enfasi alla ragazza; mi dispiace, sarà
per una prossima volta.
Bruno Magnolfi
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