Lei
non guarda mai nessuno negli occhi. Cammina, tira dritto, non si sofferma in
nessun caso a guardare chi si trova di fronte. Forse la sua è soltanto
timidezza, dice qualcuno che la conosce giusto di vista, proprio perché magari
gli è capitato di vederla passare una volta o due lungo la strada che a lei piace
percorrere per recarsi al lavoro. Lui invece dalla vetrina del suo piccolo bar,
sempre deserto a quell’ora, la nota ogni giorno camminare di fretta lì davanti,
attraversare velocemente sul marciapiede quel minuto spazio trasparente tra gli
infissi del suo locale, e sparire oltre con rapidità, insieme al ticchettare
inconfondibile delle sue scarpe coi tacchi. Potrebbe entrare, pensa lui,
prendersi magari un caffè, dire di sé con indifferenza che oggi non è in
ritardo come spesso le capita, e che stamani si sente tranquilla, che tutto è a
posto, e non ci sono problemi particolari di cui occuparsi. Sarebbe bello,
forse; non ci vorrebbe proprio alcuno sforzo.
Così lui oggi l'attende
sul marciapiede, sulla porta del bar, le sorride e le dice buongiorno quando
lei arriva, senza insistenza, anche se lei bofonchia solo qualcosa tra sé, e in
un attimo ecco che lo ha già superato, senza concedergli alcuna possibilità. Lui
però allora si gira, la guarda per un istante mentre si allontana, e quasi per
orgoglio le dice: signorina; lei si volta, si sofferma, lui fa un passo verso
di lei; le dice che vorrebbe offrirle un caffè, gli basta vederla entrare
almeno una volta nel suo piccolo locale, conoscere meglio la sua voce,
osservare le sue espressioni appena per un momento. Lei resta immobile,
perplessa: grazie; ma non stamani, gli risponde; ho fretta, purtroppo; e
riprende come faceva poco prima a camminare sopra ai suoi tacchi. Lui la
lascia, ma comunque è già contento così, qualcosa sicuramente si è come
delineato, e forse niente da ora in avanti sarà più come prima, le cose con
molta evidenza cambieranno velocemente, e tutto si sistemerà, così forse ci
saranno momenti più rilassati tra non molto, basta soltanto avere un po' di
pazienza.
Lei, senza
neanche dare un giudizio troppo pesante, pensa che ci sono in giro delle
persone ben strane, e in un attimo archivia così la faccenda. Poi però mentre è
lì nel suo ufficio a sbrigare le solite pratiche, ecco che ci ripensa: potrebbe
esserci un errore di valutazione, riflette, qualcosa subentrato chissà come a
complicare le cose. Al limite potrebbe essere partito proprio da lei l'elemento
iniziale, ed è questa alla fine la riflessione più forte. Analizza meglio i
suoi comportamenti, e ritiene, come d’altronde tutti coloro che la conoscono un
minimo, di essere troppo chiusa con gli altri, di trovarsi carente di una
componente fondamentale di socializzazione. Esce, durante la mattinata, torna
indietro, lungo la via, fino a quel bar. Si ferma un po’ prima, osserva
l’insegna, le vetrine, ciò che dalla strada si intravede di quel bancone e dei
due o tre tavoli dentro al locale. Poi si fa coraggio e va a fermarsi proprio
all’entrata. Lui la nota, ma sta servendo qualcuno. Non è questo il momento,
riflette, non è in questo modo che doveva avvenire.
Così continua
a scherzare con i clienti che si trova di fronte, lei aspetta, ma soltanto per
un attimo; poi se ne va. E’ colpa mia riflette, mentre lentamente torna sui
suoi passi; riesco sempre a sporcare qualsiasi cosa mi si presenti. Ma lui è
già sulla porta del bar: signorina, le dice, e lei si volta, lo guarda; il suo
caffè, dice lui, e le porge sul vassoio la tazzina.
Bruno Magnolfi
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