Attendevo
qualcosa o qualcuno che adesso neppure ricordo, così cercavo la posizione
migliore per non mostrarmi agli altri che passavano da quelle parti come un
nullafacente, un vagabondo, uno scansafatiche. Mi ero appoggiato ad un muro,
inizialmente, e avevo lasciato sprofondare le mani dentro le tasche, con il
fare di chi si disinteressa del mondo, quasi senza impiegare un solo muscolo in
quella posizione, ma in seguito mi ero mosso lungo diversi metri quadrati di
quello stesso marciapiede, al bordo di un viale cittadino alquanto trafficato,
evidenziando con la mia andatura un leggero nervosismo, ma giusto per darmi importanza.
Non
mi sentivo a mio agio, questa è la verità, però non avrei voluto per nessuna
ragione mostrare preoccupazione attraverso il mio comportamento. Immaginavo una
bionda che trovandosi a passare in quella zona fischiasse con la bocca per
attrarre la mia attenzione, l’espressione del viso sorridente e incoraggiante,
colpita dal mio portamento o forse dall’aspetto generale della mia persona.
Cercavo di immaginare che cosa potesse davvero aver apprezzato quella donna dal
suo punto di osservazione, e mi veniva da ridere per quel minimo di timidezza
che ancora mi era rimasta, così avrei abbassato lo sguardo in quel caso, senza
dar seguito al suo gesto.
Mi
muovevo ancora, un piede avanti all’altro, allargavo un po’ il giro, e
allungavo la traiettoria fino all’angolo di quel caseggiato, osservavo qualcosa
lungo la strada che si apriva oltre quel punto, e poi tornavo indietro, per più
di una volta, fino a riprendere il medesimo posto di prima. Avrei potuto
fermare qualche passante, pensavo; chiedergli l’ora, ad esempio, oppure
l’indicazione per arrivare da qualche parte, una piazza, un locale di quel
quartiere. Ma assurdamente in quel momento non ricordavo più neppure il motivo
che mi aveva spinto in quel tratto di via, che cosa stessi aspettando e perché,
e infine non avrei saputo neppure verso dove dirigermi.
Immaginavo
allora un appuntamento galante, una persona conosciuta da poco tempo che avesse
promesso di passare a prendermi con la sua auto nuova, proprio in quel punto, e
farmi fare un bel giro lungo tutti i viali della città. Certo non avrei dovuto
farmi trovare indispettito per il leggero ritardo, oppure in attesa rancorosa
per quel suo arrivo poco puntuale, però provavo la sensazione adesso di essere stato
trattato con sufficienza, come per onorare un impegno ormai preso, da
rispettare prima di tutto, che non era assolutamente possibile revocare una
volta giunti a quel punto. Eppure ricordavo perfettamente, o forse mi pareva
soltanto di ricordare, l’insistenza con cui ero stato invitato, e il
corteggiamento che mi era stato rivolto per quell’incontro.
Così,
perse ormai le speranze, stavo quasi pensando di arrivare al bar d’angolo,
farmi dare qualche moneta dal cameriere e telefonare dall’apparecchio pubblico
per prenotare un taxi, una vettura che in capo a pochi minuti mi portasse via
da quel luogo e da quella situazione spiacevole. Si, non c’era proprio nient’altro
da fare, anche se mi sentivo dolente per quell’alzata di orgoglio, per quel mio
mostrare carattere e personalità forse in misura maggiore del necessario,
dovevo fare così. Mi ero spostato di poco osservandomi attorno e cercando la
forza per compiere quanto avevo pensato, ma in quell’attimo ecco che arrivava
il mio autobus, quello che aveva il potere di trasbordarmi fino dalle parti
dove abitavo, perciò salivo su, libero, alleggerito da ogni preoccupazione, lasciando
alle spalle ogni altra cosa.
Bruno
Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento