Dai ragazzo - anche
se in fondo non mi sembra molto giovane - gli fo dal finestrino aperto del mio
macchinone, mentre lascio agevolmente salire le gomme di destra sopra al
marciapiede. Quello si volta, mi guarda e resta immobile, come se non avesse neppure
fatto caso alla mia ardita manovra di parcheggio. Così gli suono, giusto per
sottolineatura, ma appena un accenno, proprio mentre mi fermo ad aspettarlo, ma
quello nulla, sembra proprio non capisca che in fondo deve soltanto spostarsi.
Mi sbraccio dal finestrino ed urlo ovviamente qualche mala parola mentre dietro
di me si è già formata una fila di tre o quattro automobili in attesa che io
completi le mie comodità. Ma alla fine lui sembra muoversi, ed appena un attimo
prima che io apra lo sportello e lo affronti, ecco che si gira, fa giusto due o
tre passi in avanti, e mentre finalmente riesco a posizionare la mia macchina
in modo che gli altri possono transitare, e spegnendo conseguentemente il
motore, quello torna leggermente indietro, e con tutta normalità si appoggia al
mio faro, dandomi le spalle.
Via, togliti di
torno, gli dico senza enfasi mentre sono già coi piedi sopra al marciapiede, ma
quello mi getta uno sguardo come se neppure mi vedesse, ed anzi, lo fa mentre
si accende una sigaretta con tutta la calma di questo mondo. Ti conosco, fa lui
senza più guardarmi; non esagerare con me perché so perfettamente come
fregarti. Resto perplesso, questo non l’ho mai visto, penso, però potrebbe
essere vero quello che dice, così mi avvicino e gli tocco una spalla come se lo
avessi riconosciuto, dicendogli anche che se volesse prendersi un caffè con me
nel bar di fronte, glielo potrei offrire molto volentieri. Lui però non dice
niente, si limita a guardare altrove, poi sputa a terra e prende una boccata di
fumo. Alla fine sottovoce spiega che dobbiamo andare via da lì, siamo sicuramente
sott’occhio a qualcuno, non possiamo parlare con comodità.
Rifletto al volo che
questo mi ha scambiato per un chiunque che non sono io, così gli dico: tu
vaneggi, adesso io mi prendo un bel caffè, con te o senza di te, e poi me ne
vado per i fatti miei, è tutto chiaro? Ma il tizio si muove dal faro, apre lo
sportello del passeggero momentaneamente rimasto senza sicura, e sale su, senza
darmi altre spiegazioni. Torno al posto di guida giusto per chiarire le cose,
ma la voglia del caffè mi è già passata, perciò rimetto in moto per
automatismo, ed ingrano la marcia. Andiamo sui viali, fa lui; e tieniti sempre
sulle corsie di sinistra, così nessuno ci nota. Vado avanti, attendo che questo
tizio dica qualcosa che per me non abbia alcun senso, in modo da potergli
spiegare che si è sbaggliato di persona, ma lui sta zitto, abbassa il
finestrino e getta via la cicca. Si è piazzato sopra al naso un paio occhiali
scuri, si guarda attorno, e non sembra neanche attendersi che io chieda
qualcosa. Con il dito mi indica un paio di volte la direzione giusta, e mentre
inizio ad essere un po' stufo di tutta questa storia, mi fa cenno di
rallentare. Osserva qualcosa che non riesco neanche a comprendere, ma mi
ritrovo perfino io a guardare nella sua stessa direzione, proprio perché mi
aspetto da un momento all'altro che la spiegazione di tutto magari sia proprio lì,
sotto ai miei occhi.
Andiamo ancora avanti, sto pensando di decidermi
finalmente a smuovere le cose e dirgli che adesso proprio basta, c'è stato
soltanto un malinteso, io ho altro da fare che stare in giro, e che con lui ho
perso persino troppo tempo, quando il tizio mi fa segno di fermare. C'è il
semaforo rosso, sembra accennarmi, cosi ci fermiamo tutti, una gran fila di
macchine, ma lui senza guardarmi apre il suo sportello, sembra quasi con
circospezione, devo dire, e poi subito scende, richiude, se ne va. Resto
inebetito: forse è arrivato, penso.
Bruno Magnolfi
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